Capitolo 28 - Una scelta difficile
Una scelta difficile
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Due giorni dopo, tornai in quella stanza. Vederlo seduto su quel letto era una visione agghiacciante. Preferivo restare con lui anziché andare in giro da sola o farmi insultare da quelle scimmiotte ammaestrate. Aleksandr era diventato il mio piccolo mondo.
Anche se era paralizzato, gli volevo comunque bene. Quei troppi macchinari attaccati alle braccia e quella canna alla gola mi terrorizzavano, e mi sentivo in colpa ad aver accettato di fargli compagnia quel giorno. Non me lo sarei mai potuta perdonare. Nonostante la canna in gola, riusciva a parlare – anche se scandiva a malapena le parole.
«Non sai quanto mi sei mancato» gli strinsi la mano e me la portai sul petto. I suoi occhi erano quasi chiusi, un po' lucidi.
«Sento... il tuo cuore» la sua voce era molto roca.
«Voglio che senti ogni cosa di me, voglio che ricordi tutto di noi».
Avrei voluto piangere, ma non ce la facevo. Il mio cuore era circondato da una corazza indistruttibile; non avevo mai pianto in vita mia, fino a quell'estate. La sua vita era ormai al limite, gli restavano solo cinque giorni e sarebbe morto su quel lettino d'ospedale.
«Ho chiesto a mamma di far sviluppare la foto della nostra frase sul muro, qualche giorno fa», disse, «l'ho fatta mettere sul comodino accanto a me.»
Mi girai e vidi proprio la foto. La presi e cominciai a fissarla con aria nostalgica. Avevano già cancellato quella scritta, e quella foto era il nostro unico ricordo. «Mi mancano quei momenti in cui sfrecciavamo sulla vecchia sedia a rotelle» rise, ma quella risata non era per niente la sua.
«Già, anche a me» risposi a malincuore.
«Sei davvero dolce... a venire qui da me».
«Non lascerei mai mio fratello da solo» strinsi la sua mano tra le mie. Scosse leggermente la testa, infastidito dalle macchine attaccate su di lui. Era ciò che riusciva a tenerlo in vita, per quei pochi giorni che ancora gli restavano.
«Sai, sono felice». Cercò di guardarmi ma vista la situazione, era costretto a guardare davanti. Decise di guardarmi dalla coda degli occhi. «Sei l'unica persona che mi è sempre stata accanto, anche nei momenti difficili. E per questo ti ringrazio, Alec. Mi hai regalato la felicità di cui avevo bisogno».
«Ho messo a rischio la tua vita in quella stupida macchina. Alla fine, ci sono andato di mezzo io. Ed ora, eccomi qui» sorrise, prendendo il tutto sul ridere.
«Mi dispiace tanto, davvero. È... è stata...»
«Te l'ho già detto: non è stata colpa tua».
Sentii i miei occhi riempirsi di lacrime, udii la macchina respiratoria dare dei battiti poco frequenti. Nonostante ciò, riusciva a respirare bene e parlare – anche se con notevole difficoltà rispetto le altre volte.
«Tessa», attirò la mia attenzione ed io lo guardai addolorata, osservando una lacrima scendere lungo la sua guancia. «Ormai, per me, è arrivato il momento. La macchina e l'orologio dicono tutto. Non riesco a smettere di fissare quel muro, e vorrei tanto poterci scrivere quella frase per ricordarmi di te».
Alla fine, riuscì a girare leggermente il collo e guardarmi per bene. «Mamma non fa altro che piangere, così come la piccola Lara. Non posso continuare a restare qui fermo e immobile... come una vecchia bambola seduta dentro una cantina ammuffita». La sua voce s'incrinò. «Vorrei... vorrei che tu aumentassi la mia flebo alla mia sinistra, facendo arrivare la puntina a dodici».
Spalancai gli occhi pieni di lacrime, tant'è che il trucco si stava già sciogliendo. Voleva che lo uccidessi, ma sapeva anche lui che avrei detto sicuramente di no. Odiava la sua vita, non appena era entrato in quell'ospedale e gli avevano infilato l'ago nel braccio.
«Aleksandr, perché vuoi che io...»
«È l'unica cosa che voglio da te. Ti ho vista sorridere, correre, amare, ed ora vorrei vederti aiutare qualcuno, cioè me».
Era difficile scegliere se lasciarlo vivo oppure no. Non volevo assolutamente lasciarlo morire manomettendo la sua flebo, avrei commesso l'errore più grande della mia vita. «I-io... non lo so...»
«So che è difficile scegliere, ma vorrei tanto che tu lo faccia».
Scossi lentamente la testa, osservando le sue lacrime scendere. «Alec, io...»
«Il dolore non fa altro che peggiorare e... non ce la faccio più a soffrire in questo modo».
La sua voce incrinata riuscì a demoralizzarmi. Osservai le righe della macchina alla sua destra, attaccata alle dita della sua mano destra – il suo braccio tatuato era privo di forze, così come il resto del suo corpo. «Ho bruciato tutta la mia vita su del metallo arrugginito, sono stato un completo idiota».
Non facevo altro che stringergli la mano sinistra e tenerla sul mio petto, in modo che sentisse i miei battiti del cuore per l'ultima volta. E lui continuò. «Non m'importa se mi rimangono altri cinque giorni da vivere, vorrei che tu esaudisca il mio ultimo desiderio. È ciò che voglio da te in questo momento, non voglio più vedere soffrire chi amo, neanche me stesso».
Strinsi gli occhi cercando di non far uscire le lacrime. «Non posso, non posso farlo».
«Ti prego, Tessa, aiutami».
L'eccessiva entrata di liquido nelle sue vene gli avrebbe ostruito il cuore, fermando i battiti. Era quello che lui voleva. Voleva che lo uccidessi.
Non ero un'assassina e mai avrei avuto il coraggio di afferrare un coltello, neanche per tagliare un pezzo di pane, per il semplice fatto che odiavo la violenza. Aleksandr lo sapeva, e sapeva inoltre, che avrei fatto qualsiasi cosa per renderlo felice. Ma non avrei mai pensato che mi avrebbe chiesto di fare qualcosa di simile per lui. Ucciderlo. Perché?
«Non posso, Alec, davvero...»
«Avevi detto che avresti fatto qualsiasi cosa per me, giusto?»
Strinse la mia mano con la poca forza che aveva dentro di sé, e quel gesto mi rincuorò. La sua voce era davvero dolce, ma non volevo che morisse. Volevo che aspettasse, che scadesse il tempo. Ma se era davvero ciò che voleva, non mi rimaneva altra scelta.
Lui sorrise, le sue piccole lacrime poggiate agli angoli dei suoi occhi. Mi guardò mentre mi avvicinavo sempre di più alla flebo, pronta per fare l'estremo gesto, l'ultimo saluto. Lo vidi sorridere, ciò mi rallegrava. Non avrei più rivisto il suo sorriso, e neanche quello di mia madre. Lei soffriva più di me, così come tutti gli altri nostri parenti ed amici.
Era stato costretto a ritirarsi dal rugby e lui, per quello, ci era rimasto davvero molto male. L'unica cosa che voleva era la libertà, poter muoversi senza alcun ostacolo intorno e la voglia di vivere. Alec amava da morire correre tra l'erba alta e sulla sabbia.
Lo avrei lasciato con un grande sorriso, il più bello di sempre e che mai avrebbe dimenticato. Sarebbe stato il suo ultimo ricordo, prima di andare oltre la vita. In un mondo circondato da tante anime, silenzi, non rivedere più coloro che hai odiato nella vita. La pace eterna.
«Grazie, sorellina».
La sua voce era molto incrinata. Soffriva più di me e mia madre messe insieme, e lo capivo. Mi sentivo anch'io così: spaesata, sola, depressa e senza una ragione per cui vivere. Non sapevo niente della felicità, né mostrarla né provarla. Aleksandr me l'aveva fatto capire con un semplice sorrise e gli dovevo molto.
Strinsi gli occhi e mi voltai dall'altra parte, stringendo il labbro tra i denti, e con un movimento brusco del braccio e delle dita, girai la manovella della flebo arrivando con la puntina di plastica sul dodici. M'inginocchiai dall'altro capo del letto prendendogli nuovamente la mano. Sorridere era davvero difficile, osservando i suoi occhi diventare color latte.
Avvicinai il mio viso al suo lasciando che le mie lacrime cadessero sulle sue guance, era questione di minuti e lui avrebbe lasciato l'Inferno in cui viveva. «Non mi stai uccidendo, Tessa», la sua voce cominciò a scendere, «mi stai... liberando...»
«Non è vero, ti sto rubando i tuoi ultimi cinque giorni, quelli in cui avremmo potuto...»
«Non voglio che tu pianga per colpa mia. Sono stato io... a... complicare le cose...» faceva fatica a parlare e, intanto, i rumori della macchina respiratoria attaccata alle sue dita segnò quindici secondi. Quel poco che gli restava per guardarmi dritto negli occhi.
«Abbi cura di mamma, Mike e Lara, ma soprattutto di te stessa».
Mi avvicinai ancora di più per potergli appoggiare la fronte contro la sua e prima di ciò, sussurrò dolcemente le sue ultime parole. «Ti voglio bene... Theresa».
Le lacrime m'impedirono di vederlo bene in volto, ma non a sentire il suo respiro per l'ultima volta. Il nostro ultimo saluto e il più bello di sempre. I suoi battiti cominciarono a cedere molto lentamente.
Cinque... quattro...
tre... due... uno...
Chiuse definitivamente gli occhi e la mano che tenevo tra le mie in quel momento, si afflosciò e si raffreddò lentamente. La macchina respiratoria stava emettendo un rumore continuo, il che segnò la sua fine. Aleksandr era deceduto. Non riuscivo a smettere di ripeterlo nella mia testa, osservando il suo corpo perdere pian piano la sua bellezza.
Indietreggiai e scappai dalla stanza con le lacrime agli occhi, col senso di colpa che percorreva ogni centimetro della mia pelle.
Alec è morto.
Gli avevo privato di vivere altri cinque giorni, ma era quello che voleva. Che colpa ne avevo?
L'hai ucciso.
Non dovevo dirlo a nessuno, neanche a Michael. Non sarebbero mai riusciti a capire le ragioni per cui Aleksandr voleva che io lo uccidessi, nonostante avesse ancora cinque giorni da vivere.
«Tessa!» sentii la voce di Lucia fare il mio nome. Mi fermai di scatto ma non mi voltai. Nascosi i miei occhi dietro quel poco di capelli che avevo – visto che qualche settimana prima li avevo tagliati con le forbici da cucina. «Dove vai?»
Si stava avvicinando sempre di più, e lo capii dal rumore dei suoi tacchi farsi sempre più intensi, così vicini. Aveva un bellissimo vestito rosa chiaro, con un cinturino di perle e piccoli diamantini di bigiotteria. La vidi dallo specchio davanti a me, basso ma largo.
«Perché non sei con Aleksandr?»
Mi morsi il labbro e decisi di confessarglielo, anche se la mia testa continuava a ripetere di non farlo. Perché tenerlo nascosto? Lo avrebbero saputo comunque. «Perché lui è morto!» risposi con un filo di voce, girando di poco il collo osservando il volto preoccupato di Lucia.
«Co-come è...»
«Sono stata io. L'ho ucciso. Ha voluto che lo aiutassi e l'ho fatto ed ora mi sento così male».
Cercò di avvicinarsi, ma mi girai di scatto e la sfiorai col braccio. Era a pochi centimetri da me, anche lei con le lacrime in viso. Capì al volo che non era stata affatto colpa mia. Aleksandr sarebbe morto comunque, con o senza il mio intervento. Il fatto che sia stata proprio io a stringere il tempo che gli restava, mi faceva sentire ancora più male. Mi girava la testa; l'unica cosa che avrei voluto fare era piangere sul suo petto che, poco a poco, si raffreddava.
«Sono un'assassina! L'ho ucciso!»
Lucia mi venne incontro e mi abbracciò, mi lasciai coccolare dal calore del suo corpo. Iniziò a piangere anche lei, riuscendo a captare il mio dolore.
Non lo hai ucciso, Tessa. Lo hai salvato.
Mia madre si precipitò all'ospedale, non appena seppe la notizia. Si era accasciata sulle spalle di Michael senza fiato nei polmoni, con le lacrime che le offuscavano la vista. La piccola Lara era in braccio a me, ma non riuscì a piangere. Credeva stesse dormendo profondamente, come ogni notte.
«Tessa... Alec sta dormendo?»
Deglutii e la strinsi tra le mie braccia e anche lei fece lo stesso. «Sì, piccolina, sta riposando in pace».
«Ma si risveglierà, vero?»
Non risposi. Rimasi a guardare il dottore che copriva la salma di Aleksandr con il lenzuolo, comunicando l'ora del decesso alla sua assistente. Dopodiché, un paio di infermieri furono incaricati a trasportarlo nella camera mortuaria dove, tre giorni dopo, si sarebbe tenuto il suo funerale. Continuai a piangere e a piangere.
«Finché non arriverà il Giudizio Universale».
Una cosa era certa: suo padre non avrebbe avuto il coraggio di vedere suo figlio privo di vita. Non l'avrebbe sopportato, così come mia madre e me. Credevo che la tetraplegia fosse una cosa banale – incurabile, ma innocente -, invece non lo era. L'incidente ci aveva portato via la gioia della famiglia, un sorriso smagliante e un fratello degno di nome. Mi tornarono in mente un sacco di ricordi, soprattutto... quello.
I ricordi stanno svanendo. Aleksandr... non lasciarmi...
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