Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

petali

「musica allegata」

🌸゜ 🍡゜ 🌸゜

Leggeri.

Soavi.

I petali cadevano con grazia dalle fronde ombrose dei maestosi arbusti.

L'aria profumata di uno sbiadito 29 marzo rendeva l'atmosfera ancora più amichevole e lungo il viale i riflessi incomprensibili fatti di luce penetravano tra i grandi rami di ciliegio.

Loro erano lì, sotto cotanta bellezza a osservare come il vento smuoveva le immense fronde alberose.

Seduti,
uno di fianco all'altro,
non c'era bisogno di parole...

🌸゜ 🍡゜ 🌸゜

Dalle finestre sfessurate della classe arrivava quel fresco che oramai si era imposto sulla stagione estiva precedente.
Gli sbuffi di vento che portavano scompiglio tra i banchi di scuola erano piacevoli, tanto che ricominciare ad indossare il sopra della divisa scolastica era ritornato di moda.
Il tempo tra lezione in lezione scorreva piacevolmente lento.

Nessun disturbo, nessuna parola di troppo, pensieri vacanti e un leggero rumore di penne che raschiavano sulle linee bianche dei quaderni.
L'odore dell'inchiostro si era diffuso e fuso con quello del cancellino che era stato appena sbattuto, per evitare l'imminente accumularsi di polvere di gesso.

L'orologio alla parete segnava solo le 9:13 di mattina, seconda ora di lezione.
Mentre la sua matita scorreva per il foglio, si scostò una delle sue lunghe ciocche chiare dietro l'orecchio con fare distratto.
Non era concentrato, no, stava pensando a cose ben diverse dai teoremi di cui il professore stava scrivendo alla lavagna.
No, lui doveva riflettere.

Il suo sguardo marrone-nocciola si spostava in parola e parola, una dopo l'altra, scritte a vanvera, spaiate ma con il cuore.
Vedete, quando ti piace davvero tanto qualcosa si incomincia ad impegnarci corpo ed anima per far si di avere qualche possibilità.
Per lui era la stessa cosa ma il soggetto in questione non era una cosa.
Un ragazzo.
Sì, un ragazzo.
Lui, uno studente modello, voti alti, sempre rispettoso, sorriso smagliante, amava un'altro ragazzo.
Non uno qualunque.
Non uno incontrato per strada.
Ma una persona a lui cara ed importante sotto tutti i punti di vista, forse l'unica che veramente aveva avuto vicino a sé.

Una soffiata di vento gelido lo investì da dietro, così facendo i suoi fogli si scompigliarono e per un paio di secondi le parole scritte freneticamente si persero di vista.
Il nostro ragazzo sbuffò, forse già stufo di quel passatempo che di tanto in tanto occupava la superficie del suo banco al posto dei pesanti libri di terza.
Scocciato della monotonia che accompagnava da tempo le sue giornate, poggiò la sua guancia pallida sul palmo della mano destra.
Così, spostato lo sguardo leggermente più in là, la vista degli alti alberi del cortile esterno si fece notare dietro gli spessi vetri della stanza.
Il ragazzo sbuffò di nuovo: le nuvole erano proprio belle da guardare, sopratutto quando ti stai annoiando a morte.

Dopo dieci minuti buoni passati a scrutare il cielo, schiaritosi nel frattempo, qualcosa di insolito catturò la sua attenzione.
Era arrivato lì, di punto in bianco, quello che doveva essere un pezzo di carta accartocciato con foga.
Il ragazzo, senza scomodare il braccio con cui si stava tenendo il viso, prese il bigliettino con calma.
Aprendolo appena, poteva già distinguere una grafia scritta in nero, molto spessa e macchiata qua e là.
Non era la prima volta che qualcosa del genere gli arrivava direttamente sul tavolo: spesso e volentieri erano minimo tre.
Fogli, foglietti, fogliacci, parole scritte senza riflettere, per offendere, per deridere, per deconcentrare, per scoraggiare.
Chi?

Il nostro povero ragazzo.

Il suo nome era Koushi Sugawara.
Appena arrivato in città, da quattro mesi circa, frequentava il suo terzo anno di liceo, eppure non conosceva nessuno.
Nell'ultima scuola nemmeno.
E nemmeno in quella prima.

L'ultima volta che aveva avuto un vero amico era stato quando aveva 9 anni.
Morisuke Yaku.
Si sentivano ancora, per fortuna, ma dopo la sua partenza per il Canada era rimasto solo.

I suoi genitori volevano il meglio per lui ma c'erano cose che nemmeno loro potevano fare per aiutarlo...

Finalmente la scritta del foglietto si rivelò davanti ai suoi occhi scrupolosi.

Si era aspettato un insulto.
Scritto così bene da riuscirlo a far piangere lì, davanti a tutti.
Si sbagliava.

E ne fu immensamente felice.
Subito la sua testa si voltò verso la direzione da cui era arrivato il bigliettino.
Nessuno dava segni di interesse nei suoi confronti.
Notò solo dopo un po' un altro ragazzo che lo stava guardando.
Immediatamente gli sorrise, per fargli capire che era stato lui a mandarglielo.
Suga comprese al volo.
Si rigirò nel suo posto, afferrò di nuovo la sua amata matita scura e scrisse qualcosa sull'angolo più basso del foglietto stropicciato.
Quando finì, silenziosamente, lo ripassò dietro, verso il banco di quel ragazzo dai capelli scuri e l'animo gentile che prima gli aveva sorriso.
Quest'ultimo prese il bigliettino al volo, con un po' di eccitazione di troppo, e lo aprì velocemente.

Ieri ha aperto un nuovo locale vicino a casa mia, vogliamo andarci dopo?

Certo

Il bruno sorrise non appena vide scritta la risposta dell'altro e rialzò il viso da dietro la carta.
Guardò di nuovo Suga, che gli fece un gran sorriso.

Il ragazzo bruno si chiamava Daichi.
Daichi Sawamura.
Era l'unico che in quei suoi primi mesi di scuola lo aveva calcolato.
Il resto della classe era diventata ostile verso Suga, come del resto tutto il resto dei ragazzi delle altre sezioni.
Nessuno voleva dialogare con lui o uscirci.

Ma poi era arrivato Daichi.
In un primo momento Suga non si fidava, tutte le volte che qualcuno si avvicinava a lui lo faceva solo per ridergli in faccia.
Poi, andando avanti con il tempo, Daichi si dimostrò un amico leale e pronto ad aiutarlo nel momento del bisogno.
Addirittura una volta si era beccato un pugno dritto in faccia per proteggere Suga.
Koushi si era precipitato dall'amico, lasciato mezzo sanguinante ed intontito per terra, e l'orrore si dipinse sul suo viso: a Daichi era saltato un dente.
Suga si era scusato tantissime volte ma Daichi continuava a dire che lo aveva fatto coscenziosamente di ciò che sarebbe potuto succedere.
E quando Suga si rialzò dall'inchino che stava facendo vide un Daichi sorridente che lo sollecitava nell'alzarsi.

Quella fu la prima volta che Suga si era innamorato.

Sì, il ragazzo a cui scriveva lettere mai consegnate in cui dichiarava il suo amore era proprio Daichi.

Ma come già detto, non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo.
E non poteva dirglielo.

Per due ragioni fondamentali.
Per prima cosa non voleva rovinare quel loro rapporto così perfetto, così nuovo e felice che finalmente Suga poteva chiamare amicizia.
Seconda cosa...

Suga non veniva insultato a caso.
Nessuno avrebbe mai potuto pensare di ridere alle spalle di un così tanto bravo ragazzo.
Il fatto era che, fin da tenera età, Suga era stato diverso da tutti gli altri bambini.

Suga era sordo.

Dalla nascita.

E non vi era rimedio.

Ovviamente a volte poteva indossare un un'apparecchio acustico per percepire meglio i suoni, che però rimanevano lo stesso incomprensibili.
Per questo gli altri bambini lo avevano sempre escluso.
Nel suo penultimo anno alle elementari, per fortuna, aveva fatto conoscenza con un bimbo di nome Morisuke.
A quanto pare Morisuke aveva imparato il linguaggio dei segni già da più piccolo, perché per coincidenza il cugino straniero aveva gli stessi problemi d'udito.
Morisuke aveva detto a Suga che suo cugino, chiamato Kenma, in realtà era nato in giappone ma poi i genitori si erano trasferiti in Canada, vicino ai parenti dalla parte della madre.
In fin dei conti Suga non si era mai lamentato di quanto l'amico parlasse, a lui andava benissimo poter stare in compagnia di qualcuno.
Ed era proprio da lì che proveniva l'abilità di Suga nel capire il labbiale altrui: si era abituato così tanto al logorroico e curioso bambino dai capelli marroncino sabbia di nome Yaku che alla fine si era ritrovato a poter riuscire a capire quasi del tutto anche senza una traduzione.
Alla fine, come già detto, Morisuke era dovuto partire per il Canada con i suoi che avevano trovato lavoro vicino ai parenti.

Il povero Suga, rimasto in Giappone con solo il foglietto con il numero di telefono di casa Yaku, aveva dovuto affrontare tutte le medie e due anni di liceo tra bulli e pregiudizzi.

In primo liceo era rimasto assente per depressione per ben metà del secondo semestre.
Alla fine dovette cambiare scuola.

Successe la stessa cosa anche in secondo, solo che questa volta per l'innumerevole quantità di apparecchi rotti dai ragazzini che lo volevano per forza tormentare.

Verso il suo terzo anno di liceo i suoi ebbero la brillante idea di trasferirsi da quella che era la piccola cittadina di Miyagi alla grande città di Tokyo, tanto bene la capitale.
Lì loro figlio sarebbe potuto andare a studiare in serenità e alle migliori accademie.
E così successe.
Suga passò diversi esami e fu reputato uno dei più intelligenti studenti del complesso scolastico che ora frequentava.
Ma a quanto pare nemmeno lì avrebbe avuto pace.

Le lezioni, terminate grazie al suono della campanella, sembrarono volate più velocemente del solito.
Quel giorno in tutto l'istituto si sarebbe svolta solo metà giornata di studi perché a breve ci sarebbe stato un leriodo di vacanza.
Raccogliendo i suoi libri e il suo materiale, Suga infilò in spalla la sua borsa leggera e aspettando Daichi sull'uscio della porta della classe mentre il bruno stava salutando un'altra compagna, una certa Michimiya, tirò un sospiro profondo.
Prese il cellulare per avvertire sua madre che sarebbe rimasto fuori per pranzo e che non sarebbe tornato prima delle 4.

Quando finalmente Sawamura si decise ad uscire, Koushi gli fece un altro gran sorriso mentre gli faceva segno di guidare la strada per il nuovo posto di cui aveva parlato.
Un altro incredibile aspetto di quel ragazzo, che lo aveva raccolto quasi come un gattino fradicio sul ciglio dell'autostrada, era il fatto che Daichi si fosse deciso - impuntato, più che altro - ad imparare autonomamente il linguaggio dei segni con le mani; diceva sempre non fosse un problema, che fosse divertente ed interessante.
Così capirsi a vicenda da lì in avanti fu un tantino più semplice per lui e l'amico sordo-muto.
Spesso riusciva a far ridere Suga sbagliando segno e componendo frasi senza un vero senso logico e ne andava fiero dato che vedeva Koushi ridere veramente di rado durante il giorno.

Camminando per i corridoi, raggiungendo l'uscita dell'imponente edificio quale era la loro scuola, si misero a 'discutere' del più e del meno.

"Ultimamente sei molto silenzioso, Daichi"

Mosse con veemezza le mani Suga, cercando di indispettire l'altro.

"È che sono leggermente stanco, tutto qui"

Rispose l'amico, che oltre a gesticolare parlava per far leggere meglio il suo labbiale all'altro.

"Dovresti prenderti un giorno di riposo allora, non credi?"

Fece un'espressione seria Suga.

"No non potrei: tra poco avremo gli esami e devo assicurarmi di aver studiato come si deve"

Gli fece convinto il maggiore.

"Contendo tu"

Il silenzio era una cosa quotidiana per Koushi, così normale che oramai non era più neanche curioso nel sapere come fossero veramente i suoni attorno a lui.
Solo che in quel momento avrebbe tanto voluto poter sentire la voce di Daichi.

🌸゜ 🍡゜ 🌸゜

Era sbagliato.
Era tutto completamente sbagliato.
Lui non c'era più ed era colpa della sua codardaggine.

Sì, si erano salutati.
Sì, si erano promessi di risentirsi durante il lungo lasso di tempo in cui non si sarebbero più visti.
Si, aveva più volte pensato di prendere il primo treno delle 6 e andare chissà dove a cercarlo.
Eppure non c'era mai riuscito.

Lo aveva visto un ultima volta quando il giorno dei diplomi si erano fatti i più buoni auspici, da grandi amici qual'erano, e si erano abbracciati nella speranza di un prossimo incontro con l'altro.
L'unica cosa che però era rimasta a Daichi era un'immagine sbiadita del suo sorriso ed un immenso vuoto nel petto; inizialmente aveva sperato, aveva pregato le sorti che Suga sarebbe rimasto con lui, ma la vita non va sempre come dovrebbe. Koushi si era trovato una sistemazione buona, anzi, buonissima verso il nord del paese e aveva deciso di trasferirsi lì per frequentare i corsi della sua tanto amata università.

In altre parole, se ne era andato per sempre.

Sawamura inizialmente digerì la cosa, si sarebbero tranquillamente potuti rivedere quando volevano, erano adulti ormai e ne avevano il pieno diritto.
Ma da quando non ricevette più messaggi dal ragazzo albino, incominciò ad affondare in quella barca di pensieri e rimorsi che ormai lo aveva fatto affondare: andare a studiare da un'altra parte significava anche rifarsi una vita da un'altra parte e Daichi si accorse che era stato proprio una scelta sciocca lasciarlo andare così.
Gli faceva male, troppo, e la cosa peggiore era che non capiva il perché.
Erano amici e le amicizie vanno e vengono... eppure no, il suo cuore e la sua testa dicevano l'opposto e stavano altrove rispetto alla vera realtà.

Anche lui si era trovato un'università che rispettasse i suoi desideri e sogni di imparare il mestiere - più avanti avrebbe tanto voluto fare il medico - e aveva conosciuto molte persone gentili e brillanti, ognuno con personalità e caratteri diversi.
Però a un certo punto gli incominciò a parere tutta una messa in scena: lui in realtà non era felice, anzi cercava di sembrarlo solo per autoconvincersi che tutto andasse bene. La mattina si alzava e si chiedeva come, come fosse arrivato a fingere la sua esistenza.
E tutto questo perché?
Perché non era soddisfatto degli eventi fortunati che gli erano capitati durante gli ultimi due anni?

Lui avrebbe solo voluto una cosa.

Anche solo un messaggio.

Lui avrebbe voluto Suga.

E se ne accorse solamente in un tardo pomeriggio di gennaio, steso per terra sul suo parquet, stanco e stufo, assillato dalle sue insicurezze.

Il cellulare squillò.
Daichi non dovette neppure alzarsi dato che anch'esso era per terra a qualche centimetro di distanza dalla sua testa. Allungò un braccio per afferrarlo, pigiò il tasto per accettare la chiamata e portò l'oggetto elettronico all'orecchio.

"Sì?"

Il suo tono sembrava più smunto del solito.

"Sawamura, scusa per il disturbo"

"Oh Iwaizumi, non mi disturbi affatto, cosa vuoi?"

"Oikawa mi ha chiesto di chiamarti per chiederti se avevi ancora quel fascicolo sulla lezione di psicologia della scorsa settimana"

"Ah, certo"

Il bruno si alzò da per terra, anche se di mala voglia, per dirigersi verso la sua scrivania, affollata da pratiche, appunti e libri di medicina avanzata.

"Se posso chiedere, perché chiami tu e non direttamente lui?"

"Sta stravaccato sul divano e non si vuole alzare, dice che gli fa male la testa..."

"..."

"Lo so, è tutta una messa in scena"

"Uff, certo che non si stanca mai di fare il bambino di 5 anni, eh?"

Daichi borbottò tra sé e sé, mentre faceva mente locale su dove avrebbe potuto essere il fascicolo richiesto.

"Sawamura?"

"Si"

"Posso chiederti una cosa? Tanto per"

"Mmm, dimmi"

La linea andò un attimo silenziosa, l'unico rumore erano le carte sopra il banco da lavoro di Daichi che venivano spostate dal loro proprietario.

"Stai bene?"

Il bruno si fermò, attonito.
Gli scese un groppo in gola.
L'amico proseguì.

"Chiedo perché ultimamente ti vedo un po' giù..."

"Beh, io-"

Rifletté su quello che voleva dire, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
Iwaizumi era una persona perspicace, forse anche troppo, ma oltre ad essere diretto e schietto aveva un'attenzione molto debita allo stato d'animo altrui.
Non per nulla stava aspirando a diventare uno psicologo.
E in quel momento Sawamura, che sapeva che l'amico avrebbe potuto capire se gli stava mentendo o meno, fu grato del fatto che in certe circostanze era obbligato a parlarne.

Lui stava bene?

Era il momento del ricevere una risposta da uno specialista - se vogliamo metterla così - dei sentimenti e gli atteggiamenti dell'uomo.

"...Iwaizumi?"

"Si?"

"Non credo di star bene"

Rispose secco dopo la lunga pausa presa per rifletterci.

"Come sospettavo... non riesci a dormire o qualcosa del genere?"

"No no- ecco, potrei farti qualche domanda?"

"Se questo ti aiuterà con i tuoj problemi, si, sono a tua completa disposizione"

"Grazie, sai è da un paio di mesi che non mi sento più soddisfatto; ho un non so che di nostalgico che mi offusca la mente"

"Mmn"

"E, beh, credo di sapere il perché ma al contempo mi pare una cosa troppo stupida e insignificante per la quale deprimersi"

"Sentiamo"

"Allora, immagina che per un bel po' di tempo durante la tua vita hai conosciuto una persona particolare, unica se posso osare dire, che ti ha colpito nel profondo e ti ha lasciato un non so che di speciale..."

Daichi sorrise al pensiero leggiadro delle prime volte in cui aveva accompagnato a casa Suga sulla sua bicicletta dal cestino in vimini.

"E poi tutto ad un tratto quella persona non c'è più, se ne va dalla tua vita augurandoti buon viaggio, che le cose ti vadano sempre per il meglio in futuro.
Per un po' dimentichi quella persona..."

"Sawamura"

"Mm?"

"So che stiamo parlando di te, quindi andrei dritto al punto: ti manca, non è vero?"

"...si"

"Bene, a tutti possono mancare dei familiari o amici lontani, è normale e umano provare un senso di lontananza e vuoto quando si ha qualcuno non a 'portata di mano' diciamo... eppure, se la situazione è per come l'hai descritta, mi sorge in mente un dubbio che purtroppo ho bisogno di chiederti"

"Va bene"

"Cosa provi per quella persona?"

Daichi fermò definitivamente i suoi movimenti alla ricerca dell'insulsa richiesta di Oikawa, che si erano oramai ridotti a uno sbirciate inconsueto sulla sua scrivania.
L'aria non sembrava arrivargli al cervello, sentiva le guance prendere letteralmente fuoco, la saliva seccarsi mentre cercava di tirare fuori qualsiasi verso o parola.

Cosa provava per Suga?

"...Iwaizumi?"

"Si, sono sempre qui"

Ridacchiò l'amico dall'altra parte del ricevitore.

"Io credo che... io credo che quella persona sia più che particolare, più che unica ma sopratutto più che speciale... cosa significa?"

"Mio caro Daichi"

Gli rispose con tono leggero e spensierato, cone se stesse solamente risolvendo un addizione in matematica.

"Se i sintomi sono quelli che mi hai fatto capire... o ti sei preso una bella cotta o sei proprio fuso per quella persona"

Infine Daichi ebbe la sua maledetta risposta.

🌸゜ 🍡゜ 🌸゜

Mori-chan:
Te l'ho detto cento volte e non intendo dirtelo di nuovo, scrivigli

Io:
Ma moriii

Mori-chan:
Niente ma, avresti dovuto farlo da decenni Suga

Io:
Non si ricorderà neanche di me...

Mori-chan:
Da come me ne parlavi al liceo, Daichi era un tuo grande amico, no?

Mori-chan:
È ovvio che ti ricorderà non è passato mica tutto questo tempo

Mori-chan:
Parlagli

Koushi sbuffò annoiato, abassando la testa sul libro davanti a sé sul piano del largo tavolo di camera sua.
Era da settimane che non pensava ad altro.
In quell'ultimo mese era riuscito a scriversi seriamente con Yaku, che gli aveva accennato che sarebbe ritornato in giappone tra qualche mese con il fidanzato, e la maggior parte delle loro conversazioni - oltre al tenersi aggiornati sulle vite di entrambi - era costituita dalle ansie di Suga e da Morisuke che continuava a incitarlo.

Ma che senso aveva continuare a pensarci se tanto non aveva speranze di rincontrarlo?

Koushi avrebbe molto voluto, più di qualsiasi altra cosa, riallacciare i rapporti con il ragazzo gentile del suo ultimo anno di liceo, quello con cui si scambiava occhiatine in classe, quello con cui usciva perché unico e vero amico, quello per cui si era preso una cotta tutto tranne che passeggera.

Avrebbe tanto voluto parlare di nuovo con Daichi.

Eppure non ne aveva il coraggio.
Il numero di Sawamura era lì, salvato nella sua rubrica che lo sbeffeggiava ogni volta che cercava un altro contatto.
Non riusciva a contattarlo perché, forse, dopo tutto l'altro era andato avanti con la sua vita e si era dimenticato del bambino sordo-muto per la quale aveva addirittura perso un dente.
Doveva essere così per forza, se Daichi avrebbe voluto averci a che fare lo avrebbe richiamato o raggiunto in qualche modo.
Ma niente.
E a Suga gli si riempì il cuore di rimpianti, a volte rimaneva sul letto cercando di non piangere e di alzarsi per affrontare un'altra giornata.
Il tutto stava diventando stancante, pesante quasi.

Caro destino, ti sto chiedendo solo un'ultima possibilità...

🌸゜ 🍡゜ 🌸゜

In vista del grande festival estivo a Tokyo, il famosissimo Mitama Matsuri, Suga venne contattato da Morisuke che gli annunciò felicemente che sarebbe arrivato di lì a pochi giorni nel paese natale per accompagnarlo e fare visita alla grande città, dove i genitori di Koushi ancora residenziavano e lo avrebbero accolto calorosamente al suo ritorno.
E così, un tardo pomeriggio di luglio, qualche giorno prima l'apertura del festival che da tradizione aveva inizio il 12, era arrivato fremente dalla gioia all'aeroporto per rivedere il suo amico di vecchia data. Si era sistemato davanti alla lunga vetrata della hall, da dove poteva vedere aerei venire e andarsene. Era affascinante come il sole rifletteva sulle fiancate immacolate degli enormi mezzi, che ogni giorno trasportavano persone a centinaia, e in lontananza il cielo chiaro e afoso si distingueva.

D'improvviso si sentì toccare la spalla da qualcuno e sobbalzò, rinvenendo da i suoi pensieri. Girandosi non fece in tempo a riconoscere la figura minuta ma vivace che gli si era presentata di fronte che fu abbracciato con tutta la forza possibile ed inimmaginabile.
Morisuke, che aveva lasciato qualche metro più in là la valigia pesante di un color pastello molto chiaro, gli si era praticamente precipitato addosso per salutarlo con enfasi.
Quando si staccarono Suga stava sorridendo come non mai.
Yaku ricambiava l'enorme sorriso con il suo.
Lo salutò nella lingua dei segni e gli prese poi una mano, dolcemente, per farlo alzare e presentarlo al suo ragazzo.

Lui è Tetsuro, l'imbecille di cui ti avevo parlato

I suoi movimenti erano fluidi, probabilmente dovuti al fatto che aveva esperienza dato il fatto che potesse comunicare con il cugino solo in quel modo, e sembrava molto orgoglioso di saper finalmente parlare decentemente con Koushi. Al contrario, Tetsuro, stava lì un po' in imbarazzo e molto probabilmente, non sapendo come comportarsi, fece un mezzo inchino amichevole per salutare la nuova conoscenza.

È un piacere conoscerti

Gli fece con le mani, anche se i gesti erano poco comprensibili e approssimativi. Suga apprezzò comunque l'impegno.
Il trio di ragazzi si diresse verso le uscite dopo aver recuperato tutti i bagagli sul nastro trasportatore.
Per Koushi quella settimana sarebbe forse stata la più fortunata della sua vita.

🌸゜ 🍡゜ 🌸゜

"Oi Daichi, sei dei nostri?"

"Mmn?"

Il bruno alzò di poco la testa dal pesante libro di formule e aneddoti su malattie trasmissibili per poter guardare meglio Tesushima.

"Uff, stavamo dicendo che potremmo andare a farci un giro in fiera questa settimana, per distrarsi un po' dico"

Il ragazzo seduto opposto a lui, capelli mezzi biondi tinti tirati su con il gel e le sopracciglia costantemente sarcastiche e meschine, appoggiò il gomito sullo schienale della sua sedia, tirando di poco indietro il capo. Aveva l'aria di un delinquente a volte, con tutti quei piercing e i vestiti spesso e volentieri di varie sfumature di grigio, ma in fondo era una persona intelligente e brava con le parole, un altro dei suoi compagni di corso e forse uno dei pochi ad essergli veramente simpatico.

"Non è una brutta idea: Oikawa non fa che parlarmi d'altro, almeno per una volta chiuderà quella fogna"

Iwaizumi, seduto vicino a Sawamura, continuò a pigiare freneticamente sulla sua tastiera, intento a buttar giù un'ottima relazione sulle sinapsi e i disturbi cerebrali a lunga durata.
Insomma erano un po' tutti indaffarati in quel periodo, tra esami e assegnazioni da portare a breve termine nessuno si era nemmeno alla lontana concesso di rilassarsi un po'.
Forse la proposta di Terushima sotto quell'aspetto non era poi così male.

"Ok, potrebbe andare. Chiamo anche gli altri? Non so, magari gli farebbe piacere poter venire..."

"Ottima idea!"

Il finto biondo sfrugò nel suo borsone da lavoro per ripescare il cellulare e scrivere al resto del loro gruppetto.
Sawamura si scompigliò i capelli e si passo una mano in fronte per stroppicciarsi un po' il viso: era esausto.

Quindi una piccola 'vacanza' in buona compagnia gli parve più che un'ottima iniziativa.

🌸゜ 🍡゜ 🌸゜

Le coincidenze a volte capitano

Oppure era cosa voluta

Il festival era già iniziato da un paio di giorni: le bancarelle, il profumo di crêpes e zucchero filato riempivano le vie della grande città, illuminata dalle varie luci estive che erano state sistemate come addobbi per la sera.

Avvolto in un comodo yukata, Koushi passeggiava di fianco al suo gruppetto di amici: Morisuke e Kuroo stavano guardando in giro per trovare il gioco del tiro al bersaglio - Yaku aveva sfidato il suo ragazzo a una gara e chi perdeva doveva pagare i takoyaki della serata - e alla sua destra aveva Akaashi, un suo amico e kohai di corso con cui aveva legato molto e che per coincidenza era anche lui ritornato a Tokyo per la festività. Anche se Suga non poteva ascoltare il fremore e la gioia della folla la poteva percepire; i bambini sgattaiolavano tra le gambe degli adulti e il profumo dei dango e dei mochi era veramente invitante. Sì, insomma alle fiere ci si viene per provare le specialità del posto e divertirsi, quindi viziarsi un po' non avrebbe fatto male, no?
Ma quando finalmente a metà serata Koushi riuscì a comprarsi una porzione di takoyaki - Kuroo aveva perso la sfida e aveva dovuto offrire lui - qualcuno di così disgraziato, mentre Koushi si girava per raggiungere il suo gruppetto, gli venne addosso e lo fece quasi cadere.
Il suo snack cadde per terra e così anche il morale del ragazzo albino.
Quando guardò su, abbastanza arrabbiato, per scoccare un'occhiataccia a chi gli fosse venuto addosso, però, si immobilizzò sul posto.
Vide la faccia sorpresa e agitata di un certo bruno che con le labbra chiamava il suo nome - o almeno era quello che riusciva a leggergli dal labbiale.

"Suga??"

Koushi osservò strabiliato Daichi.
Si riprese e scosse la testa in un segno di assenso, incominciando a sorridere come uno scemo.
Sawamura, che pensava stesse avendo le traveggole, balbettò più volte il suo nome e quando si ricordò di dover usare la lingua dei segni si schiarì la voce - anche se non ce n'era bisogno- e si raddrizzò, aiutando l'altro a riprendersi e a stare in piedi per bene dopo quella spallata.

È bello rivederti

Gli fece felicissimo dopo che si erano messi un po' in disparte dal flusso di gente. Koushi fece un cenno con la testa come per dire si, anche per me
Daichi sospirò divertito. Grazie a dio si ricordava ancora come comunicare in quella particolare miniera.

Allora che mi dici?

Nulla di speciale, sono tornato qui per stare un po' in famiglia e con gli amici

Anche io giravo con il mio gruppo

Sawamura guardò un attimo sopra la spalla del più basso e fece un'espressione imbarazzata.

Ma misà che li ho persi

Suga ridacchiò silenziosamente.

Vuoi che ti aiuti a ritrovarli? Anche io dovrei ritrovare i miei a questo punto

Grazie infinite

Il bruno gli strinse la mano in segno di riconoscenza. Fece per ritirarla, incominciando a dirigersi verso il punto dove probabilmente stavano i loro amici, ma Suga non la lasciò. Ci fu un attimo di confusione sul volto di Daichi, che osservò come le candide dita dell'amico di lunga data si erano quasi come accomodate sulle sue, di una sfumatura di rosa pelle molto più scura. Sawamura, ancora attonito, rivolse gli occhi verso il volto altrui per notare le sue guance arrossate. Koushi lo guardava, da dietro le lunghe frange di capelli chiari che gli ricadevano dolcemente in fronte, con un'espressione nervosa quasi, come se si stesse pentendo del piccolo gesto d'affetto.
Daichi gli sorrise.

Così, senza dire nulla, il bruno strinse piano il dorso della mano dell'altro e si schiodò da quel punto, di fianco a una piccola bancarella di ciondoli porta fortuna, e li guidò tra la folla. Avevano entrambi il cuore a mille, e sinceramente Daichi avrebbe giurato di poter vomitare o perdere la sensibilità alle gambe in quel momento, eppure non si azzardò a lasciare la mano calda e accogliente di Suga.

Quella sera, dopo che ambedue i ragazzi ebbero ritrovato i loro compagni e fecero le presentazioni di tutti, il consistente gruppo di persone si diresse verso un punto dove avrebbero potuto vedere bene lo spettacolo di fuochi d'artificio di quella sera. Quando il primo botto si sentì scoppiare nell'aria frizzante della serata, molta gente rimase ammaliata, c'era chi aveva portato le solite stelline che i bambini si divertivano ad agitare, le coppie si stringevano godendosi il paesaggio e altrettante persone applaudivano ogni volta che un nuovo razzo di colori emetteva il fracassante rumore e sprigionava le grandi scintille luminose nel cielo.

Sotto quelle luci tanto splendide c'erano Daichi e Koushi che si stringevano ancora la mano.

🌸゜ 🍡゜ 🌸゜

Sì, ci siamo rincontrati, ma mi è sembrato più un sogno che la realtà

Suga si era più volte ritrovato in questa situazione: finestra aperta, sguardo perso nel nulla, lacrime agli occhi, telefono a portata di mano, una lettera depressa abbandonata accartocciata sulla scrivania di camera sua, pensieri malsani per la testa, dopo una giornata molto discutibile passata a disperarsi o per aver perso il treno o per le assegnazioni in facoltà o per aver perso le chiavi di casa-

Koushi, se si può dire, aveva saputo fin dall'inizio che la sua vita non sarebbe stata mai facile, era sordo e quasi muto, era diverso in poche parole. Di base era sempre stato una persona abbastanza positiva, disposta ad aiutare chi ne aveva bisogno, e i suoi genitori lo avevano sempre sostenuto in tutti quei anni di sofferenza... però c'erano momenti come quello che stava passando adesso, seduto per terra sulle piastrelle gelide del bagno, che gli parevano quasi viscose al tatto - e si sentiva come se lo stessero ingoiando lentamente - momenti in cui avrebbe solo preferito sparire. La piccola luce attaccata svogliatamente al soffitto dell'ambiente procurava quel poco di luce che gli serviva per distinguere la piccola chiazza rosso scuro che si era creata sul suo avambraccio.
Non ci aveva mai provato, anzi non si era nemmeno azzardato a tagliarsi, le lame gli facevano inquietudine e la sola idea di lesionarsi gli faceva venire il vomito.
Però quando per la sua maldestria, appena alzatosi da una dormita di nemmeno tre ore dopo una sessione di studio abbastanza pesante, si era diretto verso il bagno - sbirciando sull'orologio di camera sua l'ora, era quasi mezzanotte fonda - e aveva sbattuto contro il mobile degli asciugamani e lo specchio appogiatoci sopra gli era caduto addosso, per poi finire in frantumi a terra. Anche se lo specchietto era di grandezza modesta, il lungo taglio sul suo braccio spiccava in quel mezzo macello e Koushi, a un certo punto, si era accasciato per terra a osservarlo.
La botta al mobilio, il fracasso dello specchio, il vetro infranto a terra...
Koushi non li aveva sentiti.
E sinceramente, anche se non era il migliore dei suoni, avrebbe voluto sentire i suoi stessi singhiozzi mentre veniva preso succube da quelle malasanità che a volte lo riaccoglievano tra le loro braccia.

Cominciò a pensare troppo.

Avrebbe potuto fare una cosa stupida, molto stupida.
Le tendine della finestrella del suo bagno ondeggiavano alla leggera brezza notturna, che veniva dal vetro aperto, in una danza quasi affascinante, quasi come in un richiamo diretto a lui stesso. Quella leggera sfumatura di verde-acqua che da sempre aveva adornato la finestra di fianco al lavandino dalla base scheggiata, pareva il lembo di un leggiadro vestito di seta che si esercitava in piccoli ma accurati movimenti, che si andavano a perdere quando il vento si fermava e la tenda si sgonfiava.

Alzandosi, barcollando un poco, si diresse lentamente verso la fonte di vento che entrava capriccioso da oltre la tendina, a passi calcolati e leggeri.
Rimase a guardare, quando arrivò di fronte al piccolo davanzale, la tenda che continuava a dimenarsi.
Poggiò prima una mano, sguardo vacuo, e poi appoggiò l'altra sulla finestra, spostando da una parte la tendina.
Poi guardò oltre l'uscio della finestra: il nulla.
Un salto nel vuoto di parecchi metri, fatale se per caso o per sbaglio qualcuno avrebbe affrontato una caduta del genere.
I suoi polmoni persero il respiro, le costole gli parevano costringerlo, le mani incominciarono a sudare e a tremare e una forza che gli partiva dall'ombelico gli diceva di andare oltre, spingersi in avanti per poter osservare il cielo stellato meglio-

Con la coda dell'occhio vide un fiebile bagliore, provenire dall'altro lato della stanza, riflettersi nell'ultimo specchio rimasto intatto di quel maledetto bagno, quello grande sopra il lavandino a fianco.
Era il suo telefono.
Rimase a fissare un punto fisso oltre la soglia della finestra...
Cosa stava facendo?
Di corsa, si staccò da quella cornice in legno che ora gli pareva strillasse pericolo e si affrettò a raggiungere il suo cellulare, che aveva ricevuto una notifica - ancora, quel poco sangue che gli era uscito dalla ferita sull'avambraccio continuava a espandersi della sua pelle.
Sbloccò lo schermo, pigiò direttamente l'applicazione delle sue chat e vide l'ultimo accesso di chi probabilmente gli aveva scritto.

Daichi.

Oh grazie al cielo.

Sembrava un messaggio non troppo lungo quello che gli era stato recapitato e si prese un attimo di tempo per ritornare a respirare regolarmente.
Ti sei appena fatto venire un attacco di panico, deficiente.
Si rimproverò da solo mentre strappava distrattamente un pezzo di carta igienica per ripulire il sangue che gli gocciolava dal gomito.
Quando ebbe finito ritornò al messaggio. Lesse.

Scusami se ti disturbo a quest'ora Suga, so che sei spesso occupato in questi giorni con lo studio e che anche se ci parliamo di nuovo mi avevi chiesto di passarti a trovare, ma volevo farti una sorpresa e non mi potevo trattenere fino a domani mattina quindi...
Aspettati visite ;)

Visite?
Koushi rilesse l'ultima parte del messaggio...
Visite...
Un altro messaggino sbucò sotto gli altri in quel momento.

Ah e se non si fosse capito, sono di sotto ad aspettare che tu mi apra :))

Suga sarebbe potuto morire di gioia così com'era, in quell'istante.
Dimenticando di chiudere le luci, lasciando i frammenti rotti dello specchio nel bagno e lanciando il telefono chissà dove, attraversò il suo appartamento a grandi passi e aprì il lucchetto del portone, con forse troppa frenesia, dirigendosi a capofitto giù per la rampa delle scale del condominio. Aveva addosso solo un paio di calzini e si stringeva il leggero cardigan sopra al pigiama, che aveva acchiappato prima di uscire dal salone, sulle spalle fredde. Arrivando al pianerottolo dell'entrata della grande costruzione, scorse da oltre le porte a vetri una figura alta e di buona corporatura che sembrava stesse cercando un nome sulla lista dei citofoni. Koushi afferrò la maniglia con vigore e quando finalmente aprì la porta d'ingresso se ne strafregò dell'espressione sorpresa ma felice di Daichi e gli si buttò praticamente al collo, stringendolo a sé come non aveva mai fatto.
Non sentì le domande preoccupate di Sawamura quando ricominciò a piangere come prima nel bagno, scosso da piccoli singhiozzi e con le sue guance umide che si gelavano data l'aria al quanto fresca sotto il portico.

Daichi, dopo essere salito in casa da Suga - era riuscito a calmare Koushi con un lungo abbraccio - e dopo aver visto il taglio e il macello in bagno, decise di rimanere ad aiutare l'altro a ripulire e propose di fare una tisana mentre rassicurava Suga da tutto il trambusto e il brutto momento che aveva passato.
Finirono per addormentarsi sul divano della piccola ma accogliente sala di Koushi, praticamente abbracciati, sotto la calda coperta che si erano procurati a un certo punto della loro conversazione.

🌸° 🍡° 🌸°

La prima volta che Sawamura gli propose di uscire insieme, Suga era su di giri: era oramai da un paio di mesi che si erano tornati a  frequentare spesso e forse, forse, anche Daichi era interessato in una relazione seria. Così, quando si presentò alla stazione dove il bruno lo sarebbe venuto a prendere per la loro prima uscita ufficiale, sembrava un bimbo a cui avevano appena conmprato il gelato, felice come una Pasqua.
Era una bella giornata di febbraio, l'arrivo della primavera si poteva riconoscere dal familiare cambio di colore e sfumature da parte della flora e il cinguettio dei passerotti che allietava l'aria quasi profumata di germogli freschi.
Suga amava la primavera.
Vestito con un outfit abbastanza comodo e casual - jeans, adidas e un cardigan sopra una camicetta - si distingueva tra la folla per il suo viso sorridente e spensierato, contento della bella giornata che avrebbe passato in compagnia. Daichi si presentò con tre minuti di anticipo - tutti lo sapevano, Sawamura preferiva arrivare prima che in ritardo - e offrì un braccio a Suga, da buon gentiluomo qual'era, che Koushi ridacchiando prese, appoggiandosi un po' a lui, e insieme si diressero a braccietto verso uno dei tanti caffè per le strade affollate.
A volte le piccole cose, come quella di condividere una fetta di torta al limone troppo grande o ridere come due idioti per una foto imbarazzante sul telefono, erano quelle che contavano veramente e Daichi e Koushi erano due fra le poche semplici persone che custodivano attimi così semplici ma preziosi come tesori.
Perché anche solo stare a fissare per ore il tramonto, seduti insieme su una panchina, dopo una lunga passeggiata per il parco, era il migliore dei momenti.
Quella sera, dopo un appuntamento così perfetto e carino, quando Daichi riaccompagnò Koushi a casa e gli disse che lo avrebbe chiamato non appena avrebbe preso il treno per casa - purtroppo abitavano ancora in due città differenti - il ragazzo albino non ci pensò due volte e lo trattenne per dargli un bacio sulla guancia e ringraziarlo con lo sguardo per la magnifica giornata, lasciando un certo bruno sulla porta del suo palazzo ad arrossire come un peperone maturo.

🌸° 🍡° 🌸°

Da lì la loro amicizia divenne qualcosa di più e come i due innamorati qual'erano riuscirono a far funzionare la loro relazione a distanza; certo si vedevano spesso ma a volte Sawamura si sentiva solo senza Suga - e viceversa - così al loro quarto anno di università decisero di incominciare a progettare per il futuro, di andare a vivere insieme.
C'erano dei momenti difficili in cui non riuscivano a capirsi bene ma essendo entrambi persone comprensive non avevano mai avuto problemi o litigi di grande rilevanza.
Insomma la situazione procedeva a gonfie vele...

Fino a quando Suga non si fece più cupo. Non si notava quasi per niente, anzi se lo avessero chiesto a un amico esterno lui avrebbe detto che Suga stesse benone, ma Daichi conoscendolo troppo bene dopo tutto quel tempo aveva percepito il malessere nello stato d'animo del fidanzato.

Così, una sera, si erano seduti a tavola per parlare - nel caso di Suga farsi capire a gesti - e quando Koushi mise sulla superficie legnosa e liscia quello che doveva essere un foglio di analisi fu Daichi quello a corto di parole.
Suga gli spiegò che i dottori gli avevano accennato una carenza di sensibilità da parte del sistema nervoso e che entro la fine dell'anno, ufficialmente, Koushi non sarebbe più riuscito a sentire nulla, nemmeno con il più avanzato degli apparecchi per l'udito.
Alla fine della piccola discussione, vedendo il ragazzo di fronte a se con la fronte corrugata a scrutare il foglio con numeri e tabelle di dati, Koushi chinò lo sguardo sulla soia delle lacrime.

Daichi lo avrebbe lasciato?

In fondo stare con qualcuno sordomuto era un bel grattacapo.

Chi lo avrebbe mai voluto uno come lui-

Coprendosi il viso con le mani, incominciò a singhiozzare silenziosamente. Sawamura se ne accorse immediatamente e lasciando stare la sedia su cui era seduto, che cadde non appena scattò in piedi, fece velocemente il giro del tavolo e prese Koushi tra le sue braccia. Suga si ancorò alla sua maglietta.

" d- a- cc- i"

"Sshhh, lo so lo so"

Il fatto che Koushi si fosse addirittura sforzato per emettere dei suoni - che molto probabilmente dovevano essere il suo nome - fece stringere a Daichi ancora di più a sé il ragazzo che si stava disperando sulla sua maglietta.
Sawamura, forse con gli occhi umidi anche lui, continuò a sorreggere il peso dell'altro e ad accarezzargli i capelli per rassicurarlo, baciandogli occasionalmente la fronte e le tempie.
Preso un momento per respirare, si scostò un poco da Suga per parlargli e sapeva bene che il fidanzato avrebbe compreso perfettamente le sue parole leggendo il labbiale.

"Koushi, non ti lascerei per nulla al mondo, per me sei perfetto così come sei, non lascerò che una semplice diagnosi ci separi"

A questo punto anche lui si era commosso, incominciando a sentire le lacrime calde scendergli per gli zigomi, mentre cercava un qualsiasi segno da parte del ragazzo dalle bellissime guance e i sinuosi capelli chiari.
Suga sembrò arrestarsi per un attimo, il bruno lo vide scrutare la sua figura per qualche secondo per poi ritrovarsi ancora un'altra volta abbracciato al ragazzo che amava, che aveva capito che la loro storia non sarebbe finita lì, in una valle di lacrime nella piccola cucina del suo appartamento.

🌸° 🍡° 🌸°

Gli anni passarono, le stagioni si susseguirono, il tempo cambiò.
Finirono entrambi l'università con tutti i meriti e si ritrovarono a festeggiare vistosamente assieme a tutti i loro amici.
Ne avevano passate di cotte e di crude, tra crisi di nervosismo e ansie da parte di Suga e da esami troppo stessanti da parte di Daichi.
Ogni qualvolta che si ritrovavano in un ingorgo di pensieri o tragedie cercavano di dare il loro meglio come contributo per aiutare l'altro e dopo tanto tempo erano riusciti a tenersi in piedi, mano nella mano, camminando verso una vita tranquilla insieme.

Suga, grazie a un programma di cure e all'immenso supporto del suo ragazzo, riuscì ad uscire dallo stato di depressione e fitte di dolore che accorrevano nei momenti in cui si sentiva più fragile.
Daichi riuscì a laurearsi in medicina e fin da subito gli fu proposto un buonissimo lavoro come infermiere in uno degli ospedali più rinomati del paese.
Riuscirono a permettersi una bella casa, in un quartiere carino e confortevole ai margini della metropoli, e adottarono due gatti - Shota e Nanao, entrambe femmine - ricreando in casa un ambiente amabile, qualcosa che entrambi avrebbero per sempre chiamato casa.

Fu buffa la vicenda in cui i genitori di Koushi - che avevano più che accettato la loro relazione, come i genitori di Daichi - si presentaro il giorno dopo l'inizio dei traslochi sulla porta di casa con un regalo di buon augurio per la coppia.
Suga li avrebbe potuti stritolare a forza di abbracciarli e Daichi rimase per metà del tempo ad arrossire e a ringraziarli con tutto sé stesso.

Da qui in poi si aprì un nuovo capitolo della loro vita.

🌸° 🍡° 🌸°

Uno degli appuntamenti più memorabili che ebbero dopo il loro trasferimento insieme fu quello in cui Daichi si decise.

A che fare?

Beh...

Tenendo per mano Koushi, appena ritornati da un giro in macchina per la città di fianco, Sawamura propose di andare a vedere i ciliegi in fiore nel parco a qualche isolato da casa loro: era marzo, il sole raggiante faceva vedere il mondo sotto un'altra tipo di lente, il leggero venticello che smuoveva le chiome degli arbusti era dilettevole.
Suga si guardava intorno, i rami ricoperti completamente di petali rosa si muovevano quasi come in un saluto di benvenuto mentre varcavano i grandi cancelli dell'area verde.
Erano fantastici. Quello scenario era perfettamente in sincronia con la pace interiore che stava provando in quell'istante.
Ripensando a tutti gli anni trascorsi della sua vita, ora a quasi 26 anni compiuti, gli pareva di aver vissuto un sogno, una favola della buonanotte con un lieto fine coi fiocchi.
Eppure la loro vita, in realtà, era solamente agli inizi.

Di questo se ne accorse uno sbiadito pomeriggio, di un lontano 29 marzo, mentre Daichi, oh il suo Daichi, gli si inginocchiava davanti e gli porgeva l'anello più bello che lui avesse mai visto.

E lì, sotto i petali di ciliegio che cadevano smossi dall'aria tiepida, non c'erano veramente bisogno di parole, perché ad entrambi bastavano i loro sguardi affettuosi.

E non c'è bisogno di dire che Koushi disse sì.

━ ━━━━━━━ ❁︎ 𝒇𝒊𝒏𝒆

𝐩𝐚𝐫𝐨𝐥𝐞: 7404

𝐢𝐧𝐢𝐳𝐢𝐚𝐭𝐚 𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞: 16/17 𝐚𝐠𝐨𝐬𝐭𝐨 2019

𝐟𝐢𝐧𝐢𝐭𝐚 𝐝𝐢 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞: 24 𝐚𝐩𝐫𝐢𝐥𝐞 2020

𝐬𝐚𝐥𝐯𝐞 𝐚 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐞 𝐚𝐧𝐳𝐢𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐠𝐫𝐚𝐳𝐢𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐚𝐫𝐫𝐢𝐯𝐚𝐭𝐢 𝐟𝐢𝐧𝐨 𝐪𝐮𝐢 𝐞 𝐚𝐯𝐞𝐫 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐢𝐥 𝐩𝐞𝐳𝐳𝐨 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐢𝐮' 𝐥𝐮𝐧𝐠𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐟𝐢𝐧'𝐨𝐫𝐚 𝐢𝐨 𝐚𝐛𝐛𝐢𝐚 𝐦𝐚𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐝𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐞 𝐞𝐝𝐢𝐭𝐚𝐭𝐨, 𝐮𝐧 𝐦𝐢𝐨 𝐠𝐢𝐨𝐢𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐬𝐞 𝐜𝐨𝐬𝐢' 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐨 𝐝𝐢𝐫𝐞.
𝐦𝐢 𝐬𝐜𝐮𝐬𝐨 𝐢𝐧 𝐚𝐧𝐭𝐢𝐜𝐢𝐩𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐞𝐯𝐞𝐧𝐭𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐞𝐫𝐫𝐨𝐫𝐢 𝐠𝐫𝐚𝐦𝐦𝐚𝐭𝐢𝐜𝐚𝐥𝐢 𝐨 𝐝𝐢 𝐛𝐚𝐭𝐭𝐢𝐭𝐮𝐫𝐚, 𝐦𝐢 𝐜𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐯𝐨𝐥𝐮𝐭𝐢 𝐮𝐧 𝐛𝐞𝐥 𝐩𝐨' 𝐝𝐢 𝐦𝐞𝐬𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐞 𝐡𝐨 𝐜𝐞𝐫𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐟𝐚𝐫𝐥𝐨 𝐩𝐢𝐮' 𝐩𝐮𝐥𝐢𝐭𝐨 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞.
𝐧𝐨𝐧 𝐧𝐞𝐠𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢𝐚 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐯𝐞𝐫𝐚 𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢𝐚 𝐢𝐦𝐩𝐫𝐞𝐬𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐢𝐫𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐨𝐧𝐞-𝐬𝐡𝐨𝐭 𝐞 𝐩𝐢𝐮' 𝐯𝐨𝐥𝐭𝐞 𝐡𝐨 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐥𝐚𝐬𝐜𝐢𝐚𝐫𝐥𝐨 𝐩𝐞𝐫𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐥𝐞𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐥'𝐨𝐩𝐞𝐫𝐚.
𝐞𝐩𝐩𝐮𝐫𝐞 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐞𝐧𝐭𝐚 𝐝𝐢 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐫𝐢𝐮𝐬𝐜𝐢𝐭𝐚 𝐚 𝐭𝐫𝐨𝐯𝐚𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐯𝐨𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐞 𝐢𝐥 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐥𝐞𝐭𝐚𝐫𝐥𝐚.
𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐳𝐳𝐨 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨, 𝐩𝐮𝐫 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐢𝐧 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐭𝐚' 𝐮𝐧𝐚 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐥𝐢𝐜𝐞 𝐟𝐚𝐧 𝐟𝐢𝐜𝐭𝐢𝐨𝐧, 𝐡𝐚 𝐚𝐯𝐮𝐭𝐨 𝐮𝐧 𝐠𝐫𝐚𝐧𝐝𝐞 𝐬𝐢𝐠𝐧𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐦𝐞, 𝐝𝐢𝐟𝐚𝐭𝐭𝐢 𝐞' 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐚 𝐢𝐧 𝐝𝐮𝐞 𝐩𝐞𝐫𝐢𝐨𝐝𝐢 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐢𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚, 𝐬𝐢𝐚 𝐟𝐞𝐥𝐢𝐜𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐞𝐩𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢 𝐞 𝐚 𝐯𝐨𝐥𝐭𝐞 𝐚𝐝𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐦𝐚𝐥𝐬𝐚𝐧𝐢.
𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐞' 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐮𝐧𝐨 𝐬𝐟𝐨𝐠𝐨, 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐜𝐮𝐢 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐫𝐞 𝐚𝐯𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐜𝐨𝐧 𝐟𝐢𝐞𝐫𝐞𝐳𝐳𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞' 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞, 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐚𝐫𝐭𝐢𝐬𝐭𝐚, 𝐧𝐨𝐧 𝐜𝐢 𝐬𝐢𝐚 𝐧𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐢 𝐩𝐢𝐮' 𝐛𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐯𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐠𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢 𝐟𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐫𝐞𝐭𝐢.
𝐝𝐮𝐞 𝐩𝐚𝐫𝐨𝐥𝐞 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐢𝐧 𝐬𝐞': 𝐢𝐨 𝐚𝐦𝐨 𝐞 𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐚𝐝𝐨𝐫𝐨 𝐥𝐚 𝐝𝐚𝐢𝐬𝐮𝐠𝐚 - 𝐞' 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐥𝐚 𝐦𝐢𝐚 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐚 𝐬𝐡𝐢𝐩 𝐩𝐫𝐞𝐟𝐞𝐫𝐢𝐭𝐚 - 𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐜𝐞 𝐥'𝐡𝐨 𝐩𝐫𝐨𝐩𝐫𝐢𝐨 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐚 𝐚 𝐟𝐚𝐫𝐥𝐚 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐧𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐮𝐧𝐚 𝐚𝐧𝐠𝐬𝐭 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐝𝐨𝐯𝐞𝐯𝐚 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐞𝐫𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐢𝐧𝐢𝐳𝐢𝐚𝐥𝐞.
𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐦𝐢 𝐬𝐭𝐚𝐯𝐨 𝐜𝐡𝐢𝐞𝐝𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐬𝐞 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐝𝐮𝐞 𝐦𝐢 𝐚𝐯𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐫𝐢𝐧𝐟𝐫𝐞𝐬𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐮𝐧 𝐩𝐨' 𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞, 𝐝𝐚𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐩𝐩𝐢𝐚 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐯𝐞𝐫𝐬𝐚𝐭𝐢𝐥𝐞 𝐞 𝐜𝐚𝐫𝐢𝐧𝐚 𝐬𝐮 𝐜𝐮𝐢 𝐥𝐚𝐯𝐨𝐫𝐚𝐫𝐞, 𝐪𝐮𝐢𝐧𝐝𝐢 𝐦𝐢 𝐜𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐩𝐫𝐚𝐭𝐢𝐜𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐛𝐮𝐭𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐞 𝐡𝐨 𝐬𝐩𝐞𝐫𝐚𝐭𝐨 𝐮𝐬𝐜𝐢𝐬𝐬𝐞 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐝𝐞𝐠𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐧𝐨𝐦𝐞 𝐝𝐢 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚.
𝐩𝐞𝐫 𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐚 - 𝐬𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐞𝐬𝐬𝐮𝐧𝐨 𝐥𝐞𝐠𝐠𝐞𝐫𝐚' 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐪𝐮𝐞 𝐢𝐥 𝐦𝐢𝐨 𝐜𝐨𝐦𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐟𝐢𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐦𝐚 𝐯𝐚 𝐛𝐞𝐧𝐞 𝐥𝐨 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐨 - 𝐜𝐢 𝐭𝐞𝐧𝐞𝐯𝐨 𝐚 𝐝𝐢𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐨 𝐜𝐞𝐫𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐚𝐭𝐭𝐞𝐧𝐞𝐫𝐦𝐢 𝐩𝐢𝐮' 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐯𝐞𝐫𝐨𝐬𝐢𝐦𝐢𝐥𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐥𝐞 𝐯𝐚𝐫𝐢𝐞 𝐝𝐚𝐭𝐞 𝐞 𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐛𝐥𝐞𝐦𝐢 𝐬𝐢𝐚 𝐩𝐬𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐜𝐢 𝐬𝐢𝐚 𝐝𝐢 𝐬𝐚𝐥𝐮𝐭𝐞 𝐝𝐞𝐢 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐠𝐠𝐢.
𝐥'𝐢𝐝𝐞𝐚 𝐝𝐢 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐦𝐢 𝐞' 𝐯𝐞𝐧𝐮𝐭𝐚 𝐮𝐧 𝐛𝐞𝐥𝐥𝐢𝐬𝐬𝐢𝐦𝐨 𝐩𝐨𝐦𝐞𝐫𝐢𝐠𝐠𝐢𝐨 - 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐫𝐞 𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐯𝐨 𝐥𝐞 𝐟𝐨𝐠𝐥𝐢𝐞 𝐟𝐮𝐨𝐫𝐢 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐞𝐬𝐭𝐫𝐚 - 𝐢𝐧 𝐜𝐮𝐢 𝐬𝐭𝐚𝐯𝐨 𝐢𝐧 𝐮𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐝𝐨𝐫𝐦𝐢 𝐯𝐞𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐚 𝐜𝐚𝐬𝐚 𝐝𝐢 𝐮𝐧𝐚 𝐦𝐢𝐚 𝐚𝐦𝐢𝐜𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐠𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐦𝐢 𝐬𝐢 𝐞𝐫𝐚 𝐚𝐝𝐝𝐨𝐫𝐦𝐞𝐧𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐚𝐝𝐝𝐨𝐬𝐬𝐨 𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐮𝐧𝐚 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐚 𝐜𝐚𝐧𝐳𝐨𝐧𝐞 𝐥𝐨𝐰-𝐟𝐢 𝐢𝐧 𝐥𝐨𝐨𝐩 𝐢𝐧 𝐩𝐥𝐚𝐲𝐥𝐢𝐬𝐭, 𝐚𝐥𝐥𝐞𝐠𝐚𝐭𝐚 𝐚𝐥𝐥'𝐢𝐧𝐢𝐳𝐢𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚. 𝐢𝐧𝐬𝐨𝐦𝐦𝐚 𝐥'𝐚𝐞𝐬𝐭𝐡𝐞𝐭𝐢𝐜 𝐩𝐞𝐫 𝐞𝐜𝐜𝐞𝐥𝐥𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐥𝐦𝐚𝐨.
𝐫𝐢𝐧𝐠𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨 𝐢𝐧 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐢𝐜𝐨𝐥𝐚𝐫 𝐦𝐨𝐝𝐨 𝐥𝐞 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐧 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐢 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐢 𝐦𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐞 𝐚𝐜𝐜𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐞 𝐦𝐢 𝐡𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐫𝐢𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐢𝐥 𝐬𝐨𝐫𝐫𝐢𝐬𝐨 𝐝𝐨𝐩𝐨 𝐮𝐧 𝐥𝐮𝐧𝐠𝐨 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐝𝐢 𝐬𝐨𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞.
𝐫𝐢𝐧𝐠𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨 𝐜𝐡𝐢𝐮𝐧𝐪𝐮𝐞 𝐚𝐛𝐛𝐢𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐢𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐮𝐧 𝐬𝐨𝐫𝐫𝐢𝐬𝐨 𝐢𝐧 𝐯𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐨𝐧𝐞-𝐬𝐡𝐨𝐭.

-𝐠𝐥𝐨

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro