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Capitolo 13: Il salvataggio [R]

Francesca

Mi blocco sul posto. I polmoni smettono di prendere aria.

Lui è A.?

Non ha mai dimostrato di essere così profondo.

<<Sei A.?>>

<< Sono il tuo A.>>, sorride.

<<Ma perché A.?>>

<<Alessandro, il mio nome>>.

Ah.

Perché mi sento così? Perché sono delusa? Non dovrei essere felice?

Sorrido. Fingo.

Il cattivo umore si impadronisce di me. Dovrei essere al settimo cielo, ma il mio A. ha dimostrato di tenerci a me e non mi capacito che lui e A. siano la stessa persona.

Non ci voglio credere.

Siamo ancora con le mani l'una nell'altra. Dovrebbe essere una forma di connessione, ma perché mi sento così distante? È perché sono delusa?

Chi avrei desiderato al suo posto?

Dovrei accontentarmi?

'Francesca, hai passato tutta la vita ad accontentarti. Smettila di farlo e cerca la vera felicità. Forse dovresti imparare prima a pensare a te stessa, hai messo sempre al primo posto gli altri. È ora di pensare a te', mi ricorda la mia voce interiore.

Mi trascina dentro a un edificio abbandonato, mi mette una mano dietro al collo e mi bacia. È una cosa molto viscida: mi riempie di saliva e continua a far sbattere i suoi denti contro miei.

Il mio pensiero va a James. No, questa volta è peggio.

Gli metto una mano sul petto e lo spingo via. Lui mi afferra la mano e me la mette dietro la schiena in modo brusco. Il suo atteggiamento diventa più irruento: mi butta su una balla di fieno e mi salta addosso. Le sue mani vagano sul mio corpo: non sono carezze, è puro fastidio e dolore.

Lo imploro di smetterla e di lasciarmi andare via. Ho la faccia completamente bagnata dalle lacrime.

<<Aiuto>>, grido invano un paio di volte.

So che nessuno verrà, sono sola con lui.

<<Aiuto>>, singhiozzo.

Le sue mani sono sotto la maglietta e vagano sul mio reggiseno. Mi gira la testa. Vorrei gridare, ma la voce non vuole uscire.

Qualcuno mi aiuti. Vi prego.

Tutto diventa nero e indefinito.

Aeron

Qualche ora prima...

Sono le 16:00.

Entro in biblioteca e, come avevo previsto, è piena di gente: nessuno mi noterà.

Francesca e io abbiamo aperto questa forma di conversazione mesi fa e non abbiamo più smesso. Questo è l'unico modo per mostrarle chi sono io in realtà. Vado al secondo piano e, senza farmi notare, prendo il quaderno sul tavolo. Mi infilo tra due scaffali e lo apro.

Francesca: Passai accanto a duecento persone e non riuscii a vedere un solo essere umano.

Prendo la mia stilografica e le rispondo: 'Tutta la mia normalità se ne è andata dal momento in cui ti ho visto. A.'

Sorrido. È vero, non sono più lo stesso da quando lei è arrivata in questa cittadina. Ho sempre odiato questo paese fin da quando ero bambino. Ci siamo trasferiti dall'America quando mia madre è morta. Avevo tre anni. Nel corso della mia vita ho appreso l'arte antica e moderna, la diverse culture e i modi di fare degli anni passati: il mio stile è un misto tra gli anni Venti e gli anni Sessanta.

Da quando lei è arrivata, mi comporto sempre in modo strano: la seguo, le dedico frasi, mi invento poesie per lei. Non è mai stato così con nessuno. Ho sempre evitato le ragazze come se avessero l'ebola e quando mi parlavano rispondevo in modo sgarbato. Perché con lei deve essere diverso? Non che a lei risponda in modo garbato, ma perché mi attrae così tanto? La osservo, da dietro lo scaffale, parlare con alcuni ragazzi delle medie: ha i capelli legati in uno chignon e gli occhiali che indossa le incorniciano perfettamente il viso.

Li aveva anche prima? No, è la prima volta che li porta.

Il ragazzino che le sta chiedendo aiuto le chiede: <<Questi occhiali sono nuovi, Francesca?>>

<< Sì, ho finito le lenti e ho ricominciato a mettere gli occhiali>>, dice mentre se li sistema.

Come sospettavo, non li aveva mai messi. Sorrido.

Sono le 18:30. Poso il quaderno sul nostro tavolo, mi dirigo verso la porta e mi accorgo che Alessandro mi sta fissando. Ricambio lo sguardo e me ne vado.

E se mi avesse visto? Dannazione.

Ho dato appuntamento a Teresa al bar in piazza alle 19:00. Come sospettavo, Teresa era già là, con dieci minuti di anticipo.

<<Hola chico>>, dice tutta sorridente <<Entriamo?>>

Dopo esserci accomodati, lei ordina una cioccolata e io un caffè, dopodiché inizio a parlarle del motivo per cui siamo qui adesso: il suo fidanzato Antonio.

Lei e Antonio stanno insieme da dodici anni ed è il motivo per cui io mi trovo qui adesso in un bar di questa topaia di città.

<<Fantastico>>, borbotto mentre Teresa parla. Il gruppo di amici di Concetta, che frequenta anche Francesca, entra e si siede nel tavolo accanto al nostro.

<<Conci, dove sono Francesca e Alessandro?>>, chiede uno di loro urlando.

<<Alessandro l'ha portata a un appuntamento nella parte vecchia della città>>, risponde lei tranquilla.

No!

Mi volto di scatto verso di loro! <<A che ora sono usciti?>>

Lei sussulta. <<Circa un quarto d'ora fa>>.

Mi alzo repentinamente e corro verso la porta. Mentre Teresa mi rincorre urlando, mi fermo un attimo per riprendere fiato perché sento i polmoni andare in fiamme. Poso le mani sulle ginocchia in attesa che il mio organismo riprenda il controllo di sé.

Quando Teresa mi raggiunge urla: <<Ma sei impazzito?>>

<<Lei.. è con... Alessandro>>, dico con affanno.

<<Lei chi? Non capisco>>. Dopo alcuni secondi continua: <<Francesca è con Alessandro>> dice con il fiato corto.

<<Non posso! Non di nuovo!>>, urlo.

Lei sbianca.

Riprendo a correre e urlo: <<Rimani qui e chiama mio padre>>.

Non deve riaccadere!

Mentre corro con tutte le mie forze, ritorno con la mente a quel giorno: c'era sangue dappertutto, Teresa era distesa per terra in una pozza di sangue, il viso intriso di lacrime. Lui aveva osato toccarla. Aveva osato profanarla. Accadde tutto quando eravamo alle medie: Alessandro e Teresa stavano insieme. Era il compleanno di lei e tutti stavano ballando, quando sentimmo delle urla provenire dal piano di sopra. Non dimenticherò mai quella scena, anche se Teresa dice di essere andata avanti e di avere perdonato Alessandro. L'ho odiato all'asilo quando mi lanciava i pastelli, alle elementari quando si vantava di avere più figurine di me e mi prendeva in giro perché non sapevo parlare bene l'italiano e dopo la sua orrenda azione delle medie detesto averlo anche minimamente intorno.

<<Aiuto!>>. Un urlo richiama la mia attenzione al mondo normale.

Francesca!

La cerco ovunque, ma nulla. Arrivo all'ultima casa abbandonata, apro la porta e lo vedo: lui sopra di lei, quasi priva di sensi.

Lo prendo per il colletto e lo butto contro il muro. Lui spalanca gli occhi e prima che possa reagire in qualche modo lo colpisco con tutta la forza rimasta. Perdo il conto dei pugni che gli sferro e ormai la sua faccia è piena di sangue. Rimane per terra. Mi volto verso Francesca, ancora immobile per terra, mi avvicino, la prendo in braccio e la porto a casa sua, lasciando lì quell'animale.

Arrivati a casa sua, la svesto, prendo il pigiama da sotto il cuscino e glielo metto. Questa volta sono arrivato in tempo. Sospiro tra me e me.

Mentre la osservo dormire, mando un messaggio a Teresa e a mio padre per avvertirli che stiamo bene.

Le accarezzo il viso e le sussurro parole confortanti.

<<Anche se faccio il possibile, non riesco a stare lontano da te: solo con te mi sento vivo>>. Le do un bacio sull'orecchio, la osservo più da vicino e mi abbandono all'istinto: la bacio sulla bocca.

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