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Furto con sorpresa (parte undicesima)

Quel pensiero gli tormentava l'anima. Avrebbe dovuto essere più forte, avrebbe dovuto resistere. Avrebbe dovuto aspettare che arrivasse la polizia per arrestarla. Il grido che le era uscito dalla bocca mentre cadeva rimbombava ancora nella mente, un ronzio che l'avrebbe accompagnato per sempre.

Sentì dei rumori in lontananza e chiuse gli occhi. Essi, nonostante il buio, gli offrivano l'immagine di quella caduta, di quegli occhi neri che volevano morire e che da lì a poco avrebbero visto esaudire il loro desiderio. Una morte che Dark Rose sperava, bramava. Una vita distrutta per sempre.

"No, perché proprio a me?!" gridò Damiano, accasciandosi a terra e tirando pugni contro il terreno.

Si sentiva morire, un forte dolore gli comprimeva la cassa toracica e la saliva usciva incurante dalle sue labbra sottili.

Stava impazzendo, le mani vibravano al pensiero di ciò che era appena successo. Damiano avrebbe dovuto essere contento per la morte della donna che aveva messo a repentaglio la sua esistenza e quella di Elisabetta, ma non riusciva a gioire. Non doveva finire così. Nel volto di Dark Rose, prima di morire, aveva visto tutto il dolore che lei aveva conservato per anni, tutta la rabbia che aveva dominato ogni sua azione per rendere fiera sua madre. Una pazzia che l'aveva corrotta fino a quel disperato e tragico finale.

Il pianto di Damiano diventò sempre più intenso; lui, accasciato a terra con il volto tra le mani, sembrava un bambino nella pancia della madre.

Voleva proteggersi dai dolori del mondo, da tutta la sofferenza alla quale aveva appena assistito, in netto contrasto con la musica di Ludovico Einaudi.

Poco dopo, alcuni passi veloci si stavano avvicinando sempre di più.

La polizia, ormai arrivata sul tetto dell'hotel, stava osservando la terrazza.

Gli agenti, capeggiati da Edoardo, udirono un pianto disperato e, tendendo le orecchie verso i rumori, arrivarono alla sua fonte.

Becchi si bloccò vedendo una figura nera a terra.

Damiano alzò il capo e mostrò il suo volto sudato.

Non appena il giornalista vide l'amico di Elisabetta, corse verso di lui e s'inginocchiò ai suoi piedi. "Ti scongiuro, mi devi credere! Non sono stato io, non volevo farlo..."

Strinse le sue gambe e continuò a piangere, come un bambino piccolo che si sente protetto tra le gambe della madre.

Stava supplicando il suo perdono.

Edoardo, stupito per un gesto così plateale, si allontanò di qualche passo. "Ehi, alzati! Ma cosa è successo?"

Damiano continuava a stare ai suoi piedi, il volto rivolto al suolo. "Ti prego, mi devi credere, è successo tutto in pochi secondi, io..."

Indicò la balaustra e poi continuò a piangere sempre più disperato.

Il poliziotto scambiò uno sguardo d'intesa con i suoi colleghi e gli agenti si avvicinarono al parapetto.

Da lì osservarono l'oceano di insegne artificiali che componeva la città.

Uno di loro, però, abbassò lo sguardo e avvisò gli altri puntando il dito. "Là sotto c'è un cadavere!"

Gli agenti si soffermarono sulla macchia nera illuminata dai lampioni e circondata da alcuni curiosi.

"U-un cadavere?" domandò sbalordito Edoardo, aprendo la bocca per lo stupore.

Prese Damiano per il colletto della giacca e lo sollevò. "Cos'è successo? Di chi è quel corpo? Avanti, parla! Non abbiamo tempo da perdere!"

Il giornalista si copriva il volto con le mani, spaventato per quel tono così autoritario.

Si sentiva come un bambino appena sgridato per una marachella. "Scusa, scusa, scusa..."

La voce era strozzata dal suo respiro affannoso, il sudore colava ormai copioso sul suo viso rigato dalle lacrime.

Edoardo lo scosse in preda a un impeto di rabbia. "Vuoi dirmi di chi cazzo è quel corpo? Forza, Damiano!"

Il giornalista alzò le mani e annuì, strofinandosi il naso. "È di... D-D-D-Dark Rose..."

Edoardo fissò Damiano con uno sguardo di pena. "L'hai... l'hai uccisa?"

"No, no, no, mi devi credere!" scattò Damiano, scuotendo Edoardo alle spalle.

Gli agenti si avvicinarono e lo allontanarono; lui si stava dimenando come un'anguilla.

"Mi devi credere, io non sarei mai in grado di uccidere qualcuno, lei... lei si è suicidata!"

Edoardo avanzò di qualche passo verso di lui; non lo aveva mai visto così agitato. "Si è suicidata? No, lo escludo, lei non compirebbe mai un gesto simile!"

Damiano stava cercando di liberarsi dalla stretta ferrea dei poliziotti. "L'ho visto con i miei occhi, dannazione! Mi devi credere!"

Sputava parole rapide in preda all'ansia.

Il suo cuore viaggiava come un treno ad alta velocità.

Edoardo era sempre più sconvolto di fronte a Damiano: il volto del giornalista era rosso, gli occhi fuori dalle orbite e la bocca contratta in smorfie di disappunto.

A un certo punto, smise di dimenarsi e continuò a piangere con lo sguardo basso. La sua mente non riusciva ancora a elaborare una situazione simile, gli sembrava una pazzia.

Uno degli agenti vicino a Edoardo si avvicinò al giornalista, guardando in particolare una tasca della sua giacca. Sembrava che ci fosse qualcosa lì dentro, qualcosa di ingombrante.

Fissò il suo collega e poi indicò il punto che stava guardando.

Edoardo annuì e permise al poliziotto di avvicinarsi a Damiano.

Il giornalista non si mosse, era troppo occupato a riprendere fiato. Si sentiva come se stesse per svenire da un momento all'altro.

Inspirava ed espirava con intensità, cercando di raccogliere la maggior quantità di aria disponibile in quell'atmosfera carica di dolore e tensione.

Percepì una mano all'interno della sua tasca e quando le dita fuoriuscirono, non riuscì a credere a ciò che stringevano.

Il poliziotto, stupito, si rivolse verso Edoardo e gli mostrò ciò che aveva trovato.

Becchi sbiancò nel vedere quell'oggetto e corse verso Damiano, prendendolo di nuovo per il colletto della giacca. "Hai rubato tu il Rubino celeste? Eh? Rispondi! Ma come diavolo ti sei permesso di fare una cosa simile? Forza, parla!"

Il giornalista scuoteva la testa ed emetteva versi incomprensibili; gli sembrava che tutti i suoni intorno a lui girassero troppo velocemente. "Io... io non so di cosa parli, io..."

"Parlo di questo, per la miseria!" gli urlò Edoardo, prendendo il gioiello dalle mani del collega e mostrandolo al giornalista.

Damiano vide il Rubino celeste tra le dita di Edoardo e continuò a scuotere la testa.

Becchi spiegò: "È stato appena ritrovato nella tua tasca. La situazione per te sta peggiorando, te ne rendi conto? Dai, ammettilo! Ammetti che tu e Dark Rose eravate complici, che l'hai uccisa perché non gli servivi più e che ti sei preso il Rubino celeste!"

Damiano impazzì di fronte a quelle parole così piene di menzogne. "No... no! Io non ti permetto di parlare di me in questo modo! Sei uno stronzo, io non farei mai una cosa simile, mai! Come osi anche solo pensarlo?!"

Si slanciò in avanti per tirargli un pugno, ma i poliziotti lo fermarono, stringendogli le mani dietro la schiena.

Edoardo si sistemò la giacca e ordinò: "Mettetegli le manette."

Gli si avvicinò e lo guardò con occhi truci. "E tu non commettere altre sciocchezze, la tua situazione è già abbastanza grave!"

"I-io sono innocente..." commentò il giornalista con le lacrime che continuavano a scendere.

Becchi indicò la porta per entrare nell'edificio. "Questo lo vedremo. Stavolta per te non sarà così facile uscire dai guai. Ti sei messo in un bel pasticcio e nessuno potrà aiutarti!"

Damiano serrò le labbra e si sforzò di non replicare.

Voleva urlare al mondo la sua innocenza, ma cercò di calmarsi per non peggiorare tutto.

I poliziotti si mossero e lui li seguì con lo sguardo basso. Doveva mantenere la calma. In fondo, era innocente e prestò la verità sarebbe venuta alla luce.

In quel momento, come un triste presagio, gli rimbombarono nelle orecchie le ultime parole di Dark Rose prima di mettersi a cavalcioni sulla balaustra: "Pagherai per tutto il male che mi hai fatto, bastardo!"

Quella donna, anche da morta, continuava a perseguitarlo. La sua vendetta, quella che gli aveva giurato poco prima, era appena iniziata. Come la tortura della goccia cinese. Una goccia lenta ma inesorabile. Una goccia che pian piano gli avrebbe prosciugato tutte le energie e che l'avrebbe lasciato inerme, in balia del destino. La vendetta di Dark Rose sarebbe finita solo a una condizione: la morte di Damiano. 

Spazio Sly

Come promesso, ho pubblicato l'undicesima (e ultima) parte del diciannovesimo capitolo. Cosa ne pensate?

Dopo la morte di Dark Rose, Damiano è stato accusato di aver ucciso la donna e di aver rubato il Rubino celeste. Come continuerà questa intricata vicenda? Per me è stato molto difficile mettermi nei panni di Damiano, spero di esserci riuscito!

Vi invito a commentare per esprimere la vostra sincera opinione.

Ne approfitto per dirvi che dovrete aspettare più del solito per leggere il ventesimo capitolo perché non è ancora pronto: ho scritto solo cinque scene su tredici. 

Mi dispiace, ma a inizio settembre ho avuto un problema all'occhio, mi hanno operato e poi ho fatto molta fatica a far riabituare la vista allo schermo di un computer. Continuavano a lacrimarmi gli occhi...

Non è stato un periodo facile, ma ora tutto è passato. Avrete il prossimo capitolo (diviso come sempre in parti) entro metà novembre, anche se spero prima. Purtroppo l'università occupa tutto il mio tempo e non è semplice far combaciare le ore di lezione, quelle di studio e la scrittura.

A presto!


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