Capitolo 12
Lo aveva saputo dai giornali. Dodici anni in prigione e questa era stata la prima cosa che i suoi occhi avevano visto una volta libero. Proprio nelle strade, mentre camminava finalmente come uomo libero, aveva sentito il giornalaio urlare quelle parole.
"Morte presunta per i fuggitivi del Wickendale" era il titolo.
All'inizio non ci diede molto peso. Infatti, non voleva avere niente a che fare con le prigioni proprio ora che era uscito da una, dopo circa un decennio. Ma qualcosa catturò la sua attenzione, lo fece indugiare un po'. Un nome.
Con i suoi vecchi stivali del 1930, indietreggiò per vedere il ragazzo. "Cosa hai appena detto?"
"Ho detto, 'Extra, Extra! I criminali Harry Styles e Rose Winters sono presumibilmente morti! Leggete tutto qui!" Il ragazzo ripeté il tutto con lo stesso tono simile a quello dei commercianti.
Rose Winters.
Era lei, era sicuramente lei. Immediatamente la sua gola divenne asciutta. La sua mente si svuotò mentre due pezzi del suo passato si incastrarono, come se si trattasse di una sorta di scherzo.
Rose. Era evasa dal Wickendale. Ciò significava che aveva fatto qualcosa di male per essere ammessa lì. Ed ora, era morta. Il pensiero di lei lo aveva accompagnato per tutto il tempo dietro alle sbarre, e una volta uscito aveva scoperto che lei fosse morta, perdendo tutto il suo ottimismo e speranza.
Ma no, pensò, non poteva essere vero. Il giornale diceva presumibilmente morti, e lui non aveva trascorso dodici anni in quel posto di merda per niente. Questo doveva essere falso, doveva essere stato tramato da qualcun altro.
Iniziò ad avere caldo mentre il sangue dentro di lui bolliva con rabbia. E sapeva con chi doveva prendersela.
"Signore, state bene? Avete bisogno di aiuto?" Chiese una voce giovanile. Venne riportato al presente, mentre vedeva il ragazzo preoccupato davanti a lui.
"Sì, sì, sto bene," disse, sul punto di andare via. Ma poi gli venne in mente una cosa. "Hey, tu vai spesso in giro in questa città per vendere i giornali, giusto?"
Il ragazzo annuì.
"Fantastico, sai per caso dove si trova il Wickendale Mental Istitution?"
"Quello nelle news? Penso che sia da quella parte," indicò il ragazzo. L'uomo guardò nella stessa direzione del dito.
"Perfetto, grazie," rispose.
E invece di andare a casa come aveva programmato di fare per dodici anni, si stava dirigendo in quel tipo di posto in cui aveva promesso di non tornare mai più; una prigione.
Non aveva un veicolo, una bicicletta o dei soldi. Beh, forse li aveva nella sua vecchia casa- sempre se fosse stata ancora lì dopo tutto quel tempo. Ma non ne aveva bisogno, la sua indignazione lo trasportava velocemente mentre camminava nelle strade affollate di Londra.
Ma comunque sia, le due grandi prigioni, non erano esattamente collegate. Infatti, erano una dalla parte opposta dell'altra, entrambe un po' più fuori dai confini della città. Così l'uomo appena liberato aveva molto tempo per pensare.
Uno dei cambiamenti più ovvi da quando era stato separato dal mondo reale erano sicuramente i veicoli. Sembravano strani, e molto più vantaggiosi rispetto a prima. Non sembravano essere così rumorosi, e ce n'erano molti di più.
E c'erano anche molti cartelloni, dando alla città un'aspetto più commerciale. Ma ancora più sorprendente era ciò che era stato messo su uno di essi. Una modella in un costume da bagno, molto rivelatore, che era diviso in due parti. Non aveva mai visto dei costumi da bagno così.
Per coronare il tutto, un negozio aveva una televisione a colori nella sua vetrina, cosa che lui non aveva mai visto o sentito parlarne. Era miracolosa e sembrava così reale, e voleva fermarsi per guardare meglio. Voleva dare un'occhiata migliore a tutto in realtà, non solo alle televisioni. Le cose erano cambiate molto mentre lui si trovava dietro le sbarre. Ma ci sarebbe stato tempo per osservarle più tardi. Doveva occuparsi prima di qualcosa di più importante.
Così continuò a camminare, attraversando strade e salendo su marciapiedi. Insieme a tutte le novità, la sua mente era intrattenuta da domande sconcertanti. La sua serie di pensieri infuriati non si assottigliò.
Cosa diamine era successo a Rose mentre io ero via? Era stata colpa sua, lo sapevo e basta. Cazzo, l'avrei uccisa.
Il tempo passò velocemente.
Camminò per ore o ore; ma per fortuna la distanza era diminuita, dopo aver chiesto delle informazioni ad un uomo ed aver ottenuto un passaggio, dal momento che doveva andare nella stessa direzione. Era uno dei gesti più carini che avesse ricevuto dopo molto tempo.
Quindi dopo sei ore, si ritrovò davanti alle grandi scale in marmo dell'edificio. Il suo primo giorno fuori dalla prigione e lui lo aveva passato a trovarne un'altra. Non era riuscito ancora a realizzare di essere libero.
Ma anche se sembrava tutto un po' ridicolo, in realtà non lo era. E non aveva smaltito per niente le sue emozioni impetuose. Così marciò verso la porta principale e l'aprì.
"Linda Hellman," disse persino prima che si chiudesse la porta. "Sto cercando Linda Hellman."
La guardia all'entrata sembrava perplessa, ma gli parlò comunque. "Avete un appuntamento?" Chiese. Non era di queste parti, aveva un accento simile a quello Americano. Di New York, forse.
"Sì, ho un appuntamento." Questa era una bugia, ma di certo non sarebbe stato un problema. Lei avrebbe trovato il tempo dopo averlo riconosciuto.
"Bene, da questa parte signore," disse la guardia.
Si girò a destra, camminando in ciò che sembrava essere un corridoio amministrativo. Non c'erano dei pazienti qui, e nessuna cella. Ma erano qui, in qualche corridoio qua vicino, a giudicare dai rumori. Le urla, le grida, gli strani suoni.
Erano arrivati ad una porta. Il suo cuore martellava sapendo cosa ci fosse dietro di essa. Ma non di paura, qualsiasi cosa fosse era un'emozione opposta ad essa e che scorreva nelle sue vene. L'uomo nell'uniforme girò la maniglia ed entrò per primo. "Qualcuno è qui per vederla, Signora Hellman. Dice di avere un appuntamento," disse la guardia.
Ed eccola lì. I suoi capelli incredibilmente biondi erano rimasti gli stessi, ma sembrava così diversa, molto più vecchia. La osservò con disprezzo, un sapore amaro nella sua bocca. Ma lei non lo aveva ancora notato.
Era impegnata a riempire una specie di documento, i suoi occhi troppo presi da esso. "Non ho nessun appuntamento oggi. Qualsiasi cosa ha da dire, può attendere," disse, senza degnarsi di alzare lo sguardo.
"Oh, io invece penso che la vuoi sapere ora," parlò l'uomo ignorato.
E ci fu una reazione che nessuno aveva mai visto da parte della Signora Hellman. Smise di scrivere. Il suo corpo divenne completamente rigido, qualcosa in quella voce sembrava averla congelata. Increspò le labbra, i suoi occhi si alzarono lentamente per incontrare il suo sguardo.
"Jason, esci," disse all'uomo in loro presenza. La guardia lasciò la stanza, chiudendo la porta.
E i due furono lasciati soli.
"Pensavo fossi in prigione," disse, ritornando a guardare i documenti. Ne lasciò cadere alcuni nel mucchio, con un po' più di forza. "Arrestato per DUI*, non è così?"
"Allora lo sai. Sono uscito oggi," l'uomo davanti a lei disse in brevi, troncate parole. Non era dell'umore giusto per parlare di questo.
Lei lo derise. "Il tuo primo giorno libero e vieni a trovare me. Perché? Sicuramente non per scusarti di avermi abbandonata quando ero incinta di tuo figlio."
Lui sapeva che avrebbe sollevato quest'argomento, ma non pensava così presto. Si avvicinò alla sua scrivania, ci volle solo qualche secondo, ma un'eternità viveva tra di loro. Come un flash, la sua mente fu inondata di ricordi di lei, del loro amore, del loro tempo insieme. E poi di come tutto andò male. Lui aveva scoperto che lei l'aveva tradito e lo aveva mentito. Lei gli urlava costantemente contro quando era ubriaco, e ne aveva avuto abbastanza. Così lasciò lei e il loro piccolo. Ed ora si sentiva male, quando pensava al passato, non per lei ma per il bambino che era cresciuto dentro di lei. Non sapeva nemmeno il suo nome.
Il suo pugno colpì la scrivania, facendo sì che la donna maleducata e condiscendente gli prestasse un po' di attenzione. "Non sono qui per parlare di quello!" Disse furiosamente. "Voglio solo sapere cosa hai fatto."
"Cosa intendi dire?" Chiese, strizzando lievemente i suoi occhi di ghiaccio.
"Non far finta di non sapere," disse lui, inconsapevole che lei davvero non lo sapesse. "Non riuscivi a sopportare il pensiero che io potessi essere felice, iniziare una nuova famiglia, così hai dovuto portarmi via anche quella."
Lei era ancora perplessa dalla natura delle sue parole. "Non ho idea di cosa tu stia dicendo. Non sapevo nemmeno che tu avessi iniziato una nuova famiglia, non volevo avere niente a che fare con te dopo che te ne sei andato. E non lo voglio neanche ora, così perché non arrivi al punto ed esci dal mio ufficio."
"Perché Rose è stata ammessa qui? E perché ho sentito che è presumibilmente morta?" Domandò a denti stretti.
E ciò la lasciò ancora più perplessa. Rose? Perché aveva un interesse in lei?
"Temo che questa sia un'informazione privata. E perché vuoi sapere di lei?"
E con ciò, lui rise incredulo, scuotendo la testa. "Non ho davvero tempo per questo, d'accordo? Dimmi solo se è viva."
"Solo se mi dici perché lo vuoi sapere," ordinò.
Lui era furioso ora, alzò la voce. "Perché è mia figlia, cazzo!" Urlò.
Ci volle tutta la forza possibile per far sì che la mascella della Signora Hellman non cascasse a terra in quel momento. "No, non lo è. Stai mentendo."
"Perché sarei dovuto venire fin qui per mentirti? Voglio sapere dove si trova e se sta bene, dannazione!"
Lui continuò ad urlare, a fare domande, ma la Signora Hellman non sentì un'altra parola.
I suoi pensieri erano rivolti ad un'idea davvero inquietante.
Il nome di quell'uomo era David Winters. Aveva iniziato una famiglia con lei e dopo l'aveva lasciata con il loro figlio, James. Aveva iniziato una nuova famiglia con una nuova moglie, una specie di 'nuovo inizio'. Ma alla fine aveva fallito lo stesso, ed era andato in carcere.
Lei non ci aveva mai fatto caso allo stesso cognome di Rose e il suo. Tante persone completamente estranee avevano lo stesso cognome, e Winters era uno molto comune. Non si somigliavano per niente. E comunque, l'uomo era stato scacciato via dalla sua testa subito dopo la sua negligenza, raramente aveva pensato a lui.
Ma ora che lui era qui, davanti a lei, la sua mente divenne un vortice. Era terrificante. Scosse la testa e fece un respiro profondo a causa della nuova informazione. Era troppo da assimilare tutto in una volta. Ma prima che potesse persino pensare a quello da dire, arrivò ad un'altra scioccante conclusione che le fece rivoltare lo stomaco.
James Hellman e Rose Winters erano fratelli.
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*DUI: da "driving under the influence" -> guida in stato di ebrezza.
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