Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 10 - Colpa mia





Colpa mia

♦♦♦ ♦♦♦



Presi una teiera e versai il tè alla pesca, per poi portarla nella camera di Aleksandr. Era costretto a dormire da solo, senza Michael. Aveva bisogno di parecchie attenzioni, e non potevo di certo farne un torto. Mamma aveva deciso di dare il suo contributo, aiutandolo a lavarsi e vestirsi, mentre io mi occupavo del resto. Camminai lungo il corridoio, dopo aver salito quelle poche scale, e andai nella sua stanza. Bussai ed aprii lentamente la porta.

Ancora dormiva. Era in una posizione davvero scomoda; tuttavia, era obbligato a restare semi sdraiato almeno per qualche giorno. Vedere accanto a lui la sedia a rotelle mi faceva paura, anche perché mi prendevo sempre la colpa di tutto.

Aleksandr diceva sempre che non lo era, ma continuavo a pensarci. Mi ero chiusa ancora di più in me stessa, crogiolandomi nel dolore che provavo in quell'istante.

«Tessa... sei tu?» mormorò dolcemente.

Finsi un sorrisetto ed annuii. «Ti ho portato un po' di tè, spero ti piaccia. Pensavo a te, e quindi... ho voluto provare».

Si voltò verso di me e mi guardò per qualche minuto, per poi prendermi la mano. «Sono felice che tu sia qui, non sai quanto mi manca stare con Mike».

«Ti capisco, ma hai bisogno di troppe attenzioni e Michael non può stare vicino a te per tutto il tempo».

«Preferisce la sua ragazza a suo fratello, certo».

Dubitava di lui, ma in realtà non era così. Michael adorava Aleksandr e avrebbe fatto di tutto pur di aiutarlo. Il vederlo seduto su quella sedia, però, lo urtava. Non potevano più giocare a rugby insieme, per giunta Aleksandr era stato mandato via dalla squadra, per poi ripudiarlo. Un'ingiustizia bella e buona.

Lucy era la ragazza di Michael, ai tempi fidanzati da poco. Faceva invidia, soprattutto a mia madre, due occhi grandi e luminosi, un sorriso raggiante, capelli mori e lisci, una fascia colorata sulla testa e un carattere dolce e amorevole, come quello di una madre.

Voleva bene anche ad Aleksandr. Infatti, era merito suo se ha conosciuto il vero amore, cosa che ancora non avevo. Aveva intenzione di farlo anche con me, ma quale uomo sano di mente mi avrebbe voluta? Solo un nerd come Tyler.

«Non è così».

Distolse lo sguardo e si morde il labbro, poi tornò a guardarmi. I suoi occhi dicevano tutto: quel giorno, aveva fatto la cazzata più grande della sua vita. Continuava a parlarne e ogni volta, finiva col piangere sparando parolacce a raffica. La colpa non era di nessuno, benché meno sua. Forse quei bicchieri glieli aveva offerti Michael.

«Sì, invece. Sono stato uno stupido, non avrei dovuto portarti dentro quella discarica di automobile».

«Non puoi tornare indietro, lo sai».

«E lo farei, se potessi».

Mi si spezzava il cuore a vederlo in quello stato. Triste, senza la felicità che sprizzava fuori dal suo corpo, quel sorriso. Si stava trasformando lentamente, ed io ne ero la causa.

«Ci sarò sempre, Alec. Potrai contare su di me».

Le parole mi erano uscite di bocca all'improvviso, cosa che mai mi era successa. Pensavo sempre a ciò che volevo dire, ma in quel momento non controllavo più il mio parlare. Era come se una voce mi stesse suggerendo cosa fare. O forse, era solo il mio subconscio.

«Dopo l'incidente, non riesco più a staccarmi da te.» confessò guardandomi dritto negli occhi.

«So che le lacrime non basteranno a dirti quanto mi dispiace, ho quasi ucciso una persona a me cara, e non me lo perdonerò mai».

Cercai di sorridere, ma fu tutto inutile. Essere apatica era ciò che mi rendeva anche vulnerabile, e aprire le porte era difficile. Aleksandr mi voleva ancora bene, nonostante tutte le volte che gli avevo urlato contro, con o senza una ragione, e voleva davvero aiutarmi. Voleva trasformarmi, invece lo faceva con se stesso, allontanandosi dal mondo che lui definiva divino.

Me lo aspettavo. Tra l'altro era quasi ubriaco, anche se non sapevo effettivamente quanti bicchieri avesse bevuto, ma in un rave party logicamente si esagera - eppure Aleksandr non era un tipo da alcol. Non se lo sarebbe mai perdonato.

«Lo sai che non potrò esserci sempre per te.» distolsi lo sguardo stringendo due pugni, quasi sul punto di piangere secco. Non uscivano mai lacrime, era solo un pianto secco e senza emozione, come quelle di un coccodrillo, diceva sempre la mia maestra d'asilo.

«Ci sei ora», sorride dolcemente eliminando quell'inutile melodramma che mi stavo creando in quel momento.

Gli allungai la mano e gliela sfiorai con i polpastrelli, sentendo piano piano quelle piccole scariche elettriche torturare la mia pelle, come un impulso. Lentamente, le nostre dita s'intrecciarono, legandoci sempre di più l'uno con l'altra.

Non mi sarei immaginata il mio futuro senza di lui. Ai tempi non ci pensavo, anche perché non avrei mai creduto che, un giorno, la sua paralisi gli avrebbe portato qualcosa di ancora più grave. Volevo fargli sentire la mia presenza.

Avrei sacrificato qualsiasi cosa pur di fargli tornare il sorriso. Non volevo che diventasse identico a me, per Michael e gli altri sarebbe stato un vero e proprio choc - soprattutto per me. Il ragazzo che voleva rendermi ciò che non ero. Così lo definivo.

Quel momento non lo dimenticherò mai. Mi stava trasmettendo il suo amore, tutto il bene che mi voleva. Tra fratellastri, non accadeva spesso. C'era chi lo accettava e chi no, chi andava su od oltre i confini. Noi eravamo in mezzo, quasi sul punto di superare quel confine. Ma ero una ragazza per bene e ci pensavo due volte prima di fare un'azione che probabilmente mi sarebbe costata la dignità.

Peccato che le catene che m'imprigionavano mi stringevano sempre di più, facendomi male, come mi faceva male vedere Aleksandr seduto su quella sedia arrugginita. Ero arrabbiata con me stessa e con il karma.

"È colpa tua se Alec è finito in quella sedia a rotelle. Perché mi rendi tutto così difficile?"

Sfogarmi con qualcuno non mi avrebbe di sicuro aiutata anzi, avrebbe peggiorato il tutto.

«Perché non ti decidi ad abbattere quelle mura?» mi domandò fissandomi la mano attaccata alla sua, come incollata.

«È difficile, credimi».

«Basta usare lo strumento giusto, ad esempio una palla demolitrice».

Dove la trovavo, poi? Eravamo solo io e la mia testa piena di polvere e detriti, mi sentivo una nullità.

«Chi, con un minimo di coscienza, aiuterebbe una povera disgraziata come me?»

Mi crogiolavo nel dolore, piangevo, ascoltavo ogni parola dietro le mie spalle. Erano come piccoli insetti fastidiosi che ronzavano attorno alle mie orecchie, esseri viscidi senza intelligenza.

«Ti aiuto io.» disse, ma decisi di fermarlo.

Stava commettendo un grande errore, e non volevo peggiorare la situazione in cui si trovava. Essere paralizzato era già un errore.

«È meglio che tu stia alla larga da me. Hai già fatto abbastanza per me e credo di aver fatto uno sbaglio, scegliendo te come angelo custode».

Mi alzai dal letto e mi avvicinai al pomello della porta, poi mi girai e lo guardai con gli occhi lucidi, sul punto di recitare un nuovo film drammatico da premio Oscar come "Miglior stronzata".

«Tessa».

La sua voce era sempre più profonda, agghiacciante. Mi terrorizzò all'istante.

«Tutti i migliori sono matti, ricordatelo sempre».

In me stava uscendo qualcosa, ma non riuscivo a trovare il coraggio di tirarlo fuori. La colpa era mia e della mia depressione eterna. Tante persone influenzavano la mia vita, rendendola più difficile.

Era anche quello il motivo per cui non sorridevo. Non ero in pace con nessuno, soprattutto con me stessa. Avevo scritto su quel lenzuolo, in ospedale, cos'avrei fatto dopo essere uscita da lì. Realizzare i miei sogni e, finalmente, cambiare.

Dopo essere uscita da quella stanza, però, presi quel lenzuolo dal mio cassetto e lo stesi sul pavimento della mia stanza. Afferrai la bomboletta accanto alla lampada e, con tutta la rabbia che avevo nel cuore, rovinai quelle scritte, scrivendo quella frase che mi fece impazzire. Letteralmente.

L'appesi sul muro spoglio davanti al mio letto con un paio di chiodi, piantandoli dentro il cemento con la bomboletta. Lentamente, perdeva inchiostro sporcando tutto il pavimento. Non me ne importava più niente. Avevo deciso di piangere in un angolo, piangendo come non mai, ripetendomi nella mia testa: «Sono un disastro, scusa se sono una delusione.»



In mezzo a quel buio pesto, c'era la bomboletta abbandonata al centro della stanza, la puzza di vernice mescolata a quella di muffa e chiuso, e poi c'ero io raggomitolata sul pavimento. Avevo la mano sporca, i vestiti bagnati di sudore, i capelli scompigliati e il trucco sciolto. Nessuna lacrima aveva rigato il mio viso, o almeno così credevo.

La mappa che mi ero creata, quei sogni che dovevo realizzare, quel futuro che avrei dovuto costruire dopo l'incidente, l'avevo distrutta. Mi sentivo un pesce fuor d'acqua. Come poteva Aleksandr sopportare una come me? Non aveva provato tutto questo, e mai gli sarebbe successo. Nessuno mi voleva bene, ero un peso per gli altri.

L'unica cosa che potevo fare era abbandonarmi alla solitudine, o uccidermi. Ma che scopo avrebbe avuto? Uccidersi è la scelta più sbagliata che una persona possa decidere. Cos'avrei concluso? Niente. Assolutamente niente.

Rimasi immobile in quell'angolo, colma di rabbia e depressione.




Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro