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Capitolo XLI | Mille nodi

William

La testata giornalistica locale come previsto mi ha dedicato la copertina della prima pagina. L'icon è per eccellenza assediato da paparazzi e ieri sera mi sono assicurato un posto proprio di fronte uno di questi. Nonostante le strane pieghe prese della serata, tutto è andato secondo i piani. Quando l'autista ferma davanti la pasticceria scendo velocemente. L'alba si nasconde timida dietro una coltre di nuvoloni, assicurandomi di essere solo, sgattaiolo nel retro. Quando entro nel laboratorio mi rilasso, i forni sono già funzionanti e il profumo di dolci mi strappa un sorriso.

«Ho portato la colazione fanciulle!» esclamo entrando in scena sventolando dei croissant. Il mio sorriso si spegne vedendo Cherry seduta su uno sgabello con gli occhi rossi. Florine, in uno stato pietoso, le accarezza la testa teneramente.

«Che facce, passato la notte a vomitare?» domando alla nerd nella speranza di alleggerire la situazione. 

La ricciolina sbuffa nervosamente portandosi una mano sugli occhi mentre la collega, alzando gli occhi al cielo, scuote la testa. 

«Solo un deficiente porterebbe la colazione in una pasticceria» puntualizza, facendomi sciò con la mano e sussurrando qualcosa a Cherry. 

«Volevo fare una cosa car...» non riesco a finire la frase perché mi arriva qualcosa di duro dritto in fronte. 


Prendo la rivista sotto lo sguardo torvo di Cherry che balza in piedi. Non premette nulla di buono quell'espressione. Faccio per avvicinarmi e Florine in segno di protesta sventola le braccia. 

«Fossi in te non lo farei» mi mette in guardia. Non l'ascolto e presto mi trovo a schivare una serie di oggetti, tra cui uno strofinaccio e un cupcake.

«Come non detto!» borbotta la rossa guardandomi di nuovo come se fosse Squiddi di Spongebob

«Ma che ti prende? Eri con me ieri sera! E pensavo anche di essermi fatto perdonare» spiego, raccogliendo la rivista dal pavimento. E di essere punito, soprattutto. La ricciolina corre minacciosamente davanti a me, arrivandomi al petto in tutta la sua ira. Strappa il giornale dalle mie mani e lo schiaffa sul bancone bianco. 

«Uno, ero abbastanza bevuta. Due, non ti vedevo da una settimana. Tre, per farti perdonare non basta leccarmela in un bagno!» 

Rimango di stucco davanti la sua volgarità, mi trovo in imbarazzo e non mi piace. Florine comincia a diventare verdognola, prova a dire qualcosa ma non riesce. Corre verso il bagno con entrambe le mani alla bocca. Direi che questa rientra tra le mattinate più iconiche della mia vita. 

«Ti è caduta la corona principessa» la stuzzico offeso.

«Non ho mai avuto né tanto meno voluto una cazzo di corona. Evidentemente, non mi conosci come credi» spiega velocemente mettendosi con le braccia conserte. Ha gli occhioni contornati da grandi borse e le palpebre gonfie segno di un incessante pianto.

«Mi ha sfiorato l'idea quando ti ho vista portare in bagno mio fratello» controbatto. Al solo ricordo sento le vene ribollirmi. Era stato un colpo basso ed estremamente rischioso. L'occhio mi cade sulla copertina. Ho la camicia leggermente sbottonata, l'espressione compiaciuta e delle ragazze vicine. Molto vicine. Ci sono riuscito. Ho vinto contro mio padre ma a che prezzo? 

«Non sei nella posizione di poterti lamentare e direi che questo lo capirebbe anche un bambino» puntualizza raccogliendo distrattamente i lunghi riccioli in una coda bassa. 

«Era tutto finto» continuo lanciando nuovamente lo sguardo al giornale. 

«No Will, era tutto fin troppo vero!» agitando le mani l'elastico scivola via, liberando nuovamente la sua chioma selvaggia. Sbuffa passandosi entrambe le mani sulla testa. Ho paura che toccandola possa prendere una scossa fulminante. Ogni muscolo del suo corpo è contratto pronto a scattare.

«La gente mi conosce Cherry. Sa benissimo che in una situazione del genere non avrei sorseggiato the e parlato di letteratura russa. Dovevo fingere di essere come ero in passato per levarmi tutti questi avvoltoi di dosso. Dargli quello che volevano, una carcassa su cui avventarsi. Pensi sia stato piacevole? Capisco la tua perplessità ma ricordati che ho dovuto fingere per una vita di essere una persona che non ero. Sono solo abile a mascherarmi»

«William, ad essere sinceri, questo non fa altro che spaventarmi» svela con voce flebile mandando giù un'aspirina. 

«L'ho fatto per te! Hai dimenticato che mio padre ha apertamente minacciato te e questo posto? L'ho fatto per essere lasciati in pace» le ricordo provando ad avvicinarmi. Mi blocca mettendomi una mano sul petto.  

«Se questo è il tuo modo di difendermi non voglio più che lo faccia. Finisce solo per ferirmi di più» ammette mentre gli occhietti verdi vengono assaliti da grossi lacrimoni. Provo ad abbracciarla ma mi respinge all'istante. 

«Ti prego, sapevamo sarebbe stata dura ma adesso possiamo tirare un sospiro di sollievo» le mie stesse parole perdono di credibilità sotto il suo sguardo disincantato e stanco.

«William, ascoltami. Non ho intenzione di continuare a fare questo gioco» sospira massaggiandosi la fronte.

«Non è un gioco! Non avevo scelta, tu non lo conosci! L'ho fatto per te!» provo nuovamente ad avvicinarmi e questa non solo mi fulmina con lo sguardo ma si scansa come se fossi contagioso. Saltando giù dallo sgabello raggiunge il giardinetto sul retro. La seguo mentre si poggia allo stipite della porta accendendosi una sigaretta. Odio quando fuma e contamina il profumo delicato della sua pelle.

«Smettila di dire che l'hai fatto per me, non è vero! Se l'avessi fatto, invece di tenermi all'oscuro, quantomeno mi avresti parlato di questa bellissima genialata che avevi ben pensato di intavolare» spiega indicando la copertina, «continui a fare la vittima dicendo che non hai scelta ma è una cazzata. C'è sempre una scelta e tu fino ad oggi semplicemente hai preso quella più facile. Hai normalizzato questo personaggio che la tua famiglia ti ha cucito addosso e ogni volta che ti senti minacciato da loro lo sfoggi pensando sia la soluzione. Non capisci che non risolve nulla? Sei bloccato dentro un meccanismo malato che ti obbliga a compiacerli»

«Non capisco più un cazzo Cherry. Cosa vuoi che faccia? Dimmelo!»

«A me piace Solo William. Quello che ama la fotografia e che invidia la libertà di un bambino. Non questo. Questo non mi piace perché mi fa male e a farmi male sono bravissima da sola» la ragazza si stropiccia le palpebre con le dita. Come chi ha di fronte un quesito matematico che proprio non riesce a risolvere.

Provo a prendere parola ma mi ammonisce parlandomi sopra.

«Mi ero illusa» un sorriso triste le si disegna sul viso «perché so che non sei quello che gli altri credono o vogliono tu sia. Arrivi tanto soddisfatto qui, convinto che quella porcata di giornale possa arrestare la sete di potere di tuo padre. Sai che non è così, cosa cambierebbe dopo oggi? Riusciamo a vederci due sere in più di nascosto? Poi lo scopre di nuovo e si ricomincia da capo? Capisci che è invivibile? Questa attrazione che c'è tra noi, la passione, non riuscirà per sempre a tamponare le nostre differenze. Arriverà un giorno in cui non basterà, almeno per me. Dimmi, ne vale la pena? Perché sento di stare perdendo tempo» pronuncia quelle parole buttando fuori il fumo. 

«Come puoi parlarmi così? Dopo tutti i miei sforzi, dopo tutto quello che ho fatto» non riesco a comprende se sono deluso, incazzato o ferito. L'unica cosa che percepisco chiaramente è il crescere dell'ansia. 

«Per te sono sforzi, per me sono solo modi di tenere a bada una cosa che ancora non sei in grado di affrontare. Chantelle, tuo padre, Dan, sono cose che avresti dovuto affrontare a prescindere da me! Sono stata una spinta ma erano cose che dovevi risolvere per te stesso. Quando ti ho conosciuto pensavo fossi un egoista invece credi che assecondando i capricci altrui questi ti lascino un po' in pace»

«Per me ne vale la pena. La vera domanda è se per te è lo stesso visto che stai sminuendo la persona che, vorrei ricordarti, hai chiamato amore»

«Era un momento di intimità in cui la leggerezza ha preso il sopravvento. Sono stata superficiale» minimizza con voce tirata per colpa del fumo che le sosta in gola.

«E tu non sei superficiale, dico bene?» rido non credendo alle mie orecchie. Vuole evidenziare ogni differenza. Sta giocando in difesa. Qualsiasi cosa dica o faccia ormai è sul piede di guerra.

«Se c'è qualcuno che ha sminuito qualcosa in questa stanza sei tu. Non aggrapparti a un nomignolo affettuoso è l'ultimo dei nostri problemi. Anche tu mi hai chiamato amore e cosa intendevi? Che mi ami? Neanche riusciamo a frequentarci cazzo! Oppure, semplicemente era un momento di dolcezza e ti sei lasciato trascinare?»

Odio quando deve fare la stronza perché le riesce davvero benissimo. Odio che rispetto qualsiasi donna abbia mai conosciuto è così schietta, sincera, brutale e ferma da far impallidire. Odio che non ci sia un modo per farle cambiare idea quando si impunta su qualcosa. Quando si mette in testa una cosa è quella. Non c'è verso. Guardo i banconi dove ci siamo lasciati andati andare alla dolcezza e all'intimità. E anche se capisco perfettamente le sue ragioni non riesco a frenare l'amarezza che mi attanaglia.

«Non ne vale la pena per te, vero? Tutto questo è troppo grande» farfuglio guardandomi le punte delle scarpe non reggendo il suo sguardo freddo. Il verde dei suoi occhi oggi è spento, non voglio guardarli così. 

«Lo sapevi William. Sono sempre stata sincera a riguardo. Ho delle responsabilità nei confronti di me stessa. Non hai idea di quello che ho dovuto affrontare per essere qui. Quanto ho dovuto sudare per questa pasticceria. Non posso mandare tutto all'aria per qualcosa che nonostante gli sforzi e i sacrifici, non funziona. Vivi i rapporti in maniera diversa dalla mia, se metti a confronto le nostre esperienze comprendi il perché siamo in due fasi completamente diverse della vita. Ci stiamo facendo male e non lo merita nessuno dei due»

«Non ti ho mai chiesto questo»

«No, è vero. Non l'hai chiesto. Era solo una conseguenza. Un prezzo da pagare per essermi avvicinata troppo a te rischiando di mandare a monte non sono il mio sogno ma anche il mio equilibrio. Non posso né voglio che tu scelga tra me o la tua famiglia. Siamo solo troppo lontani per incontrarci»

«Quindi tu..» la mia domanda rimane sospesa. È la prima volta in vita mia in cui mi sento presente ma assente. Derealizzazione. Non mi sembra reale questo scenario.

«Per un po' è meglio se non ci vediamo»

Sono talmente furioso che decido di non aprire bocca. Sento il cuore sprofondare nello stomaco e questo mi obbliga a contrastare un fastidioso nodo in gola. L'ho delusa tante volte ma questa volta è diverso. Prendo la giacca ed esco dal retro mentre gli occhi si velano di lacrime. 

Ecco, le mie linee sono più annodate che mai. Respiro affannosamente mentre cammino tra i vicoli stretti che cominciano a popolarsi. Anche solo provare a contare i nodi di un filo è impossibile. Ricordo il mio mantra e ne acciuffo uno al volo. 

So che è infantile e stupido ma continuo a risentire il suo modo di minimizzare quel nomignolo mi uccideva. Lei, come qualsiasi altra persona sul pianeta aveva amato realmente. Io forse neanche sapevo cos'era l'amore. E lei semplicemente, era stata superficiale. 

Io d'altro canto, non avevo mai chiamato nessuno amore. Né per gioco, né per eccitazione. Mai. Era stata la mia prima volta.

Mi rendo conto che snodando quello minuscolo e apparentemente insignificante nodo, se ne formano altre mille.

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