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Dopo aver letto le righe conclusive, il ragazzo accartocciò il foglio di carta con un sospiro stanco, buttandolo poi nel cestino a fianco alle cassette delle poste, insieme alla busta di plastica da cui l'aveva tirato fuori. Chiuse l'anta color bronzo, sulla quale era impresso il suo cognome in stampatello, e riprese da terra la borsa che conteneva il laptop e qualche fascicolo, iniziando ad aprire, mentre si dirigeva verso l'ascensore, l'ennesima bolletta che ogni volta si presentava più grande delle aspettative. Il suono che l'ascensore emise quando si fermò al terzo piano lo destò dalla lettura; infilò una mano nella tasca interna della borsa e frugò alla ricerca del mazzo di chiavi. Si portò il dorso di una mano davanti alla bocca per nascondere uno sbadiglio, mentre con l'altra infilava la chiave nella serratura della porta e la faceva girare due volte. Fece scivolare la borsa sulla poltrona, lasciando che un sospiro di sollievo uscisse dalle sue labbra, e poggiò le lettere sul tavolino insieme alle chiavi mentre faceva scrocchiare il collo. La luce della cucina era accesa e un dolce profumo di cioccolato lasciava la stanza andando ad aromatizzare il resto dell'appartamento. Gli angoli della sua bocca si tirarono all'insù, meravigliandosi, come ogni volta, di come quelle mura lo facessero sentire bene e lontano dal caos che il mondo là fuori presentava.

Allentò il nodo della cravatta mentre seguiva quell'odore, stupendosi che ancora nessuna testa bionda fosse spuntata dalla porta. Sapeva dopotutto di essere un tipo rumoroso. E si stupì ancora di più quando trovò i fornelli vuoti, lo sportello del forno aperto e una torta, poggiata vicino al lavandino colmo di recipienti e utensili ricoperti da una pastella giallognola, addirittura più bella di come se l'era immaginata in quei pochi secondi.
"Milli?"
Nessuna voce gli rispose. Solo dopo qualche attimo sentì il rumore dello scarico, ma nessuna porta aprirsi o un paio di piedi scalzi saltellare verso il salotto. Si strofinò l'occhio destro, le ore passate a fissare lo schermo di un computer si facevano sentire.
"Hey Milli?"

Fu un singhiozzo che gli fece accelerare il passo verso la fine del corridoio e abbassare senza molto delicatezza la maniglia in acciaio.
"Che diavolo succede Milli? Che hai?"
Si inginocchiò a fianco alla ragazza, il respiro accelerato e le tracce di sonno e stanchezza come svanite. Un'altra volta non parlò, ma continuò a singhiozzare con la fronte appoggiata al bordo della tazza. Il petto le tremava e una mano premeva contro lo stomaco.
"Non mi far spaventare, dimmi che cosa non va, ti prego."
La ragazza aprì e chiuse la bocca più volte, poi riuscì a parlare con un filo di voce.
"N-non lo so Zayn, è un'ora che vomito. E la pancia, m-mi fa male la pancia e- e non lo so Zayn, non lo so."
"Tranquilla amore, tranquilla" le sussurrò con le labbra contro il suo orecchio.

Le accarezzò la schiena incurvata da sopra il vestito azzurro -quello che secondo lui le risaltava i capelli- e lasciò che il respiro di Milligan si calmasse. Le baciò una spalla e scrutò il viso pallido, solcato da qualche lacrima, e le profonde occhiaie che le cerchiavano gli occhi, ora chiusi.
"Non è per quello che mi hai detto, vero?"
La bionda alzò le palpebre e lo guardò inarcando le sopracciglia scure.
"Dio Zayn, ti dico un sacco di cose. Precisione di linguaggio" rispose citando 'The Giver', strappandogli un sorriso, perché anche quando stava male usciva fuori quel suo lato un po' nerd.
"Mi riferisco a qualche settimana fa. Esattamente dopo, beh sai, l'incontro spiacevole con la bilancia."
La ragazza sgranò gli occhi e sollevò la testa quel tanto che bastava per guardarlo dritto nelle iridi castane, cercando in ogni modo di ignorare quel senso di nausea che si stava facendo di nuovo più insistente.
"Come diavolo puoi pensare una cosa simile? Pensavo sapessi che persona sono. E che non potrei mai farlo, ne abbiamo parlato."
"Lo so, lo so! Ma lo sai come funzionano quelle cose... finiscono per non farti essere più te stessa."
Sospirò pesantemente mentre Milligan poggiava un'altra volta la testa sulla tavoletta e stringeva le gambe al petto.
"Non lo farei mai, Zayn. Te lo giuro."
Lui le sorrise e prese ad accarezzarle i capelli, qualcuno che, ogni tanto, si impigliava all'anello dorato al suo anulare.

"Che vuoi che faccia?"
"Niente. Resta solamente qui."
"Devo chiamare qualcuno?"
"No."
"È un 'no, non è necessario, mi sto sentendo meglio' o un 'no, non voglio farmi aiutare da nessuno e gli ospedali mi spaventano'?"
"Non sei divertente Zayn" mormorò mentre asciugava una lacrima rimasta impigliava fra le ciglia.
"Non lo volevo essere" rispose seriamente.

Stava per alzarsi dal pavimento per andare a prendere il telefono che aveva lasciato in salotto insieme a quella sensazione di tranquillità, quando Milligan fu costretta a rimettersi in ginocchio mentre un improvviso conato di vomito l'assaliva.
Allungò un braccio verso il mobile di lato al lavandino e afferrò un elastico; le tolse i capelli biondi da davanti gli occhi e li raccolse in una coda, mentre lei continuava a rigettare ciò che aveva mangiato durante l'arco di quella giornata.
E se fino a quel momento Zayn aveva cercato in ogni modo di stare calmo e di non farsi prendere dal panico, i suoi buoni propositi si dissolsero nel nulla quando un grido lasciò le labbra della ragazza.

Aveva gli occhi sgranati, faceva fatica a respirare e la mano stringeva convulsamente la pancia.
"Z-zayn?! Oddio..."
"Che succede? Che c'è, amore, che c'è?"
"La pancia... mi fa male da morire" pianse.
Corse a prendere il cellulare e tornò in un attimo da lei mentre digitava con mani tremanti il numero dell'ambulanza.
"Shh piccola, andrà tutto bene. Adesso sistemiamo tutto."

-

Quando rivide Milligan erano passate tre ore e dieci minuti e il suo volto non era più segnato da quell'espressione sofferente e spaventata. Era stremata, sì, ma almeno la nausea era passata, il dolore alla pancia non c'era più e aveva smesso di tremare.
Le accarezzò una guancia, seduto accanto a lei su quel lettino discutibile, avvolti da un silenzio che forse gli metteva più paura di quanto avessero fatto le grida di dolore di sua moglie. Intossicazione alimentare, tutto quello che avevano detto alla ragazza. E alla fine sarebbe stato tutto a posto se solo i medici non avessero poi aggiunto, una volta venuti a conoscenza della relazione che intercorreva fra lei e colui che l'aveva accompagnata in ambulanza, di voler
parlare con entrambi. E questo non poteva di certo aiutarlo a pensare positivamente.

Fu una dottoressa a rompere il silenzio, aprendo la porta con poca delicatezza e avvicinandosi ai due con un leggero sorriso in volto. Milli la riconobbe come colei che l'aveva visitata e che aveva ordinato all'infermiere quali farmaci somministrarle.
"Un bello spavento, vero?" scherzò mentre finiva di compilare alcune carte.
Quando alzò lo sguardo dal plico di fogli che teneva in mano si ritrovò due paia di occhi a fissarla, ansiosi, e non sapeva dire quale fossero più stanchi.
"Potete stare tranquilli; non è stato niente di grave. Come avete potuto notare non è servito fare una lavanda gastrica e neanche usare medicinali pesanti, anche perché-" si fermò, lasciandoli interdetti, ma riprese subito a parlare facendo finta di nulla.
"Probabilmente avrai mangiato qualcosa andato a male, è stato solo il tuo corpo a reagire in modo così violento. Nessuna intossicazione chimica o botulismo insomma, non c'è da preoccuparsi. Tutto passato."
La bionda si lasciò scappare un sospiro di sollievo e reclinò la testa, appoggiandola al muro alle sue spalle. La mano stretta a quella di Zayn.
"Devono essere state le uova" sussurrò poi. "Stavo cucinando una torta e ho mangiato un po' di impasto, prima di metterlo in forno."
"Le uova... sono sempre loro!" scherzò la dottoressa mentre fissava con un sorriso un foglio in particolare e cercava di trovare il modo migliore per informare la coppia riguardo quello che era in procinto di dire.
"Bene... allora, da quello che ho potuto capire, non siete a conoscenza di quello che è la principale causa che ha portato il tuo corpo..." sbirciò fra i documenti, "Milligan, ad avvertire sintomi così amplificati. Generalmente il mio lavoro non consiste in queste cose, non sono il tipo di medico che dà notizie simili, ma, a quanto pare, oggi proverò l'ebbrezza di essere una ginecologa. Che, detto fra noi, mi ha sempre un po' incusso timore quando studiavo medicina".
Indorare la pillola. Questo era quello che stava cercando di fare, ma gli occhi leggermente sgranati dei due le fecero capire che neanche quello rientrava nel suo mestiere.

"Aspettate un bambino!"

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