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REPORT 00300 - Meeting


I'm tired of being what you want me to be

Feeling so faithless, lost under the surface

I don't know what you're expecting of me


Jane sollevò lo sguardo verso le cifre luminose che si trovavano sul pannello elettronico al di sopra della porta dell'ascensore: diminuivano sempre di più, così come i minuti che la dividevano dal raggiungere una volta per tutte il numero del piano.

Erano quasi le otto e, come le aveva detto Ethan, aveva appuntamento con il resto degli occupanti della Torre nella sala da pranzo. Ma si era resa conto poco prima di non sapere dove questa fosse. Dubitava che potesse trovare la risposta che cercava proprio nei pulsanti dell'ascensore; fissarli con crescente disperazione era dunque inutile, tanto quanto lo era stato premere uno di essi a caso.

Se fosse stata dotata di decenti poteri paranormali e avesse continuato in quel modo, magari avrebbe forato il display soltanto con la forza del pensiero. Tutta quella tensione unita ai cambiamenti avvenuti nel giro di una sola giornata non stavano contribuendo affatto a migliorare il suo umore o ad aumentare la sua abilità di pensare con lucidità.

Per sua grande sfortuna non c'era nessuna indicazione per la sala da pranzo all'interno del cubicolo ma, quando le porte si aprirono, una ragazza si mostrò davanti ai suoi occhi.

Aveva tratti orientali e lunghi capelli neri, a occhio dedusse che dovevano avere la stessa età, ma la sua corporatura era snella, quasi esile. Era vestiva con abiti leggeri a maniche corte che lasciavano vedere il Marchio nero, spesso più o meno quattro dita, che segnava i suoi polsi sottili. Jane non poté fare a meno di fissarlo; era la prima volta che vedeva con chiarezza un Marchio così evidente sulla pelle di qualcun altro. Ciò che aveva intravisto di Ethan era quasi nulla in confronto a quello, e solo in quel momento iniziò a domandarsi quanto lei, con il suo Marchio quasi invisibile, sarebbe mai potuta essere d'aiuto.

Un lieve colpo di tosse distolse la sua morbosa attenzione da quelle fissazioni, e non poté fare a meno di arrossire per l'imbarazzo. Era stata beccata a fissarla come un'impicciona; da quando aveva messo piede alla Torre non aveva potuto fare a meno di osservare tutto con quella curiosità che le aveva stravolto la vita.

Aspettandosi già una qualche risposta infastidita, quando i suoi occhi stanchi incontrarono quelli scuri della donna, riuscì a leggere solo interesse e una scintilla di divertimento.

"Scusa," borbottò, sempre più confusa dallo strano comportamento degli abitanti della Torre. Di certo quell'atteggiamento amichevole non era ciò che si era aspettata dagli Operativi, non dopo quello che le aveva detto il suo ex direttore.

Doveva ancora capire bene quella nuova sfumatura del lavoro e il modo in cui tutti i cambiamenti avrebbero influenzato la sua vita.

Abbassando lo sguardo a terra e implorando che il rossore sul suo volto non fosse troppo evidente, si appoggiò alla parete d'acciaio dell'ascensore e fece spazio alla ragazza, così che fosse lei a premere il bottone. Non se la sentiva davvero di vagare per stanze e corridoi sconosciuti.

"Oktober," disse questa all'improvviso, dopo un paio di piani passati in silenzio.

"Come?" chiese Jane, presa del tutto alla sprovvista.

"Oktober, è il mio nome," chiarì l'altra con un sorriso, allungando una mano verso di lei per presentarsi. Jane si obbligò a non fissare di nuovo quel segno nero, e con una lieve esitazione strinse la sua mano.

"Jane."

"Lo so, sei quella nuova." Il suo tono era indecifrabile, e il sorriso ancora stampato sulle labbra.

"Già," rispose Jane, insicura su come comportarsi.

"Benvenuta!" esclamò infine Oktober prima di uscire dalle porte che si erano appena aperte.

Jane la seguì esitante, ancora sbigottita dalla sua focosità.

Davanti a lei si presentò un'ampia sala con un tavolo di legno scuro già apparecchiato: una lunga tovaglia color carta con decorazioni scolorite era disposta per accompagnare l'abbinamento con i piatti semplici e bicchieri spaiati, le posate erano sparse al centro della tavola, piuttosto che accanto ai piatti. Notò in un secondo momento che la tovaglia aveva gli aloni di vecchie macchie, la cosa la fece quasi sorridere: per qualche strano motivo si era aspettata una cena lussuosa, in cui tutto era regolato da un ordine freddo e impersonale. Vedere la semplicità del disordine la mise molto più a suo agio.

Quando sollevò gli occhi notò che Ethan non era l'unico già seduto, c'era anche un uomo a capotavola, immerso nella lettura di quello che Jane riconobbe come uno spesso fascicolo.

"Jane," la salutò Ethan, alzandosi in piedi. "Vedo che hai già conosciuto Oktober, spero non ti abbia spaventata troppo," disse con tono scherzoso, indirizzando comunque un'espressione piena di affetto alla ragazza in questione.

Lei gli fece una linguaccia, prima di andare a sedersi su una delle sedie libere. La persona a capotavola sollevò gli occhi e le indirizzò un sorriso caldo, ma non disse ancora nulla.

"Dai, siediti pure, Beth e Lucas stanno arrivando."

Beth, ripensò Jane, un'altra sconosciuta. E Lucas? Quanti altri Operativi c'erano che ancora non aveva incontrato?

L'uomo a capotavola si mise in piedi, offrendo la propria mano a Jane per presentarsi. Si obbligò a non abbassare gli occhi per guardargli i polsi, anche se stava indossando una maglia a maniche lunghe.

"Io sono Rikhard." Era alto e abbastanza robusto, aveva capelli ramati sbiaditi dall'età e i suoi occhi erano di un incredibile verde cristallino. Era di sicuro il più anziano tra di loro e, da come ne aveva parlato Ethan, era piuttosto sicura che si trattasse di colui che gestiva le cose: il capo della Torre, o in qualsiasi altro modo venisse chiamato.

Lui si voltò verso Ethan. "Lauren non è in città, dovrebbe tornare nei prossimi giorni. Sasha?"

L'altro fece spallucce. "Giornata no," rispose laconicamente, a quello Rikhard sospirò appena, ma non commentò oltre, voltandosi di nuovo verso Jane.

"Va bene, direi di mettere qualcosa sotto i denti prima di iniziare a parlare di cose serie," disse Rikhard rivolgendole un lieve sorriso.

"Cibo!" sentì esclamare da Oktober. Jane fu l'unica a voltarsi verso di lei e a guardarla stupita, con un sorriso che minacciava di trasformarsi in una risata.

Non era affatto quello che Jane si era aspettata.

Dopo pochi minuti si unirono a loro anche Beth e quello che doveva essere Lucas, un ragazzo dai corti capelli corvini e un volto giovane ma dai tratti severi. I due stavano discutendo di qualche codice ed elementi tecnologici che Jane non provò neanche a comprendere. Erano così immersi nella loro discussione che non sembrarono neanche rendersi conto della sua presenza.

La cena proseguì con immensa leggerezza. La discussione di Beth e Lucas sembrava essersi animata e la voce della ragazza si era fatta un poco più acuta mentre gesticolava sempre con più foga. Lucas non pareva preoccupato dalla sua agitazione, ma si stava coprendo il volto con una mano, nascondendo un'espressione che Jane poteva immaginare. C'era un chiaro legame tra loro due, e tra tutti gli altri, si rese conto poi.

Oktober, durante tutto il pasto, lanciò battutine e commenti a chiunque, anche a Rikhard che, nonostante il piatto fumante che aveva sotto al naso, non sembrava riuscire a distogliere l'attenzione troppo a lungo dai file che stava leggendo.

Ethan rimase una presenza rassicurante e tranquilla al suo fianco. Ma Jane si rese conto di non aver più bisogno di essere rassicurata quando si ritrovò a ridere per un altro commento pungente di Oktober riguardo ai litigi coniugali, che fece arrossire ferocemente sia Beth che Lucas.

Un'ora passò veloce, riempita dal chiacchiericcio degli Operativi e dalle deliziose portate.

Almeno fino a quando Rikhard non sollevò gli occhi dal piatto vuoto e si schiarì la gola. In quel momento, come se tutti avessero atteso un segnale, si quietarono. Beth sbuffò appena in direzione di Oktober e quest'ultima smise di ridacchiare, sedendosi in modo un po' più composto. Ethan rimase in silenzio.

Jane sentì tutta l'attenzione su di sé.

"Da quanto ho capito a Sayville non ti hanno dato molte informazioni," iniziò Rikhard, guardandola con espressione seria. Jane cercò con tutta se stessa di concentrarsi. "Per quanto riguarda la sistemazione puoi restare qui o trovarti una stanza da qualche altra parte, per noi è indifferente, ma considera che questo è il posto più sicuro."

"Per di più è gratis," commentò Oktober con un sogghigno, sgranocchiando un grissino.

"A parte questo," continuò il capo della Torre, lanciando un'occhiata alla ragazza, "immagino che non ti abbiano detto molto riguardo a quello che dovrai fare mentre stai da queste parti."

"Praticamente nulla," disse Jane, annuendo.

Eppure c'era ancora qualcosa che non la convinceva: che ruolo avrebbe mai potuto avere in tutto quello? Era chiaro che la differenza tra lei e gli Operativi era abissale, in nessun modo avrebbe potuto fornire un'assistenza sul campo, e anche se glielo avessero chiesto, non ci avrebbe messo più di due minuti a prendere la decisione di camminare fuori dalla porta senza guardarsi indietro.

"È parecchio complicato. Gli altri non potevano dirti troppo per evitare una fuga d'informazioni; ci sono molti dati confidenziali che compongono questo caso, spero che tu capisca la situazione." Con quella premessa prese un profondo respiro. "Questa volta potremmo essere invischiati in qualcosa di piuttosto grosso, la cosa migliore in queste situazioni è evitare che troppe persone ne siano al corrente, ma ora lavorerai con noi, quindi è necessario che tu sappia tutto il necessario." L'implicazione di quelle frasi non le piacque affatto. All'improvviso ebbe la terribile sensazione che non si trovasse lì per lavorare come aveva fatto prima di finire all'AIS, al contrario di quanto aveva immaginato, volevano qualcosa di più da lei di un semplice supporto mentale.

"Un momento, ero certa che fossi qui per via del mio lavoro agli Affari dei Veterani, non per... lavorare sul campo," ribatté, incerta e confusa.

"In effetti una psicologa potrebbe tornarci comunque utile," disse, lanciando un'occhiata a Ethan, piena di qualcosa che Jane non riuscì a cogliere.

"Non sono una psicologa," borbottò di nuovo Jane, venendo tuttavia ignorata.

"Ora, sarebbe utile sapere se ti sei già occupata di qualcuno di questi rapporti." Sfogliò il fascicolo, ricercando i codici, ma non ne riconobbe nessuno. Mordendosi il labbro, scosse la testa, timorosa di aver già fatto il primo errore.

"Non ha importanza, ti farò recuperare da Beth le versioni integrali, così potremmo iniziare a parlare nel dettaglio del caso. Nel frattempo..." Concluse la frase spingendo verso di lei lo spesso fascicolo che stava leggendo. Jane si allungò per prenderlo, comunque esitante, come se quei fogli potessero in qualche modo animarsi e morderla.

"Di cosa si tratta?" chiese con un sospiro. Ormai le era chiaro che non stava a lei decidere di cosa si sarebbe dovuta occupare.

Quando Rikhard non rispose, si fece forza e aprì da sola il fascicolo. Quello che vide la impressionò. A parte le prime pagine, coperte da spessi tratti neri volti a coprire diverse parti, c'era una quantità spropositata di dati e informazioni, concentrati in fogli misti, pagine di giornale e rapporti lunghi ed elaborati. Jane vi passò sopra uno sguardo rapido, non essendo in grado di comprendere tutto in una volta, ma intuendo comunque che si trattava di rapporti di azioni illegali, di uccisioni e di persone scomparse, il tutto sparso nei precedenti trent'anni circa.

La nausea tornò prepotente. In cosa la stavano cacciando?

"La maggior parte di quei file sono confidenziali. Sono stati censurati per evitare che chiunque sia estraneo alla questione rischi di saperne troppo, ma noi li abbiamo recuperati," aggiunse Rikhard, forse notando la sua esitazione.

"Perché tutta questa segretezza?" domandò Jane, desiderando nel profondo che non si trattasse davvero di un caso tanto esteso e problematico.

"La storia dei Guerrieri non è tutta rose e fiori. Sono successe molte cose in passato che ci hanno fatto comprendere che dobbiamo cavarcela da soli, quindi ci occupiamo noi stessi di mascherare certi dati. Di solito teniamo una copia dell'originale di ognuno di questi rapporti per sicurezza," spiegò Rikhard, ma qualcosa nel suo discorso non la convinse del tutto: se avevano un tale controllo sui rapporti, perché le informazioni erano così danneggiate?

"Guerrieri," si ripassò la parola tra le labbra.

"È quello che siamo. Come ci fanno chiamare dalle vostre parti?"

"Solo Operativi," borbottò, consapevole di quanto quella parola fosse inadatta quando fece scorrere di nuovo gli occhi sui rapporti.

"Ammetto che mi aspettavo di peggio." Jane evitò di aggiungere come venivano considerati, pensò che non sarebbe stato molto cortese riferire anche il resto.

Nella sua vita aveva avuto moltissime occasioni di sentire i suoi vecchi colleghi parlare di loro, ma non aveva mai preso parte a quelle conversazioni. Non le era sembrato il caso di giudicare qualcosa che non conosceva. Questo, tuttavia, non le aveva mai impedito di ascoltare con attenzione.

"Non mi aspettavo tutta questa riservatezza, né credevo che le cose fossero così complicate." Rimuginò, confrontando il poco che sapeva con tutto quello che aveva sotto agli occhi. Non era niente di davvero stravolgente se non per i rapporti, che erano molto più dettagliati di qualsiasi cosa Jane avesse mai visto. "Naturalmente non potrò parlarne con nessuno," ipotizzò. Rikhard annuì con espressione rilassata.

Nonostante l'apparenza e l'iniziale timore, Jane non poteva fare a meno di sentirsi rassicurata dalla presenza di quell'uomo. A dire il vero, tutti gli Operativi – Guerrieri – che aveva incontrato fino a quel momento, non erano stati affatto spaventosi o scortesi come le avevano fatto credere, forse un po' strani, ma comunque persone piacevoli e disponibili. Certo, Jane non li aveva ancora visti al lavoro, né tantomeno si faceva illusioni riguardo alla loro forza o abilità. Ma di quello non si sarebbe dovuta preoccupare, almeno finché sarebbero stati dalla stessa parte, o così sperava.

"Non ti stiamo chiedendo di tagliare i rapporti con tutti quelli che conosci, ma solo di fare molta attenzione. In questo caso non ci occupiamo solo di Abissali." Le indicò il fascicolo. "Quello è il caso Chekov, ci stiamo lavorando da parecchi anni, come avrai notato," concluse con un tono di voce grave.

"Ed è il motivo per cui mi trovo qui," dedusse Jane.

Rikhard annuì ancora, una strana luce nei suoi occhi. "Ci serve qualsiasi aiuto possibile per chiuderlo una volta per tutte." Jane immaginò quanto ciò dovesse essere importante per loro visto il silenzio pesante che era sceso nella sala. "Il caso Chekov è sempre stato molto complesso, abbiamo dovuto scavare più a fondo di quanto avremmo voluto per ottenere delle informazioni. Per questo avevamo bisogno di una persona che ci aiutasse a sbrogliare la matassa di inganni e occultamenti. Inoltre c'è qualcuno che in qualche modo riesce sempre a essere un passo avanti a noi, distruggendo basi e siti prima del nostro arrivo. Riguardo questo potrebbe esserci un accenno nell'ultima parte, non molto però."

"Va bene," disse tra sé, mordicchiandosi il labbro, quasi soffocata da tutte quelle nuove informazioni. "Farò il possibile," aggiunse, mentre il dubbio di non essere abbastanza iniziava ad assalirla di nuovo. "Questo... individuo?"

"È come un fantasma, se scopri qualcosa bene, ma al momento non è la più grande delle nostre priorità." Jane annuì ancora, sentendosi già sommersa da tutto quello. Come avrebbe potuto fare per dimostrarsi una risorsa utile e non un peso?

"Jane." Sollevò lo sguardo, sorpresa non tanto dal tono ma dal fatto che quella fosse la prima volta che Rikhard la chiamasse per nome. "Fidati del tuo istinto," le disse, picchiettando l'indice sul suo stesso polso. Quando lei abbassò lo sguardo non poté fare a meno che osservare i suoi stessi Marchi, sottili e quasi invisibili.

Il disagio che sentì questa volta non fu tanto perché pensava di non farcela, quanto più per il fatto di non volerlo fare.

Quanto sarebbe stato spaventoso riscoprire se stessa e lasciare libera quella parte di sé che non era umana?

"Per ora direi che è abbastanza, è il caso di lasciare riposare la nostra ospite. Spero che ti troverai bene, e non esitare a chiedere a qualcuno di noi per qualsiasi problema," le disse Rikhard con tono gentile, rivolgendole anche un lieve sorriso mentre si alzava. "Ethan, vorrei parlarti il prima possibile." Il Guerriero annuì senza dire niente, seguendo con lo sguardo il capo della Torre mentre si allontanava con gli altri verso l'ascensore, accompagnati dalla voce vivace di Oktober.

Jane rimase a tavola e osservò lo spesso fascicolo che teneva ancora tra le mani. Una brutta sensazione le si stava contorcendo alla base dello stomaco in modo quasi doloroso, tanto da soffocare il fastidio ai polsi.

"Tutto bene?" La voce di Ethan la fece tornare in sé. Il Guerriero era ancora seduto di fianco a lei e si stava versando mezzo bicchiere di vino rosso. Nel lieve bagliore della sera sembrava denso come sangue.

"Sì, sì. C'è davvero... molto a cui pensare." Sospirò, sentendosi come se qualcuno avesse appena rimosso una patina di sporco da un paio di lenti che neanche si era accorta di indossare. Voleva chiedergli se andava tutto bene, aveva notato l'espressione che gli aveva attraversato il volto quando Rikhard gli aveva posto quell'ultima richiesta, ma concentrarsi sui problemi altrui al momento le era pressoché impossibile. Non riuscì neanche a sentirsi egoista.

"Già, ma non c'è nessuna fretta per ora. Abbiamo dei piani da definire e decisioni da prendere, ma niente di urgente. Quindi se hai bisogno di, non so, una pausa o un po' di tempo per te..." Concluse la frase scrollando le spalle. Jane ne fu sollevata, nonostante avesse solo passato una giornata lì si sentiva già stanca e stressata. Ma era lieta del fatto che chiunque lì sembrava volesse cercare di renderle la situazione più leggera.

"Stavo pensando di fare un salto a Sayville," ammise, sentendo già la nostalgia aggrapparsi a lei come un parassita, ma trovava un po' patetico che stesse ancora pensando a tornare indietro, anche se solo per una visita.

"Dimenticato qualcosa?" Jane fece una smorfia; dimenticato sua madre? Che pensiero terribile.

"Volevo andare a trovare mia madre," rispose, timorosa di vedere come sarebbe stata accolta quella richiesta.

"Puoi andare quando vuoi, non sei mica una prigioniera," disse Ethan con un lieve sorriso, quasi in risposta alle sue paure. Non era la prima volta che succedeva, ma per il momento decise di mettere da parte quel dubbio e pensarci a tempo debito.

"Già, ma non è più così facile organizzarsi ora che mi trovo così lontana."

"Settanta miglia non sono molte," rispose lui, sorseggiando il vino e facendo una leggera smorfia. Quando lo riappoggiò sul tavolo Jane notò che al suo interno stavano galleggiando delle briciole di pane. La sua mente volò a Oktober e un sorriso leggero le si dipinse sulle labbra.

"Non sono molte se hai una macchina," corresse lei sollevando le sopracciglia.

"Credi che non ti accompagnerei?" Quella risposta la colse del tutto alla sprovvista.

"Come?"

"La famiglia è importante, non vogliamo che diventi un peso, quindi sono disposto ad aiutare, se me lo lasci fare," rispose lui, girandosi sulla sedia per voltarsi verso di lei.

"Non vorrei..." iniziò esitante.

"Non disturbi," la interruppe. Come al solito sapeva sempre cosa dire al momento giusto. Jane iniziò a pensare seriamente che, in qualche modo, quella potesse essere una delle sue abilità. "Per di più non abbiamo niente di importante da fare nei prossimi giorni, quindi un giro per New York è più allettante che stare bloccato qui." A quanto pareva aveva già deciso per lei.

"Ok, grazie allora." Accecata dalla sua generosità, pensò che non sarebbe stato così contento quando gli avrebbe comunicato la sua destinazione.

"Quando pensavi di andare?" domandò ancora lui, ormai deciso a rendersi utile. Jane incassò la testa tra le spalle, a disagio di fronte a tutta quella generosità.

"Il prima possibile?" esitò, chiedendosi davvero quanto la sua disponibilità le avrebbe permesso.

"Domani?" Jane annuì, ancora sorpresa. Ethan allora sorrise di nuovo, alzandosi e dirigendosi verso le scale, non prima di averla salutata con un morbido sorriso e averle augurato la buonanotte.

La ragazza sorrise senza pensarci. Dopo una giornata così pesante e stancante un po' di leggerezza e una mano amica era tutto quello di cui aveva bisogno.

Quando si coricò a letto il sonno la raggiunse in fretta, caldo e avvolgente.

Sasha ricordava con estrema facilità il nome di ognuna delle duecentosei ossa presenti nel proprio corpo. Di quelle, sapeva con immacolata precisione il modo in cui centottanta avevano provocato dolore quando si erano rotte. Aveva risistemato la maggior parte delle fratture da sé, più di quante potesse dimenticare, e sapeva anche che nonostante fossero invisibili al suo e a qualsiasi altro occhio umano, all'interno portavano ancora i marchi causati dalle fratture sotto forma di sottilissime linee e incroci di depositi di calcio: cicatrici di tessuto scheletrico. Sasha sapeva l'esatto punto di pressione in cui le proprie spalle si sarebbero potute dislocare, e come la cosa sarebbe potuta essere usata a suo vantaggio. Sapeva come posizionare la sua postura per deflettere lame dai muscoli e indirizzarle verso ossa o tessuto morbido, così da limitare i danni, perché consapevole della fragilità della forza muscolare. Sapeva quale parte del proprio corpo avrebbe potuto sopportare il maggior peso, sforzo o torsione.

Eppure era come se quella massa di ossa e muscoli non fosse sua. Come se ancora, dopo così tanto, non funzionasse a dovere, come se qualcosa di fondamentalmente sbagliato fosse sepolto nel suo sangue. La sua mente accettava a malapena quell'insieme di energia scattante e solidità, ribellandosi a quel guscio che chiamava corpo.

Sasha si sentiva come una pressione senza sfogo, potere senza direzione, tensione senza scopo.



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