15.
[revisionato]
Dopo la nottata da incubo appena trascorsa, la mattina si stava preannunciando ancora peggiore. Avevo dormito pochissimo, mi ero svegliata con un mal di testa feroce che mi aveva impedito di fare colazione e, dulcis in fundo, nonostante innumerevoli e inutili tentativi non ero riuscita a sistemarmi i capelli in modo decoroso per cui ora erano miseramente raccolti in una coda alta. Mi ero anche accorta di avere dimenticato al campus i trucchi. Se non fossi stata costretta dal fatto di dover tornare in fretta alla mia auto in attesa dei soccorsi, non mi sarei mossa dalla stanza fino a che non avessi raggiunto una parvenza di presentabilità che ora, invece, ero ben lungi dall'avere.
Come se non bastasse, di lì a poco sarei stata costretta a farmi vedere in giro in un'automobile di chissà quanto tempo fa e di marca a me assolutamente sconosciuta, con una vecchietta che sembrava uscita da un romanzo dell'Ottocento.
"Cos'è questa cosa?" esclamai inorridita, osservando quella che Mrs Gray aveva definito con orgoglio "la mia automobile". Aveva appena aperto il portone di legno mezzo mangiato dalle tarme che dava in una rimessa costruita alla bell'e meglio di fianco alla casa e mi stava mostrando una specie di scatoletta azzurro cielo con quattro ruote, talmente piccola e vecchia da far dubitare sia che si sarebbe messa in moto, sia che sarei riuscita a starci dentro.
"Io non ci monto in quel giocattolo", dissi perentoria. "Piuttosto vado a piedi".
Mrs Gray mi guardò perplessa. "Con questo tempo, cara?" disse indicando la pioggia che continuava a cadere, per fortuna in modo meno violento della notte appena trascorsa. "Fai come vuoi, ma la trovo una pessima idea, dopo saresti ancora più in disordine. In giro a quest'ora non c'è anima viva, se è questo che ti preoccupa: puoi montare nella mia 500 tranquillamente, non lo verrà a sapere nessuno", concluse strizzandomi un occhio divertita. Per l'ennesima volta ebbi la netta sensazione che si stesse prendendo gioco di me.
"Va bene, andiamo" sospirai.
Mentre lei entrava nell'abitacolo, io mi accertai che le porte della rimessa fossero ben aperte. Il rumore del motore che si accendeva mi fece fare un salto, non avevo mai sentito un frastuono del genere.
La piccola auto mi arrivò di fianco e Mrs Gray mi fece cenno di chiudere il portone e poi salire.
"Eccoci qui", mi disse sorridendo mentre cercavo di mettermi comoda, cosa alquanto difficile viste le ridotte dimensioni dell'abitacolo.
Non risposi, non avevo proprio voglia di fare conversazione.
Finalmente partimmo. Mi misi a guardare fuori dal finestrino i grandi alberi bagnati dalla pioggia e il cielo plumbeo sopra le nostre teste, non vedendo l'ora di essere a casa mia immersa nella vasca idromassaggio. Ci sarebbe voluta una vita: la vecchia guidava a passo di lumaca e il motore di quell'aggeggio infernale mi faceva fare continui balzi sul sedile duro come la pietra. Quanto mi mancava la mia California T...
"Sei silenziosa". constatò lanciandomi una breve occhiata. "Ti avrebbe fatto bene mangiare qualcosa, prima di partire." Alzai le spalle con noncuranza, ancora una volta senza rispondere. "Ho capito, sei una di quelle che di mattina è di pessimo umore. Ho ragione?"
"Ho mal di testa e ho dormito poco, tutto qua" risposi chiudendo gli occhi.
Per alcuni minuti rimanemmo in silenzio. Cullata dal rollio della piccola automobile e dal rumore del motore, mi stavo quasi per appisolare quando la voce di Miss Gray mi riportò alla realtà.
"Non so cosa sia successo mentre eravate fuori, stanotte. Ma da come il tuo amico è fuggito via devi avergli fatto qualcosa. Posso darti un consiglio?" Non mi preoccupai di dire nulla, tanto sapevo che avrebbe proseguito comunque. Cosa che puntualmente fece.
"Non lasciartelo scappare, è oro puro anche se ora non se lo ricorda più."
Mi sollevai, improvvisamente sveglia e mi sfuggì un "Eh?". Cosa stava dicendo?
"Il tuo amico. Quello con cui sei venuta da me. Tienilo stretto. Ascolta il mio consiglio."
"Non capisco di cosa stia parlando. E comunque non è mio amico, lo conosco appena. Mi ha aiutata ieri ma no siamo in buoni rapporti."
"No? Peccato. Per te, intendo."
La fissai. Era ubriaca?
Sorrise senza togliere gli occhi dalla strada. "Ho incontrato tante persone nella mia vita, ma mai due come voi nello stesso momento". Mi guardò per un attimo, poi riportò lo sguardo davanti a sé. "Sei più bella così, senza trucco e un po' scapigliata, sai? Sei più vera. Rifletti anche su questo." Sorrise di nuovo e rimase zitta, persa nei suoi pensieri. Fui contenta che non proseguisse, non avrei voluto che facesse di nuovo altre considerazioni sul genere di quelle della sera precedente.
Finalmente in lontananza vidi la mia auto. Vicino a essa erano già arrivati il carro attrezzi, che l'aveva appena caricata e stava per partire, e la Bmw mandata da mio padre a prendermi.
"Siamo arrivati", dissi senza nascondere il sollievo.
Mrs Gray mise la freccia e, con cautela, si fermò sul ciglio della strada e si girò a guardarmi.
"Abbi cura di te, cara. E ricordarti: quando cadrai giù dal tuo piedistallo, perché succederà prima o poi, se ti troverai in difficoltà e non saprai cosa fare per rialzarti vieni pure da me, ti aiuterò."
La fissai senza parole, era la proposta più assurda che mi fosse mai stata fatta.
"Non so di cosa stia parlando, ma grazie". Feci un sorriso tirato e aprii la portiera dell'auto. Non vedevo l'ora di allontanarmi da quella vecchia, con le sue parole suscitava in me emozioni troppo forti e sconosciute che non sapevo come gestire, né avevo intenzione di farlo.
"Arrivederci e grazie", dissi dopo aver tirato fuori le mie cose. Mrs Gray mi fece un gran sorriso e mi salutò con la mano. Chiusi la portiera e mi diressi verso la Bmw. Gregor, l'autista della mia famiglia, mi venne incontro per aiutarmi con i bagagli.
"Buongiorno signorina", disse togliendomi di mano il borsone e porgendomi un ombrello. "Bella botta la sua auto. Lei sta bene?"
"Sì. Portami a casa, Gregor", replicai senza guardarlo e avvicinandomi all'auto.
Dopo avere parlato per un attimo con i meccanici del carro attrezzi, entrai nella Bmw chiudendo gli occhi e godendomi per un istante la piacevole sensazione dei sedili di pelle sotto di me, dopo l'incubo della piccola auto di Mrs Gray.
Udii la portiera del guidatore aprirsi e chiudersi e, subito dopo, il potente motore si mise in moto. Gregor azionò la freccia e fece qualche metro per immettersi nella carreggiata, poi si fermò. In quel momento il suono di un clacson mi fece riaprire gli occhi e guardare fuori dal finestrino: dalla sua macchinina azzurra, Mrs Gray mi mandò un ultimo saluto prima di proseguire verso casa.
Gregor la lasciò passare, poi a sua volta partì e subito accese la radio posizionandola su una frequenza di sola musica. Cullata da quelle note e leggermente più rilassata, finalmente riuscii a scivolare in un sonno senza sogni che, almeno per un po', mi fece trovare un po' di pace.
CAPITOLO 16
"Miss Anna. Siamo arrivati."
Le parole di Gregor mi svegliarono dal sonno ipnotico nel quale ero piombata non appena eravamo partiti dal luogo dell'incidente.
Sbattei le palpebre e guardai fuori dal finestrino. La sagoma famigliare della facciata di Villa Walker incombeva su di noi a pochi metri di distanza. Con un rapido sguardo abbracciai tutta l'area circostante: la fontana posta esattamente al centro del grande piazzale antistante la casa, le linee armoniose del tetto e delle grandi finestre abbellite da cascate di edera e fiori.
Come ogni volta, tutto mi trasmetteva un senso di sorpresa e di appagamento: stavo guardando la realizzazione di ogni mio sogno, cosa impensabile fino a pochi anni prima quando...
Mi riscossi. Non era il momento per lasciarsi andare a ricordi spiacevoli.
Passai una mano sugli occhi e sui capelli mal messi. Prima di incontrare i miei era necessario che mi dessi una riassettata generale, il che avrebbe voluto dire un paio d'ore spese fra idromassaggio, trucco e parrucco. Attesi impaziente che Gregor finisse di aprire la mia portiera e scesi dall'auto.
"Porta la mia borsa in camera e di' ai miei genitori che li raggiungerò appena possibile", gli dissi mantenendo lo sguardo fisso sulla villa e incamminandomi verso la scalinata che conduceva al portone d'ingresso.
"Miss Anna mi permetto di farle notare che suo padre ha detto di andare da lui non appena fosse arr..."
Mi voltai di scatto, lo fissai e ripetei secca "Appena possibile andrò da loro." Poi ripresi a camminare, salii la scalinata e finalmente entrai in casa.
I miei occhi impiegarono qualche attimo ad abituarsi alla morbida penombra dell'interno, ma sapevo esattamente dove andare per cui, senza fermarmi, attraversai l'elegante salone di ingresso e salii al primo piano dove si trovava la mia camera.
Non appena vi fui entrata, come prima cosa mi buttai a pesce sul grande letto a baldacchino che troneggiava in mezzo alla stanza, sospirando soddisfatta a occhi chiusi. Casa, finalmente.
Alla mia destra udii aprirsi la porta del bagno. Una voce femminile che conoscevo bene mi fece alzare la testa.
"Buongiorno miss Anna. Ho già preparato il bagno, immaginando che avrebbe gradito rilassarsi un po' dopo questa brutta avventura."
"Bene, Greta. Che nessuno mi disturbi per un'ora", risposi sollevandomi dal letto.
"Bene, signorina" la udii dire mentre chiudevo la porta del bagno.
Mi svestii in fretta e mi immersi nella vasca idromassaggio con un mugolio soddisfatto. Ora si cominciava a ragionare di nuovo. Appoggiai indietro la testa e chiusi gli occhi per assaporare appieno il mio momento di relax. Avevo la sensazione che per incontrare i miei genitori avrei avuto bisogno di essere molto lucida e riposata e sapevo perfettamente che, quando la mia solita vocina mi urlava qualcosa, era molto meglio per me darle ascolto.
Dopo neanche due minuti di quel paradiso il trillo insistente dell'interfono rovinò tutto.
Mi nascosi sotto acqua per non sentirlo, sperando che smettesse, ma invano. Con uno sbuffo riemersi e allungai la mano fino a prendere la cornetta, pronta a dirne quattro a chiunque avesse avuto la malsana idea di disturbarmi.
"Avevo detto espressamente di non..."
"Entro cinque minuti ti voglio nel mio studio."
Il tono tagliente di mio padre mi fece passare all'istante la voglia di restare a crogiolarmi in vasca, non perché avessi paura di lui ma perché detestavo sentire le sue prediche sul rispetto, sulla puntualità e tutto il resto.
Sbattei giù la cornetta, sapendo che dall'altra parte la conversazione era già stata troncata.
"Accidenti!" imprecai uscendo dall'acqua e prendendo un accappatoio appoggiato di fianco alla vasca. "Possibile che non si riesca a stare in pace neppure in casa propria?"
Finii in fretta di asciugarmi e andai in camera a prendere un vestito qualsiasi da mettere addosso. Legai i capelli ancora umidi e uscii dalla camera, più innervosita di quando ero entrata.
Non riuscivo a capire l'urgenza di parlarmi e mi preoccupava che mia madre, al telefono, avesse detto quel cognome. Poteva essere in qualche modo collegato all'insopportabile ragazzo che continuavo a trovarmi tra i piedi?
Con una certa apprensione bussai lievemente sulla porta dello studio per farmi annunciare ed entrai.
"Oh. Finalmente ci degni della tua presenza."
"Buongiorno anche a te, padre. Mamma" salutai, sedendomi su una grande poltrona bianca e osservando attentamente i due visi di fronte a me. Mio padre, o meglio il mio patrigno, era seduto alla sua scrivania e aveva un cipiglio che non lasciava presagire niente di buono mentre mia madre, come sempre elegantissima e perfettamente truccata e pettinata, era tranquillamente sprofondata nell'altra poltrona come se non avesse un pensiero al mondo.
"Tesoro mio come sei ridotta... Non potevi darti una sistemata prima di venire da noi?"
La incenerii con lo sguardo. "Quella era l'intenzione, ma non me ne avete dato il tempo", replicai di scatto. "Allora, cos'è questa cosa tanto urgente che non può aspettare neanche mezz'ora?"
"Signorina cambia i toni" si intromise Nathan Walker alzandosi e girando attorno alla scrivania per venire a sedersi di fronte a me. Mi limitai a guardarlo, in attesa. Nonostante lui e mia madre fossero sposati ormai da dieci anni, fra noi non si era mai creato alcun legame affettivo. Lui era l'essere più freddo e senza scrupoli che avessi mai incontrato e, sebbene gli fossi grata per tutto ciò che mi aveva dato dal punto di vista materiale, avevo sempre preferito stare a distanza di sicurezza per cui di fatto per me lui era quasi un estraneo.
Si sedette sul divano posto di fronte a me e mi squadrò da capo a piedi scuotendo appena il capo, evidentemente scontento quanto mia madre che io fossi così in disordine. Stavo iniziando a scocciarmi.
"Vengo subito a punto, Anna. Tu sai che fra poco inizierà la campagna elettorale per il Senato."
Annuii, perplessa. Non capivo cosa questo avesse a che fare con me.
"Ho buone chance di essere eletto, ma potrei avere ancora più possibilità se avessi dalla mia parte il senatore Hawthorne".
A quel nome mi sollevai di scatto, improvvisamente attenta.
"Lui è il patriarca di una delle famiglie più antiche e potenti di Boston, se diventasse dei nostri avrei la vittoria in pugno. Ha una certa età ma è un osso duro e quando ci siamo incontrati non ha detto né sì né no. Ho bisogno di qualcosa che lo... diciamo... aiuti a prendere la decisione giusta. E qui entri in gioco tu."
"Non vedo come. Io non vivo qui, ma al Dartmouth College e non ho intenzione di tornare per..."
"È proprio perché stai lì che potrai aiutarmi. Io lo sapevo che farti entrare in quell'università così prestigiosa avrebbe dato i suoi frutti prima o poi!"
"E cosa dovrei fare?" chiesi sottovoce, guardinga.
"È presto detto. Pare che un suo nipote si sia trasferito alla Dartmouth. Aiuterebbe il vecchio a decidersi il fatto di sapere che mia figlia è diventata amica... intima... di suo nipote."
Nell'udire quelle parole mi alzai in piedi di scatto, furiosa.
"Mai! Non puoi obbligarmi a fare una cosa del genere! Ho conosciuto già il nipote del tuo prezioso senatore e ti assicuro che è una persona disgustosa, arrogante e antipatica. Non ci sopportiamo a vicenda per cui cerca un altro sistema per portare Hawthorne dalla tua. Io non ci sto."
Avevo parlato quasi senza riprendere fiato. Non appena finii mi sentii svuotata. Chiusi gli occhi e ripiombai sulla poltrona. Non avrei mai fatto una cosa del genere, al solo pensiero mi si rivoltava lo stomaco.
"Non era una domanda, Anna." Nonostante la frase fosse appena sussurrata, avvertii chiaramente il tono minaccioso. Riaprii gli occhi e li piantai in quelli neri e gelidi dell'uomo di fronte a me. Non sprecai tempo a guardare mia madre, tanto lei non riusciva mai a farsi valere.
"Tu sarai ubbidiente e farai quanto ti ho detto. A meno che, naturalmente, a te non interessi mantenere lo status e i privilegi acquisiti a seguito del matrimonio di tua madre con me e non preferisca tornare in quella fogna del Queens da cui vi ho tirate fuori dieci anni fa."
"Questo è un ricatto bello e buono!" Ero senza parole. Mi girai verso mia madre, anche se sapevo di stare perdendo il mio tempo. "E tu non dici niente? Anche stavolta sei d'accordo con lui?"
"Ma cara... Cosa mai ti ha chiesto? Sei proprio esagerata"
"Esagerata? Mi chiede di andare insieme a un tizio, che incidentalmente è detestabile, per ottenere i suoi scopi e io sono esagerata a reagire così?"
"Anna, smettila e calmati. Sei stata iscritta alla Dartmouth per tutte le relazioni sociali rilevanti che avresti potuto tessere. Questo è un ottimo modo per mettere a frutto l'investimento che ho fatto su di te. E non è negoziabile."
"Mi stai trattando come un oggetto", sussurrai.
Alzò le spalle. "Io la vedo come un'ottima opportunità per te di salire la scala sociale e avere accesso ai più esclusivi salotti di Boston. Vista l'alternativa non avrei dubbi sulla decisione da prendere", terminò senza smettere di fissarmi.
Mi alzai e mi diressi verso la porta, lì dentro non si riusciva a respirare. Avevo appena messo la mano sulla maniglia che la voce di Nathan mi raggiunse di nuovo.
"Immagino che questo tuo silenzio significhi che accetti. Un'ultima cosa: siamo a settembre, ti do tempo fino a Natale. Dovrebbe bastarti per portare a termine la tua conquista."
Mi irrigidii e mi morsi la lingua per non rispondere. Poi uscii dallo studio e andai verso una finestra del corridoio.
Aveva ricominciato a piovere a dirotto e il cielo era carico di nuvoloni neri. Appoggiai al vetro la fronte, sperando che il fresco mi avrebbe schiarito le idee.
Da qualsiasi parte la guardassi non avevo scelta, dovevo accettare quel patto. Non potevo neppure pensare di perdere tutto ciò che avevo e di tornare nel misero monolocale in cui ero vissuta con mia madre fino al giorno in cui l'auto di Nathan Walker, magnate della finanza, aveva forato davanti al negozio in cui lei lavorava come commessa. Lui ci aveva portate via da quella miseria e dato ogni genere di lusso possibile e di questo gli ero grata, anche perché era ciò che avevo sempre sognato, ma ora voleva un pagamento salatissimo per tutto ciò.
Tuttavia non c'erano vie d'uscita e lo sapevo, non volevo tornare nel Queens e perdere ogni cosa.
Avrei dovuto conquistare Matthew Hawthorne.
Un brivido gelido mi corse giù per la schiena. Detestavo quella persona con tutte le mie forze, come sarei riuscita a fingere il contrario?
In più sapevo benissimo che, se era vero che avrei potuto avere ai miei piedi ogni singolo studente del College, con lui era tutta un'altra storia.
Le parole che mi aveva sussurrato la notte precedente mi rimbombarono nella testa.
'Neanche se fossimo gli ultimi due esseri rimasti sulla faccia della Terra potrei essere in qualche modo attratto da te.'
Avevo un enorme problema da risolvere.
CAPITOLO 17
Mi staccai di scatto dal vetro della finestra.
Nella mente mi era balenato un pensiero che, forse, era la via d'uscita da quel ginepraio.
Senza pensarci un attimo, ripercorsi il corridoio e rientrai nello studio, stavolta senza bussare.
Aprii la porta e feci un passo nella stanza ma mi fermai interdetta, una mano ancora appoggiata sulla maniglia.
Vista la scena di poco prima, mi sarei aspettata di trovare mia madre e Nathan immersi in un'accesa discussione su quanto lui voleva che facessi, o che almeno stessero parlando della cosa... No.
Tutto era immerso nella quiete più assoluta. Entrambi erano seduti nella stessa posizione di prima, mia madre immersa nella lettura del Cosmopolitan con le gambe elegantemente accavallate e una mano carica di anelli abbandonata sul bracciolo della poltrona, mentre del mio patrigno si vedevano solo le gambe, il resto completamente nascosto dal Wall Street Journal.
Non si erano accorti del mio ingresso.
"Non puoi farlo." In quel silenzio, le mie parole parvero gridate.
Mia madre sollevò di scatto la testa e portò la mano libera dal giornale al cuore con un gridolino di sorpresa.
Il Wall Street Journal si piegò e vidi gli occhi neri di Nathan fissarmi con le sopracciglia sollevate da sopra gli occhiali da lettura.
"Il tuo ricatto", ripetei con voce sicura, togliendo la mano dalla porta e facendo qualche passo verso di loro "non lo puoi portare avanti."
Lo vidi chiudere il giornale con estrema cura, piegarlo e appoggiarlo di fianco a sé con sopra gli occhiali. Non aveva spostato i suoi occhi dai miei neppure per un attimo, forse per vedere se sarei stata in grado di sostenere il suo sguardo. Lo fui.
Piegò la testa con blando interesse e unì i polpastrelli delle mani davanti al viso.
"Sentiamo, perché non potrei?"
"Come giustificheresti ai tuoi preziosi elettori il fatto di allontanare la tua figliastra e farla tornare nel tugurio in cui viveva prima di incontrarti? Ora sono sicura che adorano il tuo essere un padre amorevole che ha preso con sé la povera orfanella dandole tutto ciò che non aveva mai avuto... Non ci faresti una gran figura", terminai sicura. Sapevo di aver centrato un punto debole e l'appena accennato tremolio delle sue palpebre me ne diede conferma. Dentro di me gioii, avevo la vittoria in pugno. Fra poco sarei stata libera da quel patto scellerato.
Lo vidi riprendere giornale e occhiali e mettersi a guardare qualcosa scritto su quelle pagine. Iniziò a parlare senza sollevare lo sguardo.
"C'è una cosa che gli elettori adorano più di un padre amorevole che ha accolto la povera orfanella." Si fermò e sollevò la testa, piantando il suo sguardo nel mio "ed è un patrigno che, nonostante i vistosi disturbi della personalità della figliastra dovuti all'infanzia difficile, anziché abbandonarla al suo destino decide di farla seguire dai medici specializzati delle più rinomate cliniche per malattie neurologiche del Paese."
Deglutii a vuoto. Non poteva essere davvero questa la sua idea, non poteva essere così privo di scrupoli.
"Stai bluffando" azzardai, ostentando sicurezza.
"È possibile" rispose serafico, "ma al tuo posto ci penserei su due volte prima di metterti nella condizione di verificarlo."
Aveva vinto. E lo sapeva perfettamente: sul viso duro aleggiava quel mezzo sorriso che gli avevo visto solo dopo la conclusione positiva di qualche affare particolarmente ostico.
Mi voltai e riaprii la porta.
"Anna. Un'ultima cosa. A Capodanno daremo una festa a cui parteciperanno i miei maggiori sostenitori. Mi aspetto di vederti arrivare con il tuo fidanzato."
Raddrizzai ancora di più le spalle e, senza voltarmi, feci un cenno di assenso con la testa.
Uscii da lì come un automa. Mi mancava l'aria, volevo andarmene e tornare al College a riflettere sul da farsi.
Doveva esserci una via d'uscita.
Salii a quattro a quattro i gradini e corsi in camera a rifare la borsa.
Mezz'ora dopo ero al volante della Spider nera di mia madre e guardavo sullo specchietto retrovisore la sagoma di Villa Walker che, alle mie spalle, spariva in mezzo agli alberi.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro