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REPORT 00100 - Changes

Far away

The ship is taking me far away

Far away from the memories

Of the people who care if I live or die


Jane si morse le labbra, in ansia, cercando di scacciare i pensieri negativi che si erano impadroniti di lei nel momento in cui le era stato comunicato che il Direttore voleva parlarle.

Si passò una mano tra i capelli, e i suoi occhi caddero sul Marchio che le segnava il polso, sottile come una linea d'inchiostro e altrettanto inutile.

Ricordava la stupida curiosità che gliel'aveva procurato, il fatto che il suo ridicolo spessore la rendeva adatta solo al lavoro da scrivania era una magra consolazione, ma almeno così potevano assicurarsi che non andasse in giro a raccontare segreti a destra e a manca, come se ne conoscesse davvero o volesse cacciarsi in ulteriori guai.

Da quando era stata costretta ad abbandonare il lavoro agli Affari dei Veterani come consulente, il poco potere che l'AIS le aveva fornito era come andato scemando sempre di più. Sparite le strane sensazioni e i brutti presentimenti, ormai riusciva a vedere la propria vita come quella di un umano qualsiasi: il fatto di avere in sé un po' di sangue Abissale per fortuna non influenzava la sua quotidianità come invece lo faceva con quella di molti altri. Ma, in fondo, cosa mai si sarebbe dovuta aspettare in un ambiente del genere?

Andava tutto bene, ma quella calma sembrava sul punto di spezzarsi mentre osservava la porta chiusa dell'ufficio.

Sfiorò quel segno impreciso che circondava i suoi polsi, prima quello sinistro, poi quello destro, in un movimento lento e controllato, nel tentativo di distrarsi da quella sensazione di sbagliato che non riusciva a scacciare.

A parte quell'intoppo e il conseguente cambiamento, le sue giornate potevano considerarsi deliziosamente noiose, e di questo ne era felice. Niente missioni, niente Agenti Operativi armati fino ai denti in giro e nessuna minaccia mortale se non per il caffè annacquato della macchinetta in fondo al corridoio.

Intorno a lei tutti stavano continuando il loro lavoro, il rumore delle dita che correvano sulle tastiere era la colonna sonora che l'accompagnava ormai da un paio di anni, dopo quella sera in cui la sua curiosità aveva stravolto la normalità a cui aveva imparato ad aggrapparsi, ma si chiese per quanto ancora lo sarebbe stato.

Aggrottando le sopracciglia, scacciò quel pensiero intrusivo e insensato. Non c'era ragione per cui le cose sarebbero dovute cambiare.

Cercò di ricordare un motivo per cui avrebbero dovuto licenziarla ma, per fortuna, non le venne in mente niente di troppo grave, se non per quella volta che aveva fatto incastrare il toner nella stampante, facendolo esplodere in una fontana di inchiostro blu in faccia a uno dei suoi colleghi e sul muro alle sue spalle, lasciando un'esilarante sagoma che tutt'ora decorava il loro corridoio, quindi si impose di darsi una calmata una volta per tutte.

La porta si aprì, e l'assenza di inquietanti cigolii non la tranquillizzò come aveva sperato.

"Buongiorno, signorina Atlas, tutto bene?" disse il suo grasso direttore una volta che Jane fu entrata. La fece accomodare in modo impacciato sulla sedia davanti alla sua scrivania.

Jane si appoggiò contro lo schienale e forzò un sorriso tirato. "Certo, e buongiorno anche a lei."

"Andiamo subito al dunque, allora. È stato richiesto un trasferimento." Le sue parole la colsero del tutto di sorpresa.

"Come?" si ritrovò a balbettare, sicura di essersi persa qualcosa.

"Verrà trasferita in una base degli Operativi," chiarì il suo capo, iniziando a sventolarsi con un foglio bianco la fronte imperlata di sudore.

"Ah... per quale ragione, se posso chiedere?" domandò Jane. Non riuscendo a pensare a nulla di coerente. La sua mente vagava senza meta, confusa da quel nuovo cambio di orizzonte.

"Diversi motivi, tra cui molte informazioni classificate, ma immagino che scoprirà presto il perché, io non credo di poterle dire molto senza che mi sfugga qualcosa di troppo," concluse il direttore con un sorriso tranquillo, e i suoi denti ingialliti fecero una breve comparsa attraverso le labbra screpolate.

"Mi scusi?" chiese Jane, spalancando gli occhi. Sperava con tutta se stessa di aver capito male, o che il direttore Reed si fosse espresso in modo sbagliato.

Dopo un pesante silenzio in cui sembrò raggruppare le idee l'uomo riprese il suo discorso. "Crediamo che il suo precedente lavoro agli Affari dei Veterani possa tornare molto utile alla base di Staten Island. Da quanto so stanno avendo delle difficoltà con un certo caso, per di più era da un po' che stavamo cercando di introdurre una sorta di supporto psicologico per questo tipo di squadre."

"E questo cosa vorrebbe dire?" chiese Jane, incredula. Non potevano toglierle la terra da sotto i piedi, non di nuovo.

"Vede, l'organizzazione alle basi operative è molto diversa da quella che c'è in ambienti come questi, tuttavia a loro molto spesso manca, diciamo..." Si interruppe, stringendo le labbra e alzando lo sguardo, come per recuperare un vecchio pensiero. Jane lo fissò con occhi spalancati e sopracciglia sollevate, ancora sbigottita. "Diciamo che loro sono il braccio e noi il cervello, a volte unire le due cose fa più che bene."

"Sì, ma perché?" La sua voce uscì dalle labbra come se qualcuno la stesse strangolando; non voleva abbandonare la confortevole noia del suo attuale lavoro. Già una volta aveva dovuto recuperare i frammenti della sua vita per rimettersi in marcia, non voleva farlo un'altra volta. "Mi state... licenziando?"

"Cosa? Oh, no! Questa posizione è sempre stata temporanea." Il volto del Direttore si atteggiò in quello che doveva essere un sorriso amorevole. A Jane venne la nausea. "Credevo di essere stato chiaro, e poi sono certo che sarà solo un bene per lei lavorare a qualcosa di più impegnativo, di più stimolante." Il direttore annuì tra sé, per poi rimanere in silenzio per un po', occhieggiando i sottili segni neri intorno ai suoi polsi. Jane sentì l'insensato bisogno di nasconderli, di celare le non volute possibilità che essi offrivano. Qualcosa di stimolante non era quello di cui aveva bisogno, e sì, ricordava che quella doveva essere una posizione temporanea, ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe stata spostata in una base operativa. "Considerando la sua abilità, la Commissione ha deciso che questa è la strada migliore per lei. Ovviamente ci sarà un aumento dello stipendio; avrà un bonus del cinque percento in più a settimana sul suo attuale guadagno, il che è un gran numero se fa un paio di calcoli." Mentre l'uomo continuava a parlottare di denaro e metodi di consegna, Jane non poteva fare altro che fissarlo senza riuscire davvero a sentirlo. La sua vita sarebbe stata stravolta per la seconda volta; dubitava di avere la forza emotiva per sopportarlo di nuovo, proprio ora che pensava di aver ritrovato la propria stabilità.

"Signore, la prego," implorò, interrompendo il suo discorso. La sua voce tremante sembrò sorprendere il direttore, ma non ci fu pietà alcuna per Jane, ormai legata a un destino che non aveva scelto.

O forse sì, rifletté, perché un solo sbaglio le era costato tutto quello.

"Vedrà che andrà tutto bene, non dovrà preoccuparsi di niente, gli Operativi non le faranno del male." A quell'affermazione Jane impallidì.

"Mi scusi?" chiese ancora, la voce come un soffio.

"Non saranno di certo gli individui più civili che lei possa incontrare, ma di certo non sono dei cavernicoli." Nel dire questo il direttore sembrò cogliere l'espressione di puro orrore nel volto della donna, quindi cambiò subito discorso, accorgendosi del proprio errore. "Su ora, non vorrà fare tardi, no? Prepari le sue cose, partirà al più presto per passare da casa, così che possa fare le valigie. Vorremmo che arrivasse a Staten Island entro stasera. Le lascerò un messaggio in segreteria con il resto delle informazioni." Con queste parole la trascinò fuori dall'ufficio. La mano grassoccia che si strinse intorno al braccio di Jane, per quanto leggera, aveva il peso di una manetta.

Fu quando la porta venne chiusa alle sue spalle che Jane sobbalzò, scrollandosi lo shock di dosso.

I suoi occhi osservarono per quella che sarebbe stata l'ultima volta il suo luogo di lavoro, uno dei suoi rifugi tranquilli e l'ancora della sua stabilità.

Con uno sguardo fu obbligata a dire addio a tutto quanto.


Nuvoloni sempre più scuri e minacciosi si erano affollati sopra Sayville, intimorendola con i rombi di tuono che avevano preceduto il loro arrivo. Il sole era stato soffocato dai cumulinembi carichi di acqua e di tenebrosa rabbia elettrostatica, impaziente di essere liberata dalle particelle d'aria condensata esalate dalla terra. Quando il primo lampo illuminò il cielo con la sua linea zigzagante e accecante, uno scoppio squarciò il silenzio irreale e ovattato della piccola cittadina, seguito dallo scroscio battente della pioggia che s'infranse sulle strade, sulle macchine, sulle abitazioni e sulle teste assorte dei pochi passanti.

Un secondo prima era tutto luce. L'attimo dopo era gelido buio.

Prima o poi le cose sarebbero tornate al loro posto, in un modo o nell'altro, aveva bisogno di crederci con tutta se stessa. Gli Operativi non avevano così tanto bisogno di lei. Magari si trattava di un caso solo, qualcosa di semplice, poi sarebbe potuta tornare alla sua vita normale.

Distolse l'attenzione dalla tempesta che infuriava all'esterno, e sfiorò con lo sguardo quella casa che avrebbe presto salutato. Avrebbe dovuto fare le valigie, ma cosa si sarebbe dovuta portare? Sarebbe stata in un albergo? Avrebbe fatto avanti e indietro? Otto ore di viaggio ogni giorno non erano fattibili, visto che non aveva una macchina. Lasciò perdere quei pensieri perché, prima, aveva bisogno di un momento per rilassarsi.

Togliendosi i vestiti lungo la strada e lasciandoli per terra, nella penombra rassicurante di quelle quattro mura che considerava casa, si rese conto che la spia verde del suo telefono fisso lampeggiava incessantemente. Si avvicinò e premette il pulsante per ascoltare la nota vocale che dimorava in segreteria.

Dopo l'avviso della presenza di un solo messaggio, quest'ultimo iniziò subito a diffondersi nell'aria.

La voce tranquilla e serena del suo capo le diede la notizia che sarebbero venuti a prenderla alle tre di quello stesso pomeriggio, come le aveva già accennato. Una cosa positiva era che almeno non avrebbe dovuto pagare il biglietto del treno. Tuttavia non disse nulla sulla sua sistemazione.

Ci fu mezzo minuto di silenzio in cui Jane cercò di riflettere con coerenza su ciò che le era stato detto mentre si preparava per la doccia.

Ma pochi istanti dopo, tutto quello a cui riuscì a prestare la propria attenzione fu la carezza calda dell'acqua sulla propria pelle e allo strano e fastidioso formicolio che le tormentava i polsi marchiati.






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