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50.

L'entusiasmo con cui Abby, Helen, Sylvia e Diana accolsero i costumi da streghe che avevo portato loro fu secondo solo a quello che esplose quando si videro allo specchio con quelli addosso.

Le osservai attentamente e applaudii contenta: avevo scelto bene, erano deliziose. Il nero cangiante della stoffa leggera le avvolgeva come una nuvola e i cristalli sparsi qua e là rendevano luminosi gli abiti e sottolineavano ogni movimento. Sebbene avessero caratteristiche fisiche diverse, quegli abiti stavano bene a tutte e le rendevano affascinanti.

"Ragazze, siete splendide. Sono soddisfatta!" dissi sorridendo.

"Anna, ma come hai fatto a trovare quattro abiti quasi uguali fra loro e, soprattutto, che stessero bene a ciascuna di noi allo stesso modo?" chiese Diana mentre faceva inchini e piroette davanti all specchio.

"È stato un caso fortunato" risposi sincera. "Ero convinta di avere scelto bene, ma non pensavo che vi sarebbero così a pennello. È fantastico, farete un figurone!" Ero veramente contenta. "E ora pensiamo ai capelli e al trucco. Chi si siede qui per prima?" chiesi, indicando la sedia davanti a me. Nessuna delle quattro si fece avanti, così proseguii ridendo: "Va bene, decido io. Helen, vieni. Quando avrò finito non ti riconoscerai... In senso positivo, ovviamente."

Lei si avvicinò titubante e io le feci un sorriso di incoraggiamento. "Fidati" dissi, stentando a riconoscermi in questa nuova veste di angelo salvatore e, nel contempo, rendendomi conto che mi piaceva molto.

Due ore e molto lavoro dopo, le quattro ragazze erano pronte. Avevo deciso di non truccarle troppo, limitandomi a valorizzare gli occhi, perché non erano abituate a questo genere di cose e ciò che mi interessava maggiormente quella sera era che si sentissero bene e a loro agio. Per quello avevo lasciato che decidessero loro come acconciare i capelli e non mi opposi quando tutte scelsero di lasciarli naturali.

La festa era stata organizzata dai ragazzi della confraternita dei Beta Gamma Omega e si sarebbe svolta nella loro enorme Residenza, che non si trovava distante dalla Cheers Hall. Ci accordammo che mi avrebbero chiamata non appena fossero arrivate, per entrare insieme. Quello sarebbe stato il momento per loro più difficile, per quello avevo deciso di accompagnarle: la mia presenza avrebbe reso tutto più facile.

Mentre ritornavo verso la Cheers Hall, ripensai a quello che aveva fatto Matthew e sperai che avrebbe deciso di non partecipare, quella sera. Sarei stata molto più tranquilla. Mi convinsi che non era senz'altro una festa a cui potesse avere voglia di essere presente. 'In una confraternita, figuriamoci!' pensai e con la convinzione di avere ragione archiviai il pensiero, altrimenti la mia tranquillità sarebbe svanita come neve al sole.

Per prepararmi impiegai molto meno tempo di quanto ci avessi messo per le quattro ragazze, anche perché l'abito era già così appariscente da non richiedere orpelli ulteriori. In più detestavo il trucco troppo pesante anche in quelle occasioni, perciò mi limitai ai soliti accorgimenti per evidenziare occhi e bocca e tirai su i capelli in uno chignon strettissimo per fare sì che potessero stare sotto quell'assurdo copricapo.
Siccome mi conoscevo bene e sapevo che non avrei retto a lungo, preparai una borsa con un cambio: ero certa che, al massimo dopo la prima ora, mi sarei cambiata.

Avevo appena finito gli ultimi preparativi che qualcuno bussò e tre secondi dopo, senza darmi il tempo di rispondere, la porta si aprì e due specie di streghe-vampiro fecero capolino.

"Anna sei pronta?" chiese la Strega Numero Uno, che dalla voce capii essere Monica. "Noi andiamo in macchina, vuoi venire?"

"Certo, che domande. Aspettatemi giù, prendo le mie cose e arrivo."

"D'accordo. Non impiegarci un secolo come al solito, per favore! Altrimenti... " Monica sbarrò gli occhi come una pazza e fece un ghigno inquietante. Poi mi fece l'occhiolino e sparì, chiudendo la porta verso di sé. Si era immedesimata molto bene nella parte, su questo non c'erano dubbi.

Recuperai il copricapo a due punte e lo misi in borsa insieme a un abitino nero di ricambio per quando mi fossi stufata del costume ingombrante che stavo indossando in quel momento.

Quando scesi vidi che, oltre a Monica e Sandra, anche quasi tutte le altre cheerleaders erano in soggiorno. Mi fermai a metà scala e appoggiai le mani sulla ringhiera.
"Ragazze, ascoltatemi un attimo" esordii "Ci sono un paio di cose che vorrei ricordare. Primo, gli abiti che indossate non sono vostri quindi mi aspetto da ognuna di voi la massima attenzione affinché il costume non si rovini. Secondo: ho già inviato a Mr Donovan l'elenco di chi indossa cosa. Terzo: rovinate l'abito e siete fuori squadra." Tacqui e le osservai una a una per accertarmi che avessero recepito il messaggio. Dalle espressioni, visibili anche sotto il trucco, era chiaro che sì, avevano capito bene. "Ditelo anche alle altre" terminai, mentre gli ultimi gradini badando a non inciampare sull'orlo del mio abito e a non mettervi sopra la stampella.
"Buona serata a tutte. Andiamo?" chiesi, rivolta a Monica. Al suo cenno di assenso, senza fermarmi fra le ragazze, mi diressi verso la porta e uscii, presto seguita dalle altre due.

Il tragitto fu breve, tanto che non facemmo quasi neanche in tempo a scambiarci opinioni o aspettative sulla festa.

La Residenza dei Beta Gamma Omega pullulava di gente, sia nel giardino che la circondava che all'interno. C'erano streghe, zombies, vampiri, mummie, qualche maschera di Scream, Nightmare e altri film del terrore di cui non ricordavo il titolo. Sparse in giro a profusione per il prato c'erano innumerevoli Jack-o'-lantern, che contribuivano a creare un'atmosfera surreale. Come ogni anno, mi domandai che gusto ci fosse a fare una festa avente un tema del genere. Non sarei mai riuscita a farmela piacere del tutto.

"Pronte, ragazze?" chiesi dopo essermi sistemata il copricapo da Maleficent. "È messo bene?" chiesi, e non mi mossi finché non ebbi assicurazione in tale senso.

"Lo sai benissimo di essere stra-a-posto, Anna. Come noi, del resto" disse Monica ridendo. Poi prese sottobraccio Sandra e me e, insieme, ci incamminammo verso il cuore della festa.

Come previsto, l'attenzione di tutti si rivolse verso di noi, o per meglio dire verso di me, e iniziai ben presto a ricevere tantissimi complimenti per l'abito. Come programmato, avevo raggiunto il mio obiettivo di essere la numero uno anche in quell'occasione.

La mia attenzione, tuttavia, era per metà distratta e mi godetti quel piccolo trionfo solo in parte. Senza in realtà volerlo, il mio sguardo aveva preso a scandagliare l'area del giardino in cui ci trovavamo, scrutando fra i gruppi di persone sempre più numerosi che, sparsi qua e là, animavano la zona. 

'È solo perché devo essere preparata a evitarlo, qualora ci fosse' dissi fra me e me, quando mi resi conto di chi stessi cercando con tanta attenzione.

"Faccio un giro, ci si vede poi" annunciai alle altre. Poi mi allontanai, decisa a dare una rapida occhiata dappertutto per essere pronta a ogni eventualità.

Dopo avere passeggiato in giardino e constatato che non avrei potuto fare incontri spiacevoli, con uno senso di vuoto, fastidioso quanto inopportuno, entrai nella Residenza.

Anche all'interno c'era tantissima gente, sia mascherata che no, e si faceva fatica a capire chi fossero tutti quegli invitati. Continuai a ricevere complimenti per il mio costume, ma ancora una volta la cosa mi scivolò addosso come se avesse riguardato un'altra persona. 

Mi bastarono cinque minuti  per rendermi conto che, quella sera, non avrei fatto brutti incontri. Era una sensazione, piú che una certezza, come se una bolla gelida mi avesse avvolta. Feci il giro delle aree interne disponibili per la festa, ma già sapevo che, in quella moltitudine di studenti,  non avrei trovato l'unico che, dall'inizio dell'università, mi avesse tenuto testa.

'Preferisco così' pensai 'Un problema in meno da gestire' e decisi che era molto meglio archiviare il pensiero, rifiutando di analizzare la sensazione che la festa avesse perso ogni attrattiva e che, nonostante ci fossero centinaia di invitati, il luogo sembrasse vuoto.

Sprofondai nella prima poltrona che trovai libera e, con un gesto rabbioso, presi il telefono dalla borsa per chiamare Helen. Era un buon momento perché le ragazze arrivassero: festa già iniziata, ma non ancora degenerata in un casino senza capo né coda.

"Ciao Helen. Sono arrivata alla festa, voi siete pronte?"

"Ciao Anna! Certo, aspettavamo la tua chiamata. Arriviamo!"

"Bene, mi farò trovare fuori. A fra poco!"

Chiusi la veloce telefonata e mi alzai per tornare fuori. Solo che la stampella si impigliò nella gonna del costume e precipitai nuovamente a sedere con molta poca grazia. "Dannato vestito!" esclamai esasperata. Ero lì da venti minuti al massimo e mi ero già stufata di indossarlo. Ma del resto tutta la festa aveva perso parecchio della sua attrattiva, anche se non volevo ammetterlo.
Decisi che, dopo l'arrivo delle ragazze, sarei andata a cambiarmi, tanto l'ingresso l'avevo ormai fatto e non c'era motivo per continuare con il supplizio di indossarlo. Mi alzai di nuovo, stavolta senza incidenti, e feci qualche passo in direzione della porta che dava sul giardino quando mi sentii afferrare i fianchi.

"Ciao Maleficent! Sei uno spettacolo stasera, costume azzeccatissimo!" mi disse Travis dandomi un bacio dietro l'orecchio. "Ho fatto i compiti per casa. Vuoi vederne i risultati?"

"Che domande, ovvio!" risposi girandomi e lanciandogli uno sguardo ammirato: lo smoking gli stava d'incanto e, stranamente, il trucco da morto vivente lo rendeva ancora più interessante. "E bravo Travis, sei uno schianto e..."

Mi interruppe stringendomi il braccio e indicando con la testa un punto di fronte a noi. Andai con lo sguardo verso dove lui voleva che guardassi e vidi Amber, Vic e Cindy immerse in un'animata conversazione con quattro compagni di squadra di Travis fra i più carini e notoriamente poco interessati alle cheerleaders. Le tre ragazze erano visibilmente soddisfatte di essere oggetto di tanta attenzione e stavano dando il meglio di sé quanto a moine, sorrisi e ammiccamenti di ogni genere.

"E bravo Travis, le hai sistemate" dissi, e gli schioccai un sonoro bacio sulla guancia. "Accompagnami fuori, sta arrivando qualcuno che dovrebbe interessarti".

Lui non di mosse, limitandosi a guardarmi. Lo squadrai da capo a piedi e annuii: "Sei splendido, fidati".

"Sicura? E se..."

Gli afferrai un braccio e, con la velocità che mi consentivano stampella e abito, ripresi la marcia verso l'esterno. "Uomo, non sono abituata a questa tua versione 'sono un figo ma non so di esserlo'. Vedi di tornare in te, per cortesia! Ti do tempo fino a che arriviamo fuori".

Lui non replicò, limitandosi a seguirmi. Era veramente in apprensione, non l'avevo mai visto così.

L'aria fresca ci accarezzò il viso mentre, superando una quantità di persone decisamente aumentata rispetto a poco prima, ci dirigevamo verso la strada antistante la casa.
Un po' in disparte rispetto a quella moltitudine di zombies e vampiri, notai le mie quattro streghette ferme sul marciapiede, in attesa.

"Ciao ragazze, ben arrivate!" dissi loro abbracciandole rapidamente.

Diana mi squadrò, poi esplose: "Anna! Sei inquietante con questo abito... Però ti dona, non c'è che dire".

"Grazie. Guardami bene, perché fra poco me lo andrò a togliere. È un supplizio da indossare! Ma bando alle ciance, siete pronte a buttarvi in questa bolgia infernale?"

"Devo proprio rispondere?" chiese Sylvia, dal cui viso traspariva chiaramente, nonostante il trucco, l'ansia di quello che avrebbe dovuto affrontare di lì a poco.

"Su su, animo! Vi ho portato un cavaliere per difendervi e proteggervi. Travis, posso presentarti le mie amiche?"

Dalle mie spalle udii un fruscio, alcune parole sussurrate inintelligibili e un suono come se qualcuno si stesse schiarendo la voce cercando di non farsi sentire. Poi Travis apparve al mio fianco senza una traccia della preoccupazione di poco prima e sfoderando uno di quei suoi famosi sorrisi che avevano sciolto più di qualche decina di cuori, alla Dartmouth e fuori. Sbirciando l'espressione di Helen, pensai soddisfatta che c'erano buone probabilità che qualcuno sarebbe stato molto contento, quella sera.

"Travis, ti presento Diana, Sylvia, Abby ed Helen". Dissi, con fare solenne.

Da perfetto gentleman, Travis fece un inchino. "Ciao ragazze. Siete le streghe più belle che abbia mai visto. Sarà un vero piacere, per me, accompagnarvi dentro. Vogliamo andare?"

Le ragazze annuirono titubanti, allora lui si avvicinò loro e offrì cavallerescamente il braccio, prima a Helen e poi a quella più vicina, in quel caso Diana. Io mi misi in mezzo fra Sylvia e Abby e ritornammo verso la casa, chiacchierando piacevolmente. Con soddisfazione notai che tutte e quattro sembravano molto più tranquille, forse anche per il fatto che stavano ricevendo ben più di uno sguardo di apprezzamento da parte degli invitati maschi.

Eravamo arrivati quasi alla porta di ingresso, quando ci imbattemmo in un capannello di persone fra cui riconobbi Sandra, Monica, Stefan, Ned e altri ragazzi della squadra di basket. Travis non perse l'occasione di presentare anche a loro le ragazze, le quali subito vennero amichevolmente inserite nella conversazione in corso.

Dopo aver salutato Stefan e Ned, che per fortuna non sembrava portarmi rancore, mi misi un po' in disparte a osservare la scena che si stava facendo interessante. L'attenzione di Helen era completamente assorbita da Travis, il quale stava sfoderando ogni arma a sua disposizione per risultare affascinante e guardava lei con un'espressione intenta che non gli avevo mai visto: in quel momento era evidente che, per lui,ogni altra ragazza presente alla festa era sparita e, benché non conoscessi Helen altrettanto bene, avrei potuto mettere una mano sul fuoco che per lei fosse lo stesso.

Soddisfatta dalla piega che avevano preso gli eventi per loro due, osservai le altre per vedere come se la stessero cavando. Vidi che ogni traccia di titubanza e apprensione era sparita dai volti appena truccati delle mie tre streghette e che, con la loro intelligenza e simpatia,stavano conquistando tutti i ragazzi intorno a loro. Era il massimo risultato a cui avrei potuto aspirare e che non avevo mai veramente sperato di ottenere, nonostante le avessi fatte lavorare duro per raggiungerlo. Non potei trattenere un grande sorriso, e con lo stesso sorriso mi girai quando sentii qualcuno prendermi sottobraccio. Mi voltai e vidi Monica che stava guardando la stessa scena che avevo osservato io fino a un istante prima.

"Sembri un gatto che ha appena mangiato un topo" disse con un ghigno. "Sono loro, vero?"

"Esatto. Non sono splendide?"

"Da non crederci. Sei stata veramente brava. Ad Amber e Vic prenderà un coccolone quando le vedranno. Per non parlare di Cindy, dopo Jackson aveva puntato gli occhi su Ned".

"Non so se questa sera quelle tre si accorgeranno di qualcosa: le ho viste piuttosto indaffarate con quattro Tigers."

Monica mi guardò e scoppiò a ridere. "Volevi essere sicura che non tirassero fuori la scommessa, ammettilo!"

Io evitai di rispondere, limitandomi a farle un occhiolino con un mezzo sorriso.Poi mi sciolsi dal suo braccio, dicendo "Vado a cambiarmi. Sarà anche fine ottobre e starà iniziando a piovere, ma con questo affare addosso sto facendo la sauna".

Feci un cenno di saluto ad Abby, che era la più vicina a me, le dissi velocemente"Ci vediamo fra poco" e mi allontanai, entrando in casa alla ricerca di uno dei Beta Gamma Omega, cosa peraltro difficile perché il caos stava aumentando sempre più, complice anche la pioggia che aveva iniziato a cadere sottile e aveva fatto sì che tutti gli invitati ancora sufficientemente sobri da capire cosa stesse succedendo, dal giardino si stessero riversando nelle sale interne.

Per fortuna incontrai subito Mike Newman, fra i più inutili e vuoti ragazzi che mi fosse mai capitato di conoscere. Indossava un costume da vampiro che gli stava da cani, ma del resto non lo avevo mai visto indossare qualcosa con un minimo di classe o eleganza.

"Anna, tesoro! Sei uno spettacolo vestita così! La migliore, come sempre!" esclamò mentre si chinava a darmi due baci sulle guance. Fra noi c'era un rapporto piuttosto amichevole: fino dal primo anno ambiva a portarmi a letto, ma sapeva perfettamente che la cosa non sarebbe capitata mai, per cui ci scherzava sopra.

"Ciao Mike. Sembri un politico in campagna elettorale" dissi ridendo "ma tanto non te la do neanche stasera, quindi rilassati pure".

"Perfida, mi spezzi il cuore" piagnucolò con fare teatrale, portandosi le mani al petto "ma prima o poi ti conquisterò, stanne certa!".

"Ma sicuro, l'anno del mai. Piuttosto, ho un piacere da chiederti. Vorrei cambiarmi d'abito e lasciare la borsa con quello che sto indossando da qualche parte fino a quando non andrò via dalla festa. È uno dei costumi dell'Antro di Mr Donovan, non è il caso che lo lasci in giro. Dove la posso mettere?" Se c'era una cosa di cui potevo stare certa,era che non mi avrebbe mai indicato un luogo meno che sicuro: era egli stesso parte della compagnia teatrale e, come i suoi compagni,teneva a ogni costume come se fosse un figlio.

"Ne avevo sentito parlare... allora vi ha dato il permesso? Fiabesco. Hai un'ottima capacità di persuasione, credi a me: prima d'ora non l'aveva mai fatto! Vieni con me, puoi cambiarti e lasciare la borsa in camera mia: la tengo chiusa a chiave, per cui direi che è il posto perfetto. Non entro con te, tranquilla!" aggiunse con una risata, prevedendo già la mia obiezione.

Recuperai la mia borsa e salimmo al secondo piano scavalcando corpi di gente ubriaca, addormentata o in procinto di stare male, fino ad arrivare davanti a una porta chiusa. Da sotto arrivava il frastuono causato dalla musica e dagli schiamazzi. Entro breve la festa sarebbe degenerata, come ogni anno.

Mike aprì la porta e mi fece cenno di entrare. "Tieni le chiavi, ti consiglio di chiuderti dentro." Rimase un attimo in attesa, forse sperando in un invito. Era il caso di fargli passare immediatamente l'idea.

"Grazie, fra poco te la riporto" dissi e gli chiusi la porta praticamente in faccia.

Non avevo voglia di curiosare in camera sua, così mi cambiai in fretta e osservai l'effetto sullo specchio da cui era formata un'anta dell'armadio. L'abito di seta nero, scollato a cuore e lungo fino alle ginocchia, mi fasciava alla perfezione ed era infinitamente più comodo rispetto al costume da Maleficent. L'unica cosa inguardabile erano le scarpine basse, che avevo dovuto indossare per portare avanti la farsa della caviglia. Alzai le spalle. Era irrilevante, quella sera non c'era nessuno per cui valesse la pena essere al top come al solito.

Indossai anche una giacca corta, poi riposi quanto mi ero appena tolta nella borsa e la lasciai in un angolo. Recuperai la stampella, uscii dalla camera e la richiusi a chiave.

Sebbene l'operazione non avesse richiesto neppure cinque minuti, mi sembrò di arrivare da un altro mondo. Il frastuono mi travolse. Era, se possibile,aumentato ancora e dalla cima della scala vedevo solo un mare di teste. Come facesse a starci tanta gente lì dentro era un mistero. Erano talmente tanti che anche ballare era fuori discussione. Decisi di cercare Monica e le altre per convincerle ad andare via in qualche locale più vivibile.

Dato che un po' di persone si erano girate nella mia direzione, iniziai a scendere le scale in un modo, collaudato nel corso degli anni, che sapevo essere di grande effetto e che riuscivo a fare nonostante la stampella e gli ostacoli sparsi sui gradini. La cosa non era più così importante per me, ma la festa non offriva altri diversivi, così pensai che fosse meglio accontentarmi. Durante la discesa, lasciai scivolare pigramente lo sguardo sugli invitati, per la solita abitudine di osservane la reazione e, gradino dopo gradino, arrivai quasi in fondo con la certezza di avere ottenuto, ancora una volta, il risultato di farmi notare e apprezzare da ogni maschio cosciente presente in sala.

Questo fino a che il mio sguardo non si fermò su un paio di occhi verdi che mi fissavano con un'espressione a metà fra la derisione e il disprezzo. Nell'attimo in cui mi resi conto di chi fosse la persona a cui appartenevano, il mio cuore perse un battito per la sorpresa e lui alzò il bicchiere che teneva in mano, in un silenzioso brindisi di scherno, mentre la bocca gli si piegava in quel mezzo sorriso che conoscevo ormai così bene.

Nell'attimo in cui tutto successe, un solo pensiero sovrastò gli altri: lui non doveva rendersi conto della mia sorpresa, era necessario che gli passasse il messaggio che per me era un estraneo qualsiasi. La messinscena iniziata al Morgan's doveva continuare. Sebbene la cosa mi costasse una fatica immensa, senza fretta allontanai lo sguardo e terminai la discesa della scala non lasciando trapelare il minimo accenno della tempesta che avevo dentro.

Non avevo idea se mi stesse guardando ancora, l'unica cosa che sapevo era che avevo bisogno di trovare gli altri per andare via e, prima di questo, di recuperare un po' di tranquillità. Così andai verso la grande cucina della Residenza, che in quel momento era fortunatamente vuota perché in soggiorno Amber, Vic e Cindy si erano messe a fare uno spettacolino di danza per attirare un po' l'attenzione, forse arrabbiate perché la mia discesa dal piano superiore aveva catturato tanto interesse. Mai in vita mia fui più grata a quelle tre galline per l'idea che avevano avuto: in quel modo avrei avuto la possibilità di quei tanto desiderati cinque minuti di calma per raccogliere le idee.

Sul piano di lavoro vidi varie bottiglie e, contrariamente a ogni buon senso, decisi di bere un sorso di vodka. Presi un bicchiere ancora miracolosamente pulito e versai dentro un po' di liquido trasparente. Non ero abituata a bere alle feste perché consideravo il perdere il controllo una cosa da sfigati, ma in quel momento un po' di oblio che placasse i miei pensieri non mi sarebbe dispiaciuto. Bevvi tutto d'un fiato e me ne pentii immediatamente: iniziai a tossire e a sentire una scia di fuoco che dalla bocca mi arrivava allo stomaco. Mi insultai da sola. "Idiota. Tutto per quello là. Datti una regolata, ragazza. Così non va bene per niente."

Un po' incerta sulle gambe e aiutandomi con la stampella, andai alla finestra e appoggiai la fronte al vetro freddo. Chiusi gli occhi e mi concentrai sul rumore delle gocce di pioggia che vi battevano contro, provando un senso di pace che si acuì man mano che il liquore faceva il suo effetto. Fortunatamente non ne avevo bevuto molto, ma quel poco era stato sufficiente per farmi girare la testa e perché cominciassi a non formulare più tanto bene pensieri con un minimo di senso compiuto.

Il rumore improvviso di una porta sbattuta con forza mi fece sobbalzare e lanciare un grido di spavento. Mi girai irritata e un po' traballante, berciando inviperita: "Ma insomma! Che modi sono questi? Non si può mai stare in pace in questo buco di casa? Non è..."

Mi bloccai e feci un passo indietro finché la schiena toccò la finestra a cui ero stata appoggiata fino a poco prima.

Di fronte a me, in piedi in mezzo alla cucina, con le braccia incrociate e un'espressione così furiosa che non gli avevo mai visto, stava Matthew Hawthorne.

"Io non ci sto" esordì gelido "Tu adesso non ti muovi da qui finché non mi dici perché cazzo hai preso non solo a non salutare neppure, ma anche a cambiare strada e a evitarmi come se fossi un appestato. Dopo tutte le volte in cui ti ho aiutata, un minimo di gentilezza mi sembra il minimo da pretendere, anche da una come te. Principessa." Quella parola, quasi sputata come il peggiore degli insulti,  mi arrivò come una schiaffo in pieno viso. "Dopodiché per me te ne puoi anche andare all'inferno". Aveva il respiro affrettato e un muscolo che si contraeva sulla mascella. Tacque, in attesa. In sottofondo la mia mente registrò che qualcuno in sala aveva messo su "Against all odds" di Phil Collins. Una delle mie canzoni preferite, nel momento più sbagliato possibile.

Fissai Matthew senza parlare, scrutando ogni centimetro di quel viso di pietra e quegli occhi che, come al solito, lasciavano trapelare tutto il disprezzo che provava nei miei confronti. In quel momento, forse anche a causa della vodka, qualcosa di incontrollato scattò nel mio cervello. Feci un passo avanti, sollevai il mento e iniziai a parlare senza riuscire a fermarmi, dicendo cose che neppure sapevo di stare pensando.

"Ma cosa vuoi da me? Sei arrivato qui e, da quando ti ho incontrato, non hai fatto altro che ricoprirmi di fango, insultarmi e manifestarmi il tuo disprezzo. Mi hai aiutato? È vero, ma l'ho fatto anch'io e, come unica risposta, ogni volta ho avuto scortesia e insulti. Se ti sto evitando è, ancora una volta, per darti una mano.  E non serve che tu faccia quell'espressione di scherno o che ti metta a ridere, perché non sai niente di niente, anche se ti atteggi a salvatore della patria. Sai una cosa? Mi hai stufato, tu e i tuoi modi allucinanti. E anche i fantasmi del passato dal quale stai scappando e che riversi su di me come se il trattarmi male potesse redimerti in qualche modo. Se tu guardassi le cose come stanno, la pianteresti di comportarti così e di assalirmi ogni volta che ne hai l'occasione. Tu mi hai tolto ogni certezza, ogni tranquillità, a causa tua non so più chi sono e mi trovo di fronte a un vicolo cieco. Vorrei poterti cancellare dalla mia vita ma non posso. Non posso, perché l'unica cosa che vorrei è che tu mi stringessi di nuovo fra le braccia e mi guardassi come mi avevi guardata alla festa"Black and White", quando non sapevi che ero io la ragazza di fronte a te."

Tacqui e, con un tuffo al cuore, mi resi conto di quello che avevo appena detto. Inorridita, osservai la sua reazione. Nell'udire le mie parole, era trasalito come se lo avessi schiaffeggiato e mi guardava con gli occhi sbarrati e un'espressione, se possibile, ancora più cupa. Non potevo restare lì un secondo di più, con il rischio di sentire cose che mi avrebbero distrutta.

"Dannazione!" sussurrai. Mi voltai di scatto, aprii la porta-finestra e corsi fuori, dimentica della pioggia che mi batteva sul viso, della stampella che avevo dimenticato sul pavimento della cucina e del liquore, il cui effetto stava svanendo a causa del freddo pungente, che mi aveva fatto pronunciare quelle parole che erano la mia condanna.

Corsi a perdifiato, corsi finché non vidi la famigliare sagoma del campo di atletica. Sapevo che il cancello non era mai chiuso, così mi avvicinai ed entrai. Salii sulla prima gradinata e iniziai ad andare avanti e indietro, come una tigre in gabbia. Sentivo i capelli, che nella corsa si erano sciolti, appiccicarsi al mio viso e alla schiena grondanti acqua. Pensai che il trucco degli occhi doveva essere ormai colato a causa della pioggia e delle lacrime che avevano iniziato a scendere incontrollate, ma non mi importava.

Mi sedetti di schianto e presi la testa fra le mani. Cos'avevo fatto? Come avevo potuto dirgli quelle cose, che io stessa non sapevo di avere nel cuore? Con che faccia lo avrei guardato di nuovo, ora che gli avevo detto chiaramente di essere ai suoi piedi? Pensare alla sua espressione impietrita nell'udire le parole finali, che valeva più di mille discorsi, mi feriva più di un coltello. Gli avevo detto quello che provavo, e lo avevo detto anche a me stessa, ed ero stata rifiutata. Era così evidente. Che speranza di felicità c'era per me, ora? Dovevo andarmene, quella sera stessa. Sparire e non farmi più vedere da nessuno. Sarebbe stata un'ammissione di sconfitta, ma anche la soluzione perfetta, per tutti. Tranne che per me, ma quello ormai non aveva più importanza.

Presa la decisione, sollevai la testa e passai le dita sotto agli occhi, per togliere un po' del trucco colato. Rabbrividii e mi resi conto di essere fradicia e infreddolita, mi sarei dovuta asciugare prima di partire. Mi voltai per uscire dallo stadio e trasalii di nuovo.

Immobile all'inizio della gradinata su cui mi trovavo, fradicio della stessa pioggia che stava inzuppando me, Matthew mi guardava con un'espressione indecifrabile. Il suo petto si alzava e abbassava per il fiatone causato dalla corsa, le braccia erano lungo i fianchi, con le mani strette a pugno. Le labbra erano serrate in una linea dura. Fece due passi nella mia direzione, lentamente, senza distogliere lo sguardo dal mio. Io respiravo appena, incapace di muovermi e di pensare. Si fermò a un metro da me.

"Eri davvero tu la ragazza mascherata della festa 'Black and White'?" chiese a bassa voce, ma lo udii ugualmente, nonostante il rumore della pioggia. Più che altro, non ero più cosciente del fatto che continuassero ad arrivarmi addosso secchiate di acqua.

Non fui in grado di rispondere, ero completamente senza voce. Allora annuii e rimasi ferma, in attesa come un condannato a morte che aspetti il colpo di grazia.

Lui si avvicinò ancora e presto fu a pochi centimetri da me. Alzò la mano destra e tolse un ciuffo bagnato dalla mia fronte mentre l'espressione dei suoi occhi perdeva tutta la sua durezza e tornava a essere la stessa di quella sera, che avevo tanto sognato ma che ero certa non avrei più rivisto rivolta a me.

"Che Dio mi aiuti" sussurrò con voce roca. 

Un istante dopo la sua bocca fu sulla mia e il resto del mondo cessò di esistere.

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Ciao! Capitolo un po' lungo ma non ho voluto dividerlo essendo un capitolo importante... Io mi auguro di essere riuscita a rendere, almeno in parte, la scena come ce l'ho nella mia mente. Cosa ne pensate?

Un grande abbraccio.

:-*

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