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Capitolo 13 - Puoi cambiare





Puoi cambiare

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Uscii dalla stanza con la mano davanti alla fronte, stupita di me stessa. Le emozioni, per la prima volta, avevano vinto su di me. Non era affatto un bene anzi, da una parte lo era. Stavo cominciando a provare nuove emozioni oltre la paura, la tristezza, il disgusto e la rabbia. Mi mancava la gioia, ma non sapevo come e quando l'avrei ottenuta. Aleksandr era ancora sul letto. 

Ero demoralizzata. Non era normale quel che avevamo fatto, poco importava se non ci fosse nessun legame di sangue. Una parte di noi era la stessa, quella parte che non sarebbe mai mutata. Non riuscivo a capire lo scopo di quel bacio. Voleva davvero farmi sorridere con un semplice bacino? Sulle labbra, per giunta.

Mentre camminavo lungo il corridoio, mia madre incrociò il mio sguardo afflitto e assente, come se avessi visto un film dell'orrore. La osservai e notai il suo vestito essere piuttosto stretto in vita. La sua espressione non era affatto carina, sembrava essere uscita da un centro psichiatrico; per non parlare dei suoi capelli scompigliati a criniera di leone, tutti rialzati e annodati.

«Cos'è successo, Theresa?» domandò preoccupata. «Sembra che tu abbia visto il fantasma di Canterville, sei sicura di stare bene?»

Stavo cominciando ad incazzarmi e mi veniva facile in quegli anni, essendo circondata da fucili e pugnali immaginari pronti a fare una strage di sangue. «È successo qualcosa?»

Mi si attorcigliò lo stomaco dalla paura. Cercai di mantenere un'espressione neutra, senza attorcigliare o spostare qualche parte del viso, o sudare dalla tensione. Era difficile, soprattutto per quello che avevamo fatto.

«Nulla, abbiamo solo parlato».

«Gli hai portato qualcosa da mangiare?»

Ci siamo baciati.

«Sì».

«L'importante è che stiate bene tutti e due».

Se solo sapessi, mamma.

Subito dopo, mia madre si sistema i capelli e il vestito, per poi dire che sarebbe andata ad aiutare Aleksandr a lavarsi. Annuii e le sfiorai la spalla camminando lungo la fine del corridoio, scendendo infine quei pochi gradini.

Avevo sudato, tant'è che la maglietta mi si era appiccicata addosso, così come i miei capelli sulla fronte. Corsi in cucina ed aprii il rubinetto del lavabo, per poi sciacquarmi il volto. Sentivo le gocce fresche e piacevoli sulla mia pelle e in un attimo tutto svanì, come se il mio spirito stesse abbandonando il mio corpo. E non era solo il caldo a rendermi debole.

Mi resi conto della situazione. Sapevo che Aleksandr cercava qualcosa di nuovo in me, che quel bacio ci avrebbe legati a vita, ma non fu affatto così. Fu un errore, un madornale errore anzi, un peccato.

Eravamo legati solo dal sangue materno ed era stato sempre così, fino a quel pomeriggio bollente di luglio. Tra l'altro, era il mio primo bacio, e non mi sarei mai aspettata di sentire una sensazione così... mirifica. Il cuore mi batteva ancora forte, come se avesse intenzione di uscire dal mio petto e scappare. Non dimenticherò mai quella scena.

«Cos'è successo? Hai litigato ancora con la mamma?» La voce profonda di Michael mi fece sobbalzare, mentre la mia mente era circondata da nebbia e pioggia, quello che per Aleksandr doveva essere un arcobaleno.

«No, sono solo stanca».

Lo sentii avvicinarsi lentamente alle mie spalle. La mia testa stava proiettando l'immagine pura e divina di Aleksandr prima dell'incidente, colui che mi coinvolgeva in qualunque momento e in qualunque ora della mia inutile esistenza. Mike si stava rendendo conto di quello che stavo passando in quei giorni, con la benda attorno alla testa che mi copriva l'occhio destro. Era sempre stato in disparte.

«Vuoi che ti accompagni in camera?» chiese, ed io accettai senza riflettere.

Lo seguii senza dire una parola, con lo sguardo perso nel vuoto. Il tutto si stava ribaltando: Aleksandr è l'indifeso e menefreghista, Michael è il dolce e premuroso.

Che sia ubriaco, ho i miei dubbi, ma è così strano vedere Mike così gentile e solidale.
Non è da lui comportarsi così.

Raggiunta la mia stanza, mi sedetti sul bordo del mio letto afflitta, e Michael chiuse lentamente la porta guardandomi amareggiato. Sapeva benissimo quanto ci tenessi ad Aleksandr, e avrebbe fatto di tutto pur di non vedermi soffrire.

«Mi dispiace davvero tanto».

Una lacrima era sul punto di uscire, ripensando ancora a quel giorno. «Mike... è con Alec che devi dispiacerti, non per me. Non sono colei che ha rischiato la morte».

«Hai rischiato un trauma cranico e ringrazia il cielo se sei ancora qui».

Per cosa avrei potuto ringraziarlo, poi? Mi aveva solo portato sfortuna. Non ne combinavo una giusta e per giunta, mi creavo una marea di problemi - aggiunsi anche i filmini mentali.

«Non ha senso farlo».

Tutto ciò non sarebbe dovuto succedere, avrei voluto dire infine, ma non ci riuscivo. Michael era perfino in grado di aprire una discussione lunga un secolo, oppure scatenare una specie di rivolta. Detestavo il suo carattere, era come quello di un dittatore.

«Tessa, perché dici questo?» il suo tono si addolcì.

«Perché è così, Mike, ho distrutto la vita di Aleksandr e vorrei solo porre fine alla mia vita».

«Non azzardarti». Tornò il ragazzo protettivo e arrogante, quello che conoscevo da anni. «Aleksandr non vuole vederti così».

Mi voltai verso di lui e camminai lentamente andandogli incontro, per poi abbracciarlo e piangere sulla sua maglietta. Ridicolo come una ragazza come me si lasciava influenzare dai sentimenti altrui, ma in questo caso c'entravo anch'io.

Mi ripetevo nella testa mille e mille altre volte che ero io la causa della tetraplegia di Aleksandr, ma lui diceva che non era così. Guardando Michael, ripensai a quelle parole.


Amo i tuoi capelli corti e ribelli.

Amo il modo in cui ti metti le cuffie nelle orecchie, amo il tono in cui mandi a quel paese chi ti odia e ti ripudia.

Amo i tuoi vestiti da adolescente ribelle e scatenata.

Amo la tua voce, amo il fatto che nascondi la tua femminilità sotto una felpa larga.

Amo quell'anello che porti sul dito della tua mano sinistra.

L'unica cosa che odio di te è quella catena, quella che porti attorno al cuore, e voglio che la spezzi o la unisci alla mia.

Perché il nostro legame è come una catena.


Era scritto su un foglio di carta stropicciato, che Aleksandr teneva dentro un romanzo di Johanne Lindsey, quel libro che mai avrei toccato in vita mia - dal momento che odiavo i romanzi rosa. Rimasi sorpresa da quelle parole e Michael me le aveva fatte ricordare in quel momento.

«Lasciati scivolare via tutto e continua la tua vita.» concluse uscendo dalla stanza con un sorriso.

Mi sdraiai sul letto, mettendomi le cuffie nelle orecchie, immergendomi nelle sinfonie di Ludwig Van Beethoven, con le mani dietro la nuca e gli occhi puntati verso il lampadario impolverato. Potevo cambiare, allora. Bastava crederci.




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