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11.

[revisionato]

Non si vedeva praticamente nulla.

Era metà pomeriggio, ma sembrava che fosse notte tranne quando i lampi illuminavano gli alberi a bordo strada.

Quando ero partita avevo notato che i nuvoloni neri erano ormai sopra di me, ma avevo sperato di riuscire almeno a superare la foresta prima dell'inizio del temporale.

Illusa.

Il temporale mi sorprese circa un'ora dopo la partenza dal campus, proprio nel bel mezzo del nulla più assoluto. Ben presto iniziò a piovere così forte che mi sembrava di avere di fronte un muro e di stare guidando su un fiume insaponato. Mi era venuto mal di testa per l'attenzione con cui guardavo la strada: i fanali non riuscivano a darmi una visibilità decente a causa della quantità di acqua che stava cadendo, per cui procedevo quasi alla cieca.

Non volevo tornare indietro né fermarmi, ma la situazione ben presto divenne critica così rallentai progressivamente, anche perché la mia fida California T mi stava dando problemi con la tenuta di strada. Avevo saltato gli ultimi controlli perché mi avrebbero distolto da cose molto più interessanti e forse non era stata una buona idea.

"Maledizione!" esclamai all'ennesima piccola sbandata. "Ma in Ferrari sanno costruire auto? Sarebbe meglio che si dessero all'uncinetto acrobatico! Possibile che bastino due gocce di pioggia per mettere in crisi questo catorcio?"

Un forte tuono sottolineò le mie parole, come se anche il cielo fosse d'accordo con me. Subito dopo la pioggia iniziò a cadere ancora più forte.

'Niente da fare, devo fermarmi finché il temporale non diminuirà d'intensità' pensai a malincuore.

Un istante dopo un fulmine particolarmente forte illuminò la strada, concedendomi per un istante di vedere a una decina di metri dal cofano, cosa altrimenti impossibile. Così vidi un po' della striscia di asfalto su cui correvano rivoli di acqua. I grossi tronchi degli alberi piegati dal forte vento che la fiancheggiavano come sentinelle. E un enorme tasso, bloccatosi in mezzo alla strada mentre la stava attraversando, ipnotizzato dai fanali della mia auto.

La mia reazione fu istintiva. Sterzai di colpo per evitare l'impatto con l'animale e immediatamente la macchina iniziò a pattinare fuori controllo, avvicinandosi pericolosamente ai grossi tronchi che avevo intravisto poco prima.

Memore dei corsi di guida sportiva che i miei mi avevano costretta a fare nel corso degli anni, riuscii a passare il cambio da automatico a manuale e a scalare le marce in modo da ridurre la velocità senza toccare i freni.

Non bastò. Vidi come a rallentatore il muso dell'auto dirigersi deciso verso un enorme tronco e feci appena in tempo a prepararmi che avvenne l'impatto. Per fortuna la velocità era bassa per cui gli airbag rimasero al loro posto e io non subii alcun contraccolpo.

Non feci in tempo a rallegrarmi per lo scampato pericolo che un ramo piuttosto grosso si staccò dall'albero a cui la Ferrari si era appoggiata e precipitò lateralmente sulla parte anteriore del cofano, senza tuttavia arrivare all'abitacolo. Seguì un caos di sinistri rumori di lamiera accartocciata. Il motore, dopo un ultimo strano rumore, si spense del tutto. Un silenzio irreale, sottolineato dalle gocce di pioggia che battevano sulla carrozzeria, mi avvolse.

La criticità della situazione mi colpì come una mazzata. Ero sola, su una strada nel bel mezzo di un bosco dove non passava mai nessuno, sommersa dalla pioggia e con l'auto in panne.

"Mi mancava proprio questa!" sbottai furiosa battendo le mani sul volante. "Che inizio d'anno del cavolo! Ma guarda un po' se doveva capitarmi anche questa e proprio oggi sembra che tutto sia stato combinato da qualcuno che mi vuole male che poi non vedo perché ma guarda che idee e se penso anche a quel tizio disgustoso che mi perseguita in continuazione al campus..."

Continuai il mio delirante soliloquio anche quando mi spostai sul sedile di fianco a quello del guidatore per cercare di recuperare l'iPhone che era rotolato per terra da qualche parte nel momento dell'urto.

"Eccoti!" esclamai non appena lo vidi. Mi chinai a raccoglierlo, ma il sorriso di trionfo mi si spense sulle labbra: gli era caduta sopra, evidentemente su un punto particolarmente delicato, la torcia che avevo messo sul sedile per averla a portata di mano e lo schermo si era crepato. Ora era nero, completamente inservibile.

"E adesso?" mi chiesi passandomi le mani fra i capelli e lasciandomi cadere contro il sedile a occhi chiusi.

Ero in un vero guaio, da qualsiasi parte lo guardassi non vedevo vie d'uscita.

Dovevo fare qualcosa, altrimenti sarei stata travolta dal panico.

Dalla borsa di Vuitton, che provvidenzialmente non avevo messo nel bagagliaio, presi trench, ombrello e stivali da pioggia e, dopo essermi preparata e avere preso la torcia, mi avventurai fuori per cercare di capire se ci fosse una possibilità di farla ripartire o se i danni erano troppo ingenti.

Non appena uscii dall'abitacolo venni investita da raffiche di vento e pioggia. L'ombrello si rovesciò e mi sfuggì di mano, così nel giro di pochi secondi mi ritrovai zuppa da capo a piedi.

'Ideona!' pensai. 'Cosa mi è saltato in mente... Mi si è pure rotta un'unghia. Dannazione!'

Arrivai al cofano e fin dalla prima occhiata mi resi conto che non c'era speranza che il motore potesse ripartire: l'urto aveva fatto rientrare la carrozzeria di almeno trenta centimetri, la parte di motore che si trovava in quella zona era senz'altro a pezzi.

Provai comunque ad aprire il cofano per guardare dentro, ma era bloccato.

Intenta com'ero a trafficare sull'auto, mi accorsi della luce che si stava avvicinando, illuminandomi, quando era ormai troppo tardi per tornare a rifugiarmi all'interno dell'abitacolo.

Per la prima volta in vita mia capii il significato della parola "paura". Mi passarono per la mente flash di ogni genere di film dell'orrore o di thriller in cui all'improvviso arrivava il maniaco o il serial killer del caso e per la protagonista iniziava una montagna di guai.

Non potevo scappare da nessuna parte. Mi addossai al tronco dell'albero brandendo la torcia come un bastone, pronta a vendere cara la pelle.

La luce, che sembrava il fanale di una moto, si fermò vicino alla mia auto e, dopo poco, vidi un'ombra nera staccarsi da lì e avvicinarsi a me. Chi poteva essere il folle che si avventurava in moto con un tempo del genere?

"Non ti avvicinare!" urlai mezza accecata, alzando in alto la torcia pronta a colpire.

La figura si fermò subito. Forse disse qualcosa, ma il rumore della pioggia era talmente forte che non capii. Provai a puntare a mia torcia nella sua direzione, ma la batteria era poca, per cui non faceva abbastanza luce.

Il fatto che al mio urlo l'ombra si fosse fermata mi rincuorò un po': forse non era un pazzo assassino in cerca di prede, ma qualcuno che voleva aiutarmi.

Quasi a conferma del mio pensiero, l'ombra alzò le braccia per indicarmi che non aveva cattive intenzioni.

Poi le portò verso la testa e fece un movimento che non riuscii a capire a causa della luce del fanale e della pioggia negli occhi. Probabilmente si era tolto il casco.

Dopo qualche istante l'ombra fece qualche passo per avvicinarsi e parlò di nuovo.

"Stai bene?"

Sbattei gli occhi e vi passai sopra una mano per asciugarli, incredula.

Lui, ancora lui. Sempre lui. Matthew Hawthorne.

"Sei diventato il mio incubo personale?" sbottai "Che ci fai qua? Chi ti ha chiamato? Chi ti vuole?"

Lo fissai con astio, sperando che bastasse un mio sguardo per farlo evaporare.

"Almeno in quest'occasione potresti fare finta di essere una persona cortese. Non mi sembra che tu abbia tante alternative a me per toglierti dagli impicci. Ma magari mi sbaglio", replicò gelido. "Non ho voglia di bagnarmi ancora di più, perciò dimmi: vuoi una mano o no?"

"Cosa ci fai qua?" berciai, anziché rispondere. "Perché non sei al calduccio al campus? Ti piace rischiare la vita su quel coso che chiami moto?"

Lo vidi fare un profondo respiro e chiudere gli occhi per un attimo. Quando li riaprì mi fissò con aria infastidita. "Perché appena rientrato, subito prima che iniziasse questa buriana, mi sono fermato al bar del campus per bere qualcosa e ho sentito le tue due cosiddette amiche scambiarsi opinioni circa l'idiozia della tua decisione di metterti in viaggio lungo questa strada con questo tempo. Quindi ho preso la moto e sono venuto a cercarti perché immaginavo che ti saresti cacciata nei guai e non potevo fare finta di nulla, anche se avrei preferito. A quanto pare ho fatto bene. Quindi ripeto. Vuoi una mano o no?"

"Neanche se fossi l'ultima persona sulla faccia della terra ti chiederei aiuto. E comunque presto verranno a soccorrermi."

"Hai chiamato qualcuno?"

"Certo. Cosa credi, che resti a fissare il vuoto sperando che la telepatia funzioni?"

"Ottimo. Allora ciao, buona attesa." Potei quasi avvertire il suo sguardo duro passarmi da parte a parte. Un istante dopo era girato e si stava incamminando verso quella che, a quel punto, immaginai fosse la sua Harley.

Continuai a guardarlo con la torcia abbandonata in una mano e l'altra che toccava il tronco dietro di me. Da qualche parte una vocina, non richiesta e non gradita, cominciò a urlare: 'Fermalo! Se non accetti il suo aiuto resterai bloccata qui chissà per quanto! Avanti, non fare la sciocca!'

Stavo per fare un passo in avanti come un automa per richiamarlo, quando lo vidi bloccarsi e lanciare un'imprecazione che fortunatamente fu quasi completamente coperta da un tuono. Poi si girò di scatto e tornò a grandi passi davanti a me, fermandosi a pochi centimetri. Se i suoi occhi avessero avuto il potere di uccidere, sarei morta all'istante.

"Fosse per me, sarei a centinaia di chilometri da qui e ti lascerei a marcire sotto la pioggia", disse a voce bassa ma chiaramente udibile, respirando a fondo per rimanere calmo "ma purtroppo ho giurato che avrei sempre aiutato chiunque si fosse trovato in difficoltà. Qualcuno lassù si vuole divertire e ha messo te sulla mia strada. Perciò, mio malgrado, non mi muoverò da qui finché non avrai portato quel tuo culo altezzoso sulla mia moto e potremo andare in cerca di aiuto. Perché qui non c'è campo ed è impossibile che tu sia riuscita a contattare chicchessia per venire a prenderti."

Incrociò le braccia e mi fissò immobile in attesa, incurante della pioggia che gli sferzava il viso.

Rimasi anch'io ferma a fissarlo, non riuscendo a capacitarmi del fatto che, fra tutti i possibili soccorritori, proprio Matthew mi fosse capitato fra capo e collo. Stavo pensando freneticamente al modo di evitare di andare con lui senza rimanere tutta la notte nella mia auto in panne, quando riprese a parlare evidentemente spazientito per l'attesa.

"Hai trenta secondi per decidere, ragazza. Lo spergiuro non fa sicuramente per me, ma in questo caso ne potrebbe valere la pena." Detto questo tornò alla sua moto, vi si sedette sopra e accese il motore.

Mi resi conto di non avere scelta.

Controvoglia andai a prendere la mia borsa che avevo lasciato nell'auto e poi montai sulla Harley, guardandomi bene dallo sfiorare quel soggetto.

Il quale si girò appena e mi disse fra i denti: "Non lontano da qui c'è un'abitazione. Andremo là a cercare aiuto. Reggiti. Andrò piano, ma potremmo sbandare."

"E il casco?"

"No, siamo troppo fradici e si rovinerebbe Andrò piano."

Partimmo a passo d'uomo sotto una pioggia che, anziché diminuire d'intensità, diventava più violenta di minuto in minuto.

Mentre ci mettevamo in marcia, girai lo sguardo verso la mia povera auto mezza distrutta e continuai a guardarla fino a che non la vidi più, inghiottita da un vortice di vento, acqua e buio.

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