Oolong
Eloise si stiracchiò i muscoli indolenziti delle braccia, mentre si affacciava sul porticato della casa coloniale.
Il sole era sorto da poco su Manavinai e lei non era mai stata così mattiniera a Parigi, ma il clima di Ceylon le donava una incredibile energia. Lanciò uno sguardo alle donne tamil che già lavoravano duramente nella piantagione. Ogni giorno si sentiva incredibilmente fortunata a vivere nelle sue condizioni e ci teneva a ricordarselo sempre.
Si voltò facendo frusciare la sua lunga gonna sul pavimento di legno, con l'intenzione di rientrare in cucina e preparare il tè per la colazione. Ma un particolare attirò la sua attenzione. Una lettera ripiegata era appesa ad un traliccio del porticato. Si guardò attorno perplessa, però non vide nessuno. Forse non era suo interesse, ma non riusciva a non essere curiosa.
Si avvicinò piano al rotolo di carta leggermente ingiallita e con grazia la srotolò. Al suo interno c'erano solo poche parole, scritte con una elegante grafia in un inchiostro insolitamente nero.
Mia cara Lois,
ieri sera ho riflettuto a lungo.
Non riuscivo ad addormentarmi e mi sono affacciato alla finestra.
È da qualche giorno che sono giunto in questa terra straniera e non ti nascondo che provo nostalgia ogni tanto per le mie valli conosciute e amate, che potrei ripercorrere persino ad occhi chiusi.
Ho voluto viaggiarvi con la mente proprio la scorsa notte, mentre una brezza del tutto differente mi accarezzava il volto e la luna donava un riflesso argenteo a tutto il panorama che si presentava dinanzi a me.
Ma mi sono accorto che ormai queste colline leggermente impervie sono diventate familiari e in questo punto della mia vita non desidererei essere in un posto diverso da questo.
Ho capito che forse avresti potuto apprezzare anche tu ciò che vedevo io, ammirandone ogni dettaglio e persino ogni imperfezione.
Ti invito quindi a percorrere con me i sentieri tortuosi nella piantagione, scavati da anni e anni di calpestio tamil. Saranno i raggi solari a illuminare il nostro cammino e non la tenue luna, poiché desidero che ogni tuo passo sia guidato dalla più brillante delle luci.
Tuo,
A.
Eloise rilesse un paio di volte quella lettera particolare, con un piccolo sorriso sulle labbra. Si ritrovò ad invidiare leggermente quella Lois, che era la destinataria di un messaggio così particolare e dolce. Si chiese chi fosse la ragazza misteriosa, non era a conoscenza di nessuna donna con quel nome. Forse si trattava di qualche giovane tamil, ma Eloise dubitava che si sarebbe spinta fino alla casa coloniale dei padroni per scambiarsi lettere romantiche.
E poi, chi poteva essere il mittente? Si era firmato semplicemente con l'iniziale, il che rendeva ancora più difficile ed intrigante individuare di chi si trattasse. La ragazza riappese la lettera al porticato, ripetendosi di non doversi impicciare negli affari privati altrui. Nonostante morisse di curiosità. Un po' si sentiva anche in agitazione, perché c'era la possibilità che Lois non trovasse mai la lettera.
"L'hai letta?" chiese una voce dietro Eloise, facendola sobbalzare come se fosse stata colta in flagrante a rubare i gioielli della corona inglese.
La ragazza si voltò trovandosi di fronte Alex, appoggiato alla colonna di legno del porticato e con un sorrisetto leggermente impertinente dipinto sul volto.
"No, cioè, non era mia intenzione- rispose lei arrossendo visibilmente- credo sia una lettera privata quindi non è giusto che io mi immischi" "Ma era rivolta a te" commentò candidamente Alex, lasciandola perplessa.
"A me? -mormorò Eloise confusa, accarezzando la lettera- non capisco...io non mi chiamo Lois". Alex scosse la testa divertito, avanzando verso di lei. La ragazza indietreggiò fino a sbattere la schiena contro la ringhiera del porticato. Il ragazzo si avvicinò pericolosamente, sussurrandole piano a pochi centimetri dal volto "Lois è un abbreviativo che ho coniato per te. I nomi interi vengono usati solo dagli sconosciuti".
Eloise deglutì a fatica, sentendosi fortemente a disagio per la vicinanza con il ragazzo. Si sforzò di sorridere "Allora prometto di chiamarti sempre Alex" "Ti ringrazio" le sorrise lui. Poi con un mezzo inchino le indicò la piantagione "Mi concedi l'onore di accompagnarmi nel giro di perlustrazione mattutino?" "Con molto piacere" accettò lei, inchinandosi leggermente a sua volta.
Cominciarono a camminare in silenzio, in quell'imbarazzante situazione in cui sono talmente tante le parole che ognuno vorrebbe dire che si finisce per rimanere zitti. Fu Eloise a spezzare quel momento. "È il tuo primo lavoro in una piantagione?" chiese infatti cercando di avviare una conversazione. "Sì" rispose il ragazzo sorridendo leggermente, come perso in ricordi dai sapori lontani.
Alex rientrò nella grande casa vittoriana cercando di riscaldarsi all'interno del grande cappotto di lana. Non era l'ultimo modello come quello indossato dai suoi colleghi studenti, ma sicuramente era abbastanza caldo per sopravvivere alla tetra e umida nebbia londinese.
Si strofinò le mani cercando di ritrovare il calore perso nella passeggiata lungo il Tamigi. Come lezione avevano visitato l'orto botanico, ma lui si era annoiato tutto il tempo. Conosceva già a memoria ogni singola pianta presente ed era infastidito dalla mancanza dell'arbusto del tè, di cui suo padre era il massimo esperto. Ma sicuramente non sarebbe sopravvissuta nemmeno un secondo nel clima rigido dell'isola britannica.
Alex si era distratto per qualche attimo ripensando alla sua terra natia, la ridente e luminosa Thailandia, rimpiangendo il tepore dei raggi solari che ti scaldano la pelle quando lavori senza l'ombra di nessun albero. Solo per qualche istante la sua mente era divagata oltreoceano, ma il tempo sufficiente per essere ripreso immediatamente dal professore. Alex era arrossito violentemente, come gli capitava spesso quando era a disagio. Di conseguenza si era attirato le occhiate divertite dei suoi compagni di corso, di cui era il bersaglio preferito da quando era arrivato a Londra. Non gli perdonavano di avere un colore diverso di pelle, per loro era solo un lavoratore che si atteggiava da colto. Ma nessuno di loro poteva nemmeno lontanamente immaginare quanta conoscenza albergasse nel cervello di Alex.
Era vero, la sua provenienza purtroppo non lo aiutava. In mezzo a tutti quei ricchi rampolli bianchi spiccava subito, come se un faro fosse sempre puntato su di lui, anche di giorno. Per questo motivo era oggetto di scherno in continuazione, tra chi semplicemente lo ridicolizzava e chi invece cercava sempre di dargli fastidio, rovinando i suoi abiti o distruggendo i suoi appunti.
Ma Alex affrontava tutto con il sorriso, noncurante di come venisse considerato dai londinesi. Lui conosceva il suo valore.
Con questi pensieri ripose il suo cappotto nell'appendiabiti, poi si chinò ad accarezzare Horsey, il suo gatto preferito. Nella casa c'era uno strano silenzio irreale. Alex salì le scale, dirigendosi verso le camere. Rimase sorpreso nel vedere la madre e le tre sorelle che ripiegavano tristemente i vestiti in alcune valigie logore.
"Cosa sta succedendo?" chiese cominciando ad allarmarsi. Zoe si voltò verso di lui, mormorando "Dobbiamo partire al più presto". Alex riconobbe nel volto della sorella il segno delle lacrime. Qualcosa di grave era accaduto in sua assenza.
"Per quale motivo?" chiese ancora, attendendo finalmente una risposta chiarificatrice. Chloe aprì bocca come per rispondere, ma la madre la interruppe intimandole di continuare a preparare i bagagli. Alex era frustrato e sconvolto allo stesso tempo. Corse giù per le scale, dirigendosi nello studio del padre. Come immaginava, Nigel Albon era seduto alla sua scrivania intento a consultare alcuni documenti.
"Qualcuno mi può spiegare cosa è accaduto?" gridò Alex, sbattendo la porta dietro di sé. Il padre alzò lo sguardo dalle carte e fissò il figlio per qualche istante interminabile, poi si alzò lentamente dalla poltrona. "È accaduto un fatto grave. Come sai siamo ospiti di Sir Bentley, non potrei permettermi una casa a Londra per sette persone senza il suo aiuto. Purtroppo però tua madre è stata vista da alcune cameriere mentre rubava nella camera della signora Bentley. Non mi interessa se sia vero o meno, ho provato a scusarmi innumerevoli volte con lui, ma come puoi ben immaginare ci ha cacciati di casa. Partiamo questa sera".
Alex si passò una mano sul volto, incredulo. Poi provò a formulare "Ma è tuo amico! Come può lasciarci senza una casa? Dove andremo? Non abbiamo abbastanza denaro!". Nigel scosse la testa "Dobbiamo solo ringraziarlo se non ci ha denunciati alla polizia. Torneremo in Thailandia, riprenderò il mio lavoro come consulente nelle piantagioni. In questo periodo londinese ho conosciuto abbastanza nobili che vogliono lanciarsi nel business del tè e potrebbero diventare possibili clienti".
"E io? -ribatté Alex, con la voce incrinata dal pianto- il corso? Ho impiegato così tante energie per studiare e approfondire tutte le mie conoscenze! Non posso abbandonare tutto proprio ora!". Il padre si avvicinò a lui, prendendogli il volto tra le mani "Alex, ho bisogno che tu sia forte. Sei il mio figlio maggiore, Luca è ancora troppo piccolo e le tue sorelle non possono lavorare duramente. Invece tu mi puoi aiutare a guadagnare soldi per tutta la famiglia. Hai imparato già tutto quello che potevi qui a Londra. Ora è giunto il tempo di tornare nei campi thailandesi. Trascorrerai qualche tempo di affiancamento con me e poi potrai occuparti personalmente della tua prima piantagione. Sono certo che potrai avere successo, sei ambizioso".
Alex si asciugò le lacrime con il dorso della mano, lasciando spazio solo alla determinazione "Sono pronto, padre".
"E così alla fine sei giunto qui" commentò Eloise, colpita dalla sua avvincente storia. Alex sorrise "Ho accumulato parecchia esperienza affiancando mio padre. Ora spero di poter applicare al meglio tutte le conoscenze"
"Ne sono certissima...Ahi!" si lamentò Eloise improvvisamente, abbassandosi verso la sua caviglia. "Che succede?" si apprestò a chiedere Alex, in apprensione.
"Credo di aver messo male il piede mentre camminavo, il terreno è pieno di buche" piagnucolò lei, sedendosi a terra non proprio elegantemente e continuando a massaggiarsi la caviglia. "Lasciami controllare" disse Alex, assumendo il controllo della situazione. Si abbassò a sua volta, iniziando a tastare con attenzione la gamba e il piede di Eloise. "Confermo che le tue ossa sono ancora tutte al loro posto -affermò sorridendo- probabilmente hai preso solo una brutta storta" "Almeno il danno non è grave" borbottò lei cercando di alzarsi e stringendo i denti per l'improvvisa fitta di dolore.
Alex intervenne prontamente, sorreggendo la ragazza afferrandole un braccio. Lei lo ringraziò per il gesto tenero con un sorriso. Poi si sforzò di chiedere "Come sei sicuro che non si tratti di una ferita grave? Sei anche un medico? ". Lui scosse la testa, ridacchiando " No, niente di tutto ciò. Ma nelle piantagioni accadono frequentemente i più vari casi di incidente, quindi ormai ho una discreta conoscenza in materia. E per giunta, aggiungerei che tu hai delle caviglie troppo sottili per camminare in questi luoghi".
"Dici che dovevo rimanere a Parigi? " continuò Eloise, stringendo i denti e accennando qualche passo. "Assolutamente no, - replicò lui- al contrario hai bisogno di rafforzarle. E non c'è modo migliore di dedicarsi al lavoro".
Si avvicinarono ad alcune donne tamil che raccoglievano senza sosta i germogli e le foglie dagli arbusti di tè. "La raccolta è il fattore fondamentale -iniziò a spiegare Alex mentre estraeva una fasciatura bianca dalla tasca e iniziava a legarla attorno alla caviglia di Eloise- per conservare tutta la qualità del tè deve essere raccolto nel modo più fine possibile. Di conseguenza la selezione delle foglie è affidata alle donne tamil, che svolgono questo lavoro da sempre, grazie alle loro mani delicate".
"In questo modo?" chiese Eloise, strappando una foglia e facendo vibrare l'intero arbusto. "No, no! -si apprestò a bloccarla Alex- devi essere molto più gentile". Avvolse le sue dita su quelle della ragazza, guidandola nel movimento corretto. Eloise arrossì leggermente per il contatto con quel ragazzo particolare, così diverso da chiunque avesse mai incontrato prima. Le sue dita erano lunghe ed affusolate e sembravano svolgere quel lavoro in modo così automatico da suggerire che fossero nate facendo solo quello. Ovviamente di conseguenza la goffaggine di lei era ancora più evidente.
Eloise si voltò, notando una donna tamil accanto a lei che cercava di nascondere un sorriso. "Sono tanto ridicola, vero?" le chiese la ragazza. L'altra impallidì di colpo, non osando neppure alzare lo sguardo. "No, assolutamente. Non mi permetterei mai, signorina" mormorò piano. "Dai, lo puoi ammettere- continuò allegramente Eloise- sono un vero disastro! Mi potresti insegnare?". La donna sollevò finalmente la testa, puntando i suoi occhi scuri e profondi in quelli chiari della parigina. "Davvero?" chiese sorpresa. "Assolutamente" ribatté lei, avvicinandosi alla donna che titubante iniziò a spiegarle come poter selezionare al meglio le foglie perfette, incespicando in un inglese dall'accento tamil.
Eloise faticò molto all'inizio ma più il tempo passava più le sue mani imparavano il corretto movimento e il cesto della donna tamil si riempiva del lavoro di entrambe. Alex osservava qualche metro più in là, appoggiato ad un arbusto. Sorrideva radioso, come se fosse orgoglioso di Eloise, come se la stesse aiutando a riscoprire sé stessa e ciò che la circondava.
Come se la stesse davvero liberando dalla sua odiata gabbia dorata.
"Che diavolo sta succedendo qui?" tuonò la voce di Sebastian.
Eloise si voltò di scatto, vedendo il ragazzo scendere come una furia lungo il sentiero della piantagione. "Mi vuoi spiegare come mai tu sei qui a lavorare?" chiese ancora, rivolto alla ragazza. Lei scrollò le spalle, non sapendo che parole utilizzare per giustificarsi. "Volevo solo imparare meglio la tecnica" sussurrò infine. Sebastian scosse la testa, abbassando la voce e afferrandola per un braccio "È del tutto sconveniente che tu ti mostri accanto alle lavoratrici. Cosa pensi che mormoreranno i nostri vicini? Abbiamo una dignità da mantenere" "Non credo assolutamente di perdere il mio valore aiutando le altre persone- rispose Eloise alterando il tono e liberandosi dalla presa del tedesco- anzi, forse mi aiuta a comprenderle meglio e aumentare la mia umanità" "Rientra subito in casa, Eloise" le intimò Sebastian, con il cipiglio di chi non ammette repliche.
Poi si voltò verso Alex, che era rimasto immobile qualche metro più in là. "Sei tu il responsabile di questa scelta sconsiderata? -gli chiese indicandolo con il mento- sei tu che l'hai portata a raccogliere foglie di tè?" "Sì, credo sia fondamentale accrescere la propria conoscenza..." iniziò a rispondere il thailandese, ma Sebastian lo bloccò subito, agitando una mano "No, no. Non è così che funziona in questa piantagione. Ed è meglio per te se lo capisci il prima possibile".
Tese il braccio verso Eloise, come per invitarla a seguirlo verso la casa aggrappandosi a lui, ma la ragazza rifiutò il suo aiuto con un gesto scostante. Appoggiò lievemente la mano sulla spalla della donna tamil accanto a lei, sussurrando "Grazie per i preziosi insegnamenti. Li custodirò sempre nel cuore e spero di poterne fare buon uso in futuro". La donna le rivolse un timido sorriso, come se temesse che il padrone la vedesse rapportarsi in modo così aperto con la ragazza francese. "Sono certa che le foglie selezionate da Lei saranno le migliori dell'intero raccolto" mormorò infine in modo impercettibile. Eloise batté la mano sulla sua spalla come per ringraziarla ancora, poi sollevò il lembo della gonna per camminare in mezzo all'erba.
"Cos'è quella fasciatura?" esclamò inorridito Sebastian, indicando la caviglia della ragazza. "Non è niente- si affrettò a precisare lei- semplicemente sono inciampata e Alex è stato così gentile da soccorrermi subito" "Il tuo posto è nel salotto di casa, non in mezzo alla natura" la riprese ancora il tedesco. Eloise si allontanò da lui per tornare a testa alta verso l'abitazione coloniale. Sebastian si voltò un'ultima volta verso Alex, puntandogli un dito contro "Mi auguro che non succeda mai più una situazione simile. Sono stato chiaro?". Il ragazzo annuì, decisamente controvoglia ma piuttosto rassegnato dalla sua condizione di inferiorità.
Eloise si sentiva come un leone in gabbia. Continuava a vagare avanti e indietro lungo il soggiorno, senza trovare pace. Aveva già letto e riletto la stessa pagina del libro in cui si parlava di Oolong detto anche Wulong, un tipo di tè semiossidato prodotto in Cina e a Taiwan, ricavato dalle foglie della pianta Camelia sinensis. Ormai poteva recitare a memoria come quel tè si ponesse a metà tra il tè verde e il tè nero, poiché ossidato solo parzialmente. In base al grado di ossidazione raggiunto poteva avere note floreali, fruttate o tostate. A bassi livelli di ossidazione era caratterizzato da note floreali più vicine ai tè verdi, mentre ad alti livelli di ossidazione prevalevano toni più scuri e note fruttate simili ai tè neri. E in effetti "Wulong" significava letteralmente "drago scuro".
Si affacciò nuovamente alla finestra, per l'ennesima volta. Alex era ancora impegnato nel suo lavoro nella piantagione e non sembrava concedersi neppure una minima sosta. Eppure lei avvertiva la chiara necessità di parlargli, anche solo per ringraziarlo della bellissima giornata appena trascorsa.
Un pensiero nuovo le attraversò la mente. Incespicò verso il mobile, stando attenta a non forzare la caviglia. Poi estrasse carta, penna e calamaio. Scrisse velocemente alcune righe, lasciandosi guidare dal cuore. Quando fu soddisfatta, uscì di casa dirigendosi verso la dependance di Alex.
Controllò attentamente che non ci fosse nessuno in giro che la potesse notare, poi si avventurò all'interno. Appoggiò la lettera sul letto, resistendo alla tentazione di curiosare in giro.
Si assicurò un'ultima volta che la carta fosse esattamente nel posto in cui voleva lei e poi si apprestò a fuggire via.
Mio caro Alex,
la mia caviglia si è rivelata più forte del previsto. Grazie ad un po' di riposo ora ho ripreso a camminare come se nulla fosse accaduto.
Ma questo piccolo infortunio mi ha donato un nuovo punto di vista. Nella vita aspiro ad ottenere il temperamento stoico delle donne tamil, che nonostante difficoltà e avversità rimangono sempre chine sugli arbusti di tè, piegate dal lavoro.
Grazie per la giornata trascorsa insieme. Stanotte brinderò con la luna affinché mi regali altri mille giorni così.
Tua,
Lois
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