14.
[revisionato]
La penombra della notte avvolgeva ogni cosa, mentre a tentoni scendevo le scale cercando di non cadere.
Un profumo di dolci arrivò alle mie narici e, quando giunsi al piano terra, notai un filo di luce filtrare da sotto la porta chiusa della cucina. Evidentemente la padrona di casa era sveglia, così la mia idea di rifugiarmi lì non poteva essere attuata.
Sbuffai infastidita. Detestavo quando le cose non andavano come volevo, fatto che ultimamente stava capitando troppo spesso.
Mi fermai alla base delle scale, incerta sul da farsi. Tornare in stanza era fuori discussione, come pure andare in cucina a chiacchierare amichevolmente con la vecchietta che ci ospitava, ma del resto sedermi al buio in quel soggiorno da museo non mi attirava proprio.
Lo sguardo si posò sul mio trench, appeso vicino al termosifone di fianco alla porta di ingresso per asciugarsi. Non si udiva quasi più il rumore della pioggia e mi venne voglia di uscire a prendere in po' d'aria.
Il fatto che la vecchia fosse sveglia capitava a proposito, le avrei chiesto le chiavi.
Decisa, andai verso la cucina e aprii la porta. Il profumo di torta appena sfornata faceva venire l'acquolina in bocca nonostante fosse notte fonda.
Mi fermai sulla soglia e mi guardai intorno.
Non c'era nessuno ma sia sul grande tavolo con il piano in marmo posto al centro della stanza, sia sui mobili bianchi che ne costituivano l'arredamento, c'erano tracce di un lavoro lasciato a metà.
Sul tavolo sporco di farina una teglia da forno vuota aspettava che qualcuno la riempisse con il contenuto della terrina posta al suo fianco.
Un fuoco era acceso al minimo sotto una pentola nella quale qualcosa si stava sciogliendo. Mi avvicinai incuriosita: era cioccolato, che probabilmente sarebbe stato usato anch'esso per ciò che sarebbe stato posto sulla teglia.
Sbirciai nel forno acceso: una ciambella stava finendo di cucinare ed emanava un odore delizioso.
Avevo sempre detestato cucinare perché ci si sporcava troppo, ma mangiare bene mi piaceva e il profumo che stavo sentendo era molto invitante.
"Buonasera, cara. Neppure tu riesci a dormire?"
Feci un balzo dallo spavento e per poco non andai a sbattere contro il forno caldo.
Dalla porta-finestra che, presumibilmente, dava in giardino, l'anziana padrona di casa era entrata silenziosamente in cucina facendomi quasi venire un infarto.
La fissai stranita mentre cercavo di riprendere a respirare normalmente.
"Scusami, ti ho spaventata", disse scrutandomi. Un lampo divertito le attraversò gli occhi grigi. Come per il telefono, anche in quel momento ebbi la netta sensazione che si stesse prendendo gioco di me. "La pioggia non ti fa dormire?"
"Esatto" risposi secca, sperando che non avrebbe continuato a parlare. Mi mossi e iniziai a dirigermi verso la porta. Mi era anche passata la voglia di chiederle le chiavi per uscire.
Ero quasi arrivata quando la udii schiarirsi la voce, segno evidente che stava per dire qualcosa. Mi girai squadrandola poco amichevolmente, per disincentivare qualsiasi idea avesse di dialogo amichevole. Fallii miseramente.
"Anche a me la pioggia tiene sveglia, sai", cinguettò avanzando verso il tavolo e posandovi sopra la sac a poche che teneva in mano. "Da quando il mio Patrick se n'è andato non c'è verso che riesca a dormire in notti come questa."
Sospirai e mi appoggiai al muro, rassegnata. "Mi dispiace", dissi facendo finta di essere interessata a ciò che mi stava dicendo. "È mancato da tanto suo marito?"
"Mio marito?" esclamò esterrefatta. "Che Dio ti conservi cara, per carità! No, intendevo il mio cane!" Iniziò a ridere così forte che dovette sedersi perché le mancava il fiato.
Per fortuna che ero già appoggiata al muro sennò sarei caduta per terra. La fissai stralunata: da dove era saltata fuori questa strana vecchia? "Patrick era un cane?" chiesi con un filo di voce. Che razza di nome.
Si asciugò le lacrime che avevano iniziato a scendere sulle sue guance rugose e fece un profondo respiro. "Sicuro! Un pitbull nero come la pece e buono come il pane che però non tollerava gli estranei. Capiva all'istante se un rumore nuovo era qualcosa di cui preoccuparsi oppure no... Dormiva sotto il mio letto e si agitava solo ed esclusivamente se qualcuno si avvicinava alla casa. Neppure i tuoni o il vento lo confondevano, così io ero tranquilla. Ora che lui non c'è più, invece, ogni minimo rumore mi sembra causato da qualcuno che vuole entrare in casa, così non riesco a prendere sonno... e allora mi rilasso preparando da mangiare." Concluse serafica, come se cucinare dolci per un esercito nel cuore della notte fosse la cosa più naturale del mondo.
"E tu, come mai non dormi?" mi chiese squadrandomi.
"Io non..." iniziai, incerta su cosa dire.
"Bah, non importa. Visto che sei qui mi darai una mano. Tieni." Tagliò corto dandomi la sac a poche che nel frattempo aveva riempito con un po' del contenuto della terrina. "Fai dei riccioli sulla teglia, a una certa distanza uno dall'altro perché sennò si attaccano."
La fissai immobile, tenendo quell'oggetto in modo tale che non mi sporcasse le mani.
La vecchia ricambiò il mio sguardo, piegando la testa come per studiarmi.
"Non mi dire" sussurrò infine con un gran sorriso, "non sai come si usa."
"No", replicai gelida porgendogliela "e non ho intenzione di farlo, né di sporcarmi le mani con l'intruglio che ha messo dentro."
Lei la riprese senza un commento e iniziò a fare dei graziosi riccioli color crema praticamente identici uno all'altro. Non mi degnò di un'occhiata, immersa com'era nel compimento della sua opera o in chissà quali pensieri.
Mi ritenni libera di andare, così mi girai e mi diressi di nuovo verso la porta.
"Sai cara, al posto tuo cercherei di cambiare un pochino."
Quelle parole mi arrivarono come una pugnalata quando ormai ero quasi fuori dalla cucina.
Mi girai di scatto. "Cosa vuole dire?" sputai inviperita. Quella vecchia stava esagerando.
Lei finì con calma la fila di riccioli, poi appoggiò la sac a poche, si pulì le mani sul grembiule a fiori che indossava e mi fissò.
"Voglio dire che si vede lontano un miglio che sei la classica figlia di papà viziata e abituata ad avere tutto e tutti ai propri piedi con un semplice schiocco delle dita." Replicò con un tono decisamente più freddo di quello usato fino a quel momento. Anche gli occhi che mi fissavano avevano perso ogni calore. "Ero insegnante e ne ho viste tante come te. Con una corte di seguaci ma neppure un amico. Sono immancabilmente tutte finite male, con matrimoni falliti alle spalle e senza nessuno a fianco. Per questo ti dico: scendi sulla terra e cambia un poco, oppure resterai sola."
Rimasi impietrita. Non ero preparata ad un attacco del genere e mi trovai nell'impossibilità di replicare. Mi girai di scatto e uscii di corsa dalla stanza, sbattendo la porta. Brancolai nel buio e quasi andai a sbattere contro Matthew che era sceso, forse attirato dalle voci.
"Cosa diav..." disse, prendendomi al volo prima che cadessi a terra.
"Lasciami!" Gli diedi una spinta e mi allontanai nella direzione in cui ricordavo di avere visto la porta d'ingresso. Fortunatamente ero nel giusto. Con una mano già sulla maniglia, allungai l'altro braccio e trovai il mio trench appeso lì di fianco. Lo presi con movimento brusco e provai ad aprire la porta. Volevo uscire da lì, andarmene il più lontano possibile da quella vecchia maledetta e da quelle parole terribili che mi aveva detto.
"Cosa fai?" esclamò Matthew nel vedermi riuscire ad aprire l'uscio della casa e avventurami fuori nonostante il brutto tempo.
Non gli risposi. Ancora stupita che la porta si fosse aperta, senza riflettere attraversai la veranda semi buia lasciando che una folata di vento mi chiudesse fuori.
Il trench era ancora umido e provai una sgradevole sensazione di gelo mentre lo indossavo scendendo in fretta i gradini che mi portavano fuori dalla protezione della tettoia.
Subito la pioggia, che aveva ripreso a cadere piuttosto violentemente, iniziò a sferzarmi il viso e fui scossa da brividi di freddo, ma non mi fermai. Quanto era successo prima in camera e poi in cucina mi aveva toccato un po' troppo nel profondo e avevo bisogno di aria per recuperare un po' di serenità. Lacrime di rabbia iniziarono a scorrere sulle mie guance e subito si mescolarono alle gocce di pioggia che, incessantemente, percorrevano il mio viso.
Presi a camminare avanti e indietro sul prato antistante la casa come una tigre in gabbia, incurante di tutto, anche del vento che piegava gli alberi.
Un ramo piuttosto grosso si spezzò e cadde a poca distanza da me con un tonfo sordo. Mi fermai di colpo e sbattei le palpebre, come se mi fossi appena svegliata da un sogno. Passai una mano sul viso bagnato e mi guardai intorno. Senza rendermene conto ero quasi arrivata alla strada. Benché sapessi che era rischioso viste le condizioni meteo, non volevo tornare indietro "da loro", così decisi di proseguire e mi incamminai lungo il ciglio della carreggiata.
Avevo fatto pochi passi quando mi sentii afferrare il polso. Mi girai di scatto impaurita, e mi trovai di fronte Matthew, fradicio anche lui, che mi guardava torvo.
"Lasciami!" gridai istericamente per la seconda volta, cercando invano di liberarmi. Lui mi afferrò anche l'altra mano.
"Torna dentro. Il vento è più forte ora, non è prudente rimanere fuori", mi rispose impedendomi di scappare via.
"Non ho alcuna voglia di rientrare. Lasciami, ho detto!"
La sua espressione cambiò. Mollò le mie mani e sorrise. "Ti ha colpito così tanto quello che ha detto Mrs Gray?"
"E tu cosa ne sai di ciò che mi ha detto?" scimmiottai con un soffio, massaggiandomi il polso che aveva appena mollato.
"Parlavate ad alta voce" disse semplicemente, fissandomi. "Perché te la sei presa tanto? Non è cosa che sapevi già?" Sembrava sinceramente desideroso di sapere come la pensassi.
Alzai le spalle e mi girai, ricominciando a camminare.
Un rumore secco sopra le nostre teste fece alzare la testa a entrambi. Mi fermai impietrita, fissando un ramo gigantesco che, quasi a rallentatore, si stava staccando dal tronco e ci sarebbe piombato addosso nel giro di pochi istanti.
Un momento dopo ero riversa sul prato aggrovigliata a Matthew che, al contrario mio, accortosi del pericolo con un movimento fulmineo mi aveva afferrata e si era buttato di lato appena prima che il grosso ramo toccasse terra.
A occhi chiusi e senza fiato per la caduta, sentivo sotto di me il terreno bagnato inzupparmi ancora di più gli abiti e sopra di me un peso che mi impediva di respirare.
Cercai di muovermi e, nel fare questo, riaprii gli occhi solo per trovarmi a fissare quelli di Matthew che mi guardavano a pochi centimetri dal mio viso.
"Tutto ok?" chiese gentilmente.
"Spostati, non respiro", replicai acida. Volevo che si togliesse in fretta, averlo sopra di me mi faceva uno strano effetto.
Alle mie parole un'espressione che non riuscii a decifrare gli alterò i lineamenti per un attimo. Poi si sollevò sulle braccia per osservarmi alla luce fioca di un lampione poco distante.
"Hai finito di fissarmi?" sputai "Voglio alzarmi. Ti sposti o no?"
"No." replicò con un ghigno.
Un istante dopo le sue labbra erano sulle mie in un bacio più duro e insultante di uno schiaffo in pieno viso. Colta alla sprovvista, non fui in grado di sottrarmi a quel contatto.
"Sei fastidiosa e maleducata" sussurrò un momento dopo, sollevando appena il viso "ma qualcuno, prima o poi, ti darà una lezione."
Non feci in tempo a replicare che si era alzato e si stava allontanano in direzione della casa.
Con fatica mi misi a sedere. Vidi le foglie del ramo caduto che mi sfioravano le gambe e mi passò per la mente il pensiero di non averlo neppure ringraziato per avermi salvata, ma subito lo archiviai ritenendo che quel bifolco non meritasse tanto.
Mi toccai le labbra con le dita. Quel bacio sapeva di punizione, eppure non riuscivo ad eliminare del tutto le sensazioni che quelle labbra avevano scatenato dentro di me.
Irritata oltre ogni dire, mi alzai e mi incamminai molto lentamente verso la casa, immersa in pensieri poco piacevoli. Non mi accorsi neppure che non pioveva più né che iniziava ad albeggiare.
Ero quasi arrivata alla veranda, quando l'uscio si aprì e vidi uscire nuovamente Matthew, vestito con gli abiti che aveva il giorno prima e con le chiavi della moto in mano.
"Dove vai?" chiesi, anche se in realtà conoscevo già la risposta.
"Non hai più bisogno del mio aiuto, torno al campus", rispose senza fermarsi e guardandomi solo per un attimo. "Mrs Gray ti accompagnerà alla tua auto quando vorrai. Ciao."
Non gli risposi. Seguii i suoi movimenti fino a quando non lo vidi salire sulla moto, mettere il casco nonostante i capelli bagnati e accendere il motore.
A quel punto mi voltai e ripresi a salire i gradini della veranda. Mentre la attraversavo udii il rombo del motore squarciare il silenzio di quella strana alba e, quando misi la mano sulla maniglia per entrare, lo sentii allontanarsi fino a sparire mentre un senso di vuoto piuttosto sorprendente e sgradito si faceva strada dentro di me.
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