Capitolo XLIII | Ladra di sogni
Cherry
Newberry, martoriata dalla pioggia incessante ormai da giorni, costringeva gli abitanti a cercare rifugio nell'angolo più colorato della cittadina: il Cherry Sweet's. L'irresistibile profumo di cioccolata calda e crepes attraeva non solo numerosi clienti ma anche il cubano. Sì, proprio lui. La prima volta che era entrato, aveva chiaramente affermato di essere solo di passaggio. Tuttavia, con il passare dei giorni, era diventato un cliente abituale, trascorrendo intere giornate al bancone a chiacchierare con me e Florine. Tra di loro c'era una strana sintonia. Non riusciva ad ammetterlo e si fingeva quasi caritatevole nel dedicarci il suo tempo; in realtà, sembrava molto solo. Come se non avesse nessun'altro posto dove andare.
Dopo una settimana di frequenza, cominciava a conoscere i nomi dei clienti abituali, anche se li chiamava più spesso con le pietanze che ordinavano che con i loro veri nomi. Questa sua particolarità mi faceva ridere molto. Un giorno aveva esclamato: "Frappè alla fragola e tortino al cuore caldo stanno insieme?" Avevo impiegato qualche minuto per decifrare l'enigma.
«Ma non è dall'altra parte?» chiedo alla mia collega mentre imbocchiamo una strada.
«Ehm, sì. Ma ci sono degli sconti in quel negozio di scarpe vicino la gioielleria» spiega accelerando il passo e facendo scuotere rumorosamente le buste colorate. Recentemente, le piaceva più del dovuto fare shopping. Insomma, era strano, non era da lei spendere in vestiti piuttosto preferiva sperperarli in videogiochi. La guardo con sospetto, c'è qualcosa che ultimamente la porta con la testa oltre le nuvole. Sto per chiederle cosa la preoccupi ma il più piccolo del Morgan spunta davanti a noi, sistemandosi la sciarpa.
«Non montarti la testa, mi ha invitato Flor» spiega raggiungendoci vicino la vetrina di un negozietto d'abbigliamento. Pongo le mani sui fianchi, guardandolo arresa. Quando lo sguardo di Florine incrocia il mio, fa spallucce.
«Scusami, mi ero scordata di dirtelo» svela sorridente.
«Vuoi rubarmi la migliore amica?» chiedo scherzosamente.
«Non puoi biasimarla. Sono decisamente più simpatico» risponde, mettendosi in mezzo e prendendoci a braccetto, incamminandoci per le vie più chic della città. I suoi commenti sui passanti sono esilaranti. La presenza del cubano non mi irrita più come un tempo, certo mi fa strano averlo sempre fra i piedi ma è innocuo. Mi infastidisce solo un dettaglio: la sua somiglianza che evoca William in maniera brusca. Lo stampo di famiglia è innegabile e lui, furbo come una volta, si accorge della mia difficoltà ogni volta che mi trova assorta sul suo viso.
Mentre Florine lotta con delle grucce per acciuffare l'ultimo maglione della Marvel, io e il più giovane dei Morgan vaghiamo tra i sentieri di stender colorati del negozietto.
«Non risponde ancora alle chiamate ma sta bene. La sua colf ha rassicurato mia madre» svela il cubano.
«Non ti ho chiesto niente» rispondo asettica.
«No, peggio. Ogni volta che mi guardi è come se urlassi. Sei psicologicamente pronta per domani? Le bestie in quella casa non saranno i cani» aggiunge.
«Mi sono abituata alle circostanze assurde, credimi. Basta guardare noi adesso, non trovi?» replico, sfogliando delle camicette scontate mentre il ragazzo si lascia andare a un lungo sospiro prima di lanciarmi delle mutande in faccia.
Ridiamo di gusto, venendo interrotti da Florine che ci raggiunge adocchiata dalle commesse. Indossa una tuta nera molto elegante con una profonda scollatura che le mette in risalto il seno. Dei tacchi a stiletto argentati si abbinano a una pochette da cui pende un'etichetta rossa.
«Sei stupenda Flo» borbotto stupita tanto quanto il ragazzo al mio fianco.
«Hermosa!» concorda con me prima di saltare su un piedistallo che vede tre manichini sfoggiare delle pose pazzesche. Attira l'attenzione dei clienti e mi trovo un po' in imbarazzo.
«Non guardatemi così! So che vi piacerebbe vedermi prendere il loro posto per dare vita alle vostre più proibite fantasie ma non prostituirò il mio corpo per le vostre perversioni. Per quanto lusinghiere!» esclama facendo l'occhiolino a una coppia di anziane signore dall'aspetto raffinato.
Ruba la collana girocollo argentata da un manichino privo di volto e salta giù andando a impreziosire la mia collega.
«Mancava qualcosa che ti illuminasse il viso» spiega, guidandola dalle spalle fino a un grande specchio. La ragazza si sistema i rossi capelli intrecciati.
«Rimarrà stecchito» la rassicura, sorridente. Si scambiano uno sguardo complice prima di dirigersi alla cassa.
«Ma chi? Aspetta, te li lasci addosso?» chiedo confusa correndogli dietro.
Mi sta sfuggendo qualcosa ma non ho tempo di ricevere risposte perché in un baleno siamo già per strada. Florine è ansiosa, continua a sistemarsi i capelli prima di rimanere impalata davanti a un locale.
Oh, no.
«Volete bere qualcosa?» chiede la ragazza sorridente.
Oh, no.
«Oh, sì!» esclama il biondo.
Quando entriamo all'Icon cerco di scacciare subito dalla mente la copertina di quel quotidiano. Ma l'occhio cade sul maledetto divanetto dove William si beava delle attenzioni di quelle ragazze.
«Non ci credo! Hai piantato il killer di gattini per...»
«S-s-alve» il barman, appena riconosce la ragazza al mio fianco, diventa rosso e stenta a trattenere un sorriso luminoso.
«C-o-osa d-d-es-i...» tenta di dire. La mia amica lo incalza saltando su uno sgabello e precedendo la sua richiesta.
«Per me un gin tonic!»
I loro sguardi emozionati creano un momento imbarazzante sia per me che per James.
Il viso di William mi impedisce di godermi la scena. Rivivo quelle ultime emozioni contrastanti che mi aveva provocato quella sera e mi trovo a lottare contro l'impulso di scappare via.
«Per me lo stesso. Arrivo subito» bofonchio prima di fiondarmi nel bagno in cerca di rifugio. Quando entro mi rendo conto di quanto sia stato poco furbo da parte mia farlo. Il riflesso del mio viso sullo specchio mi fa trasalire. Non sopportando i ricordi che evoca questo maledetto specchio faccio per uscire trovandomi davanti il fratello.
«Rieccoci direi» dice, inizialmente con una punta di sarcasmo ma successivamente, soffermandosi sulle mie condizioni, ammorbidendo il tono.
«Scusa, non pensavo...» continua, guardando tristemente i miei occhi che, nonostante il sorriso forzato, non riescono a smettere di lacrimare.
«Forza, andiamo! Non posso perdermi questa scena»
Faccio un respiro profondo, sistemando il trucco e ricacciando indietro tutto quel caos di emozioni. Il ragazzo prova ad avvicinarsi premuroso ma in questo momento non fa altro che enfatizzare il ricordo di William.
«Mi dispiace, per quello che è successo»
Lo interrompo immediatamente, sistemando i capelli e cercando di ignorare quelle immagini di William dalla testa.
«Per favore, non voglio parlare. Voglio solo che tenga a mente la promessa che ci siamo fatti. Mi piacerebbe tanto vederlo sereno. Avanti, ora fuori da questo bagno prima che Florine cominci a spogliarsi!»
Sistemo gli ultimi dolcetti per cani nello stand quando la bellezza della villa Morgan mi cattura di nuovo. Sin dall'apertura delle porte da parte della domestica, il mio cuore batte incessantemente. Questo luogo è il riflesso delle radici di William, è testimone dei suoi passi. Custodisce i suoi ricordi d'infanzia e i momenti preziosi con Eloise. Ogni parete, ornata da colonne di marmo dalle venature dorate, sembra narrare la sua storia.
Il grande salotto, in un piano in dislivello rispetto dall'anticamera, rende l'ambiente ancora più armonioso. L'oro si dispiega in ogni angolo, persino nelle rifiniture della mobilia pregiata, come un simbolo sfavillante della loro ricchezza. Le immense finestre circolari di fronte allo stand offrono uno sguardo su un giardino vasto e lussureggiante, i cui cespugli di rose bianche e alberi vibranti di verde risplendono sotto il sole invernale.
La governante spalanca la vetrata centrale, introducendo una brezza fresca che mi riporta alla realtà. In breve tempo, mi trovo circondata da una varietà di cani. La sala si anima con donne adornate di gioielli luccicanti che sfoggiano eleganti abiti e cappelli da cocktail dai colori vibranti. Presto si avvicinano incuriosite al mio rinfresco.
L'attenzione si sposta su Lilian Morgan, che fa il suo ingresso con un abito giallo canarino che arriva fino alle ginocchia, accompagnata da un levriero afgano dal pelo lungo e lucente color crema. Non l'avevo ancora vista da quando ero arrivata, essendo stata accolta e assistita dai domestici nell'allestimento. Mi ignora avvicinandosi rapidamente a un'anziana signora con un chihuahua isterico che ringhia senza sosta. Servo una giovane donna con un barboncino che indossa un papillon blu, il quale si sporge per annusare curiosamente ciò che gli offro. Delizio l'animale con un mini-cupcake adornato da piccoli biscottini a forma di ossa.
Il tempo vola e appena i cani comprendono che sono la dispensatrice dei loro dolcetti, non mi abbandonano un secondo. Mi ritrovo un Labrador tra le gambe, un carlino che saltella sulla coscia e un dalmata che mi piagnucola davanti. Mi sforzo di soddisfare ogni cliente peloso.
Dopo un'ora la maggior parte degli ospiti si riversa nel giardino, accompagnati dai loro amici a quattro zampe che si godono il sole e scorrazzano goffamente. L'unico solitario, come me, è il levriero afgano. Da quando è arrivato si è semplicemente adagiato in una poltrona all'angolo della stanza, scrutando con aria altezzosa chiunque osi avvicinarsi. Come se disprezzasse la folla di "plebei" nel suo regno.
Un trambusto attira la mia attenzione, non c'è nessuno che se ne preoccupi. Roteo gli occhi al cielo raggiungendo un corridoio vicino. Fantastico, questa casa sembra il labirinto di Alice! Fortunatamente dietro l'angolo trovo il colpevole.
Un maestoso alano nero ha ribaltato un tavolino d'appoggio rovesciando tutto a terra. Prende a zampate una piccola scultura di legno che, obiettivamente, ricorda tanto un pallone. Lo rimprovero e questo si mette seduto con le orecchie abbassate mentre mi inginocchio per sistemare il pasticcio.
Una volta rialzato il mobile d'appoggio torno a sistemare i vari oggetti, tra questi c'è una foto con la cornice rotta, il vetro si è crepato proprio su William. Mi trovo a sorride vedendolo bambino, non sembra avere più di dieci anni. Tiene un trofeo in mano, eppure non sembra felice. Sta ben dritto e sembra quasi scocciato. Alle sue spalle intravedo Thomas, decisamente più giovane ma con la stessa aria gelida che sembra non aver perso nel tempo. Tiene le braccia dietro la schiena osservando il figlio che già all'epoca era di una bellezza incantevole. Ma quegli occhioni candidi come la neve sono terribilmente spenti su un visino tanto innocente.
«I miei ospiti l'attendono. L'ho ingaggiata per fornirci un servizio, non per girovagare per casa» interviene con voce severa la padrona di casa.
Imbarazzata, porgo la foto e balbetto delle scuse. La donna si china leggermente, e in quel momento mi rendo conto di quanto il mio abbigliamento modesto sia in contrasto con l'aura di ricchezza che permea la villa. Accarezzo il cane, cercando conforto tra le sue grandi orecchie e mi avvio con lui lungo il corridoio.
«Odiava giocare a scacchi, cercava solo di soddisfare suo padre. Non amava neanche farsi fotografare ma era affascinato da chi stava dietro quell'aggeggio»
«Preferiva di gran lunga rincorrere per tutta casa Eloise con indosso quel buffo mantello di superman» continuo, pentendomi subito di essermi permessa quel tipo di confidenza.
«Ti ha parlato di mia figlia?» la sua voce incredula e fragile mi sconvolge tanto da farmi voltare verso di lei. Anche se ci separa qualche metro riconosco della confusione nei suoi occhi. Annuisco, incapace di far altro. Guarda nuovamente la foto prima di riporla sul piano di legno.
«Mi dispiace se sono stata crudele nei tuoi confronti. Non è nella mia natura ma, quando si tratta del bene dei miei figli, non mi faccio scrupoli. Non credo tu sia una cattiva ragazza, solo che non sia la scelta giusta per mio figlio. Siete due mondi diversi e quando capirete che non potrete allinearvi, finirete con il collidere uno sull'altro»
Lascio che le sue osservazioni mi feriscano, non oppongo resistenza. Ha solo ribadito la verità.
«Lo spero davvero che voglia il bene di suo figlio. Sia chiaro, non credo sia una cattiva madre. Comunque, non c'è da preoccuparsi, l'abbiamo già capito e William sarà libero di fare le scelte che ritiene più giuste»
«Adesso comprendo cosa deve averlo colpito» riconosce, sorridendo con occhi furbi. Mi ricorda così tanto lui da farmi impallidire. L'abbaiare improvviso dell'alano sembra riportare un po' di normalità nell'aria. Torno al mio lavoro, nel mio mondo. Mentre smonto gli allestimenti al tramonto, la villa si svuota gradualmente e tutto torna alla quiete.
«Già di casa?» la voce stridula di Chantelle mi fa venire voglia di prendere a testate una colonna per spaccarmi la testa. Una signora con un maltese le corre incontro, dev'essere la madre. Sì, mi guarda anche lei in cagnesco adesso.
«Non è il momento, ti prego» borbotto afflitta cercando di accelerare il ritmo. Supplico in silenzio che la terra mi inghiotta.
«Non era il momento di andare a letto con il mio futuro marito» le parole trapelano dal suo cuore ferito. Dio, ti supplico, vuoi farmi pagare tutti i miei peccati in un pomeriggio?
La madre di Chantelle viene richiamata da Lilian, che la guida verso la porta, impartendole qualche istruzione prima di tornare indietro. Si piazza lì, osservando come se stesse assistendo a uno spettacolo. Forse teme una rissa o forse vorrebbe che scattasse. È difficile constatarlo.
La guardo con stupore, sperando che colga quanto la sua presenza sia fuori luogo. Lei, però, resta piantata lì, braccia conserte, come a dirmi: "Ehi, piccola sgualdrina! Sì, tu che hai trombato mio figlio, sei a casa mia. Decido io dove stare."
«Vuoi che mi renda ancora ridicola? Che ripeta delle scuse che, comprensibilmente, non possono giustificare le mie azioni? Che continui a ripeterti quanto sia stato indegno da parte mia farti un torto simile?»
Chantelle crolla in un pianto violento. Gli occhi azzurri ridotti a piccoli oceani tormentati mi inceneriscono come se volessero infliggermi le peggiori maledizioni. Eppure, non riesco a provare rancore o rabbia. Ha tutto il diritto di nutrire astio nei miei confronti. Percepisco il suo dolore, la sua disperazione. È impossibile non condividere la sua amarezza.
Mi avvicino a lei, fregandomene che possa prendermi di nuovo a ceffoni.
«Mi sento uno schifo per quello che ho fatto ma credimi non era nei piani di nessuno. Se potessi rimediare, lo farei! Non pensavo...» tento di spiegare ma le mie parole sembrano vuote, insignificanti davanti al suo dolore. La sua rabbia si tramuta in una cascata di confusione e tristezza.
«Non sai cosa significa andare a recuperare l'abito da sposa e trovarsi una macchina fotografica piena di tue foto.» continua, asciugandosi gli occhi. «Ha fotografato te, Cherry. Solo te. E tutto quello che i tuoi occhi guardavano»
Chantelle chiude le palpebre un attimo, come se cercasse la forza di continuare. Quando li riapre, c'è solo vulnerabilità.
«Non l'ha mai fatto per me. Non mi ha mai guardato così»
E in quel momento, davanti a una donna che ha perso tutto, mi sento colpevole. Le parole non possono sanare questa ferita e il mio silenzio è l'unica risposta possibile.
Chantelle si allontana da me, la sua figura, un tempo così fiera e sicura, ora è piegata sotto il peso del tradimento. Le spalle cascanti, la testa china, come se il suo cuore infranto fosse troppo pesante da portare addosso. E io rimango ferma, osservandola, consapevole di essere l'artefice di questa tragedia.
Si ferma di fronte alla porta con la mano sulla maniglia e si volta a guardarmi con sguardo disilluso.
«Ho passato due anni cercando di essere perfetta per lui. Cercando di incarnare tutto ciò che più desiderava. Neppure un diamante al dito riusciva a farmi sentire abbastanza o a far sì che lo sentissi mio. Pensavo che facendo la brava, essendo sempre impeccabile, tutto sarebbe andato bene!» le sue parole, cariche di amarezza, echeggiano nel silenzio. «Pensi non sapessi delle sue scappatelle prima di te? Pur di averlo mi sono fatta andare bene pure quello! Non ti odio perché ci sei andata a letto, ti odio perché il tuo posto nel suo cuore, doveva essere mio! Era tutto quello che desideravo»
Nelle pieghe delle sue ciglia, c'è il peso di una verità che vorrebbe negare. Sono la causa del suo tormento, la ladra dei suoi sogni. Corre fuori dalla villa singhiozzando e devo frenare quella dannata parte di me che vorrebbe correrle incontro per ribadirle quanto odi essere motivo della sua devastazione. Trattengo il fiato non so più da quanto. Sento la vernice di Chantelle sporcarmi ovunque. E mi sento morire immedesimandomi nella sua pelle.
Lilian si avvicina, il suo sguardo astuto e scrutatore mi penetra ma non proferisce parola. Forse sa che ogni mia difesa sarebbe inutile di fronte a ciò che ho causato.
Chinando il capo mi dirigo verso l'uscita ma un naso umido mi solletica la mano. Il levriero afgano si avvicina con fare pacato, i suoi occhi profondi sembrano riflettere la mia stessa angoscia. Gli accarezzo la testa mentre la padrona di casa osserva la scena con curiosità.
«Sarà perché profumo di cose buone» sussurro, accennando un sorriso forzato ma i miei occhi tradiscono il peso delle emozioni. Lei annuisce leggermente, come se comprendesse più di quanto le mie parole possano esprimere.
«Spero sia andato tutto secondo le sue aspettative. È stato un piacere» concludo vogliosa di evadere da quella umiliazione pubblica.
«Nel gioco della vita, ogni mossa lascia un'impronta. Sii pronta a confrontarti con le tracce che lascerai dietro di te» La sua voce è calma, ma porta con sé una saggezza che colpisce come un monito.
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