Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo XXIV | Eloise

Cherry

Alla mia domanda Will sembra pietrificarsi. Un luccichio malinconico saetta nelle pupille che, rimpicciolendo drasticamente, rivelano il suo animo inquieto.  L'empatia è sempre stata una mia caratteristica spiccata, è da quando sono nata che ho la capacità di captare le emozioni degli altri, eppure, certe volte ho odiato questa mia sensibilità. Divento vittima dell'emotività altrui, è come se mi facessi continuamente accarezzare da delle mani imbrattate di pittura, ognuna con un colore diverso, alla fine mi ritrovo confusa dalle mille sfumature che mi abbracciano.

Sento il peso delle anime fin dentro le ossa, tanto da sovrastare la mia. 

Non c'è un fattore scatenante, semplicemente accade, senza alcun controllo. Può essere la cosa più palese, come una donna che fa da silenziosa spettatrice a una coppia affettuosa giocando con le dita per trattenere le lacrime che, quella scena, le ha evocato. Oppure un paffuto bambino al parco giochi che, solitario, s'interroga analizzando un padre che soccorre la figlia ferita mentre, lui, con le ginocchia sbucciate dopo essere caduto dall'altalena, non può fare altro che passarsi sopra il taglio un dito inumidito con della saliva.  La maggior parte delle volte però, sono dettagli, cose che nessun altro, oltre me, percepisce. Un anziano clochard seduto su una panchina, sfama dei piccioni con delle briciole di pane che strabordano dalle tasche del suo giaccone sfilacciato. 

La delicatezza con cui una foglia muore, staccandosi violentemente dal suo albero, ormai stanca di riparare i passanti con la sua ombra, si lascia accompagnare l'ultima volta da un soffio di vento che, dolcemente, l'abbandona sull'asfalto. 

Tutte le emozioni sono così amplificate che la pelle mi diventa sottile come carta. E adesso, difronte il più delicato tasto di William, sento la sua carezza. La sua vernice nera mi sta marchiando.

Lo vedo dal modo in cui china il viso facendo una smorfia, quasi obbligandosi a non frantumarsi in mille pezzi, nascondendosi, dietro la cascata di ciuffi scuri che gli sfiorano il naso. Nel modo in cui il suo petto scalcia, quasi volesse buttare fuori il cuore dalla gabbia toracica.

«E-el...» Il ragazzo non riesce a formulare una parola, chiude gli occhi lottando con qualcosa che lo angoscia profondamente.

«Era mia sorella» svela d'un fiato nascondendo lo specchio dell'anima dietro le palpebre sigillate. 

La vena del suo collo pulsa ritmicamente e il pomo d'Adamo balza su e giù nervosamente, come se parlarne o, nominarla, gli riempisse d'un tratto la gola di spine affilate.

«Era» constato riflettendo ad alta voce, trovandomi inchiodata dai suoi occhi grigi che, arresi, si mostrano nudi e fragili.

Per la prima volta ci stiamo guardando, guardando per davvero, oltre la pelle, oltre il nome, oltre la facciata, oltre la superficie.

Ci stiamo leggendo.

Timidamente mi sta permettendo di sfogliare le sue pagine.

Sento una fredda patina attanagliarmi il cuore; percepisco il suo tormento, la sua sofferenza, la leggo nelle iridi che sembrano creparsi rumorosamente, proprio come la superficie di un lago ghiacciato.

La crepa si espande, scricchiola e avanza sulla lastra pericolosamente, inghiottendo tutto quello che incontra quando, le sue folte ciglia nere, cominciano a inumidirsi.

Sembrano gocce di rugiada cristallizzate, lacrime assiderate. Chissà da quanto tempo ibernate.

«È morta cinque anni fa» una lacrima cede, s'insinua tra le ciglia e frettolosa si infrange sul suo zigomo. Il ragazzo sembra non essersene accorto, è immobile. Sono io, al posto suo, a sentire il peso di quella grossa goccia acquosa.

Non riesco a credere di aver aperto una tale ferita, un tale crepa, sono in mezzo al suo lago ghiacciato in procinto di sgretolarsi sotto il peso della mia curiosità. Ho paura, paura di profondare nelle sue acque gelate, nel suo tormento, meglio scusarsi e...

«Sareste andate d'accordo, per certi versi siete simili. Me la ricordi dal primo giorno che ti ho vista, forse per questo ti detestavo, hai enfatizzato la sua assenza inconsciamente. Certo, c'è da dire che lei era, decisamente, più maschiaccio di te» spiega, non riuscendo a trattenere un sorriso triste.

Ecco cosa intendeva quella sera in pasticceria, ricordo ancora quella frase "hai riportato a galla delle cose che facevano parte del passato".

Colpisco il materasso con la mano, invitandolo a sedersi accanto a me e presto, abbastanza intimidito e impacciato, è di fronte a me con le braccia arrese sulle gambe.

«Immagino fosse bellissima, come...» in difficoltà perdo il filo, come te, posso riuscirci ma, fortunatamente, vengo interrotta.

«Oh no, lei era decisamente la più bella di tutti i Morgan. Era impressionante. Sai cos'è buffo? Non era consapevole della sua bellezza, o meglio, non ha mai avuto la possibilità di arrivare a esserlo».

Scivola un'altra lacrima e sento il cuore cominciare a raggelare davanti quel suo torpore che gli impedisce di accorgersi di star piangendo.

Quanto dolore stai provando per non accorgerti che i tuoi abissi ghiacciati si stanno sciogliendo, gocciolando, sul tuo viso?

«Il fatto che fosse così mascolina mandava in delirio tutte le ragazze della città, era invidiata da tutte. Ma a lei non importava di quelle cose; di uscire ogni giorno con vestiti firmati, mascherata di trucco e su dei tacchi. Lei era semplice, hai presente quella semplicità disarmante? Quella che non esiste più di questi tempi? Era un'anima rara. Amava il basket e gli animali. Aveva due cavalli, tre cani, un pappagallo, due conigli...uno zoo praticamente!» racconta assorto non riuscendo a nascondere un mezzo, nostalgico, sorriso.

«Sai, quand'era nata la detestavo, ero geloso. Tutti accerchiati su quel fagottino che strillava notte e giorno, non comprendevo come potesse rubarmi la scena. Poi con il passare dei mesi la trovavo sempre più buffa, sputacchiava pappette e morsicava qualsiasi cosa. Una volta ha provato a rosicchiare il piede di un tavolo, ero scoppiato a ridere e lei, con appena due dentini accennati, esplose in una ridarella. Quel suono, quella risata, l'ho amata incondizionatamente da quell'istante» si ferma un secondo e chiude gli occhi.

La sta risentendo, si sta gustando quella risata, quel momento custodito nella sua memoria.

«Le ho insegnato a giocare a Basket quando aveva sette anni, da allora siamo diventati inseparabili. Era sempre con me. Ovunque andassi, lei doveva esserci e com'era gelosa delle ragazzine con cui uscivo!».

Mi trovo a ridere insieme a lui, immaginando quella scena. Intravedo delle fossette che non ho mai visto prima, forse, perché mai sulle sue labbra ho visto un sorriso tanto sincero e puro.

«Stai piangendo» mi informa scrutandomi confuso.

«Cosa?»

«Stai piangendo» continua indicandomi il viso con fare incerto. Mi sfioro le guance, sono rigate. Mi asciugo subito imbarazzata, intimorita e quasi mortificata. Mi viene in mente una frase di Emily Dickinson che racchiude il mio senso di colpa per quella reazione.

"A un cuore in pezzi nessuno s'avvicini senza l'alto privilegio di avere sofferto altrettanto".

«Anche tu, Will» svelo a questo punto, passandomi il dorso della mano sulle palpebre.

Il ragazzo si sfiora con l'indice lo zigomo, aggrotta un sopracciglio quasi non ci credesse. Quando si schianta con le lacrime, mi guarda sgranando un po' gli occhi.

Stiamo piangendo.

«Com'è...andata via?» domando cercando di non fargli pesare l'imbarazzo che palesemente lo sta folgorando. 

«Incidente d'auto» sussurra abbassando lo sguardo e giocando con i suoi anelli argentati.

Provo a immaginare cosa stia provando, tanto da spingermi verso di lui, ho questo bisogno di leggerlo, scoprirlo, sfogliarlo sempre di più.

«Crescendo è diventata talmente bella che tutta Newberry le correva dietro, oltre a essere meravigliosa, era una Morgan. Insomma, come fare la tombola. Ma lei viveva un po' nel suo mondo, le piaceva stare per conto suo e aveva un bel caratterino, non si faceva avvicinare facilmente. Un giorno conobbe il mio migliore amico, all'epoca almeno, lo definivo così» ride amaramente torturandosi ancora gli anelli.

Li sfila convulsamente, uno per volta, rigirandoseli nelle dita.

«S'innamoro perdutamente. Era meraviglioso e terrificante al tempo stesso vederla tanto felice, conoscevo come le mie tasche il suo ragazzo. Non era proprio un santo, in quel periodo insieme non lo eravamo per niente. Ma in quegli anni non c'ero, ero distratto da me stesso, dai miei demoni. Ero assente con me stesso e il suo primo amore, lo era proprio come me. E io lo sapevo. Eppure, sembrava diverso con lei».

Si ferma qualche istante e vedo il suo volto rabbuiarsi, stira le labbra e inspira profondamente.

«I primi mesi andarono bene, erano felici. Sono stato così ingenuo, così menefreghista. Io e il mio amico eravamo da un pezzo dentro brutti giri, brutti vizi e io mi ero illuso che, lei, tanto rara e genuina, ne restasse indenne. Sono stato uno sconsiderato, ho assistito al declino e non me ne sono neanche reso conto. Sono stato spettatore della sua tragedia» confida aspramente.

«Cominciarono a litigare spesso, mia sorella affrontò un periodo buio, fra tira e molla. Lo amava talmente tanto che non riusciva a lasciarlo andare. Il mio migliore amico cominciò ad allontanarsi anche da me e dopo poco, Eloise fece lo stesso, seguendo le sue orme».

È la prima volta che pronuncia il suo nome, lo recita quasi fosse una preghiera proibita, come se una qualche sorta di maledizione, lo vincolasse a non invocarla mai. Come se non ne meritasse il peso di quel nome.

«Tornarono insieme e lei cambiò, stava sempre fuori, sempre troppo occupata, sempre più magra. Non mi ci volle tanto per capire che si faceva anche lei. Litigammo come cane e gatto ma davanti alla mia morale, si beffava di me, come darle torto. Come potevo, io, fare la predica a lei. Si allontanò dalla mia famiglia e ci fu una rivolta in casa, così parlai con il suo fidanzato. Giurò di non sapere nulla dei vizi della sua ragazza, anzi, litigava con questa perché lui stesso gli impediva di farsi. Disse che si drogava di nascosto, che stava combattendo come me per farla smettere. Stronzate. Quando mia sorella venne a sapere della mia visita al suo amore, si infuriò, non capiva che volevo proteggerla. Come poteva capirlo? Era troppo tardi, ero arrivato troppo tardi»

Sento l'ansia crescere in me e mi ritrovo ad avvicinarmi di qualche centimetro a Will.

«Non c'è stato il tempo di fare nulla, non c'è stato il tempo per salvarla. Una sera diluviava, era notte fonda, mi arrivò una chiamata. Era lei. Piangeva, urlava, non si capiva molto...era completamente fuori di sé, distrutta. Cercai di farla calmare pregandola di fermarsi, spiegandole che sarei corso a prenderla ma non mi ascoltava. Riusciva solo a singhiozzare»

Le sue pupille si muovono isteriche, frenetiche, impegnate a correre dietro quel frangente intriso d'ansia.

«Poi finalmente mi disse cos'era successo; era andata a casa del suo ragazzo, non si aspettava di trovarlo a letto con un'altra, precisamente, la mia ragazza dell'epoca. Era sconvolta e in quel momento, io come lei. Dopo qualche secondo, sentì un rumore assordante, poi, il silenzio più lungo della mia esistenza».

Trattengo il fiato e le lacrime mordendomi internamente il labbro, sperando che quel piccolo dolore possa mantenere, quanto più possibile, sotto controllo l'agghiacciante stupore.

«Si era schiantata contro un albero. Alla velocità a cui andava era già tanto fossero riusciti a recuperare qualcosa... di lei. L'autopsia rivelò che aveva assunto dosi massicce di cocaina, era assurdo non fosse andata in overdose prima».

William guarda il soffitto e il lago ghiacciato si frantuma definitivamente, riversandosi sulla sua pelle ambrata.

Non fa più nulla per nascondersi, ha il naso rosso, il fiato mozzo e gli occhi persi chissà dove.

Il cuore mi profonda nell'abisso. Alla fine, non ho potuto proteggermi in alcun modo, sto annegando insieme al ragazzo nelle acque gelide della sua tragedia.

«Ci consolarono dicendo che, quantomeno, non aveva sofferto. Era morta sul colpo» conclude abbozzando un sorriso gelido e beffardo, smarrito in quella voragine di ricordi intrisi di dolore e morte.

Senza sapere da quanto, mi trovo stretta al suo braccio, intenta ad accarezzargli e strofinagli il tricipite, come se potessi lavargli via quelle emozioni oscure, sperando di poter alleviare gli effetti di quel racconto orribile.

D'un tratto la mia mente unisce dei punti e mi ritrovo a trattenere il fiato scioccata.

«Dan?» domando con un filo rotto di voce, Will mi guarda e per la prima volta, non vedo più quel lago ghiacciato creparsi ma la sua anima.

Figlio di puttana.

Sento lo stomaco accartocciarsi, il cuore lacerarsi e bruciare, la mia pelle di carta sta assorbendo il suo inchiostro nero.

Mi sento stupida, mi sento in colpa.

Non ci penso neanche un secondo, getto le braccia al collo di Will e comincio a singhiozzare. Lui non si muove di un millimetro, è di marmo. 

Non mi importa nulla, ho bisogno di farlo.

Per tutto il suo dolore, per Eloise... e per me, che avevo causato molti più danni di quanto potessi mai immaginare.

«Will, sono così...» 

Le sue braccia mi circondano, avvolgendomi completamente, mi stringe forte, come se fossi l'unico salvagente in quelle acque in tempesta. Nasconde il viso nell'incavo del mio collo e sento le sue gocce di rugiada scivolarmi sulla clavicola. Lascio le mie mani consolarlo, accarezzandogli la schiena, le braccia, i capelli.

«Avevi provato ad avvertirmi. Per questo l'hai picchiato quella volta...»

«Non volevo che ti facesse del male, che ti strascinasse nella sua merda, proprio..» farfuglia tirando su col naso, sbuffando con il fiato mozzo per non riuscire a concludere quella frase.

«Proprio come ha fatto con tua sorella»

Ci abbracciamo forte, senza alcuna malizia, senza alcun stupido astio, solo due anime sofferenti che si fondono insieme e cercano di condividere quel dolore. Sì, perché adesso sento di condividere il dolore di William e anche quello di Eloise, in cui mi rivedo sotto tanti punti di vista.

«Per tutto questo tempo, hai cercato di proteggermi nonostante tutto» dico sinceramente delusa da me stessa per non essermene accorta prima, per aver lasciato un soggetto come Dan avvicinarsi a me.

Mentre gli stringo il braccio ricordo delle sue linee scure, del modo in cui si era ritratto al mio tocco. Si accorge che mi sto interrogando e appena segue la traiettoria del mio sguardo, fissa su quel punto inciso, dà voce alle mie atroci supposizioni.

«È l'orario in cui la chiamata si è interrotta. Il momento in cui l'ho persa per sempre. In cui ho assistito, inerme, sconfitto e distante, alla sua morte. Ho ascoltato in diretta il suo ultimo caldo respiro, e non ho potuto fare niente. Non l'ho salvata. Io, non l'ho salvata.» mormora coprendosi gli occhi con una mano, come se si vergognasse di se stesso.

Si sente il carnefice, si sente colpevole e responsabile della morte di sua sorella. 

Mi avvicino ancora di più e mi abbandono tra le sue braccia, aggrappandomi alla sua camicia sporca di sangue. Quale uomo può convivere con questo macigno? 

Mi sento inutile. Se potessi, mi farei pittare per intero dalla sua vernice, prenderei quanto più possibile del suo dolore.
Anche solo qualche minuto, giusto il tempo di alleggerirgli un po' l'anima, di lasciarlo stare in pace. Ecco, vorrei gridare questo a quella sua parte oscura che si addita colpevole, lasciatelo stare! 

Will mi racconta ancora di Eloise, di quando si ruppe il braccio dopo una brutta caduta a cavallo e di quando le regalò i biglietti per il concerto di Rihanna. Del suo modo buffo di cantare e di come anche il solo odore di caffè le facesse venire la nausea.

Le ore passano e presto ci ritroviamo distesi l'uno a fianco all'altro, parliamo ancora e ancora, fino a esaurire la voce, i pensieri, fino ad assopire il dolore.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro