Capitolo 20: La paura di guardarsi negli occhi [R]
Aeron
Caro Aeron,
Non dimenticherò la prima volta in cui ci siamo parlati, in cui ho pensato che saresti stato l'ultima persona con cui mi sarei messa. Non dimenticherò la prima volta in cui mi hai fatto cambiare idea, la prima volta in cui ti ho guardato e ho deciso che potevi restare nei miei giorni, tra i miei casini, tra le mie speranze. Non dimenticherò le notti passate a sognarti. Non dimenticherò niente, ma non può andare avanti. Ho bisogno di trovare me stessa e tu mi sei solo d'intralcio. Ma non dimenticherò quanto ti ho amato. È stato meraviglioso, ma devo andare avanti senza di te.
Francesca
Sarà la quinta volta che la leggo. Le sono d'intralcio. Pensavo di esserle aiuto e invece mi dice che le sono sempre stato d'intralcio. Qualcosa mi riga il viso: sono lacrime. Io non ho mai pianto in vita mia. Qualcuno entra nella mia stanza. È Erika.
Mi decido a parlare <<È uno strano dolore>>. È come se mi avessero strappato il cuore dal petto.
Lei sale sul mio letto e mi abbraccia la vita. Il suo respiro è lento e quasi uguale al mio. Ma non è Francesca. Le tocco la guancia, mi bacia e tutto accade troppo in fretta. Mi sale sopra e mi riempie il collo di baci. Le metto le mani dietro la schiena. Mi sbottona i jeans e si sistema bene.
In questo momento dimentico tutto di lei e dei muri di ghiaccio intorno al mio cuore. Lei non esiste più per me. Non posso fidarmi di nessuno, le persone feriscono e io non sono più abbastanza forte da ricucirmi il cuore un'altra volta.
Penso un'ultima volta a Francesca, dedicandole questa frase: Io ci ho messo il cuore, tu lo hai frantumato. Ora goditi il mio silenzio.
Francesca
Non potevo parlarne. Non potevo parlarne con nessuno. Avrebbero giudicato. E nessuno avrebbe capito. Così continuai a tremare. Da sola.
Sono in campagna con Nonna Elena e Concetta.
<<Sei triste?>>, mi chiede Nonna Elena.
<<No, solo un po' giù di morale>>, rispondo alzando le spalle.
Lei annuisce e se ne va.
<<Tutto bene?>>, chiede Concetta.
<<No>>. Devo dirlo a qualcuno e lei è l'unica persona di cui mi fidi in questo momento: le racconto tutta la verità.
<<Ho assistito di nascosto a una discussione tra Aeron e la sua futura moglie. Gli è stato imposto, ma pare che a lui piaccia, perciò l'ho lasciato con una lettera. Non sto bene, ma l'ho fatto per evitare che mi si spezzasse il cuore>>, dico rapidamente.
<<A me sembra che tu ce l'abbia il cuore spezzato>>, commenta prima di andare via.
Ha ragione.
Domani inizia la scuola: lo rivedrò. Non sono pronta. Non lo vedo da due giorni (?) e ho già perso la testa.
Sono le 21:00.
Torniamo a casa.
Mi addormento.
Mi sveglio. La luce settembrina illumina la mia stanza e mi costringe a uscire dal letto. Tutto è diventato così pesante. Indosso la divisa che mi ha dato ieri Salvatore: una camicia bianca, una giacca blu, una gonna a quadri blu e gialla, un foulard a righe blu e giallo e delle calze bianche con delle righe gialle.
Esco da casa e mi dirigo verso la Le Blanc. Un flusso giallo e blu cammina all'unisono per entrare dentro al grande portone.
Ci guidano dentro l'aula magna e sul palco, dopo vari minuti, si presenta il presidente Le Blanc.
<<Benvenuti, ragazzi e ragazze. Questo discorso sarà breve. Molti di voi arrivano dall'altra parte del mondo. Questa scuola si basa su tre grandi regole: rispetto, arte e cultura. Ben presto capirete cosa significano. Vi chiedo gentilmente di recarvi presso la nostra segreteria didattica non appena uscite da qui. Lì sceglierete il vostro futuro. Lì sceglierete chi essere. Grazie>>.
Il discorso è seguito da un grande e lungo applauso.
In segreteria mi viene dato un modulo con i corsi che potrei decidere di frequentare quest'anno. Opto perletteratura: basi generali, letteratura italiana, letteratura inglese, letteratura francese, storia della letteratura, scrittura, analisi dei testi, lingua inglese e lingua russa. Mi voglio tenere più impegnata possibile per non vederlo.
Consegno il modulo e mi dirigo verso l'uscita.
Non l'ho ancora visto. Sto per tirare un sospiro di sollievo, quando all'improvviso lo vedo. Cammina al centro tra Teresa e... Erika. Abbasso immediatamente lo sguardo e continuo a camminare.
<<Francesca!>>, squittisce Teresa da lontano, alzando una mano in aria, ma Aeron le prende la mano e senza degnarmi di uno sguardo la trascina via.
Sì, è proprio incazzato!
Francesca, respira e recita. Non devi far trasparire nulla. Testa alta, petto in fuori e respira.
Più i giorni passano, più lentamente mi smarrisco: lo vedo a ogni lezione, in ogni luogo e in ogni citazione. Lui non mi guarda. Mi evita. Ogni mattina mi ripeto delle frasi, tra cui la mia preferita di Coelho: "Non importa come ti senti oggi, àlzati, vèstiti e móstrati."
Nonostante io abbia conosciuto tante persone buone, loro non sono lui.
<<A cosa pensi?>>, chiede Giada.
<<Niente>>, dico mentre gioco con i cavolfiori.
Ho conosciuto Giada e Carlotta al corso di russo. Hanno diciannove anni, vivevano a Milano e studiano Lingue. Giada è una ragazza abbastanza alta, ha i capelli biondo ramato e gli occhi verdi. Carlotta, invece, è bassa con i capelli biondi e gli occhi marroni.
Continuo a giocare con i cavolfiori della mensa, mentre lei e Jared – conosciuto a letteratura francese – parlano dell'imminente ballo. Il ballo d'autunno.
Aeron è in fondo alla mensa, con Erika avvinghiata a lui. Abbasso lo sguardo.
Te l'ho lasciato credere. Ti ho lasciato credere di averti dimenticato per non farti più voltare, per andare avanti anche io come te. Ma la verita è un'altra, io sono ancora qui, ad aspettare un qualcosa di improbabile, credo addirittura impossibile. Ho conosciuto persone nuove, frequentato persone nuove, ma tu eri sempre lì. Rimanevi lì e io ogni volta ci provavo, provavo a scacciarti dalla mia mente, dal mio cuore. Ma niente. Vincevi sempre tu, perché tu sei altro, tu sei troppo, tu sei tu e tu vinci sempre per me, contro chiunque.
Aeron
Sono così stanco di fingere. Fingere che tutto vada bene, di stare bene, di voler Erika nella mia vita, di stare qui. Entro nella sala mensa e la vedo. Sta giocando con dei cavolfiori, ma non mangia. Ogni volta che la osservo in sala mensa non mangia. È pallida e molto dimagrita.
Ti ha lasciato lei!, mi ricorda la voce interiore.
Smetto immediatamente di guardarla. Mi ha lasciato. Voleva trovare se stessa? Bene.
Erika mi trascina in un tavolo in fondo alla mensa.
Da qui non la vedo bene! Dannazione! Smettila di pensare a lei!
Sono passati esattamente cinquantatré giorni, due ore, ventisette minuti e tre secondi da quando ho letto quella lettera. Quella dannata lettera.
Potrei andare lì e chiederle perché lo ha fatto? Ho sbagliato qualcosa? Forse ho aspettato troppo? Dovevo dirle che l'amavo? Non lo dimostravo forse? Nemmeno lei me lo ha mai detto a voce. Ma l'ha scritto.
Dannazione! Perché quando si tratta di lei non ci capisco più nulla?!
Eravamo tutto, e adesso siamo niente.
Un tempo ti chiamavo quando le cose giravano al contrario, passavamo insieme intere giornate.
Mi viene in mente com'era non avere niente da perdere, perché io e te eravamo tutto.
Ed è successo di tutto, ed è successa qualsiasi cosa, e non mi manchi da un pezzo, ma è successo. A lungo mi è mancato il modo in cui mi prendevi per un braccio e mi dicevi "Se non vai tu, allora non ci vado, non ci tengo" e io allora rispondevo "ci vengo".
Eravamo tutto, ed è strano come tutto si possa perdere in un solo momento, in un solo istante, è strano come un essere umano faccia presto a scordarsi notti folli, tramonti, giochi di sguardi, occhi negli occhi. È strano che eravamo tutto, mentre adesso siamo niente, intendo proprio niente di niente, nel senso che non mi guardi nemmeno più e se ti incontro abbassi gli occhi.
Con una sola lettera, con solo cinquantacinque parole, hai distrutto il mio cuore.
Continuo a cercarla con lo sguardo, ma lei non c'è più.
Teresa
Sono seduta al tavolo della mensa con Antonio e osservo il pensieroso Ron Ron che fissa il vuoto, mentre Erika gli sta attaccata come una cozza.
Cerco Francesca ed eccola lì, a giocare con il cibo come sempre. Non mangia quasi più. Sono seriamente preoccupata per entrambi. Aeron mi ha detto che si sono lasciati pacificamente perché entrambi avevano altro a cui pensare: lei a se stessa e lui al suo matrimonio. Adesso Ron Ron va a letto con Erika e so per certo che lui, se fosse sanamente lucido, non lo farebbe mai. Lui aspetta il quinto appuntamento per dare un bacio, non andrebbe a letto con qualcuno dopo un giorno.
Guarda quei due, che stupidi. Si amano. È scritto a caratteri cubitali nei loro occhi. Loro lo sanno, ma non fanno nulla per tenersi. Sono lì, chiusi in quello stupido orgoglio, e a stento si guardano. Ma sai perché non si guardano? Perché hanno paura. Hanno paura di guardarsi negli occhi e crollare nelle proprie certezze. Si evitano ma vorrebbero baciarsi. Ma non sanno che è tutto inutile, perché sono legati da un filo invisibile e, per quanto possano fuggire, si ritroveranno sempre.
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