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Capitolo 1 - Famiglia irritante, fratellastro tenero






Famiglia irritante, fratellastro tenero

♦♦♦ ♦♦♦



Aleksandr Logan era il mio fratellastro. Non avevamo genitori in comune, e fin da bambini avevamo vissuto sotto lo stesso tetto in un piccolo appartamento con vista mare - né bello né brutto, ma abbastanza accogliente. Era un birbante, un po' come una volpe, e in astuzia non lo batteva nessuno. La cosa che amavo di lui era il modo in cui fuggiva dalle commissioni di nostra madre, inventandosi una scusa stupida ma efficace.

Volevo essere come lui: una ragazza vivace e piena di energia. L'essere nata senza emozioni m'isolava dal mondo esterno abbandonandomi nella mia stessa solitudine, arrivando poi ad essere ripudiata anche dai suoi stessi parenti, mai considerata. Solo Aleksandr era in grado di capire i miei sentimenti.

«Va tutto bene, Theresa?»

«Sì».

«Non è vero, sei giù di morale».

«Ma va, non lo sapevo».

Alec la prese come una battuta, triste ma abbastanza forte. Lui rise non appena volsi lo sguardo verso il basso, con la solita espressione apatica e senza vita. «Suvvia, non fare l'offesa».

«Ti rendi conto che zia Nancy non vuole vedermi?»

«Lei è una donna che scherza sempre, lo sai com'è fatta».

Mi sfuggì un sorrisetto poco convincente, quasi finto. Aleksandr mi guardò dritto negli occhi appoggiando una mano sulla mia spalla, confortandomi.

Tenevo le ginocchia in gola, seduta dietro il muretto della villetta ai confini della città. Zia Nancy non aveva osato nominarmi quella sera a casa sua, non si degnò neanche di uno sguardo. Era come se mi odiasse. Non capivo il motivo di tutto questo odio nei miei confronti, eppure sono sua nipote. Lara, Michael ed Alec venivano trattati con gentilezza, senza strane occhiate e commenti in sottovoce. Con me, invece, faceva l'esatto contrario.

«Non prendertela, Tessa, zia Nancy ti vuole bene» mi accarezzò dolcemente la guancia.

«Dovresti metterti nei miei panni, sai?» replicai sempre con quel finto sorriso.

«Lo so come ti senti e ti capisco, ma cerca di sorridere una volta ogni tanto. Non è la fine del mondo se lo fai, soltanto per una volta».

«È difficile, credimi».

«Uh, ma quanto siamo complicati!» rispose con tono ironico, facendomi sfuggire una piccola risata - fintissima, tra l'altro.

Aleksandr rimase di stucco, quasi non riusciva a credere ai suoi occhi. «Sbaglio o hai appena sorriso?»

«Sbagli».

«Bugiarda».

«Non sei divertente».

Ridacchiò tra sé prendendosi gioco di me. Non mi faceva arrabbiare anzi, mi piaceva. Mi metteva allegria, anche se non la mostravo.

*

La nuvoletta non voleva andarsene, preferiva darmi il tormento per tutto il tempo. Ero abituata ad averla tra i piedi.

«Dovresti essere più ottimista».

«Non ci riesco. Lo sai come sono: resterò così per sempre, malgrado i miei sforzi».

«Come fai a dirlo se non ci hai provato?»

«Lo so e basta».

L'arroganza non mi mancava di certo, eppure non sono mai stata così. L'essere antipatica non faceva parte di me e lo ero agli occhi della gente. Una ragazza senza sentimenti non solo ti faceva paura. Lo capivo dai volti delle persone che ogni giorno mi fulminavano con lo sguardo. Non era facile fare amicizia con la gente o con i miei coetanei. Trovare un'amica era quasi impossibile.

«Coraggio, Tessa, alzati e torniamo dentro. Fa freddo qui.» mi tese la mano con un sorriso. Senza ricambiarlo, la presi e mi alzai, camminando accanto a lui un po' intimorita.

Non avevo voglia di entrare in quella casa, ma la coscienza mi diceva sempre di fidarmi di Aleksandr. L'unico che poteva regalarmi quella felicità che mai avrei sperato di vedere nell'oscurità in cui vivevo, visto il mio carattere.



Rientrammo in casa e come al solito, la zia Nancy aveva preparato una torta alla frutta fresca. Lara e mia madre non vedevano l'ora di mangiarla, così come Alec. Io detestavo i dolci, eppure ero costretta a mangiarli per evitare figuracce. Mia madre mi obbligava a mangiarne almeno metà, serviva soprattutto per me stessa.

«Alec,» attirai la sua attenzione, «se mi rifiuto di mangiare la torta, farò brutta figura?»

«Perché questa domanda?»

«Mamma l'ha detto».

«Non dar retta alle stronzate della mamma. Puoi anche non mangiarla, non possono di certo obbligarti».

Invece, lo ero. Con le spalle strette, mi sedetti sulla sedia e guardai la zia tagliare la torta di frutta in sette parti uguali. La sua precisione nell'usare il coltello lasciava di stucco chiunque, per giunta Michael.

Mia madre aveva già preso i piattini e le forchette di plastica, li diede alla zia man mano che prendeva una fetta di torta con la paletta. Le appoggiò delicatamente sul piattino e infilzò la forchetta, poi la servì con un sorriso.

Mi guardò con sguardo gelido. «L'ho fatta con le mie mani».

Non risposi. Continuavo a fissare la fetta di torta davanti a me, la forchetta infilzata al centro e quella frutta dall'aria gustosa. «Fammi felice, Theresa, almeno questa sera».

I miei occhi erano come fuoco ardente. Zia Nancy non osò neanche rispondere alla mia espressione alquanto spaventosa ed era soprattutto per quello che non mi sopportava. «Non vorrai far arrabbiare la tua zietta».

«Per tue informazioni, zietta, non ho fame. E poi, ho diciotto anni e mi trattate come Lara!»

Lara aveva solo sei anni. Nonostante la sua età, faceva una fatica immensa a parlare. Balbettava come una bambina di tre anni e ciò era a causa di mia madre che non l'ha voluta incoraggiare a dire una parola. Qualche nome sapeva dirlo, ad esempio il mio. Tutti dicevano che Lara sarebbe diventata l'unica grande soddisfazione della mia famiglia, colei che sarebbe potuta essere qualcuno.

"Non come Theresa, che ha sempre il muso lungo", diceva sempre mia madre.

«Sei sempre di cattivo umore. Sorridi, per una volta!» mi riprese mamma, come al solito, con la faccia come quella di una belva affamata.

«Tu, invece, sei sempre incazzata e sgarbata. Cos'hai da ridire?»

«Non parlare così con tua madre, chiaro?»

Si alzò e mi si parò davanti con due occhi di fuoco, con la pazienza ormai al limite.

«È la mia vita e faccio quello che mi pare» ribattei.

«Non finché sei sotto la mia tutela,» sottolineò "mia" con un tono accattivante, puntando il dito contro di sé.

All'improvviso, mi prese il braccio e cercò di farmi mangiare un pezzo di quella torta. Il solo profumo mi faceva venire il voltastomaco. Sarà anche strano, ma mi succedeva spesso. «Mangiala, almeno un morsetto!»

«Lasciami il braccio, brutta strega!» Mi alzai di scatto e mi allontanai dal suo orribile profumo di marca. I nostri sguardi erano incrociati, proprio come quelli di un cane e un gatto che litigavano per un giocattolo di gomma.

«Come mi hai chiamata?» ringhiò la domanda.

«Hai sentito bene. Sei una strega! Guardati allo specchio, invece di rimproverare i tuoi figli. Non hai visto come ti sei ridotta per colpa di quelle costose operazioni, inutili e perditempo? Pensi a te stessa e non ai tuoi figli. Sei una madre degenere!»

Riuscii a zittirla, ma non a impedire uno schiaffo sulla faccia da parte sua. Aleksandr e Michael vennero in mio aiuto, cercando di consolarmi. Non singhiozzai, ma i miei occhi lacrimavano. Mia madre era furibonda.

«Avevi detto che non l'avresti più picchiata!» disse Aleksandr irritato.

«Fatti gli affari tuoi, è una cosa tra me e lei».

«Invece, sono fatti miei; è mia sorella».

«Sorellastra» lo corresse.

«Quello che è».

«Non immischiarti in faccende che non ti riguardano, non è nemmeno la tua sorella di sangue».

«Cosa c'entra? È pur sempre parte della famiglia».

«Avete il cognome diverso».

Si strinse nelle spalle. «E con questo?»

«Per te è solo una sconosciuta».

Alec rimase di stucco, dopo quelle parole pronunciate da nostra madre. «Una sconosciuta,» rise amaramente. «E tu chi sei per dire così? La regina d'Inghilterra?»

Erano sul punto di litigare, poi la zia Nancy decise di prendere la palla al balzo separando me e mia madre. Avrei dormito in compagnia di Aleksandr, giusto per calmare le acque. Probabilmente, non mi avrebbe più rivolto la parola. Sei una ragazza maleducata, aveva detto infine. Lei, Lara e Michael se ne andarono dopo aver finito la torta. Per motivi di "sicurezza", detto da mia zia, trasferì me ed Aleksandr nella vecchia cameretta di Theodore - nostro cugino.

Avevamo deciso di dormire in quel letto a castello in memoria dei vecchi tempi, quando c'era nostro padre accanto a noi: il mio e il suo. Ero sdraiata sul lettino, mentre lui era seduto accanto a me abbracciando un cuscino blu. Il suo sorriso era davvero meraviglioso.

«Non vai proprio d'accordo con la mamma, vero?»

Scossi la testa. «Chissà perché,» alzò lo sguardo verso il soffitto del letto.

«Vorrei tanto saperlo anch'io ma ogni volta che parliamo, è sempre lei a rigirare la frittata».

«Beh, anche tu non sei una santa».

«Lo so.» Incrociai il suo sguardo con gli occhi arrossati.

«Una ragazza carina come te dovrebbe essere al centro dell'attenzione».

Lo guardai con occhi diversi, stupita dalle sue parole. Mi aveva detto "carina". «Io? Carina? Non farmi ridere!»

«Dico sul serio».

Mi prese per mano e improvvisamente sentii una strana sensazione, come se il corpo volesse esplodere da un momento all'altro. «Perché la pensi sempre al contrario? Sei intelligente, hai talento e sei anche una bella ragazza, non dovresti giudicarti in questo modo.»

«Tu, invece, dovresti sapere come sono fatta,» lo imitai.

«Di pasta frolla?» ridacchiò tra sé ripensando a quella tristissima battuta – era chiaro che era intenzionato, poi tornò a guardarmi sistemando il cuscino accanto a lui. La mia reazione non fu una delle migliori, dal momento che non riuscivo mai a mostrare un sorriso vero e proprio. Per me, ridere era come un'impresa eroica o, come lo definiva spesso mio nonno, un «delfino senza pinna». Non ho mai capito quella strana metafora.

«Tess,» attirò la mia attenzione. Incrociai il suo sguardo mantenendo la stessa espressione apatica e spossata, «ti va se dormiamo vicini?»

«Perché dovremmo farlo?»

«Non voglio dormire da solo, non questa sera».

Mi dimenticai completamente che Aleksandr dormiva con Michael. Non era mai da solo, neanche in vacanza. Gli sarebbe piaciuto, almeno una volta, dormire con me. Mamma non ce lo aveva mai permesso, dal momento che eravamo fratellastri.

«Hai sempre dormito con Mike, perché non cambiare una volta ogni tanto?»

«Sei un'asociale».

Sospirai, dopo aver incrociato per qualche secondo il suo sguardo. «Va bene, dormiamo insieme.» sogghignai apaticamente. Il mio sorridere non era mai autentico, era una semplice recita per non apparire troppo strana. Peccato che come attrice sia assolutamente negata.

Gattonando, Aleksandr si sdraiò accanto a me, appiccicato come una lucertola, al muro del letto. Dallo specchio alto davanti a noi, vidi il suo ciuffo biondo e il braccio tatuato appoggiato sul mio fianco. M'immaginai di essere nella mia – improbabile – luna di miele con un qualsiasi uomo. Infondo chi avrebbe amato una come me? Ero uno schifo, mi detestavo. Avevo perfino i capelli corti e il seno quasi invisibile, sia vestita che nuda, tant'è che mi scambiavano spesso per un maschio.

«Aleksandr,» mi rispose con un mugugno quasi infrasonoro, «se incontrassi una donna come me, proveresti a conquistarla?»

«Perché mi chiedi questo?»

«Non so se avrò speranze in amore».

Si mise dietro il mio collo e mi abbracciò dolcemente. «Non dire così, Tess. Sei speciale ed è per questo che ti voglio bene».

«Cosa avrei di così speciale?»

«Il senso dell'umorismo, fai battute che per te sono serie e invece sono l'opposto.»

«Vogliamo parlare del tuo?»

Cominciò a ridere, poi tornò serio. «Dico la verità, sei una ragazza speciale. Devi solo avere fiducia in te stessa e soprattutto sorridere».

Mi piaceva il modo in cui Aleksandr mi dava consigli, anche se a volte ero molto sfacciata. Non amavo essere al centro dell'attenzione, anche se a scuola lo ero. Non ero popolare, ma ero presa di mira dalle altre ragazze: le cagnette in calore del miliardario di turno. Le odiavo a morte e il solo pensiero di rivederle il giorno dopo mi faceva accapponare la pelle.

Il peggio era che Aleksandr non frequentava la mia stessa scuola. Ogni volta che mettevo piede in quella specie di collegio, mi sentivo abbandonata. «Meglio se dormiamo, o non ci sveglieremo.» Mi diede un bacio sulla guancia e spense la lampada accanto a noi, allungando il suo braccio.

Volevo restare tra le sue braccia, sentire il suo tiepido respiro sul mio collo. Era quello che da una parte mi rendeva felice: la sua presenza. Un caldo abbraccio che nessun altro avrebbe potuto offrirmi.





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