Epilogo
Epilogo
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«Zietta...» La voce delicata di Emily riesce a scacciare quel dannato ricordo: il giorno del funerale di Aleksandr. «Non piangere». Mi prende dolcemente una mano, dopo aver finito di mangiare il suo gelato con aria innocente e confortante.
Il suo dolce sorriso mi ricorda tantissimo Aleksandr, e anche Lara. Sembra che il suo sorriso si sia reincarnato in lei, regalandomi uno spicchio di quella felicità che, per poco tempo, ho potuto sentire dentro di me. Emily è una bambina davvero allegra, proprio come suo zio dieci anni fa.
«Lo zio Alec è stato molto gentile con te», commenta la piccola, «anche papà, vero?»
«Entrambi lo sono stati, ma ero molto più legata ad Alec. È riuscito a farmi sorridere, dopo anni di solitudine».
«Vorrei tanto conoscerlo».
«Lo conosci già, Em» sorrido ripensando alle sue tristi battute che ogni tanto tirava fuori.
Superare la morte di Aleksandr è stato davvero difficile, ma mi sono ripromessa di non essere troppo dura con gli altri e con me stessa, di non sottovalutarmi ed essere più ottimista.
Nonostante gli sforzi per cercare di diventare una Theresa sorridente, libera e amabile, Alec mi è sempre stato vicino. È stato in grado di capire i miei problemi, il mio dolore e la mia depressione; era più che un fratellastro, era il mio eroe. Guardare quel muro coperto di carta e disegni strani, i ricordi sono tornati, come se un fulmine mi avesse colpita dritta in testa.
«Voglio tornare a casa, zia Tessa» dice la piccola sentendo la mancanza dei suoi genitori, sbadigliando appena.
«Dammi la mano, allora» sorrido, mentre Emily mi stringe quattro dita. Dopo aver pagato il gelato, usciamo dalla gelateria come se nulla fosse successo.
Emily sembra felice e lo sono anch'io, stando al suo fianco. Camminiamo lungo il lungomare nella direzione opposta, guardando il tramonto; il sole è di un colorito arancione che si specchia sull'acqua del mare, dipingendo il cielo di un rosa antico.
Lucia è stata davvero dolce ad avermi affidato sua figlia, e sono così contenta di averle raccontato di Alec. Non ha versato lacrime, il che è stato alquanto bizzarro, ma si sa che per una bambina la tristezza non è al primo posto dei loro pensieri. Per me è stato diverso.
Dopo la sua morte, Michael gli promise, soprattutto a se stesso, di prendersi cura di me al suo posto, diventando come una sua nemesi – e si è deciso a mantenerla. Gli ho raccontato della flebo qualche anno dopo, e ha capito a pieno le sue intenzioni. Voleva trovare il suo posto felice; e ricordo ancora quella frase che pronunciò dopo avermi fatto quella richiesta.
«Ti ho vista sorridere, correre, amare, ed ora vorrei vederti aiutare qualcuno, cioè me.»
Ogni volta che cerco di ricordare, un colpo al cuore mi perseguita, come se "cercare di ricordare" mi facesse tanto male. Da una parte è così. Ho sofferto così tanto quel giorno, quando vidi Aleksandr morire davanti ai miei occhi. È stato terribile. Aggettivi migliori non ne trovo per descriverlo.
«Mamma! Mamma!»
Di colpo, la bambina mi lascia la mano e comincia a correre verso una sagoma scura, quella di sua madre. Quelle curve perfette e ben in evidenza mi hanno permessa di riconoscerla al volo. La fascia che ha in testa, questa volta, è dello stesso colore del tramonto davanti a noi.
Lucia la prende in braccio stampandole poi un dolce bacio sulla tempia, tenendola stretta contro il suo petto.
«Ti sei divertita con la zia?» chiede guardando sua figlia, e poi me.
«Tantissimo!» esclama tirando fuori tutta la felicità che ha nel cuore. La invidio molto.
«Papà ti sta aspettando, è dietro di me».
La bambina esulta gioiosa e, dopo che la madre l'ha messa giù sulle mattonelle, corre verso una seconda sagoma. Lucia mi osserva attentamente, come se avessi qualcosa che non andava. Subito torna con un'espressione neutra, battendo un paio di volte le palpebre colorate di un rosa scuro. «Scusa se Emily ti ha infastidita con i suoi discorsi».
«Tranquilla, Luz, non mi ha dato nessun fastidio anzi, è così bello stare in sua compagnia».
«È una bambina molto vivace, è tutto suo padre» sorride, abbassando leggermente lo sguardo sulle mattonelle rotte sotto ai suoi piedi.
«Invece, sembra la reincarnazione di Aleksandr» la correggo osservandola da lontano giocare col padre, mentre lui la prende in braccio e la fa volteggiare come una ballerina al grande debutto. Lucia rialza il suo sguardo, puntandolo verso sua figlia e suo marito guardandoli con un sorriso stampato sulle labbra.
«In effetti, sembrano la stessa persona».
Mi giro ad osservare quel muro a pochi metri da me e Lucìa, rendendomi conto delle stupidate che per anni ho tirato fuori, da qualsiasi parte del mio corpo, partendo proprio dalla bocca.
L'essere volgare e immatura mi avevano trascinata all'indietro, impedendomi così di proseguire il mio cammino verso una nuova vita. Ero un male per la gente, mi dicevano spesso gli altri ragazzi al liceo, e all'inizio ci avevo creduto. Alec la pensava al contrario, e nonostante il mio atteggiamento, è riuscito a farmelo capire con un sorriso stampato in volto.
«Ti manca tanto, vero?» domanda avvicinandosi di più, toccandomi una spalla con rancore. Annuisco facendo scendere poi una lacrima lungo la guancia. «Hai fatto la scelta più saggia e di questo lui ne è felice».
La guardo con gli occhi lucidi in procinto di gridare e singhiozzare fino a tarda notte, esattamente come il giorno del suo funerale, poi lei prende la palla al balzo appoggiando l'altra mano sull'altra spalla penetrando il suo sguardo nei miei occhi proprio come faceva Alec con me.
«So che è stato difficile superare questa tragedia, ma sappi che ora è nel suo posto felice». Mi asciugo la lacrima col palmo della mano deglutendo, riuscendo a calmare i miei singhiozzi. «Come lui è riuscito a trovare il tuo, grazie a te, ora ha trovato il suo».
È vero e ricordo perfettamente le sue parole mentre aumentavo la sua flebo a dodici, dichiarandomi per l'ultima tutto l'affetto che provava per me.
«No, ho solo fatto una cazzata...»
«Non lo è, Tessa. Gli hai donato la libertà che tanto desiderava».
Osservo le sue braccia tese verso di me. So che ha ancora le cicatrici, il che è davvero sconfortante; ricordo che ha smesso di autocommiserarsi da quando Michael è entrato nella sua vita. Ha avuto il coraggio di andare avanti, cosa che io mai sarei riuscita a fare.
«Sono passati dieci anni, non dovresti continuare a piangere».
Mi passa un fazzoletto e lo prendo con entrambe le mani, asciugandomi le lacrime e soffiandomi il naso. «Hai ragione, Luz».
«Prenditi una bella boccata d'aria e, quando vuoi, torna a casa. Noi ti aspettiamo.» dice infine dirigendosi verso suo marito e sua figlia. È davvero una bella famiglia e sono così invidiosa di Michael.
Ho deciso di andare a trovare mia madre dopo tantissimi anni. Anche se avevo giurato a me stessa di non tornarci, sento la mancanza del mio piccolo nido – triste ma accogliente. Bussando alla porta, me la trovo davanti con un bellissimo maglioncino di lana blu e un paio di leggings. Sembra ringiovanita, dopo che io e Michael abbiamo lasciato casa.
«Theresa?» È commossa ed è anche la prima volta che la vedo così. Mi abbraccia calorosamente continuando a fare il mio nome. «Ti sono cresciuti i capelli?» chiese sfiorando le punte dei miei lunghi capelli castani - e pensare che da ragazza li odiavo.
«Già» sorrido.
«Entra, tesoro. Dave sarà felice di rivederti».
L'angioletto della mamma, come lo soprannomino spesso, mi viene incontro saltandomi quasi addosso. Gli accarezzo dolcemente i capelli ramati, incrociando poi i suoi occhi color miele.
«Accidenti, sei ingrassato!» esclamo divertita.
«Colpa di mamma», interviene una vocina a me familiare, quella di Lara, «due mesi fa ha esagerato col polpettone».
Mi aiuta a rialzarmi e mi fa sedere su una sedia davanti al tavolo, il vecchio raduno di famiglia. Tutto sembra andare bene. Il nuovo compagno della mamma, James, è simpaticissimo. Ho un nuovo fratellino a cui voglio un bene immenso e Lara è cresciuta piuttosto bene.
Assomiglia così tanto a suo padre, e dopo la nascita del piccolo Dave ha smesso di nominarlo. Considera James come tale, nonostante sia un estraneo ai suoi occhi. Mamma ha finalmente trovato l'amore della sua vita e io, beh, non ancora. L'unica cosa che importa è che siano felici, proprio come Aleksandr voleva.
«Come procede il tuo lavoro, Lara?» domanda mamma con un sorriso.
«Bene», risponde con la sua voce stridula «sono riuscita a installare il pannello solare sul robottino, manca solo il motore».
«Farai un figurone all'esposizione di gennaio!» risponde poi con tono orgoglioso.
«Non dire così, mamma, ci metto passione in quello che faccio».
«Pensa che anche tua sorella voleva diventare una scienziata» ridacchia mamma dandomi una pacca sulla spalla ed io la prendo sul ridere.
Alla fine, sono stata costretta a dedicarmi alla musica. Suono per strada, ma almeno guadagno il necessario per sopravvivere una settimana. Dormo con Michael e Lucia, ma mi sono ripromessa di ripagarli, un giorno.
«Theresa, perché ti sei fatta viva solo oggi?» chiede mamma. «Da quando sei andata via con Michael, non sei più passata a trovarmi».
Mi mordo leggermente il labbro. «Beh, è difficile da spiegare».
«Tranquilla, non ti farò troppe domande» sorride.
Mi guardo intorno e vedo un paio di foto che ritraggono me, Michael, Lara e Aleksandr. Sono ricordi bui, per me. In una, avevo dodici anni e nell'altra appena quindici. È incredibile come il tempo sia passato così in fretta, al punto di farci dimenticare ciò che avevamo vissuto. Mia madre non ha dimenticato Aleksandr, ed è anche per quello che conserva alcuni suoi ricordi.
La sua vecchia stanza ha deciso di lasciarla aperta, per poterci entrare e rivedere ogni centimetro di lui ancora impresso in quelle pareti, in quei libri dalle pagine ormai ingiallite, in quelle vecchie foto e sulle sue lenzuola.
«Tessa, vuoi vedere la mia nuova cameretta?» mi chiede Dave con un sorriso.
«Veramente, io...»
«Vengo con te, sorellona!» interviene Lara facendomi un sorriso. Adoro la sua erre moscia, cosa che ha ereditato da suo padre.
«E va bene, verrò» ricambio il suo sorriso e mi alzo dalla sedia. Mamma ci raccomanda di fare attenzione, come al solito, e Lara decide di prendermi per mano e accompagnarmi nella vecchia stanza di Michael. La riconosco per l'adesivo gigante del teschio sulla porta, adesso raschiato e consumato.
«Non la riconoscerai più, Tessa, mamma l'ha voluta restaurare da cima a fondo».
«Dai gusti che ha, scommetto che sarà favolosa.»
«Molto di più» strizza l'occhio con aria divertita, dopodiché apre la porta e un bagliore mi colpisce dritto negli occhi.
La stanza è luminosa, dipinta di un celeste chiaro e coperta di poster di supereroi alla moda come Lanterna Verde e Captain America, i suoi preferiti. La disposizione dei mobili è rimasta la stessa, tranne il fatto che sono completamente nuovi e intonati al colore delle pareti. Il lampadario sopra di me è la riproduzione del Sistema Solare – è un fanatico dell'astronomia, proprio come Michael.
«Carina, vero?» mi domanda Dave con due occhi grandi, mostrando il giallo chiaro delle sue iridi.
«Molto bella, Dave, mi piace tantissimo».
Di colpo esulta e balza sul letto tutto contendo, abbracciando il grande pupazzo di Flash, un altro supereroe che stima molto. «Che bello! A Tessa piace la mia cameretta!»
Lara si mette entrambe le mani in testa e comincia a scuotere leggermente i suoi capelli lisci e morbidi, per poi incrociare il mio sguardo. «È una piccola peste, non sai cosa combina quando vengono i suoi amici a giocare con i videogiochi».
«Mamma gli ha comprato dei videogiochi?» le chiedo come se la cosa fosse inaspettata. Ricordo che mia madre non mi accontentava spesso, e non era solo la gravidanza ad averla resa arrogante. Da poco, ha cominciato a rendersi conto di aver sbagliato ad aver educato i suoi figli in quel modo. Con Dave e Lara – anche con Emily, ovviamente – ha voluto rimediare.
«Papà gli ha comprato l'ultima Playstation e mamma, invece, gli ha procurato i giochi con le automobili, le motociclette e...» tossisce imbarazzata «... i mostri».
«Lo sai com'è fatto un bambino, Lara, anche tu eri così».
«Non ero di certo una bambina viziata» risponde, sforzandosi di ricordare «però mamma mi voleva bene».
Mi giro verso destra e vedo la camera di Aleksandr, a pochi passi da me e Lara. Mi piacerebbe tanto poterla rivedere. Sono passati sette lunghi anni da quando io e Michael ce ne siamo andati da questa casa. Tutto è cambiato, soprattutto il carattere di nostra madre.
«Oh, non ti ho fatto ancora vedere la mia camera!» esclama lei, picchiandosi la fronte.
«Hai una tua cameretta?»
«In realtà, sarebbe la tua, ma James ha deciso di non restaurarla completamente. Gliel'ho chiesto io di non farlo». Abbassa lo sguardo e si morde il labbro imbarazzata. «Per.. p-per conservare un tuo ricordo. Da quando tu e Mike ve ne siete andati, sono rimasta così sola che piangevo quasi tutti i giorni».
Esattamente come me quando Aleksandr aveva chiuso definitivamente gli occhi, quel caldo martedì di fine agosto. Quaranta giorni di vita, di cui quindici gli sono stati rubati.
«Inutile dirti che non è cambiato niente, a parte i mobili nuovi e le pareti ricolorate. I colori sono rimasti gli stessi, ad eccezione del lampadario a forma di stella».
«E così, ti sei dedicata all'ingegneria?» le chiedo cambiando argomento, osservando Dave giocare col pupazzo.
«Costruisco robot, parti meccaniche e riparo i vecchi computer. Adesso, sto imparando a costruirne uno da zero. Mancano un sacco di pezzi, chiederò a James se può procurarmene alcuni».
Sembra non ricordarsi molto di Aleksandr, e sapevo che prima o poi si sarebbe dimenticata il suo sorriso, i suoi occhi e la sua voce angelica – la ninna nanna che le cantava ogni volta che faceva gli incubi, i vecchi cubi con le lettere, le carte educative e il telefono con le canzoncine di Piggy il maiale. Sembra sia accaduto solo ieri.
Continuo a fissare quella porta. Il corridoio non è cambiato per niente, a parte i muri completamente rimbiancati. Il vecchio cactus all'angolo, sotto alla finestra accanto alla porta davanti a me, ora è una pianta di orchidee fresche. Sono appesi tante fotografie che ritraggono mamma, James, Lara e Dave. In una di quelle, ci siamo anche io e Michael – senza Aleksandr, come se lui non fosse mai esistito.
«Cosa stai guardando, sorellona?» chiede Lara facendomi tornare nella vita reale.
«Niente».
«Non devi aver timore di dirmi la verità», lascia la mia mano e appoggia la sua sulla mia spalla, «se vuoi rivedere la vecchia camera di Alec, fai pure».
Mi giro verso di lei con gli occhi lucidi giocherellando poi con una ciocca dei miei capelli ora lunghi, come quelli di Lucia – più corti e un po' mossi.
«Ti ricordi di lui, vero?»
Distoglie lo sguardo cercando di sforzarsi di ricordare qualcosa di lui, ma sembra non riuscirci. Aveva sei anni quando Aleksandr morì, e a malapena ricordava quanto fosse stato un fratello eccezionale. «Ricordo solo che mi cantava le canzoncine.» Quella piccola risatina ha l'aria malinconica, come se quel ricordo fosse diventato parte di sé. Lara non ricorda più niente, nonostante mamma e Michael gli abbiano raccontato ogni cosa di lui. «Aveva una bella voce».
Cerco di starle vicino, vedendo poi una piccola lacrima formarsi all'angolo dell'occhio sinistro.
«Senti, Tessa...» attaccò bottone, schiarendosi la gola e asciugandosi la lacrima con la manica del suo pullover blu. «Non ricordo molto di Alec. Per quanto cerchi di sforzarmi, non riesco ad inquadrare il suo volto».
Abbasso leggermente lo sguardo pentendomi di averle chiesto di lui. «So che era un ragazzo straordinario, di una compagnia strabiliante e che avete sofferto tantissimo dopo aver saputo della sua morte, soprattutto te».
Sussulto. La mia testa era ancora tra le nuvole, come sempre. «Ehm... sì, è vero».
«È stato quando te ne sei andata che... ho capito ciò che stavi passando. Lo ritenevi un eroe, come io consideravo Mike tale. Non è così?»
Tutto quello che riesco a fare è annuire. Non trovo più le parole per esprimere ciò che sto sentendo in questo momento; sapevo che sarebbe stata una pessima idea tornare qui. I ricordi sono di nuovo tornati. «Vai pure, allora» conclude lasciando poi la mia spalla camminando verso la stanza di Dave, ed io vado nella direzione opposta.
Mi avvicino alla maniglia della porta, osservando la ruggine che si era formata. La mamma non l'ha più lucidata dal giorno del funerale di Aleksandr, voleva che le sue impronte rimanessero lì. La sfioro con i polpastrelli, sentendo una strana sensazione, come se lui fosse proprio dietro di me.
«Tutti i migliori sono matti».
Ricordo ancora quando mi ha detto quella frase che, all'inizio, mi era sembrato una specie di aforisma. Ridacchiando tra me e me, afferro la maniglia e l'abbasso, spingendo la porta in avanti. Non è cambiato niente, tranne per la presenza di fiori di plastica, due grandi peluche con la maglietta dei vecchi Tigers – la squadra di rugby che, dopo la morte di Aleksandr, si sciolse – e la palla da rugby leggermente infangata con scritta una dedica. Mi avvicinai cercando di leggerla.
"Resterai per sempre uno dei nostri." ed era perfino scritta con la bellissima grafia di Chelsea, la cugina del suo migliore amico. Appese alla parete, ci sono alcune foto di me e lui. La frase sul vecchio muro grigio. La nostra promessa.
Prendo dalla tasca del cappotto il mio portafoglio, prendendo poi la foto di noi due sulla sedia a rotelle, felici come non mai. Portavo ancora quegli stracci: una maglietta strappata in basso, nera dalle scritte bianche e un paio di vecchi jeans corti e strappati. Sì, era un abbigliamento piuttosto indecente, lo ammetto, ma erano di moda e anche abbastanza economici. La riguardo e noto un grande cambiamento in me. A parte i capelli corti, la cattiva ragazza che c'era in me era svanita, trasformandosi in una donna piena di amore e speranze.
Aleksandr aveva una canotta bianca e nera – anche lui con un paio di jeans, ma più scuri e più larghi dei miei. Aguzzando la vista, vedo le nostre mani unite e la vecchia catena di acciaio che mi regalò al diciassettesimo compleanno. La sua è adagiata sul suo letto, mentre la mia è ancora agganciata al polso.
«È il simbolo della nostra unione».
Attacco la foto con un vecchio pezzo di nastro adesivo appiccicato al muro, accanto alla scritta del muro grigio, afferrando la sua catenina e unendo gli angoli delle due foto. "Io e te, legati da una catena", ora ha più senso.
La scritta sul muro, io e lui, la sua catenina... e i nostri sorrisi. Posso dire di essere felice. Aleksandr è la seconda parte della mia vita, il mio eroe. La mia felicità.
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Fine
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