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Tutto per un uomo (parte seconda)

Lei scosse la testa. "Sai che non è così. Semplicemente, io ti amo e non voglio che ti cacci di nuovo nei guai. Non sei più solo, ci sono anch'io al tuo fianco. Non puoi agire solo per te stesso."

Lui annuì e liquidò la questione con un "Va bene, te lo prometto."

Si sedette e chiese a Elisabetta di raccontargli cosa le avesse detto Cherifa.

La giornalista cominciò a parlare e lui stette ad ascoltare, anche se pensava ancora alla promessa di poco prima. Lui era un giornalista molto curioso e intraprendente. Se, in soli tre mesi, era riuscito a ottenere un ruolo importante in redazione, era anche grazie ai rischi che aveva corso. Non poteva tirarsi indietro, ma forse l'amore era anche quello: rinunciare per il bene di qualcuno, per non farla soffrire.

Cacciò il pensiero dalla testa. Era meglio non pensarci; Elisabetta era viva e vicina a lui e quello era l'importante.

Il capo della banda che teneva sotto scacco il treno stava passando in tutti gli scompartimenti per controllare che non ci fossero anomalie.

Guardava tutti i passeggeri dall'alto in basso, con tono superbo. I suoi occhi erano fulmini pronti a saettare da una parte all'altra e atterrivano chi aveva la sfortuna di incrociarli. Il suo corpo era avvolto in un ampio cappotto grigio che lo copriva dalla testa ai piedi. Tra le dita teneva un mitra pronto per essere utilizzato se ce ne fosse stato bisogno. Le due grosse mani sembravano rigide come il marmo e avevano la forza di spezzare ogni cosa. Quell'uomo possedeva il potere di atterrire con lo sguardo e negli arti fluiva l'energia di un energumeno. I capelli gli incorniciavano il volto come se fosse una folta criniera dai tratti rossicci, anche se la barba era curata. Persino i suoi scagnozzi abbassavano gli occhi quando incrociavano il suo sguardo. Era una forma di rispetto, ormai lui era diventato il loro capo.

In ogni scompartimento, al suo passaggio, regnava un silenzio tombale.

Anche i bambini piccoli smettevano di piangere e fissavano quella figura grigia e rossa che camminava con un'andatura lenta e gloriosa.

Quando l'uomo terminò il suo giro, aprì con violenza la porta della cabina e la chiuse con noncuranza. "Allora, hai finito?"

La domanda era rivolta a un ragazzo che stava armeggiando nel quadro dei comandi. Tra le mani aveva vari fili all'altezza del pavimento e cercava di collegarli tra loro.

"Quasi. Qualcuno deve aver manomesso il quadro dei comandi in modo che noi non possiamo comunicare con l'esterno."

Sul viso pulito dell'uomo comparve un sorriso beffardo.

Si girò verso il macchinista, che era legato con una corda a una sedia. "Hai sentito? Qualcuno ha cercato di rendermi difficile il lavoro... Scommetto che sei stato tu, eh?"

Il prigioniero abbassò lo sguardo verso il lembo del lungo cappotto grigio. "Non so di cosa lei stia parlando..."

"Mi credi uno scemo?" ringhiò l'uomo con tono brutale. Puntò il mitra contro il suo interlocutore. "Sì, sei stato tu. Prima che io entrassi qui per la prima volta, hai scambiato i fili per evitare le comunicazioni con l'esterno!" La sua risata inondò la cabina. "Volevi prendere tempo e studiare un modo per liberarti, ma hai fallito miseramente. Anzi, hai soltanto perso ore preziose. Chissà, forse a quest'ora sarebbe tutto finito, e invece no! Tu hai voluto comportarti come un eroe e ora ne pagherai le conseguenze!"

Con l'indice accarezzò il grilletto e puntò l'arma contro di lui.

Il prigioniero deglutì, certo che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe compiuto quel gesto. Quell'uomo aveva ragione: in un gesto disperato aveva scambiato i fili perché non poteva permettere che loro tenessero sotto scacco il treno. Era il suo mezzo, lui era il macchinista e doveva difenderlo a ogni costo. Forse però aveva sbagliato, non aveva ragionato in modo lucido e si era lasciato sopraffare dallo spavento.

Deglutì ancora una volta. Allora l'altra non era l'ultima volta.

Deglutì di nuovo e continuò a compiere quel gesto perché non poteva sopportare di essere arrivato alla fine.

A un certo punto, però, non sentì più saliva in bocca.

Il sudore scendeva dalla fronte come gocce dalle foglie durante un temporale.

Chiuse gli occhi, non aveva il coraggio di guardare in faccia la morte.

"Credo... di esserci riuscito..." farfugliò il ragazzo che aveva il volto concentrato sul quadro dei comandi.

Si alzò e tenne lo sguardo basso, per rispetto.

L'uomo sorrise ed esclamò, rivolto al macchinista: "Sei fortunato, non è ancora giunta la tua ora. Hai ancora quaranta minuti di vita!"

Si voltò verso il ragazzo e gli ordinò di mettere in comunicazione il treno con la stazione di Sadıkhacı.

Il macchinista tirò un sospiro di sollievo. Era contento di essere ancora vivo, anche se lo separavano quaranta minuti dalla morte, a quanto diceva quell'uomo.

S'illuse di avere ancora tempo per fermarli, ma come poteva muoversi? Era legato a una sedia e il suo treno era occupato da un numero non ben precisato di persone armate. Forse ci sarebbe stato qualcuno di coraggioso tra i passeggeri...

Un sorriso amaro e impercettibile comparve sul suo volto: i viaggiatori contavano sul fatto che lui li salvasse e lui contava su di loro. La sua mente era un groviglio di pensieri difficile da sbrogliare, una matassa troppo intricata e confusa che non gli permetteva di ragionare in modo lucido. Aveva un'unica certezza: stava per morire. E sapeva anche l'orario!

Dalla sua posizione poteva guardare un orologio appeso in un angolo. Non sapeva se fosse meglio conoscere quanto mancava alla sua morte o se fosse meglio avere il gusto amaro della sorpresa. Aveva un appuntamento con la morte e vedere la lancetta dei secondi che si muoveva in fretta e quella dei minuti che la aspettava non lo lasciava tranquillo.

Poco dopo il ragazzo farfugliò: "Ecco."

L'uomo abbassò l'arma e guardò verso il quadro dei comandi.

Nell'aria si diffuse il rumore che segnalava la chiamata fosse in attesa.

L'uomo mise un dito davanti alla bocca e squadrò il prigioniero con quegli occhi pungenti. Non doveva parlare, altrimenti il tempo che gli rimaneva sarebbe diminuito a dismisura.

Il macchinista non aveva il coraggio di emettere alcun suono, come se la sua voce fosse legata, proprio come lui, a una corda immaginaria.

"Qui è la stazione di Sadıkhacı. Finalmente, erano ore che non avevamo vostre notizie! Stavamo per chiamare i..."

"La tua voce è così irritante che metterei giù se non fossi costretto a parlare con te!" sputò con prepotenza l'uomo.

Dall'altra parte della linea la persona restò spiazzata.

L'uomo continuò: "Qui non è il macchinista che sta parlando. Ho fermato il treno e sono salito insieme ai miei uomini. Ora voglio parlare con il responsabile del carcere di Sadıkhacı..."

"Non ho tempo da perdere! Se questo è uno scherzo, è davvero di pessimo gusto!" urlò la voce femminile dall'altro lato della linea.

L'uomo alzò gli occhi al cielo. "Credi davvero che mi stia prendendo gioco di te? Perché non era più possibile mettersi in comunicazione con noi, eh? Il motivo è semplice: quell'incompetente del macchinista ha scambiato i fili per poter prendere tempo e sarà il primo a morire se non parlerò subito con il responsabile del carcere di Sadıkhacı!"

La donna, atterrita, chiuse la linea e guardò le sue colleghe, che la fissavano tra lo spaventato e il divertito.

Stavano per chiederle cosa fosse successo, ma lei si alzò di scatto. "Chiamate la polizia, qualcuno ha preso in ostaggio il macchinista e i passeggeri del treno Reelfex in direzione Sadıkhacı!"

Intanto, sul mezzo, l'uomo si avvicinò al macchinista. "Spera che abbia capito, altrimenti quest'incubo sarà più lungo di quanto pensi."

Si sedette vicino al quadro dei comandi e si mise il mitra vicino al petto.

Con un cenno del capo ordinò al ragazzo di andarsene e di tornare dagli altri uomini.

Rimasero soli, lui e il macchinista, in quella cabina.

Il cielo si stava colorando di rosa e presto sarebbe calato il buio più totale. Proprio come sul treno, proprio come nella vita dei passeggeri.

I due non dissero nulla.

Il macchinista continuò a fissare il pavimento, spaventato. Doveva parlare, ma non riusciva a slegare la sua voce dalla corda immaginaria che l'avvolgeva.

Il capo della banda guardava il panorama e con una mano teneva il mitra.

Poco dopo un suono squarciò l'aria e il cuore delle due persone.

L'uomo premette un bottone ed esclamò: "Sto parlando con il responsabile del carcere di Sadıkhacı?"

"Sì, sono io..." rispose una voce dall'altra parte della linea.

"E io come posso esserne certo? Lei potrebbe anche essere un poliziotto!"

Dall'altra parte della linea si sentirono solo lievi sospiri.

Il direttore del carcere mise i gomiti sul tavolo e, guardando i poliziotti attorno a lui, continuò: "Le assicuro che sono io..."

"E allora mi descriva la struttura del carcere!" continuò l'uomo, tenendo lo sguardo fisso sul macchinista.

Il suo interlocutore sospirò. "Va bene, va bene. Ci sono novantasei detenuti. Ottantasei sono maggiorenni e dieci minorenni e..."

"Quanti suicidi ci sono stati finora quest'anno?" chiese l'uomo in tono freddo.

Il direttore serrò i denti e tutti i poliziotti nella stanza rimasero stupiti.

"Tre" rispose con la voce bassa. Guardò le altre persone e continuò: "Si fidi, sono io! Che cosa vuole da me?"

Sul viso del capo della banda comparve un ghigno malefico. "Bene. Come dicevo prima alla gentile signorina, ho bloccato il treno insieme ai miei uomini e ho ucciso il capotreno. E se sarà o no l'unica vittima di questo assalto, dipende solo da lei!"

Il direttore del carcere cercò di mantenere il sangue freddo e i poliziotti vicino a lui cominciarono a bisbigliare: dovevano localizzare il treno.

"È ancora in linea?" chiese il capo della banda, sempre con gli occhi puntati al macchinista.

"S-sì..." farfugliò l'interlocutore, abbassando lo sguardo. "Cosa vuole?"

"È semplice" rispose l'assaltatore, mettendo il peso su una gamba. "Lei deve liberare Nathan Ngai. Solo allora ce ne andremo dal treno e questo mezzo continuerà il suo viaggio! Fino a quel momento, i passeggeri sono in ostaggio. In più, mi rivolgo ai poliziotti vicino a lei: non provate ad avvicinarvi al treno, altrimenti ci sarà una carneficina!"

Sulla stanza, in stazione, cadde un silenzio tombale.

Gli agenti smisero di parlare e rimasero immobilizzati.

Il direttore del carcere si toccò la fronte sudata. "No, non posso. È troppo pericoloso..."

"Tra mezz'ora chiamerò di nuovo questo numero e pretendo che lei risponda. Se non mi dirà dove e quando Ngai sarà liberato, io ucciderò il macchinista!" e gli puntò la pistola con uno scatto.

Il prigioniero emise un gemito di sorpresa. Guardava quell'arma con gli occhi che sembravano due palloncini gonfi di lacrime. Ecco perché aveva detto che tra quaranta minuti sarebbe morto.

Irrigidì le gambe e la schiena e si sentì di nuovo a disagio. Avrebbe passato il tempo a guardare quelle lancette, sperando che si fermassero, desiderando che tornassero indietro e si rifiutassero di condannarlo a morte. Ma quelle freccette non erano esseri viventi e non potevano aiutarlo.

L'assaltatore concluse la conversazione e si avvicinò al prigioniero. "Hai capito? Non sarò io a decretare la tua morte, saranno loro."

Detto ciò, gli diede una pacca sulla spalla e uscì dalla cabina.

Poco dopo, calò la sera su Roma e un velo di tenebre si allungò sulla città. L'unica luce era rappresentata dai lampioni delle strade e dalle insegne dei negozi, di mille colori diversi per attirare potenziali clienti.

In casa famiglia i ragazzi stavano mangiando e stavano pensando che, finalmente, un'altra settimana di scuola si era conclusa e li attendevano due giorni di compiti e relax.

Quella sera erano tutti particolarmente agitati: continuavano a scherzare e a ridere, come se volessero scaricare la tensione accumulata nei giorni a lezione.

Ilaria era seduta in un tavolo che si trovava all'angolo del locale e, da quella visuale, poteva vedere tutti i ragazzi.

Spazio Sly

Come promesso, ho pubblicato la seconda parte del diciottesimo capitolo. Cosa ne pensate? Damiano riuscirà a stare lontano dai guai?

Per quanto riguarda la storyline di Pip, Aura e Luke, ci sono stati dei grandi passi avanti. La banda ha assaltato il treno perché vuole liberare un uomo, Nathan Ngai. Non vi è familiare questo nome? Ebbene sì, si tratta proprio del nonno di Pip! Ovviamente la banda non sa che il nipote di Nathan si trova sul treno, si tratta solo di un caso. Almeno, non ancora... Come si concluderà questa vicenda al cardiopalma? Ci sarà uno scambio tra il detenuto e i passeggeri o succederà dell'altro? 

Per quanto riguarda la storyline della famiglia Bacco, riuscirà Ilaria a scoprire qualcosa in più riguardo a Mario?

Vi aspetto sabato con un nuovo imperdibile appuntamento!

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