Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Gli inganni di Dark Rose

Il giorno dopo a Mestre una pioggia leggera bagnava le strade piene di traffico. Damiano giunse a fatica davanti al commissariato e parcheggiò la sua auto vicino alla parte laterale dell'edificio. Aveva impiegato mezz'ora ad arrivare, nonostante il suo appartamento non fosse lontano. Si strinse nel cappotto e corse verso l'entrata, con una mano sulla sua borsa a tracolla: aveva dimenticato l'ombrello a casa e ovviamente non voleva bagnarsi. Entrato nell'edificio, si guardò intorno: stava cercando Edoardo.

Si sfregò le mani per scaldarsi e si avvicinò al bancone: "Buongiorno. Sono il giornalista Damiano Daiano. Vorrei parlare con Edoardo Becchi" e gli mostrò il tesserino.

Il poliziotto controllò il documento e poi gli indicò il suo ufficio. Damiano ringraziò e ritirò il tesserino nel portafoglio. Imboccò il corridoio principale e prese l'ascensore, diretto al primo piano.

In poco tempo arrivò davanti al suo ufficio e bussò. Edoardo lo invitò a entrare e Damiano aprì la porta.

Appena il poliziotto lo vide, sistemò un fascicolo nel cassetto, si alzò e lo salutò con una pacca sulla spalla: "Ciao, come stai?"

Il giornalista sorrise: "Bene, anche se ho un po' freddo. Questa mattina mi sono dimenticato di prendere l'ombrello e sono fradicio!"

Edoardo sorrise e gli scompigliò il ciuffo: "Lo vedo, non ti ho mai visto così spettinato!"

Damiano rise e cercò di sistemarsi i capelli.

Edoardo si sedette dietro la scrivania: "Allora, di cosa hai bisogno?"

Damiano si schiarì la voce e si accomodò su una sedia: "È una questione importante che riguarda il lavoro. Il mio capo mi ha affidato un articolo sul Rubino celeste."

Edoardo intuì la sua domanda: "Scommetto che ti ha chiesto di parlare del possibile furto di Dark Rose all'hotel Excelsior!"

Il giornalista annuì: "Esatto. Stavo pensando che magari potresti darmi delle informazioni utili per l'articolo."

Il poliziotto si finse interessato: sapeva dove volesse arrivare. Appoggiò i gomiti sulla scrivania: "Di che tipo di informazioni hai bisogno?"

Damiano rispose con sicurezza: "Sono andato nella sala in cui si terrà l'esposizione del minerale e ho dato un'occhiata al sistema di sorveglianza: non credo che sia abbastanza efficace. Secondo me c'è dell'altro, dei dispositivi di controllo nascosti."

Edoardo sorrise e questa volta si mostrò davvero interessato: "Perché lo pensi? Manca ancora un mese alla serata di beneficenza, quindi c'è ancora tempo..."

Damiano rispose con sempre più sicurezza: "Dark Rose ha spedito un mazzo con dieci rose nere, quindi sono sicuro che la polizia abbia preso dei provvedimenti."

Edoardo annuì: "Hai ragione, ma sai che non posso dirti niente. È un'informazione riservata, solo in pochi ne sono a conoscenza..."

Il giornalista lo interruppe: "Scriverò l'articolo dopo la serata di beneficenza. Consideralo un modo per elogiare la sicurezza dell'hotel. Sono sicuro che Dark Rose non riuscirà a rubare quel minerale."

Edoardo sorrise: "Se vuoi scrivere l'articolo dopo l'esposizione del Rubino celeste, perché me lo chiedi adesso?"

Damiano non sapeva come rispondere e abbassò lo sguardo: "Beh, noi due siamo amici. Credevo che avresti potuto confidarmelo..."

Edoardo si alzò: "Non posso, mi dispiace. Ho promesso al commissario di non dire niente."

Il giornalista si alzò: "Ti prego, ho bisogno del tuo aiuto. Non voglio sapere tutto nei dettagli, mi basta una piccola informazione."

Il poliziotto scosse la testa: "Non insistere. La tua spiegazione non mi convince. Vuoi avere quest'informazione per un altro motivo. C'è qualcosa che mi nascondi?"

Damiano scosse la testa e abbassò lo sguardo: doveva inventarsi qualcosa per convincere Edoardo. Ci pensò un attimo e poi insinuò: "Se te l'avesse chiesto Elisabetta, non avresti rifiutato..."

Il poliziotto corrugò la fronte: "Cosa stai cercando di dire?" Il giornalista cercò di evitare il suo sguardo e Becchi continuò: "Non potrei dare quest'informazione neanche se me l'avesse chiesto lei! Elisabetta Ebre è un'ottima giornalista, la migliore di «Vite dal mondo» e di sicuro non si sarebbe comportata così. Tra di noi c'è una lunga amicizia basata sulla stima e sul rispetto reciproco. Mi ha chiesto solo un favore in passato..." Il giornalista alzò lo sguardo incuriosito ed Edoardo continuò: "...voleva che sparisse l'assegno con il quale hai pagato i tre ragazzi che hanno picchiato Carmine Bacco. Ho accettato, ma solo perché sapevo quanto fossi importante per lei. Stai attento, Damiano. Non voglio pentirmi della mia scelta..."

Il giornalista strinse i pugni: come si permetteva di trattarlo così? Quell'informazione era molto importante per lui...

In quel momento un poliziotto bussò alla porta.

Becchi sbuffò: "Avanti!"

Entrò un ragazzo magro con un paio di occhiali neri: "Il commissario vuole parlarle, ha detto che è urgente."

Becchi annuì: "Grazie, adesso vado." Quando il poliziotto chiuse la porta, Edoardo alzò gli occhi al cielo: "Il mio nuovo capo è una donna molto pignola. Avrà di sicuro trovato qualcosa che stona nei miei verbali." Con un gesto della mano lo invitò a uscire.

Damiano capì e obbedì.

"Mi dispiace, ma non posso aiutarti. Se hai bisogno di altro, sono a tua disposizione. L'importante è che sia nei limiti della legge" commentò Becchi in modo ironico. Chiuse la porta dell'ufficio e arrivò davanti alle scale. "Ci vediamo!" salutò Edoardo porgendo la mano.

Il giornalista la strinse con un sorriso di circostanza e poi chiamò l'ascensore.

Mentre stava aspettando, vide la figura del poliziotto scendere le scale. Le sue mani cominciarono a sudare e controllò in giro sperando che non ci fosse nessuno: i corridoi erano deserti e le porte degli uffici chiuse. Sospirò: doveva avere quell'informazione. L'ascensore giunse al piano, ma lui si allontanò con passo deciso verso l'ufficio di Becchi. Doveva conoscere il sistema di sorveglianza per l'esposizione del Rubino celeste. Solo così avrebbe avuto qualche possibilità in più di vedere Dark Rose. Aveva un piano in mente. Era pericoloso, certo, ma sentiva scorrere l'adrenalina nelle vene. Gli sembrava di essere tornato a inizio agosto, quando era un giornalista ambizioso pronto a tutto per arrivare al successo. Se avesse intervistato Dark Rose, avrebbe ottenuto finalmente il rispetto di Eliseo. Era determinato ad andare fino in fondo, a ogni costo.

Giunse davanti all'ufficio e aprì la porta: Edoardo non l'aveva chiusa a chiave, forse perché sarebbe tornato subito. Entrò e cominciò a cercare il fascicolo sul sistema di sorveglianza. Doveva essere lì, ne era sicuro. Guardò nei cassetti pieni di fogli, ma non lo trovò. Si avvicinò a uno scaffale a sinistra: c'erano dei quaderni di vari colori classificati per anni.

Niente, ancora niente.

Cominciò a preoccuparsi: e se il fascicolo non fosse lì?

No, non poteva essere vero.

Il suo cuore cominciò a pulsare sempre più forte nel petto: dei passi si stavano avvicinando. Trattenne il respiro e in quel momento gli venne in mente il luogo in cui poteva essere il fascicolo. Quando Damiano era entrato, aveva visto Edoardo mettere un fascicolo in un cassetto. Doveva essere lì. Controllò di nuovo e mise tutti i dossier sulla scrivania.

"Dove sei? Dove sei?" pronunciò sempre più forte.

Lesse in fretta i nomi: erano tutti termini tecnici, a lui incomprensibili. I suoi occhi vagavano da una parte all'altra della scrivania e il suo cuore accelerava sempre di più. Aprì un fascicolo e controllò i fogli al suo interno. Tra di essi ce n'era uno con alcune immagini del Rubino celeste e la firma di Edoardo Becchi in basso a destra insieme a quella di un uomo e di una donna.

Lesse in modo veloce ed esultò felice: "Ti ho trovato, finalmente!"

Si guardò intorno, lo arrotolò e lo mise nella sua borsa a tracolla. Riordinò gli altri dossier, uscì dall'ufficio e chiuse la porta. Percorse il lungo corridoio con una mano sulla borsa a tracolla e l'altra nelle tasche. All'improvviso vide dei poliziotti che si stavano dirigendo nella sua direzione. Il suo cuore batté sempre più forte e le mani tremarono. Arrivò di fianco a loro e li guardò in faccia. Loro lo salutarono con un cenno e lui ricambiò. Doveva mostrarsi sicuro di sé. Chiamò l'ascensore, che poco dopo arrivò al piano. Entrò, prenotò la fermata e appoggiò la schiena vicino alla pulsantiera: aveva preso la decisione giusta? Aveva agito senza pensare, per l'ennesima volta, ma quello era l'unico modo per poter parlare con Dark Rose. Ora doveva solo pensare a come contattarla.

Poco dopo Ilaria era seduta vicino alla finestra. Le mani erano appoggiate sulle gambe e stava guardando all'esterno. Roma si muoveva con il suo solito caos. Quella mattina aveva provato ad alzarsi da sola dal letto e non aveva sentito dolore. Durante la notte aveva dormito poco e aveva fissato di continuo l'orologio sul muro per sapere quanto tempo mancasse alla telefonata con il padre. Non sapeva cosa dirgli, ma sentiva di voler parlare con lui. Esigeva delle spiegazioni sul suo comportamento. Si appoggiò allo schienale e sospirò.

"Ciao Ilaria!" salutò il commissario Dimaro.

La ragazza si voltò e il suo viso si illuminò: "Buongiorno, finalmente è arrivato! La stavo aspettando." Alessio si sedette sul letto e lei continuò: "Mario è andato a cambiare le bende."

"Lo so, me l'hanno detto i poliziotti davanti alla porta" la informò lui.

Nella stanza calò il silenzio.

"Vuoi sederti sul letto?" chiese il commissario con tono preoccupato.

Lei scosse la testa: "Sto bene qui. Prima ho provato a camminare e non ho sentito dolore. Gli antidolorifici funzionano..."

Sentì uno strano nodo allo stomaco. Sapeva che presto Alessio le avrebbe dato il cellulare con il quale avrebbe parlato con il padre e cominciò a tremare. Ora che lui era lì davanti, voleva ritardare quel momento. Aveva paura di sentire la sua voce, temeva di non riconoscerla, ma doveva affrontare il padre. Abbassò lo sguardo: "Ha visto quanto traffico c'è là fuori? È riuscito a trovare un parcheggio libero?" Voleva ritardare quel momento il più possibile.

Alessio sorrise: aveva capito la sua intenzione. Le accarezzò una mano: "Se vuoi, annullo tutto..."

Lei lo guardò negli occhi e disse a bassa voce: "No..." Passò l'altra mano tra i capelli: "Va bene, sono pronta."

Alessio insistette: "Sicura? Non sei obbligata..."

Lei annuì e si sforzò di sembrare forte.

Il commissario si alzò, prese il cellulare e compose il numero.

Lei si strofinò le mani: non sapeva come comportarsi e aveva paura di sbagliare. Guardò con sguardo curioso il commissario che stava camminando da una parte all'altra della stanza.

"Buongiorno, sono il commissario Dimaro. Qui siamo pronti."

Dall'altra parte della linea il poliziotto annuì e si rivolse al suo collega, che andò a chiamare Mariano nell'altra stanza. Il signor Bacco si alzò e camminò verso il telefono fisso al muro. Il suo volto era scavato e sembrava dimagrito. Aveva lasciato crescere la barba grigia sul mento, che pendeva verso il basso. Il commissario Dimaro porse il cellulare a Ilaria. Lei lo prese e lo avvicinò all'orecchio.

Mariano afferrò la cornetta: "Pronto?"

La sua voce era cambiata. Era più rauca e graffiante. Ilaria si spaventò: sembrava di parlare con un'altra persona.

Allontanò il cellulare dall'orecchio. Voleva darlo ad Alessio, ma dall'altro capo sentì: "Ilaria, finalmente! È da tanto tempo che voglio parlare con te!"

La ragazza avvicinò il cellulare all'orecchio: "Ciao..."

Mariano fulminò con lo sguardo il poliziotto, che abbassò lo sguardo: "Come ti senti? Mi hanno riferito che questo non è un periodo facile per te... Sappi che ti sono vicino e se vorrai, dopo il processo potremmo vederci..."

Ilaria sospirò: "La tua voce è cambiata... non mi sembra di parlare con mio papà..."

L'uomo esclamò: "Sono sempre io, colui che ti ha sempre aiutato nel momento del bisogno, che ti ha insegnato ad andare in bicicletta e che ti è stato accanto quando svolgevi i compiti. Sono sempre io, colui che ti ha amata sopra ogni cosa..."

Ilaria si sforzò di non piangere: "Quindi è per il mio bene che hai sparato a mamma? Spiegami cos'è successo, subito! Ho visto la scena dalla porta che dà sulla cantina e in quel momento ero terrorizzata. Non ti riconoscevo più..."

"Mi dispiace, Ilaria, davvero! Non so cosa sia successo... Avevo paura di perdere tutto ciò che avevo costruito... Volevo solo proteggere te e Carmine perché dietro le mie menzogne c'era una verità scottante che voi non dovevate sapere."

"Stai parlando di Broxen?" chiese lei titubante.

Lui deglutì: "Esatto. Vostra mamma me ne ha parlato una sera, poco più di un mese fa. Eravamo in casa da soli. Se vi ricordate, avete organizzato una serata romantica solo per noi. Quella sera lei mi ha dato una lettera da parte di Broxen e da lì ho scoperto tutto... Sono rimasto scioccato, ma come potevo comportarmi?" Si bloccò e poi continuò: "Ho sbagliato a volermi vendicare dei tre ragazzi che hanno picchiato Carmine, ma non potevo permettere che la verità venisse fuori. Se fosse successo, forse la polizia sarebbe arrivata persino a scoprire il contratto di Broxen..."

"Quindi sei stato suo complice..." commentò Ilaria con la voce spezzata.

Cominciò a piangere e Alessio le appoggiò una mano sulla spalla.

"Come hai potuto?" continuò lei sempre più provata.

Si alzò: non riusciva a restare ferma.

"Io mi fidavo di te. Ti consideravo il papà migliore del mondo, e invece tu..." Non riusciva neanche a parlare.

Mariano si morse il labbro: "Mi dispiace, Ilaria, ma era l'unica soluzione possibile. Tua madre avrebbe partorito un bambino che poi sarebbe stato dato a Broxen. Nulla poteva andare storto. Sono stato io a complicare tutto con la mia inutile vendetta contro quei tre ragazzi. Non avrei dovuto intervenire. Ero accecato dall'odio..."

"Sei solo una bestia!" sputò Ilaria con odio "Tu non sei più mio padre. Ti auguro di vivere la mia stessa sofferenza! Quando ero nelle mani di Broxen, hanno persino tentato di violentarmi. Tutto questo è successo solo perché tu e mamma non avete avuto il coraggio di assumervi le vostre responsabilità! Siete dei mostri, siete i peggiori genitori che un figlio possa avere! Siete..." Si bloccò, incapace di trovare le parole adatte: "...degli estranei per me. Vi auguro di marcire all'inferno, perché è lì che dovete andare!" Continuò a piangere: era sempre più scioccata. Quelle parole ferivano anche lei, ma doveva pronunciarle, ne aveva bisogno. Erano l'unica cura che poteva lenire le sue ferite. Alessio la invitò ad abbassare la voce, ma lei si allontanò e si avvicinò alla porta della stanza.

Mariano non sapeva cosa dire. Appoggiò la testa al muro: sua figlia aveva ragione. "Spero..." cominciò con un fil di voce "che un giorno tu possa perdonarmi."

"Mai!" tuonò lei con decisione "Io e te non abbiamo più lo stesso sangue. Mi vergogno di te e del cognome che porto." Non riusciva a smettere di insultarlo. Alessio si avvicinò per prendere il cellulare e lei urlò di nuovo: "Mi fai schifo!"

Il commissario afferrò il telefono e chiuse la conversazione. Mariano sbatté i pugni contro il muro: ormai la sua vita era distrutta. Prima aveva una carriera, dei bei figli, una splendida moglie. Ora aveva solo il rimorso per non aver combattuto per tenere unita la sua famiglia.

Alessio tirò un sospiro di sollievo ed esclamò in modo ironico: "Non ti avevo mai vista così grintosa!"

Lei lo fulminò con lo sguardo: "Lei come si sentirebbe al mio posto?"

Alessio si sedette vicino a lei e le accarezzò una mano umida per il sudore: "Hai ragione. Non posso capire, però..."

Lei allontanò la mano: "Ho bisogno di restare sola, la prego. Neanch'io sono felice di ciò che ho detto, ma è la verità. Odio i miei genitori con tutto il cuore. Non ne vado fiera, ma è quello che provo. Sono entrata in un vortice di dolore ed è tutta colpa loro!"

All'improvviso la porta della stanza si aprì. Ilaria si girò e vide entrare Mario su una sedia a rotelle accompagnato da due infermiere. Lei sorrise: le bastava incontrare il suo sguardo per tranquillizzarsi.

Mario salutò il commissario: "Quando tocca a me?"

"Anche adesso" esclamò il commissario sorridendo.

Mario guardò Ilaria e notò i suoi occhi rossi: "Hai pianto?"

Lei distolse lo sguardo: "Sì, ma ora è tutto passato." Lui annuì e il commissario compose il numero di casa della zia di Mario. Le infermiere lo aiutarono a sedersi sul letto e poi uscirono.

"Com'è andata?" chiese il ragazzo rivolgendosi a Ilaria.

Lei scosse la testa: "Finalmente ho compreso di essere rimasta orfana. Quelli non sono più i miei genitori, sono degli estranei."

Lui rimase sorpreso dalle sue parole: "Sei sicura di ciò che stai dicendo? Sono pur sempre i tuoi genitori, coloro che ti hanno dato la vita..."

"...e non hanno esitato a togliermela! Hanno guardato i loro interessi piuttosto che salvare la nostra famiglia!" esclamò lei decisa.

Lui abbassò lo sguardo: "Hai perdonato me e non loro?"

"Non ho mai detto che ti ho perdonato" ribatté lei sempre più decisa. "Tu invece vuoi perdonare tua zia?" continuò lei con le braccia conserte.

Alessio si schiarì la voce: finalmente una voce femminile aveva risposto.

"Pronto?" chiese la donna un po' timorosa.

L'uomo si sedette sul letto: "Sto parlando con Chiara De Serio?"

La donna si accomodò sul divano: "Sì, sono io."

"Bene, le passo Mario. È pronta?" chiese il commissario avvicinandosi al ragazzo.

Chiara cominciò a sudare e il suo cuore accelerò all'improvviso: "È da sette anni che aspetto questo giorno."

Alessio diede il cellulare a Mario e lui lo avvicinò all'orecchio un po' timoroso.

"Potete uscire?" chiese ai presenti.

L'uomo fissò Ilaria e lei annuì. Alessio le si avvicinò e le offrì il braccio per appoggiarsi. Prima di uscire, Ilaria guardò Mario e gli augurò buona fortuna.

Lui si schiarì la voce e fissò il soffitto: "Ciao, estranea."

Quel saluto fu una pugnalata al cuore per lei. Chiara si alzò: "Che bello sentire di nuovo la tua voce, è cambiata tantissimo. Ho ancora in mente il timbro di quando eri piccolo..."

"Beh, nello sviluppo la voce cambia" si limitò a spiegare lui. "Non sono più il bambino che hai illuso sette anni fa. I miei occhi sono cambiati. Hanno visto la morte in faccia e la colpa è tutta tua." Chiara si avvicinò a delle foto di Mario da piccolo. Stava per parlare, ma lui la interruppe: "È inutile che tu dica quanto ti dispiaccia. Ti credo, ma non serve a nulla. Un vaso quando si rompe non si può aggiustare. È così che mi sento. Sono un vaso rotto, caduto per colpa tua. Con il passare del tempo altre persone hanno preso i pezzi e li hanno spaccati in frammenti sempre più piccoli. È questo che rimane di me..." Lei cominciò a piangere e lui si innervosì sempre di più: "È inutile commuoversi, smettila!"

La donna continuò a singhiozzare e il ragazzo restò ad ascoltare in silenzio. L'altra mano era stretta in un pugno. Non riusciva a sopportare il comportamento di Chiara. Passavano i secondi e la donna non smetteva di piangere. Lui abbassò lo sguardo e si mise una mano tra i capelli: non poteva avere pietà di lei, che l'aveva venduto a soli nove anni.

"Ora basta..." esclamò lui con voce rassegnata.

Chiara si asciugò gli occhi: "Hai ragione su tutto. Non posso comprendere il tuo dolore, ma non pensare che anch'io non abbia sofferto. Venderti è stato l'errore peggiore della mia vita. È da quel giorno che la mia esistenza è cambiata. Ogni notte vivo sempre lo stesso incubo: ti vedo, ancora bambino. Sei bellissimo e hai un grande sorriso capace di illuminare il mondo. Attorno a te c'è un luogo pieno di luce e i raggi del sole scaldano la tua pelle vellutata. A un certo punto tu cominci ad allontanarti, fino a quando scompari. Il luogo non è più pieno di luce, è arido e scuro. Al posto del sole, c'è un vento violento che trasporta le foglie." Si fermò e poi continuò: "Questo incubo è il compagno di ogni notte. Capisci? Non ho potuto essere felice perché mi bastava dormire per vederti. Se potessi tornare indietro, mi rifiuterei di obbedire agli ordini di Broxen..."

Mario si schiarì la voce: "Non puoi. È inutile che riempi il tuo discorso con frasi di circostanza perché le mie cicatrici rimangono. Forse adesso smetterai di avere questo incubo, ma io no. Continuo a sentire il dolore sulla schiena quando devo sedermi a causa delle frustate. Le percepisco ancora... Non ritornerà più quel bambino innocente che tu ricordi. C'è solo questa persona con cui stai parlando. Sono stato istruito alla violenza e se sono così, è solo colpa tua."

"Hai ragione" continuò lei "ma permettimi di riparare al mio gesto. Al funerale dei tuoi genitori..."

La voce le si spezzò e Mario cambiò espressione. Strinse i pugni: perché li metteva in mezzo?

"Al loro funerale ho giurato che ti avrei protetto. Ti ricordi? Ho letto in Chiesa una lettera rivolta ai tuoi genitori. Ho promesso che ti avrei difeso da tutto e tutti. Non ho mantenuto la promessa, ma ho intenzione di rimediare."

"È troppo tardi, non te ne rendi conto? Il mio cuore sanguina troppo per colpa tua" urlò lui sempre più forte.

Chiara chiuse gli occhi e si alzò: "Voglio vederti e parlarti in faccia. Desidero guardarti negli occhi e dirti quanto ti amo. È vero: ti ho venduto! Sono stata debole e, ti ripeto, è l'errore peggiore della mia vita, ma voglio dimostrarti che tengo molto a te. In tutti questi anni il senso di colpa mi ha dilaniato..."

"...e allora perché non hai avuto il coraggio di parlare con la polizia?" la interruppe lui. Era sempre più furente.

Chiara abbassò lo sguardo e passò una mano sul tavolo della cucina: "Ho avuto paura..."

"La tua vigliaccheria mi ha ridotto in questo stato. Non posso perdonarti!" esclamò lui con i pugni chiusi.

Lei cercò di frenare le lacrime: "Non serve a niente continuare a soffrire. Ti prego, cerchiamo di cancellare questi anni. So che è impossibile, ma ti amo davvero tanto. Per me non è stato facile lasciarti!" S'interruppe e poi si sedette: "Il commissario Dimaro mi ha raccontato che ti sei ritrovato in una situazione simile alla mia. Hai adescato una ragazza, giusto? Beh, allora puoi capire come mi sento. Sembriamo dei mostri, non abbiamo neanche il coraggio di guardarci allo specchio."

Mario sospirò: era vero, anche lui si sentiva così.

Chiara continuò: "Questa mattina mi sono svegliata molto presto e sono andata a Messa per la prima volta dopo tanti anni. Prima della morte dei tuoi genitori ero credente, ma poi ho smesso. Perché pregare Dio se non ascolta le tue preghiere? Questa mattina sono andata a Messa. Non c'era quasi nessuno, ma nonostante ciò mi sono seduta in fondo. Il parroco ha detto una frase che risuona ancora nel mio cuore: non importa quanti errori commetti nella vita, l'importante è esserne pentiti in modo sincero. Tutti noi sbagliamo, ma dobbiamo trovare la forza di riscattarci per evitare di sprofondare sempre più giù."

Mario abbassò lo sguardo: "Quindi vuoi dire che la mia salvezza è merito di un miracolo?"

Chiara annuì: "Ne sono certa. Dio si manifesta in alcune persone che incontriamo nella nostra vita. A quanto pare la ragazza che hai adescato è una di queste. Non lasciartela scappare."

Mario sentì un brivido: sua zia aveva ragione. Ilaria era stata l'unico raggio di sole dopo anni e lui aveva contribuito a oscurarlo, ma alla fine era stata lei a vincere. Lui spiegò con voce tremante: "Non posso perdonarti, ho bisogno di tempo. Sei disposta ad aspettare?"

Chiara aprì la bocca in un tenero e sincero sorriso: "Certo, Mario. So che non è facile, ma voglio dimostrarti che sono cambiata. Non tocco più la droga da tantissimo tempo. Sono una donna diversa." Il commissario Dimaro bussò alla porta e Mario capì: la telefonata doveva finire. Chiara continuò: "Le mie non sono solo parole al vento. Ho intenzione di adottarti: voglio riprendere le pratiche e questa volta riuscirò a mantenere la promessa fatta ai tuoi genitori. Prenditi tutto il tempo che ti serve. Pensaci bene in questo mese in cui non potremo vederci."

Mario si morse un labbro: voleva commettere una pazzia. Era combattuto: da una parte le parole della zia avevano smosso qualcosa nel suo cuore, ma non poteva dimenticarsi del dolore che gli aveva causato. Sua zia poteva dargli tutto l'affetto di cui aveva bisogno, però poteva fidarsi di lei?

Si schiarì la voce: "Va bene, hai il mio consenso. Procedi pure con le pratiche."

Chiara strabuzzò gli occhi: aveva sentito bene?

La sua bocca si aprì in un largo sorriso: "Dici davvero?"

Il ragazzo annuì, passandosi una mano tra i capelli scuri: "Voglio darti una seconda possibilità, ma non ti aspettare che ti tratti come una madre. Mi hai ferito molto e non so se riuscirò a perdonarti, ma voglio provarci. Sappi, però, che se soffrirò ancora a causa tua, non mi vedrai più!"

La donna cominciò a piangere, erano lacrime di gioia: "Ti prometto... che riuscirò a darti tutto l'amore di cui hai bisogno. Recupereremo il tempo perduto!"

Il commissario Dimaro entrò nella stanza e Mario esclamò: "Ora devo andare, ciao!"

Chiara annuì: "Mi raccomando, sii forte! Ti voglio bene..."

Quelle parole colpirono Mario. Voleva ricambiare, ma non ne aveva il coraggio, non era ancora pronto. Diede il cellulare ad Alessio e lui salutò la donna prima di concludere la telefonata. A quel punto spuntò Ilaria, che si stava appoggiando alla porta: "Tutto bene?"

Mario annuì e sorrise. Alessio accompagnò la ragazza vicino al suo letto e la aiutò a sedersi.

"Com'è andata?" chiese lei con tono curioso.

Mario le spiegò il contenuto della conversazione e Ilaria rimase sorpresa. Abbassò lo sguardo: lui era riuscito a dare una seconda possibilità a sua zia. Perché lei no?

Per un attimo si mostrò pentita per non essere riuscita a perdonare il padre, ma poi si ricordò di tutto il dolore che aveva vissuto. No, i suoi genitori non meritavano il suo perdono.

Qualche minuto dopo Alessio cominciò a spiegare cosa sarebbe successo il giorno dopo: "Domani verranno qui due poliziotti che vi porteranno in un luogo protetto a Focene, una frazione del comune di Fiumicino. Uscirete dal retro. Dirò ai giornalisti che dovrete ancora stare qui per effettuare degli esami. Solo poche persone saranno a conoscenza della vostra uscita dall'ospedale: i medici e le infermiere del reparto, la signora Palmieri, Elena Marchetti, Chiara De Serio e i polizotti più fidati che lavorano con me. Siete pronti a reggere il gioco?"

Mario e Ilaria si guardarono e annuirono. Entrambi erano emozionati: avevano paura, ma il desiderio di condannare tutti i componenti di Broxen era più forte di tutto.

Intanto il treno per Akören stava viaggiando con velocità moderata. Attorno c'erano delle colline più o meno alte e in lontananza si potevano vedere delle costruzioni con tetti bassi. Pip si era quasi incantato a guardare il panorama: si lasciava cullare dal suono del treno sulle rotaie. Aura era uscita dallo scompartimento per cercare Luke. Era andato in bagno da mezz'ora e non era ancora arrivato. Aura passò in altri scompartimenti, quasi deserti. Finalmente vide Luke: era nella carrozza ristorante e stava leggendo un giornale.

Appena lui la vide, si alzò: "Scusa se non ti ho avvertito. Sono uscito dal bagno e ho pensato di leggere un giornale per passare il tempo. Volevo portarlo da voi, però... poi mi sono fermato qui."

Aura notò che lui teneva il quotidiano stretto in un pugno, come se fosse arrabbiato: "Cos'hai letto di così interessante per indurti a perdere la cognizione del tempo?"

Lui abbassò lo sguardo: "Niente..."

"Luke, sai che non mi muoverò di qui fin quando non mi dirai cos'hai letto..." lo interruppe lei mettendo le mani sui fianchi. Quella situazione non le piaceva.

Lui sospirò e le diede il giornale. Lei lo prese e lesse con avidità cercando di capire cosa l'avesse colpito.

Luke si sedette rassegnato: "Ieri è morto il commissario Jülide Özdemir. Gli hanno sparato mentre era in stazione, vicino al binario sei. Ti rendi conto? Era accanto al nostro treno! Voleva avvisarci di qualcosa, ma qualcuno non gliel'ha permesso..."

Aura si sedette e posò il giornale sul tavolo: "Magari voleva solo salutarci..."

"No, non credo. Mi aveva già augurato di essere felice. Non è venuto in stazione per salutarmi..." intervenne Lành con decisione.

Aura si mostrò interessata: "Si sa qualcosa sul suo assassino?"

Il commissario scosse la testa: "No, nessuno l'ha visto, ma credo di sapere chi l'abbia ucciso..." Si alzò: "Lütfü Doğan voleva la sua morte e forse ha ordinato a qualcuno di ammazzarlo. Jülide era un uomo scomodo, uno dei pochi poliziotti incorruttibili di Aquir. Lütfü aveva paura di lui e quindi ha ordinato la sua morte..." Abbassò la testa e mise le mani in tasca.

Aura capì dove voleva arrivare: "Vuoi ritornare ad Aquir?"

Il commissario la guardò: gli occhi della donna sembravano supplicarlo di non andare di nuovo in quella maledetta cittadina. Le prese le mani: "Tu non vuoi, giusto?"

Aura cercò di guardare altrove: "Abbiamo finalmente lasciato tutto il dolore alle spalle per continuare il nostro viaggio, non possiamo tornare indietro. Cosa diremmo a Pip? Lui non sarebbe d'accordo... In più se quello che dici è vero, il tuo ritorno insospettirebbe Lütfü, che potrebbe tentare di ucciderti." Liberò le mani dalla stretta di Luke e le appoggiò sulle guance dell'uomo: "So che vuoi vendicare Jülide, ma è troppo rischioso tornare. Non sopporterei mai di perderti. Dopo la morte di Nick non credevo di essere più capace di amare qualcuno, ma tu hai stravolto la mia vita. Non potrei mai sopportare un'altra perdita."

Luke sorrise e mise le mani sui fianchi della donna: "Non posso lasciare Aquir in suo potere, devi cercare di capirmi. Sono un poliziotto, anche se ho preso un periodo di pausa. Devo essere fedele al mio distintivo. Essere un poliziotto non è un lavoro che si svolge solo dalle otto del mattino alle sette di sera. È uno stile di vita, è essere devoti alla giustizia per difendere i più deboli. Non posso voltare le spalle a Jülide."

Aura impallidì e Luke le accarezzò le guance formando dei piccoli cerchi: "Ehi, non mi guardare così. Ho la pelle dura, Lütfü non riuscirà a uccidermi!"

La donna cominciò a piangere: "Io e Pip invece abbiamo il cuore troppo fragile. Non ti rendi conto che adesso non sei più solo? Non devi solo pensare a te e al tuo distintivo, ma anche a noi. So che sei un uomo valoroso, però ho troppa paura. Anche io e Pip saremmo in pericolo se andassimo ad Aquir. Siamo il tuo punto debole e Lütfü forse lo sa già. Ti prego: siamo appena usciti dai suoi tentacoli. Evitiamo di ritornarci..."

Luke le sfiorò le guance per frenare le sue lacrime: "Se preferisci, tu e Pip potete continuare il viaggio e vi raggiungerò non appena avrò arrestato Lütfü. Quell'uomo deve pagare..."

Aura si allontanò: "Avevi promesso che ci avresti protetto e adesso approfitti della prima occasione per allontanarti da noi? So quanto ami il tuo lavoro e quanto desideri vendicarti, ma ti prego di mettere da parte tutto questo per l'amore che senti nei nostri confronti. Di sicuro ad Aquir ci saranno tanti poliziotti capaci in grado di risolvere il caso. Non ti devi comportare sempre come il paladino della giustizia. Io e Pip siamo più sicuri con te al nostro fianco. Mio figlio ha appena cambiato idea su di te. Ti vede come un padre, anche se non vuole ammetterlo. Ti scongiuro, rimani con noi!"

Luke si avvicinò e sospirò: "Va bene, mi hai convinto..."

"Davvero?" si girò lei felice.

Lui annuì con un sorriso: "Hai ragione: non posso essere il paladino della giustizia per tutti. Ho preso un impegno con te e Pip e ho intenzione di portarlo a termine!"

La donna gli si gettò al collo: "Grazie, grazie mille!"

Lui la abbracciò: non sopportava vedere Aura triste. Lei aveva ragione: non poteva lasciarli soli.

Dopo qualche ora a Mestre non pioveva più. I marciapiedi erano scivolosi a causa delle foglie bagnate disseminate vicino agli alberi. Le macchine viaggiavano con una velocità media e il contatto tra le ruote e le pozzanghere bagnava le persone ferme ai lati della strada. Damiano era nel suo ufficio: aveva passato la parte restante della mattinata a scrivere una bozza dell'articolo sul furto del Rubino celeste. Era indeciso su come procedere: aveva cancellato più volte ciò che aveva scritto perché non lo convinceva. Non sapeva quale tono dare all'articolo. Sarebbe dovuto essere obiettivo, ma non poteva, almeno secondo il suo intento. Prese il documento dalla borsa a tracolla. Quella sera sarebbe andato nella periferia di Mestre, in un bar in cui circolava gente poco raccomandabile. Aveva raccolto molte informazioni su quel posto: era il luogo di ritrovo di criminali di periferia. La polizia aveva messo il locale sotto sequestro molte volte e ora la gestione era cambiata. Lui però sospettava che ci fossero ancora dei loschi traffici. Damiano voleva andare in quel bar e parlare con gli avventori, millantando di avere un grosso affare tra le mani. La voce si sarebbe sparsa nella criminalità locale e forse sarebbe giunta alle orecchie di Dark Rose. In passato la donna si era servita di molti criminali per compiere i suoi furti, quindi di sicuro aveva adescato qualcuno del mestiere che viveva in città. Il giornalista si alzò: sapeva che fosse un piano rischioso. Se Dark Rose non fosse stata nemmeno a conoscenza di quel bar, lui avrebbe solo sprecato il suo tempo e in più si sarebbe attirato l'attenzione dei criminali della zona. Era indeciso su come procedere: ottenere il rispetto di Eliseo era così importante, a tal punto da mettere in pericolo la sua vita?

Avrebbe dovuto rifiutare l'incarico, ma ormai non poteva tornare indietro. Aveva rubato il documento e ora doveva arrivare fino in fondo. Guardò l'orologio: era appena cominciata la pausa pranzo. Spostò lo sguardo sul cellulare e digitò il numero di Elisabetta. Aveva bisogno di vederla e non sapeva se confessarle il suo piano. Mise una mano in tasca e cominciò a girare nell'ufficio. Attese qualche secondo, ma non ricevette risposta. Riprovò di nuovo, ma non c'era nessuno dall'altro capo della linea. Sospirò e cercò di mantenere la calma. Forse era in bagno e non si era portata il cellulare con sé o magari era in una riunione straordinaria, molto comune nel suo lavoro.

Uscì dall'ufficio per recarsi in quello di Elisabetta alla fine del corridoio e vide Eliseo uscire dall'ascensore.

Si avvicinò e lo salutò: "Mi scusi, ha visto Elisabetta? È da un po' che la chiamo, ma non mi risponde..."

L'uomo spiegò: "L'ho salutata questa mattina, ma poi non l'ho più vista. Sembrava di fretta, ma a parte questo non ho notato niente di strano..."

Damiano corrugò la fronte: "Davvero? Stamattina le ho parlato prima di entrare in redazione, ma mi sembrava tutto normale..."

Il suo capo si schiarì la voce: "Volevo parlarle di una questione importante, ma lei mi ha detto che non aveva tempo. C'era una donna, un'infermiera, nel suo ufficio e non voleva che lei aspettasse così tanto."

Il giornalista abbassò lo sguardo, sorpreso: "Un'infermiera? Non mi ha detto niente..."

Eliseo gli mise una mano sulla spalla: "Mi dispiace di non esserti utile, ma vedrai che ti preoccupi per nulla. Sai come sono le donne: non si capisce mai cosa le passi in testa!"

Damiano sorrise, lo ringraziò e lo vide ritornare nel suo ufficio. Il giornalista sospirò di nuovo e in quel momento il suo cellulare squillò.

"Oh, finalmente!" esclamò, sicuro che fosse lei. Guardò il display: il numero proveniva da casa di Elisabetta. Avviò la chiamata e portò il cellulare all'orecchio: "Potevi almeno avvertirmi, amore mio..."

Dall'altro capo della linea non sentì alcun rumore, tranne quello dei clacson delle automobili.

"Pronto? Elisabetta, ci sei?" chiese lui avvicinandosi al suo ufficio.

Niente, tranne il traffico cittadino.

Dopo qualche secondo la linea si interruppe di colpo. Damiano compose di nuovo il numero, ma sembrava che il telefono fosse staccato. Riprovò anche sul cellulare di Elisabetta, ma con scarsi risultati. Cosa stava succedendo?

Corse nel suo ufficio e spense il computer. Doveva andare a casa di Elisabetta. Indossò il giubbotto, spense la luce e uscì di corsa dalla redazione.

Mentre stava guidando, il panico non gli permetteva di ragionare in modo lucido: se si fosse sentita male? Se qualcuno si fosse introdotto in casa? Se... no, non poteva pensarci...

Finalmente arrivò sotto casa sua: quel quarto d'ora di tragitto gli era sembrato eterno. Suonò al citofono più volte, ma non ottenne risposta. Cercò di calmarsi e notò che il portone era socchiuso. Entrò di fretta nel palazzo e salì di corsa le scale. Il cuore gli stava esplodendo nel petto e le mani erano sudate per la paura. Arrivò davanti all'appartamento di Elisabetta e si avvicinò alla porta: sembrava chiusa. Deglutì e dopo qualche secondo trovò il coraggio di afferrare la maniglia per entrare. Chiuse per un attimo gli occhi: aveva paura, ma non poteva tirarsi indietro. Aprì la porta ed entrò in casa con scatto veloce. Non c'era nessuno. Si portò una mano alla fronte umida per il sudore e sullo specchio vide una figura dietro di lui. Un colpo, e poi il nulla.

Il respiro affannato, le mani e le gambe legate a una sedia. Damiano aprì gli occhi all'improvviso e si sentì soffocare. Inspirò ed espirò più volte per cercare di mantenere la calma. Sollevò la testa e si guardò intorno: era nel salotto dell'appartamento di Elisabetta. Deglutì per cacciare ogni paura. Nella stanza c'era un silenzio surreale, ma un rumore di passi centrò l'attenzione del giornalista. Chiuse gli occhi per fingere di star dormendo. I passi si avvicinarono sempre di più e arrivarono davanti a lui. La tentazione di guardare era troppa, ma non poteva rischiare. Sentì la figura aprire un armadio e dopo qualche minuto stava versando un liquido in un bicchiere.

"È inutile fingere. So che sei sveglio."

Damiano continuò a tenere gli occhi chiusi e cercò di mantenere un respiro regolare. La voce era di una donna. Un brivido gli percorse la schiena: se fosse Dark Rose?

Sentì un ghigno compiaciuto e i passi si avvicinarono sempre di più. Damiano poteva giurare che quella figura fosse lì, davanti a lui. Un improvviso scroscio di un liquido gli bagnò la testa e lui aprì gli occhi con tono sorpreso.

La donna cominciò a ridere e bevve l'ultimo sorso rimasto nel bicchiere: "Mmh... davvero ottimo questo Cynar. La tua fidanzata ha buon gusto."

Damiano la guardò un po' spaventato: la figura davanti a lui indossava un paio di jeans scuri e una giacca nera sopra a una camicia bianca. Il particolare che lo impressionò di più fu il viso, ricoperto da una maschera rossa simile a quelle di Carnevale che le ricopriva gli occhi. I capelli lunghi e corvini le incorniciavano il volto.

Il giornalista abbassò lo sguardo e gli scesero delle gocce dai capelli bagnati: "Chi sei?"

La donna posò il bicchiere sul tavolo: "Prova a indovinare..."

Lui alzò lo sguardo: "Dark Rose..."

"Esatto!" esclamò lei sorridendo "Scommetto che sai anche ciò che voglio" e posò il bicchiere sul tavolo.

Il giornalista digrignò i denti: "Dov'è Elisabetta?"

"Al sicuro" rispose lei subito.

Si avvicinò, si mise le mani sulle ginocchia e si chinò alla sua altezza: "La rivedrai non appena mi avrai dato il documento sulla sorveglianza del Rubino celeste."

Lui la guardò stupito: com'era riuscita a scoprirlo?

Lei sembrò leggergli nel pensiero e si allontanò da lui: "Quando ho saputo che il Rubino celeste sarebbe stato esposto a Mestre, ho cercato di capire chi si sarebbe occupato della sorveglianza. Dopo aver mandato i fiori all'hotel Excelsior, ho indagato su Edoardo Becchi: un uomo integerrimo, che mette la legge prima di tutto. Ho preso delle informazioni su tutte le persone che gravitano attorno a lui a lavoro e poi ho trovato quella che poteva aiutarmi."

Damiano continuò a guardarla: i suoi occhi erano magnetici e spiccavano per il loro colore azzurro. Erano profondi e intensi, ma non era questo che lo attraeva. Sembravano due perle fuori dal comune. Guardandoli meglio, però, riusciva a scorgere anche un velo di tristezza.

Dark Rose se ne accorse, si girò e si avvicinò al bicchiere: "Era la donna delle pulizie. È stato facile: mi è bastato darle qualche banconota per convincerla a mettere delle cimici nell'ufficio di Becchi. È proprio vero che una persona per soldi è disposta a tutto..." Versò il Cynar nel bicchiere e ne bevve un sorso: "Questa mattina ho sentito la conversazione tra te e il poliziotto, poi ho notato che sei entrato di nuovo nel suo ufficio per prendere il documento..."

Lui annuì un po' spaventato. Lo stava ricattando: doveva anticipare le sue mosse, non poteva lasciarsi sfuggire un'opportunità simile. Annuì: "Va bene, ti darò ciò che vuoi. Il documento sarà tuo, ma prima voglio intervistarti."

La risata della donna si propagò nella stanza: "Tu vuoi intervistare me? Sei impazzito?!"

Lui cercò di reggere il suo sguardo: "No. Sei una delle ladre più famose degli ultimi anni. L'opinione pubblica ha sempre cercato di capire la tua identità. Perché non rivelare qualche informazione su di te? Vuoi mantenere l'anonimato, però la gente vuole sapere che cosa spinge qualcuno a prendersi beffe della polizia in questo modo."

La donna continuò a ridere: "Stai scherzando, vero? Per chi mi hai preso? Non sono una star di Hollywood o una cantante. Non voglio finire in uno di quei giornaletti rosa da quattro soldi!"

Damiano tentò di nuovo: "Ogni azione ha una motivazione. Perché non la vuoi svelare? Voglio solo sapere cosa ti spinge a rubare, niente di più."

In quel momento sentì che le corde con cui erano legate le mani si stavano allentando. Doveva liberarsi.

La donna scosse la testa: "Non m'interessa e nessuna persona sana di mente proporrebbe un'intervista a una ladra."

Dark Rose continuò a bere e Damiano stava muovendo le mani il più possibile per liberarsi. Il nodo era troppo stretto, ma doveva trovare una soluzione, non poteva lasciarsi scappare la donna. Aspettò che Dark Rose finisse di bere e chiese come fosse riuscita a rapire Elisabetta.

La donna notò il suo tentativo di liberarsi e gli puntò una pistola: "Credi davvero che sia stupida? Sono entrata nell'ufficio della tua ragazza e l'ho convinta a uscire dalla redazione con una scusa. Ho detto che avevi avuto un incidente e io ero una delle infermiere ti che aveva soccorso. E se l'è bevuta... incredibile! Deve tenere molto a te... Certo, anche il vestito da infermiera ha fatto la sua parte..."

Lui digrignò i denti: "Se osi torcerle anche solo un capello, io..."

"Tu cosa? Mi proponi un'altra intervista? Si vede come la ami. In cambio del documento vuoi un'intervista e non mi hai neanche chiesto della tua donna!" ribatté lei con decisione avvicinandosi a lui. Con un dito sfiorò il grilletto: "Se tenterai ancora di liberarti, ti ucciderò. Vediamo chi è più veloce: tu a slegare la corda o io a sparare?"

Damiano continuò a guardarla negli occhi: non doveva avere paura di lei. Lo stava provocando, ma lui sapeva bene che non l'avrebbe ucciso, altrimenti non avrebbe avuto il documento. Doveva tentare il tutto per tutto.

Con un balzò aggredì la donna e riuscì a sfiorarle il volto, ma cadde in avanti a causa delle gambe legate. Un colpo squarciò l'aria: la pallottola colpì la finestra del salotto e i pezzi di vetro caddero sul pavimento. Damiano non riusciva a muoversi: la botta alla testa era stata tremenda. Dark Rose aveva ancora la pistola in una mano. Con l'altra si toccò il viso: la maschera era sparita.

No, non era possibile.

Puntò di nuovo la pistola contro Damiano: "Non ti alzare o ti ammazzo! Questa volta prenderò bene la mira! Come ho potuto non legare bene la corda?! La pagherai cara!" Indietreggiò fino ad arrivare alla porta d'ingresso dell'appartamento: "Ci vediamo oggi pomeriggio alle sei in una delle case all'uscita della Tangenziale di Mestre per la città. La noterai perché è l'unica con un cancello di colore verde scuro. Porta con te il documento e io ti consegnerò Elisabetta!"

Dopo queste parole uscì dall'appartamento e scese le scale. Damiano slegò i piedi, riuscì ad alzarsi e si massaggiò la testa. Doveva presentarsi all'appuntamento per salvare Elisabetta. Guardò i pezzi di vetro: sapeva bene che non sarebbe uscito vivo da quella casa, ma doveva andarci. A costo della sua stessa vita.

Nel pomeriggio Cherifa si recò alla fermata del pullman in cui il giorno prima aveva incontrato Orazio. Era appena arrivata e si guardava intorno con aria interessata. Non vedeva l'ora di vederlo spuntare da qualche parte, con quei suoi piccoli smeraldi al posto degli occhi. Cominciò a camminare in su e in giù per la fermata e a muovere le mani sulla borsa in modo quasi convulso. Le persone che aspettavano il pullman la guardavano divertiti per la scena, ma a lei non interessava: era troppo emozionata! Non sapeva cosa dirgli e come cominciare il discorso. Guardava l'orologio ogni due minuti: cominciava a odiare quelle lancette che la separavano da lui.

Passò un quarto d'ora in uno stato di trepidazione e attesa e poi si fermò di colpo. Nella sua testa si formò l'idea che forse non sarebbe arrivato.

No, non poteva pensarci.

Controllò sul cellulare se l'avesse chiamata: niente. Cominciò a prendere fiato per non piangere.

Cosa gli costava chiamare per avvertirla del ritardo? E se le avesse mentito apposta? A quale pro?

La sua testa cominciò a vagare in film mentali sempre più fantasiosi e poi prese la decisione di andarsene.

Si incamminò con passo deciso verso il semaforo, ma quando lo raggiunse, vide lui, Orazio. Era dall'altra parte del marciapiede e la stava guardando con volto sorridente. Il semaforo era rosso e rimasero a guardarsi per qualche minuto. Le macchine sfrecciavano davanti ai loro occhi, ma i loro sguardi erano fissi l'uno sull'altra.

Cherifa non sapeva come comportarsi: ricambiare il sorriso o guardarlo in modo distaccato? Fingere di essere appena arrivata o mostrarsi arrabbiata con lui?

Non aveva ancora preso una decisione quando il semaforo diventò verde. Orazio camminò nella sua direzione: una mano nella tasca dei jeans e l'altra sulla borsa a tracolla nera con righe rosse. Lei abbassò lo sguardo e cercò di mostrarsi fredda.

"Ciao! Scusami se sono arrivato in ritardo, ma ho avuto dei problemi a lavoro. È da tanto che mi aspetti?" chiese Orazio salutandola con un gesto della mano.

Cherifa alzò lo sguardo e incrociò quegli smeraldi inconfondibili: "No, non ti preoccupare, sono appena arrivata! Anch'io ero in ritardo..."

Ogni suo proposito di mostrarsi fredda si era sciolto come neve al sole. Lei camminò verso la fermata e lui la seguì.

"Scusami, non mi era mai capitato di arrivare in ritardo a un appuntamento... Purtroppo non posso interrompere una consulenza proprio quando sto per concludere un progetto!" si giustificò lui, sempre con il sorriso sulle labbra.

Cherifa si mostrò interessata all'argomento: "Ah, lavori per un'azienda?"

Lui si fermò e si girò verso di lei: "Ho una piccola attività. Sono un arredatore d'interni."

Cherifa commentò: "Dev'essere un bel mestiere! La casa in cui viviamo è anche un rifugio ed è giusto che la gente voglia trovarsi a proprio agio!"

Non riusciva a smettere di fissarlo, sembrava quasi catturata dai suoi occhi e dal suo sorriso. Lui annuì e lei prese il suo cellulare dalla tasca.

"Tieni. Non hai ricevuto nessuna chiamata. Puoi controllare, se vuoi..."

Orazio lo prese e lo mise nella borsa a tracolla: "Ti ringrazio, dopo darò un'occhiata. Sono contento di non averlo perso. Ho salvato in rubrica dei numeri molto importanti che non posso perdere. Sono stato anche fortunato: se ci fosse stata un'altra persona, non me l'avrebbe restituito! Ho dovuto racimolare un bel po' di soldi per comprarlo!"

Lei rise: "Non me ne intendo di cellulari, non ne ho neanche uno..."

"E io come posso richiamarti?" chiese Orazio, spiazzandola.

Cherifa arrossì: aveva sentito bene? Voleva richiamarla? Quindi quello non sarebbe stato il loro ultimo incontro...

Abbassò lo sguardo e rispose, quasi imbarazzata: "Beh, ho il telefono fisso..."

Lui esclamò: "Non è vero!"

Lei rimase colpita da quella frase e cominciò a gesticolare: "Perché? È vero, io ho un telefono fisso..."

Orazio rise: "No, non è per quello. Non è vero che sei appena arrivata. Prima eri al semaforo e stavi per allontanarti dalla fermata... Scommetto che l'hai detto solo per mettermi a mio agio!"

Cherifa scosse la testa: "No, non è vero..." Abbassò lo sguardo e poi lo rialzò, cercando di sfoggiare il suo sorriso migliore: "Va bene, forse è vero. È stato istintivo, non volevo mentirti. Scusami..."

Lui le toccò una spalla: "Non ti preoccupare, anch'io avrei agito così." Le sfiorò una guancia e Cherifa cominciò ad arrossire. Quel contatto era una scarica elettrica. Lo guardò negli occhi e lo vide avvicinarsi sempre di più.

Cercò di rimanere impassibile e poi lui si allontanò: "Mi sembrava che avessi qualcosa tra i capelli..."

Lei sorrise: "Mi... piacerebbe rivederti uno di questi giorni... Certo, solo se vuoi, non ti posso obbligare..."

Lui rise: "Stavo per chiedertelo io!"

"Davvero?" esclamò lei alzando di poco la voce.

"No, l'ho detto per vedere di nuovo il tuo sorriso!" rispose lui divertito.

"Ah..." commentò lei abbassando lo sguardo.

"Stavo scherzando! Mi hai preceduto di poco, giuro!" aggiunse lui continuando a guardarla.

Gli occhi di Cherifa si illuminarono: "Ah, non l'avevo capito! Va bene se ci vediamo questa sera a cena?"

Lui scosse la testa dispiaciuto: "Stasera no, devo andare fuori città per controllare una casa. Va bene se ci vediamo domani sera intorno alle otto?"

Lei annuì, togliendo i capelli che le erano caduti sul viso: "Sì, certo. Dove ci vediamo? Non ho la macchina, quindi preferirei un ristorante vicino o comunque che sia raggiungibile con i mezzi pubblici..."

Lui ribatté in modo ironico: "Sono stato fortunato a incontrare l'unica ragazza in tutta Mestre che non ha né un cellulare né la macchina!"

Lei rise: stava per raccontargli di essere in Italia da meno di una settimana, ma si trattenne. Non voleva rovinare quel momento magico.

"Non sai ancora in quali guai ti stai mettendo invitandomi a cena..." si limitò a dire imbarazzata.

Orazio aggrottò la fronte: "Perché?"

Lei cercò di spiegare: "Potrei non essere di buona compagnia... Sono una ragazza molto timida e non amo parlare quando mangio."

"Beh, allora staremo zitti!" replicò lui.

La sua battuta le provocò una sonora risata.

Orazio chiese, divertito: "Se vuoi, posso venirti a prenderti sotto casa. Altrimenti possiamo vederci qui e ti porto al ristorante."

Lei alzò gli occhi e incontrò di nuovo il suo sguardo. Aveva scambiato con lui solo qualche parola e si sentiva a suo agio con lui, ma non poteva velocizzare così i tempi. Lo guardò per qualche secondo e optò per la seconda opzione.

"Va bene, ti do il mio indirizzo, così vieni a prendermi sotto casa..."

Si bloccò: cosa aveva appena detto? Con le dita strinse sempre di più la borsa per l'agitazione. Voleva rimangiarsi tutto, ma poi rivide di nuovo il suo sorriso, capace di illuminare il mondo.

"Perfetto, allora ti passo a prendere per le otto, va bene?" chiese lui con tono dolce.

Lei ricambiò il sorriso e gli comunicò l'indirizzo. Lui se lo annotò sul suo cellulare e la ringraziò. Si guardarono di nuovo per qualche secondo. Erano entrambi imbarazzati e non sapevano come salutarsi.

Lei deglutì e porse una mano in avanti: "Allora ci vediamo domani sera!"

Lui guardò lei e poi la mano, la strinse e si avvicinò dandole un bacio sulla guancia destra. Quel contatto le provocò un'altra scarica elettrica. Non se lo aspettava. Le sue labbra le lasciarono un caldo ricordo sulla pelle. Lei indietreggiò un attimo e posò lo sguardo di nuovo sui suoi occhi. Ogni volta che li incrociava, notava una sfumatura diversa. Erano misteriosi, degni di essere fotografati per scoprire cosa celavano. Orazio la salutò con un cenno e poi si allontanò. Lei si girò e lo vide lasciare la fermata. Il suo cuore non aveva mai battuto così velocemente. Con quell'uomo sembrava diversa, troppo. Non era mai stata così spontanea e contraddittoria e ciò un po' la spaventava.

Dopo qualche ora la macchina di Damiano stava sfrecciando nella Tangenziale di Mestre. Il giornalista aveva passato tutto il pomeriggio a pensare a come comportarsi. Era stato indeciso fino all'ultimo se parlare con Edoardo o no, ma alla fine aveva preferito tacere. Non poteva chiedergli aiuto perché così sarebbe stato costretto a rivelargli di aver rubato il documento. Con le mani stringeva sempre di più il volante: era furioso. Elisabetta stava rischiando la vita ed era tutta colpa sua. Non avrebbe dovuto rubare quel documento, si era lasciato sopraffare dal desiderio di conoscere quelle informazioni.

Premette sull'acceleratore: il suo sguardo era annebbiato, gli occhi rigati dalle lacrime. Aveva paura, per la prima volta da quando era tornato a Mestre. Sentiva nel suo cuore il terrore di non rivedere più Elisabetta e di morire in quella casa. Sapeva bene che Dark Rose l'avrebbe ucciso: lui l'aveva vista negli occhi e poteva riconoscerla in ogni momento. L'identità della donna era in pericolo. Dark Rose era scaltra, ma lui doveva escogitare un modo per sfuggire dal suo intrigo.

In quel momento però non ci riusciva. La sua mente era un turbinio di pensieri impossibili da decifrare, anche se avevano un unico denominatore comune: il pensiero rivolto a Dark Rose. La vita di Damiano dipendeva anche dal suo volere.

Sentì un clacson dietro di lui e la sua mente divenne più lucida: mentre stava pensando, aveva rallentato. Si strofinò gli occhi e continuò a guidare, premendo sull'acceleratore. Non poteva lasciarsi sopraffare dai suoi pensieri, non in quel momento.

Arrivò all'uscita dalla città per la Tangenziale di Mestre, oltrepassò una rotonda e guidò di fianco a molte villette disposte una dopo l'altra. Sembravano dello stesso colore, il giallo, anche se con gradazioni diverse, però la poca luce dei lampioni rendeva una scarsa visione.

Dopo qualche minuto la sua macchina oltrepassò un'altra rotonda e passò di fianco ad altre villette, dall'intenso colore blu. Rallentò e abbassò il finestrino per vedere meglio il cancello delle case.

Finalmente trovò quella di Dark Rose: accanto all'entrata c'erano delle piante all'apparenza non molto curate. L'elemento che interessò subito Damiano fu il cancello verde scuro. Parcheggiò l'auto in fondo alla strada e ritornò indietro. Il freddo di fine settembre non lo intimoriva, era troppo concentrato a pensare a quella casa. Arrivò davanti al cancello e lo trovò semiaperto. Restò incredulo: era pronto a giurare che prima fosse chiuso. Alzò lo sguardo verso la villetta: le pareti erano di un blu scuro che sfiorava quasi il nero. C'erano delle vistose crepe e le finestre erano serrate. Il cortile sembrava un campo colmo di erbacce e le zanzare svolazzavano intorno come se fosse la loro casa. Il tutto era inquietante, soprattutto di sera. Il sole stava per scomparire e il paesaggio sembrava avvolto da una coltre di buio, a parte la poca luce dei lampioni. Quella casa era innaturale, l'ambientazione perfetta per un film horror.

Attraversò il cortile tra le erbacce e arrivò davanti all'ingresso. La porta era sotto un piccolo portico che si raggiungeva salendo tre scalini polverosi. Damiano osservò la maniglia e la sfiorò con la mano. La porta si aprì con un cigolio assordante e all'interno una luce a neon illuminava l'ingresso. Il giornalista deglutì, nella tasca dei jeans sentì il contatto con il cellulare. Poteva ancora chiamare Edoardo, ma si trattenne. Voleva arrivare da solo in fondo a quella storia.

Arrivò al centro dell'atrio e la porta si chiuse di colpo a causa di una raffica di vento. Il rumore lo spaventò, ma cercò di restare calmo e si guardò intorno. C'era una scala che portava al piano superiore, a una porta chiusa. A destra vide un mobile impolverato e a sinistra un'altra porta.

"Dove sei?" urlò un po' spaventato.

La sua voce si perse nel silenzio, ma poi sentì delle parole provenire oltre la porta. Deglutì e afferrò la maniglia. Il contatto con il ferro gelido gli provocò un brivido. Aprì la porta con un po' di timore e restò con la bocca aperta per lo stupore.

Quella stanza era diversa dall'atrio. Sulle pareti c'erano dei grandi dipinti che avevano come soggetti degli angeli. Un lungo tappeto rosso occupava tutta la stanza e in un lato era presente un mobile con sopra dei libri. Al centro vide un divano e due poltroncine per lato. Anche sul soffitto erano presenti immagini inerenti agli angeli. Gli occhi di Damiano passavano da una figura all'altra e tutte lo guardavano con aria innocente.

"Dove sei?" urlò con più forza.

Si guardò intorno spaventato: Dark Rose poteva arrivare da un momento all'altro.

"Io ti vedo. E tu?" pronunciò una voce con tono suadente.

Lui poggiò lo sguardo su un dipinto diverso dagli altri. Raffigurava una donna che guardava davanti a sé. Attorno degli angeli volavano intorno a lei con aria felice. I capelli della donna erano nascosti da una corona e la lunga veste celeste le copriva il corpo. Le candide mani erano incrociate al petto.

Damiano si avvicinò al dipinto e notò quegli occhi: erano così brillanti, poteva giurare di averli già visti.

Si girò e cominciò a camminare intorno al divano: "Dove sei? Sei solo una vigliacca!"

"Dov'è il documento? Ti avevo ordinato di portarmelo!" tuonò Dark Rose con tono deciso.

Il giornalista prese il foglio e alzò il braccio: "È qui, ora dimmi dov'è Elisabetta!"

"Come so che non ti stai prendendo gioco di me?" esclamò la donna, sospettosa. Damiano si avvicinò a una delle poltroncine: "Beh, la risposta alla tua domanda è semplice. Leggi ciò che c'è scritto e lo scoprirai!"

Lei sogghignò e dopo qualche secondo continuò: "Leggi tu per me. Spiegami in cosa consiste il sistema di sicurezza del Rubino celeste!"

Il giornalista la sfidò, guardando in direzione del dipinto con la donna e gli angeli: "Prima dimmi dove si trova Elisabetta..."

Lei continuò imperterrita: "Non mi sembra che tu sia in grado di dare ordini! Avanti!"

Damiano srotolò il foglio e lo lesse con attenzione. Ogni secondo che passava aumentava la tensione per quella situazione surreale. Alzò lo sguardo, con un po' di sorpresa: "Qui c'è scritto che la copia originale del Rubino celeste sarà esposta solo dall'inizio della serata, dalle otto di sera, fino alle dieci. Poi gli invitati si sposteranno nella sala a fianco e sarà proiettato un filmato curato dall'associazione che riceverà i soldi della beneficenza. Durante la visione il minerale sarà sostituito e sarà inserita una copia..."

Dark Rose si mostrò interessata: "E dove sarà il vero Rubino celeste?"

Il giornalista continuò la lettura: "Sarà portato nell'ufficio del direttore, nella cassaforte dietro a un quadro."

La donna commentò con una risata: "Il classico, insomma... Bene, sarà un gioco da ragazzi! Ora appoggia quel documento sul divano ed esci da questa casa. All'esterno troverai Elisabetta, sarà oltre il cancello. Non voglio più vederti!"

Lui abbassò lo sguardo: c'era davvero la sua amata all'esterno della casa? Poteva fidarsi di lei?

Si avvicinò al dipinto: "Voglio vederla! Dimostrami che si trova là fuori!" Dark Rose capì che avesse individuato il suo nascondiglio e si allontanò: "Alza le tapparelle delle finestre. La troverai là fuori..."

Lui corrugò la fronte, si voltò e si avvicinò a una finestra. Toccò la cinghia per alzare le tapparelle e le sue mani si impolverarono. Entrò un po' di luce dei lampioni e il giornalista guardò con attenzione il cortile, casa di zanzare ed erbacce.

"Qui non..." farfugliò lui.

Un impercettibile rumore lo portò a voltarsi: Dark Rose era lì, davanti a lui, con una maschera e con la pistola puntata. Il giornalista si tuffò sotto il divano ed evitò che uno sparo lo colpisse. I frammenti di vetro che ruppero la finestra caddero sul pavimento, accanto a lui. La donna si avvicinò minacciosa. Damiano non poteva ancora credere a ciò che stava succedendo. Si era tuffato per istinto, un piccolo tentennamento e sarebbe morto. Ora però era ancora in pericolo e doveva agire in fretta per salvarsi.

Guardò a destra e notò dei libri su un mobile antico. Si alzò di scatto e ne lanciò uno verso la donna. Lei riuscì a evitarlo e sparò di nuovo colpendo la parete. Damiano si guardò intorno per trovare una via d'uscita e lanciò un altro libro contro la donna, colpendola al piede. Lei sparò di nuovo, sfiorandogli il piede. Lui strinse i denti e guardò in direzione del dipinto: la donna e gli angeli non c'erano più. Al loro posto un rettangolo verticale portava a un'altra stanza. Damiano rimase sorpreso: quello non era un dipinto, ma una porta che si collegava ad altre sale. Corse verso di essa, passò attraverso il rettangolo e corse in fondo alla sala, aprendo un'altra porta per un'altra stanza. Lui continuò a fuggire da Dark Rose passando di sala in sala, tutte uguali. Quella casa era un dedalo di stanze. Intanto nelle orecchie lui sentiva i lamenti della donna che lo rincorrevano in modo concitato.

Aperta l'ultima porta, sentì l'aria serale di Mestre entrargli nelle narici. Davanti a lui il vuoto, oltre la balaustra. Era all'esterno dell'abitazione, sul balcone, e non aveva scampo. Guardò a destra e a sinistra e provò ad aprire le altre porte, ma erano tutte chiuse. Dark Rose si stava avvicinando con la pistola stretta in un pugno carico di rabbia. Il giornalista guardò giù dalla balaustra: forse c'erano tre piani di altezza... Doveva saltare, solo così sarebbe sopravvissuto.

Si voltò verso la donna e con una mano alzò l'ultimo libro che gli era rimasto.

"Sta' lontana... o ti colpisco..." minacciò tra un rapido respiro e l'altro.

Lei cominciò a ridere: "Ho una pistola, non ho paura di te! Ora sono stanca, devi morire!"

Lui appoggiò una mano sulla balaustra: il piano era cadere all'indietro. Qualcosa però lo frenava: sarebbe morto saltando da quell'altezza o comunque avrebbe riportato gravi ferite. Ne valeva la pena?

Doveva decidere: il suo destino dipendeva da quei pochi secondi.

Chiuse gli occhi per l'ultima volta, non aveva il coraggio di guardarla. Dark Rose strinse la pistola sempre di più e appoggiò il dito sul grilletto, pronta a compiere il suo primo omicidio. Non aveva paura, o almeno sapeva mascherare bene.

Qualcosa sfiorò la sua testa e lei per lo spavento fece scivolare il dito, sparando verso il basso.

Il cuore di Damiano si fermò di colpo: quel rumore era assordante. Aprì gli occhi e si stupì di vedere la donna con le braccia alzate. Dietro di lei c'era Edoardo che le stava puntando una pistola sulla testa. Il cuore del giornalista ricominciò a battere e aprì le labbra in una smorfia di sollievo. Un poliziotto prese la pistola di Dark Rose e l'ammanettò.

"Lei viene con noi! Portala in auto!" esclamò con decisione Edoardo.

La donna guardò Damiano con odio e poi rientrò nell'abitazione, scortata dal poliziotto.

Becchi si avvicinò: i suoi occhi erano fissi su quelli di Damiano. Sollevò una mano e la lasciò in aria: voleva dargli uno schiaffo, ma si trattenne.

"Come ti sei permesso di rubare quel documento? Credevi che non me ne sarei accorto?" ringhiò furioso.

Il giornalista abbassò lo sguardo: "Mi dispiace, non so cosa mi sia preso..." Alzò gli occhi: "Grazie! Se non fossi arrivato..." e lasciò la frase a metà a causa di un brivido.

Edoardo ritirò la pistola: "Chi è quella donna con la maschera? Perché ti stava puntando una pistola?"

Damiano rispose con tono scontato: "È Dark Rose."

Il poliziotto strabuzzò gli occhi: stentava a credere di avere tra le mani il terrore di ogni museo.

Spazio Sly 

Finalmente dopo quasi quattro mesi sono riuscito ad aggiornare! Vi è piaciuto il capitolo? Mi sono divertito tantissimo a scrivere la parte su Cherifa e su Orazio. Ho trovato difficoltà a scrivere l'ultima parte, sull'arresto di Dark Rose. Sapevo cosa sarebbe successo, ma fino all'ultimo ero indeciso su come scrivere la scena. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, tengo molto al vostro parere!

Non so quando riuscirò ad aggiornare, spero entro aprile. Lo so, sono imperdonabile, però fino a giugno/luglio gli aggiornamenti saranno lenti a causa della scuola e degli esami. Vi terrò comunque aggiornati in bacheca, come sempre.


Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro