Capitolo 4 - In spiaggia con te
In spiaggia con te
♦♦♦ ♦♦♦
Il sole era rovente, così come lo era la mia pelle. Eravamo solo all'inizio del mese, e già l'estate si era fatto sentire parecchio. Il termometro attaccato alla parete diceva tutto. Per tutta la mattina non avevo visto né Aleksandr né Michael, e forse sarebbero rientrati verso sera. Almeno loro avevano un modo per divertirsi nonostante il caldo, mentre io ero costretta a badare a mia madre, cercando di non farla fumare o bere.
Avevamo solo un misero ventilatore, niente più. Dovevamo accontentarci solo di quel poco di fresco, tra l'altro vivevo in una catapecchia. Mia madre non sopportava l'idea di non bere il suo amato whisky, e il medico glielo aveva ripetuto un sacco di volte. Era obbligata a prendersi delle strane caramelle, di cui non sapevo minimamente l'esistenza. L'importante era vedere l'embrione sano e senza alcun tipo di difetti.
«Non sopporterò questo caldo ancora per molto.» disse la mamma, toccandosi il grembo.
«Ti decidi a smetterla di lamentarti?» reagii.
«Theresa, sono perfino incinta. Vuoi capirlo, oppure no?»
«Lo so, ma non puoi sempre avere quello che vuoi. Anzi, prenditi il ventilatore e mettitelo in faccia, tanto a me non serve!» gettai a terra lo straccio bagnato e salii le scale, andando in camera mia. Non ne potevo più. Avere una madre così era davvero stressante, e solo in quel momento me ne resi conto.
Un bussare alla porta attira la mia attenzione, mentre sto sdraiata a fissare il soffitto con le mani infilate tra i capelli. Dovevo essere la meno accaldata di tutti, ma lo ero proprio come mia madre. Essere bianca di carnagione aveva i suoi difetti, per giunta l'avere le lentiggini e un tirabacio sotto l'occhio sinistro. Ad Aleksandr piaceva molto.
«Chi è?» domandai, alzando la voce con aria scocciata.
«Sono io, Tessa.» Sentii la voce di Aleksandr da dietro la porta, roca come al solito.
Aprii lentamente la porta e lui entrò, chiudendola con un colpo di tallone. Rimase attaccato alla maniglia guardandomi sdraiata con le ginocchia rivolte verso il soffitto, per non parlare della maglietta legata, che mi scopriva quella poca pancia che avevo.
«Piantala di guardarmi!» gridai alzandomi di colpo, per poi girarmi verso la finestra spalancata, dandogli maleducatamente le spalle. «Uffa, mi metti sempre in imbarazzo!»
«Non ti piace essere guardata?»
«No! E poi, cos'avrei di così bello?»
Lui strizzò un occhio. «Le curve.»
«Maniaco».
A quella parola, cominciò a ridere. «Dico sul serio, non c'è niente di brutto in te».
«Lo dici solo perché ti faccio pena, ammettilo».
«Non ho mai detto bugie in vita mia, Tessa, e tu lo sai meglio di me».
Mi girai e lo vidi con aria seria e le braccia incrociate. Lo avevo fatto arrabbiare, e non sarei riuscita a sopportare le sue moine, come non sopportavo quelle di mia madre e di mia zia. «Certo, hai ragione».
Tolse immediatamente quella faccia incazzata e sorrise, l'unica gioia della giornata. Ero felice, o quasi. «Comunque, sono qui per chiederti una cosa. So che non vedevi l'ora di andare al mare».
«S-sì, ma non ci vengo, se è quello che stavi per chiedermi» lo anticipai. Lo conoscevo bene, dal momento che mi proponeva di andare nei posti che detestavo. La spiaggia era proprio al primo posto.
«Come?»
«Ho cambiato idea».
Voleva gridare, ma decise di non farlo. Da una parte, sarebbe stato inutile, dall'altra avrebbe peggiorato le cose, inclusa la nostra relazione. Non voleva perdere nulla con me, soprattutto l'ultima cosa.
«Non vuoi proprio passare una giornata con me, vero?» disse un po' amareggiato. Era una recita. Ogni volta, ci cascavo come un boccalone.
«Ho capito, me ne vado».
Era così credibile, e ogni volta mi sentivo male a vederlo così afflitto. Finché, prima che potesse aprire la porta e uscire... «Aspetta! Vengo con te».
In quell'istante, disegnò un ghigno malizioso e ridacchiò. Sapeva come farmi sentire in colpa, ed è stato così da quando eravamo bambini. «Sapevo che avresti cambiato idea» sorrise, infine. Ricambiai, non mostrando tanto entusiasmo, come al mio solito.
Il mio solito sguardo da eterna incazzata non mi permetteva di sorridere, da una parte ero io a non volerlo. In fondo, perché essere felici se la tua vita fa schifo? All'epoca, ero una vera e propria infantile. Ragionavo ancora come una bambina, ed era anche per quello che nessuno mi rivolgeva la parola. Avevano ragione, quando dicevano che ero un caso perso. Lo ero. Lo ero a tutti gli effetti.
«Verranno anche Mike e Gill, non facciamoli aspettare sotto il sole.» concluse, uscendo dalla mia stanza, felice come una pasqua.
Decisi di andare con lui, anche se preferivo restare a casa e rimanere bianca per tutta la vita. Non mi avrebbe di certo fatto male, come mi diceva spesso il medico, quando accompagnavo mia madre a farsi l'ecografia mensile.
Guidavo, ma non sempre avevo il coraggio di portare un'automobile in giro. Mi distraevo in continuazione, pensavo solo a me stessa.
«Ah, un'altra cosa: mettiti un costume carino, non il solito.» e chiuse la porta.
Decisi di mettermi il costume a pantaloncino e il reggiseno del mio vecchio bikini, quello che indossavo sempre quando avevo dodici anni.
Portavo la prima di seno e, nonostante fossero passati anni, mi andava ancora bene. Era nero con alcune strisce bianche, un anello di plastica bianco al centro dei seni e le frangette sotto. Era carino, ma troppo... sexy. Per me.
Indossai un vestito azzurro chiaro e presi al volo la borsa dall'appendiabiti, per poi uscire in fretta e furia dalla mia stanza, lasciando tutto in disordine.
"Ripulirò dopo, mamma." sogghignai maliziosa, pensando alla faccia di mia madre. Avevo anche paura, ma non abbastanza da intimorirmi.
«Non ti metti il costume, Alec?» domandai.
«Ce l'ho già addosso».
«Con quale velocità, poi, te lo saresti messo?» lo presi un po' in giro, come faceva spesso con me.
«Di certo, non come voi donne, dal momento che siete lente».
Sogghignai.
«Chi ti ha raccontato questa stronzata?»
«Nessuno, lo so e basta».
Ridacchiai, col solito sorriso finto e poco convincente. Se fosse stata una specie di recita, l'insegnante mi avrebbe affidato il ruolo di comparsa.
«Meglio se andiamo, non vorrai far aspettare tuo fratello sotto il Deserto del Gobi».
«Okay.» e lo seguii fino al portone di casa.
Mi piaceva il suo senso dell'umorismo, e lo faceva spesso per farmi ridere. Ci riusciva, anche se, in realtà, non mostravo neanche un po' di entusiasmo. Per una come me, ridere era davvero difficile. Tutti nella mia famiglia lo sapevano, tant'è che si erano rassegnati ad approcciare con me.
Alcuni di loro mi ignoravano completamente; solo un saluto e via. Era inutile cercare di chiarire ogni rapporto; avevano già chiuso i battenti e ciò, per loro, significava "non rivolgermi la parola". E così fu. Parlavo solo con mia madre, Tyler, Gisel e i miei fratelli; incluso Aleksandr, che fratello naturale non era.
Per tutto il tragitto non avevo fatto altro che pensarci. Come avrei potuto aggiustare le cose, sia con mia madre e sia con il resto della mia famiglia? Non volevo diventare la pecorella smarrita.
«Finalmente siete arrivati».
Michael ci accolse davanti all'arco di palme, all'ingresso del lido. Con lui, c'era anche Gisel. L'avevo conosciuta l'ultimo giorno di scuola, e già aveva fatto conoscenza con i miei fratelli. Era una cosa positiva, o all'inizio così pensavo.
«Stai benissimo con quel costume, Gill».
«Grazie, stallone. Ti vedo piuttosto allegro, oggi».
«Sarà perché è estate».
Gisel rise, mostrando i suoi denti splendenti e il lucidalabbra color prugna. Era davvero una bella ragazza, cosa che io non ero. Non sarei mai potuta diventare come lei, mi dicevo spesso, e a volte, ero all'idea di sparire. In tutti i sensi.
«Vogliamo bere qualcosa, prima di andare in spiaggia?» propose Michael.
«Io sto a posto.» rispose Gisel con un dolce sorriso, luminoso e maledettamente invidiabile. Aleksandr, all'improvviso, mi guardò un po' preoccupato. Incrociai il suo sguardo tenendo la solita aura oscura.
«Tessa, perché quella faccia?»
Lo distolsi di scatto.
«So che odi essere in mezzo alla gente, ma fallo almeno per me. Ci tengo ad essere in tua compagnia.» mise entrambe le mani sulle mie spalle e sorrise dolcemente.
Come potevo dirgli di no?
«Divertiti, almeno una volta».
Annuii, senza un briciolo di pietà nei suoi confronti, un po' come le ragazze cattive a scuola; le fumatrici, le volgari, le puttane - soprattutto l'ultima cosa, e mai sarei diventata come loro.
«Vuoi bere qualcosa?» mi domandò, poi.
«Solo un bicchiere d'acqua».
«Allora vieni, ti accompagno io».
«E Mike?»
«Lo raggiungiamo dopo.» Mi prese per mano e mi portò davanti al bancone. Ero tesa, non sentivo quasi il mio corpo. Tenevo lo sguardo fisso sul freddo marmo del bancone, mentre lui guardava il piccolo televisore posto sul ripiano del bar.
"È solo il caldo, Theresa."
Da quando Aleksandr mi aveva abbracciato in quel modo, quasi sul punto di toccarmi. Non ero riuscita a fermarlo, lui lo voleva ad ogni costo. Non era neanche fidanzato, il che era strano - inizialmente, lo pensavo. Un giocatore della squadra di rugby, ai tempi, veniva inseguito dalle ragazze - in particolare, nel mio vecchio istituto.
Forse non le considerava minimamente. Forse le ripudiava. Le domande erano tante. Avrei voluto chiederglielo, ma non trovavo le parole per farlo. Mi sentivo una stupida. Glielo avevo lasciato fare, e da quel momento, avevo paura di sfiorarlo anche con un dito. Non volevo che la scena si ripetesse. E ancora adesso, non riesco a smettere di pensarci.
Aleksandr era l'unica persona che poteva abbattere le mura che mi portavo dietro, l'unico che avrebbe potuto scacciare le spine che mi attorcigliavano. L'unico che poteva salvarmi.
«Non bevi più?»
La sua voce mi scacciò via quella strana fantasia che mi ero creata nella mente.
«S-sì... stavo giusto per prendere il bicchiere.» dissi.
«Oltre ad essere una pessima attrice, sei anche una pessima bugiarda».
«Lo so, sono pessima in tutto».
Strinse un pugno, e in quel momento, sentii il mio cuore fare come un salto mortale.
«Smettila di dire così, non lo sei.» lo disse con tutta calma.
Mi prese il mento con due dita e mi costrinse a guardarlo; come sempre, avevo gli occhi lucidi, quasi in procinto di piangere come una neonata.
«Sei dolcissima, hai talento. Sei mia sorella, e nessuna delle mie due sorelle deve compiangersi così.» riferito a me e Lara – nel suo caso, in futuro – e lo disse chiaro e tondo.
«Fammi un sorriso».
«Lo sai che non posso accontentarti».
«Mi basta quello finto», e alla fine lo accontentai.
Dopo quel teatrino, bevvi il bicchiere d'acqua tutto d'un fiato, poi mi alzai dallo sgabello. Mi tolsi i sandali e afferrai il suo braccio, per paura di cadere sulla sabbia. Era bollente ma nonostante ciò, riuscivo a sopportare il dolore. L'importante era stare attaccata a lui fino alla fine del tragitto, raggiungendo l'ombrellone floreale di Gisel. Non erano poi così tanto distanti dal bar.
Arrivati, mi fiondai sotto l'ombrellone e misi i miei sandali accanto all'asta, poi mi sfilai il vestito. Avvolsi il mio pareo bianco attorno a quel poco di pancia che mostravo e mi sedetti sull'asciugamano di Gisel, dopo averle chiesto il permesso.
Michael era appena uscito dall'acqua e aveva incominciato a fare qualche evoluzione col pallone in riva al mare, mentre la castana beveva un succo all'amarena col cappello di paglia in testa e gli occhiali da sole. Aleksandr si era già tolto la maglietta e i pantaloncini, e vederlo mezzo nudo mi faceva un po' senso.
«Al volo!»
Afferrò il pallone e lo lanciò nuovamente verso Michael, che lo rilanciò con un pugno verso l'acqua. Vederli giocare mi metteva allegria, ma non sarei mai stata capace di mostrarla agli occhi della gente. Sarebbe stato un miracolo, se lo avessi fatto in quel momento.
«Voi due siete troppo energici, per i miei gusti.» commentò Gisel, mentre loro tornavano sotto l'ombrellone completamente bagnati.
«Che puoi farci, siamo fatti così» rispose Michael «a proposito, non ti fai il bagno, Tessa?» si rivolse poi a me.
Mi morsi leggermente il labbro e con quel poco di aria che avevo, risposi.
«Ecco...»
«Lo farà con me, vero?» domandò Aleksandr, alzando il mio sguardo con due dita. Annuii, anche se non ero convinta di andare a bagnarmi la pelle, anche se faceva molto caldo.
«Coraggio, alzati.» mi prese la mano e mi aiutò a rialzarmi dall'asciugamano, per poi accompagnarmi fino alla riva.
Chiusi gli occhi per qualche secondo, mentre il cuore cominciava a prendere la rincorsa. Stare sotto il sole non era il massimo per una ragazza dalla carnagione chiara come me; e dovetti ringraziare mia madre per avermi aiutata a mettere la protezione solare.
«Cosa c'è?» mi colse di sorpresa.
«Niente».
«Hai paura dell'acqua?» sorrise malizioso.
«Certo che no!» esclamai imbarazzata.
Gli piaceva quando facevo così, lo divertiva molto. Non potevo essere arrabbiata con lui, dal momento che lo faceva apposta a stuzzicarmi.
«Allora, entra».
«E tu?»
M'insospettii, per paura che volesse farmi una specie di scherzo.
«Ti raggiungo tra un'attimo, e non fissarmi come una piccola detective. Non ti spingerò come l'ultima volta».
Entrai piano piano in acqua, tenendo le mani attorno al grembo. Avevo freddo, e lui che aveva detto qualche minuto prima che era tiepida. L'acqua mi arrivava all'ombelico, decisi di rimanere in quel punto a fissare il fondo. Si vedevano i sassi e la sabbia grigiognola, qualche pesciolino e un paio di bolle. Mi piaceva vedere quei pochi pesci girare attorno alle mie gambe, sentivo il loro muoversi a pochi centimetri dalla mia pelle bianca.
Cercai, in quel momento, di sorridere o ridacchiare tra me e me, ma sembrava tutto inutile. I muri me lo impedivano.
«Cos'è quel muso lungo?» domandò Aleksandr mettendosi proprio dietro di me e i pesciolini scapparono di colpo.
«Non ho il muso lungo, è solo la mia solita espressione senza vita».
«Prima o poi, te la toglierò».
«Dovrai fare del tuo meglio.» sorrisi maliziosa, cosa che mi riusciva piuttosto bene, vista la mia situazione.
Si spostò alla mia sinistra e all'improvviso mi schizzò l'acqua addosso. Cacciai un gridolino girandomi dall'altro lato. Lui rise guardando la mia reazione. "Bastardo."
«Brutto...» ringhiai.
«Dillo, Tessa.» mi sfidò a dire quella parolaccia, ma ho sempre odiato dirle. Alla fine, dissi un semplice «...deficiente».
«Uffa, così non mi diverto.» ammise.
«Adesso ti divertirai.» e gli schizzai l'acqua addosso. Il tutto continuò per qualche minuto, tra spruzzi e spintoni.
Tornati di nuovo a riva, ci lanciammo le palline di sabbia bagnata, sporcandoci completamente. Aleksandr sapeva come farmi divertire, ma non mostravo comunque un sorriso autentico anzi, continuavo a fingere, e a lui non piaceva affatto.
Mentre cercavo di spingerlo in acqua, mi anticipò afferrandomi la vita con un braccio facendomi volteggiare, poi gli caddi addosso trovandomi, di colpo, sopra di lui. Rimasi ferma a fissare i suoi occhi color cioccolato fondente, i più belli di sempre, mentre lui continuava ancora a ridere con l'affanno.
Gli sfiorai la punta del naso con la mia, prendendo lentamente fiato dopo quella piccola guerra. Non m'importava se eravamo circondati da altre persone, se c'erano Gisel e Michael con noi. Mi stavo lasciando andare un po' troppo, ed era ciò che volevo.
«Meglio se ti rialzi.» disse ed io obbedii, imbarazzata.
«Scusami...»
«Va tutto bene, non c'è bisogno di scusarti.» sorrise.
Il cuore mi batteva ancora, e non capivo quella strana sensazione che circondava il mio corpo. Era come sentire l'acqua di una cascata sulla pelle, che scende molto lentamente donandoti un piacere immenso. Più o meno, quella.
«Torniamo dagli altri?» propose.
Annuii e lo seguii prendendolo per mano. Ci eravamo allontanati molto dal nostro ombrellone ma per Aleksandr, l'importante era vedermi sorridere. Un piccolo sorriso, però, ero riuscita a tirarlo fuori, ma non era abbastanza.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro