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80.



Nessuna pace, nessun sollievo. Solo un dolore sordo, costante, che partiva dal centro del petto e che si irradiava in ogni cellula. E aumentava, aumentava a ogni respiro.

Ero uscita da casa di Matthew come in un sogno in cui ti muovi restando in realtà ferma, senza avere la sensazione di stare mettendo un piede davanti all'altro. Non vedevo le strade buie, né la mia auto parcheggiata e in attesa di rimettersi in moto. Nelle mie orecchie non arrivavano i richiami degli uccelli notturni, né le risate lontane di un gruppo di ragazzi festanti. Davanti a me c'era solo il viso devastato dal dolore di Matthew, i suoi occhi colmi di lacrime, la sua voce che pronunciava parole che non avrei mai voluto udire.

Se n'era andato e aveva portato con sé un pezzo di me stessa. Il senso di vuoto che stavo provando minacciava di schiacciarmi. Non avevo mai sperimentato una sensazione del genere. Non riuscivo a respirare regolarmente, le mani continuavano a tremare. Avevo fatto fatica a guidare per tornare alla Residenza, non riuscivo a focalizzare l'attenzione sulla strada o su ciò che mi circondava.

Tutto quello che osservavo era privo di significato. Non era cambiato niente da poco prima, quando avevo percorso in senso opposto la stessa strada, eppure tutto sembrava sottosopra. Non ne vedevo un senso, nessun equilibrio. Perché era tutto come prima, se io non ero ormai altro che la parvenza di me stessa, svuotata di ogni contenuto? Seduta nell'abitacolo silenzioso dopo avere parcheggiato l'auto nei pressi della Cheers Hall, guardavo alternativamente le mie mani abbandonate in grembo e la facciata della Residenza. Cosa ci facevo lì? Che senso aveva tutta la mia vita, adesso? Che importanza aveva essere Anna Walker, se l'unica persona che volevo avere accanto a me se n'era andata? Non c'erano più lacrime da versare, solo pensieri ossessivi che si rincorrevano senza un nesso logico nella mia mente. Flash degli incontri con Matthew, ricordi delle parole che avevamo scambiato, di tutte le volte in cui lui non si era fatto problemi a dire quello che pensava di me. Di come quella voce un po' alla volta aveva scavato un solco fra quella che ero prima e quella che ero diventata dopo. E ora, che non ero più niente, come avrei fatto ad andare avanti?

Non ero stata in grado di entrare.

Uscita dall'auto, fui investita da un'aria gelida che ebbe l'unico effetto positivo di darmi una sferzata e farmi tornare, almeno momentaneamente, in me stessa. Oltrepassai l'ingresso della Residenza e continuai a camminare, anche se ogni metro mi ricordava qualcosa. Avvolsi le braccia intorno al mio busto per cercare di smettere di tremare, un freddo intenso si stava allargando dentro di me e poco aveva a che fare con la temperatura esterna.

Considerai quanto la situazione fosse ai limiti del ridicolo. Fino a pochi mesi prima tutta la mia vita scorreva entro binari solidi e ben conosciuti, collaudati e piacevoli. Ero osannata da tutti, non mi interessava di null'altro che il mio benessere personale. Ma poi mi era stato fatto notare che così non andavo bene... e da lì era andato tutto a rotoli, fino alla peggiore conclusione possibile. Mi fermai e mi appoggiai a un lampione che spandeva una luce fioca e tremula sul marciapiede. Anche la mia ombra era indistinta, disegnava per terra un disegno quasi astratto.

Cos'avevo guadagnato a interessarmi di più agli altri che a me stessa? Avevo perso quattro possibili amiche, avrei a brevissimo detto addio alla mia leadership nel gruppo delle cheerleaders se non avessi provato l'esistenza di una messinscena a mio danno, Matthew se n'a andato in nome di un "debito d'onore" con un amico scomparso che non avrebbe mai potuto rinfacciargli di non essere tornato per mantenere la promessa.

E il mio cuore era a brandelli così piccoli che probabilmente non si sarebbe mai riaggiustato.

Era stata tutta una fregatura, quella era la verità. A occuparsi degli altri ci si rimetteva e basta, si stava male e si rischiava di rimanere da soli. Meglio sarebbe stato se non avessi dato ascolto a nessuno e fossi andata via per la mia strada, continuando a fare quello per cui ero nata. Impersonare Anna Walker.

Ma non era ancora troppo tardi. Potevo ancora tornare indietro. Essere quella di prima, egocentrica e menefreghista, tanti saluti e grazie. Tanto, per quello che si guadagnava a essere diversi.

Iniziai a sentire una rabbia crescente, aggrovigliarmi le viscere, affiancarsi e lottare accanto al dolore puro e assoluto causato dal vuoto lasciato da Matthew e infine andare a fondersi con esso, quasi sostituirsi a esso. Persa in quelle sensazioni non mi ero neppure resa conto di avere ripreso a camminare, come pure non avevo udito il rumore di un'auto che passava sulla strada, né quello dei freni quando si era fermata.

Udii pronunciare il mio nome, quello sì. Sbattei le palpebre faticando a capire dove fossi e chi mi stesse chiamando, poi realizzai che la voce veniva dalle mie spalle. Avrei fatto volentieri a meno di rispondere, ma ormai non potevo non avere visto o sentito gli scocciatori, così mi voltai sbuffando con estrema lentezza verso il luogo da cui proveniva la voce. In quei pochi secondi che mi servirono per girarmi, compresi di essere un fascio di nervi e che, senza scampo, avrei trattato malissimo chiunque avesse avuto la pessima idea di fermarmi in quel momento.

Travis e Stefan. Stavano arrivando da me di corsa.

"Anna! È una fortuna averti trovata! Vieni, grandi novità!" Travis trasudava entusiasmo. "Abbiamo quasi risolto il tuo problemino!"

"Andiamo, ti aspetta una bella sorpresa" rincarò la dose Stefan, al solito più pacato, ma anche lui decisamente su di giri.

Li guardai in silenzio, cercando di trovare da qualche parte la forza di dare una risposta che fosse più o meno normale. Non la trovai.

"Non ne ho voglia, né ho voglia di stare in compagnia" sputai, poi mi voltai e continuai a camminare, con negli occhi le espressioni sorprese e inebetite dei due ragazzi, che di sicuro non si aspettavano una risposta del genere.

Sentii una mano afferrarmi il braccio destro e non potei fare altro che fermarmi.

"Anna, che ti prende? Devi venire con noi, non puoi perderti lo spettacolo di Jackson, Amber, Vic e Cindy che vengono colti con le mani nel sacco!"

Niente da dire, Travis quando si metteva in testa una cosa era piuttosto insistente. Stefan, al contrario, mi stava continuando a fissare perplesso. Aveva capito che qualcosa non andava ma era restio a farmi domande. In compenso il suo amico agiva per entrambi. Mi aveva presa sottobraccio e mi stava conducendo, quasi a forza, nella loro auto.

"Se tutto va bene, entro mezz'ora avremo le prove che hanno montato loro tutto il casino e tu ci sarai grata per i secoli dei secoli. Comunque non è stato difficile, anzi. È molto utile avere conoscenze in un po' tutti i campus del Paese..." disse con tono cospiratorio. "Lo avevano fatto davvero, sai? Consegnare gli schemi a Yale, intendo. Forse pensavano, in questo modo, di nuocerti ancora di più che non imbastendo solo una messinscena".

Quelle parole risvegliarono in me un po' di curiosità che, unita alla necessità quasi fisica di non pensare più a quello che era successo con Matthew poco prima, mi fece rispondere con tono sufficientemente convinto: "Spiega tutto, Travis!"

"Oh, era ora! Sei tornata fra noi" rispose soddisfatto. "Ai tuoi ordini, mia cara. Entriamo in auto, mentre arriviamo al luogo dell'appuntamento ti spieghiamo cos'è successo nelle ultime ore".

Non avevo una grande voglia di ascoltare racconti dettagliati, né una grande capacità di focalizzare l'attenzione su quanto mi stavano dicendo, ma per sommi capi compresi che da quel mattino lui, insieme a Monica e Stefan, avevano imbastito una messinscena a uso e consumo delle carissime Amber, Vic e Cindy affinché fossero spinte a muoversi e, di conseguenza, a tradirsi.

"Che delusione, speravo sarebbe stato più complicato", sospirò con fare teatrale Travis mentre Stefan metteva in moto. "È bastato far intendere loro che esistevano altri schemi super rivoluzionari, e accidentalmente, lasciare che i fogli che li contenevano cadessero dalla borsa di Monica, perché quelle tre cretine perdessero la testa e corressero a raccoglierli e telefonare a Jackson. Non hanno sospettato nulla".

"Non solo questo", si intromise Stefan, che fino a quel momento non aveva quasi parlato. "Non hanno subodorato un tranello neppure quando hanno ricevuto una telefonata da parte di una delle cheerleaders di Yale... Grace, te la ricordi, Anna?"

"Certo, una delle tue ex" replicai, a quel punto attenta al loro racconto, che prometteva di essere divertente e proprio di quello avevo disperatamente bisogno. "È stata gentile a prestarsi al gioco. Cosa ne è venuto fuori?"

"Le osservavamo da lontano per cui non abbiamo inteso le parole. Ma il tono concitato della conversazione telefonica era piuttosto eloquente. Era evidente che si erano messe d'accordo per incontrarsi, quindi per noi sarebbe stato sufficiente tenerle d'occhio" sghignazzò Travis "e ci hanno facilitato ancora di più il compito. Cindy le ha salutate ed è andata via di corsa: Monica ha avuto la presenza di spirito di seguirla e, poco dopo, ci ha fatto sapere che quella serpe si era incontrata con Jackson fuori dal campus. Non è riuscita a sapere cosa si siano detti, ma non mi stupirei se stasera vedessi anche lui, magari nascosto a filmare la scena per consegnare il filmato alla Davenport".

Ero stupita, possibile che fosse stato così facile? Che almeno una delle enne cose andate storte nell'ultimo periodo si sarebbe sistemata quasi senza fatica? "Posso dire che mi sembra strano che sia stato tutto sì semplice?" dissi, dubbiosa.

"Lo sembra anche a me, a dirti la verità" disse Stefan pensieroso. "Però ho assistito anch'io alle varie scene e, in effetti, parrebbe proprio che ci siano cascati. Meglio così, no?"

Annuii. "Certo, purché non ci sia qualche contrattempo..."

"Eccoci. Parcheggia qui, che c'è poca luce", disse Travis osservando attentamente fuori dal finestrino.

"Monica dov'è?" chiesi, ritenendo impossibile che si sarebbe persa la scenetta a cui stavamo per assistere.

"Qui vicino, pronta a riprendere tutto". Stefan sorrise e spense il motore. "Ora non ci resta che aspettare..."

"Neanche tanto, eccoli". A quelle parole di Travis gli occhi di tutti noi seguirono la direzione del suo sguardo, che puntava verso un gruppo di alberi che fiancheggiavano la strada. Aguzzai la vista, non vedendo niente a una prima occhiata. A un certo punto però notai un'ombra che si aggirava furtiva fra i grandi tronchi. Poi un'altra, infine un'altra ancora. Aguzzai la vista, volevo capire chi stava facendo questo ma non mi fu possibile, il buio era ormai troppo profondo.

Si svolse tutto in un paio di minuti. Le ombre si riunirono nei pressi di un tronco tagliato, vidi braccia e teste che si muovevano, per un istante notai il biancore di un foglio passare da una mano a un'altra. Una quarta figura si unì al trio, era più robusta a più alta, per cui immaginai che doveva essere Jackson. La rabbia che stavo covando dentro minacciava di esplodere, feci anche un tentativo di alzarmi e uscire dall'auto per andare a prendere a schiaffi quelle smorfiose che volevano distruggermi, ma non appena mi mossi, Stefan si girò verso di me e mi afferrò il braccio con la mano. "No, Anna" disse perentorio. "Lasciali finire, li inchioderemo lo stesso grazie al filmato di Monica. Ho già appuntamento dalla Davenport per domani mattina. Potresti venire con me, così saresti tu a consegnare le prove della tua estraneità ai fatti".

Stavo per rispondere, quando la portiera si aprì e proprio Monica si scaraventò dentro la macchina ridendo di gusto.

"Ragazzi, che figata questo gioco a 'spie e poliziotti', peccato che siamo stati così bravi e che lo abbiamo concluso". Da tanto si stava divertendo non riusciva a riprendere fiato, e più tentava di respirare meno ci riusciva e questo la faceva ridere ancora di più.

Io la osservavo e il suono di quella risata aiutava a lenire, almeno un pochino, tutta la rabbia e il dolore, mi faceva quasi tornare a vedere le cose come mi ero abituata a fare ultimamente. Mentre Stefan rimetteva in moto la macchina e poi partiva per riaccompagnarci alla Cheers Hall, mi sembrò che, in qualche modo, quella scena aveva avuto un effetto catartico su di me, mi sentivo meglio. Era come se fossi entrata in un'oasi al cui interno non si riuscivano a percepire rumori od odori provenienti dal mondo circostante Ero certa che non sarebbe durato, che l'aria sulla ferita avrebbe ripreso a soffiare e io avrei sentito tanto male, ma intanto volevo godermi quella sensazione di quasi serenità, volevo crogiolarmi in pensieri di vendetta, volevo non soffermarmi su chi stavo diventando.

Volevo annullare tutto quello che non fosse strettamente collegato agli schemi rubati.

Volevo non pensare a Matthew. Mai più.


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