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LE NOTTI ISTRIONICHE (ALLUSIONE, ALLUVIONE, ILLUSIONE) | @Niar303

di Niar303



Margaretha: "Sarà al pascolo?"


Edonia: "Fors'anche che strillan i trilli agresti?"


Margaretha: "Dove c'han violato?"


Edonia: "Pur sia, e se fosse, forse, me ne compiacerei? Sì"


Margaretha: "Oh mio io inattuale, risa e ingegni e facezie francesi, non ricordo di ricordare, se per ricordo ritorno, aspetterai che mi dimentichi (di me, di te, di loro)?"


Margaretha: "No, non può non darsi"


(Colto il fiore al volo, si rialza, dole, cade)


Margaretha: "Sto bene"


Edonia: "Ti scuso, non ha compreso"


Margaretha: "Ieri venni e incontrai l'uomo selvaggio"


((*Esce di scena l'uomo selvaggio*) *lo seguita*)


Edonia: "Codesta è mia propria dimora, finora perlomeno, mirate"



Marik: "V'è una pozzanghera pestata dall'arcuata fronte d'un'evirata civettuola dal capo occupato a curarsi di tutt'altro malanno. Rassomiglia a quella di tutti, ma non accoglie nessuno. Ed empie si satollan dello spettro di Melancholia, come riese elisa d'ogni speranza di passar la gogna, sott'all'albero impedita da un coriaceo grume di parole al suo spiro spezzato da un filo raffinato dal fato e annodato al risolversi d'un trama intrecciata appena"



Acuito quel senso borghese di appartenenza a un ambiente urbano bagnato da le piogge dell'iperproduttività, controproducente, e della civil fiera, a dimostranza che nel sangue è il mondo e che il mondo è di sangue, m'interrogai, con onesta arroganza pari per parvenza al morto che riflette sulla vita, cosa potesse essere la verità, sicché l'epistrofe del dubbio riese rappreso sulle mie laconiche lagrime accese (rapprese e rapprese). Dormi, mi diss'io, sì pur con vile volontà dell'attoruncola nelle notti istrioniche, sopita nella sua impropria dissimile imitazione di quel che si suppone essere realtà. Cos'è adunque la verità? Ed è cercando di farne imposta risposta che mi domandai chi fossi io, come se lo sapessi (e lo so, lo so, lo so ti dico).


Oh l'urna amena, imenica si dimena sotto alle leggerezze coreografiche dello stagno violentato da qualche riflesso genuflesso a pregare la Luna di rischiararsi la voce e gridare sussurrando senza voce "Sono tua", e poi danzare ebbra di disprezzo. Mi rifiuto, ovver'itero l'ovvio per sensoriali indifferenze.


E diffido di te, Claire, sotto ai cocenti lucori del tuo misterico petto, non vedi, non sento, che per dire il detto non penso si possa, almeno...


E vomi-ti-amo, rigurgiti piangendo, stanca che al vento s'arroghino il diritto di, di lanciar il sasso e ingoiarlo, voraci di significanti insignificanti, sovrascrivendoli significati. E dicon io e tu, noi, come fossimo, ma non siamo altro che quello che non siamo. Dov'era il dove, nell'etere d'atone ere amorfe, come un Adone il tempo a farti corona, regina del mio umore. Nevvero, che non ci fossi, nevvero? Con cotanta digressiva malinconia, ubriaca di stupore, intenerita dal tenore dei tepori, nelle notti istrioniche, attori d'attori, mai colti nell'atto, eppur sempre all'azione.



Yoko: "La pavimentazione, le mura, i soffitti, l'altri arredi strutturati, l'altre strutture d'arredo, la mia resa, la ressa della sera, (che sia notte?), il pedale del piano scordato (spero nella mia demenza di dimenticarlo), il brusio della bruma abrasa sulle mie spalle strette in vasca; strette pedantemente, con la persistenza dei tuoi "ti prego non lo fare", dei loro "perché", del mio "invece", e tutti i panni del giorno prima (che fosse notte?) macchiati di vaghezze caudali e caucasiche, sbattute con un principio tanto violento quanto in pace, sulle tue dolci labbra come un semitono a chiusa di quella intima composizione"



Frill: "Balaustra ballerina, ti imbevvi la scarpetta? Scapestrata, non s'esce con ragazze altre, orrore, tu, come sai mai hai fai potuto?! ti trovi un uomo e ti faccia passare certe idee, che ti prenda la morte più che simil malattie, ch'a soffrire fa troppo male, e a noi forse non ci pensi?"



Fiutata la tua riluttanza scarlatta, già solo a pronunciarle quelle parole, parlanti e non parlate, che intonasti tutte le sere (che sian le notti?), quante probabilità proverebbero l'enunciato soppresso da un sentimento conteso, oh contessa dei decorsi, sontuoso sdegno insignito di nobiliare decadenza (Edonia! Edonia!). Non richiamar l'orpello a riprova del tuo ingegno, son ere che t'osserva la tua signora mia.



Frill: "Com'un'asina che vola, volli, senza mai potere. Ti si strinse in mano, neppure fosse un cuore, palpitante della tua indifferenza. Te lo dissi che l'amore non è per le amate, ma per le amanti, e si sa chi fra le due poi lascian sola"



Kotobuki (Kotobuki: "Son io!") che per Hanabi piansi cieca e stanca, le hai ancora le lagrime sul volto?


Kotobuki: "A fiordi"



E così avvenne, mentre ti cercavo fiduciosa nelle tue trasparenze intransigenti. Convenni che avrebbe richiesto tempi che non avrei potuto mai di fatto enunciare, e rinunciai per sempre a farlo. Nelle tante e lunghe notti mi parvi desta, sai, come le risa che si levarono appena dopo il tramonto, al prospettarsi del mio fermo orizzonte di confessioni; al tuo silenzio corrispondeva il mio, com'era giusto che fosse, così fu detto tutto. Così come un'amata ha bisogno della sua amante, così tu di me, e me d'io, l'io di te (qual idiote dimensioni dell'essere). Hanabi, il tuo nome m'esplode in bocca, vermiglia di veemenza, che n'assottiglia l'aspirata iniziale nell'armonia della Phoné. Mi dissi di porgerti l'altra guancia, senza poi tu stessa farlo mai...


Qualche giorno, ieri o domani che differenza [(fa) innanzi ora]; non ho tempo per essere, tal che non sono, non lo so, no. Tu lo sai? L'ambiguità del tuo pallore m'incenerisce di assenza, una gnosi di irrilevanti rivelazioni, fedi ignote dal crepitare della cristificazione incrostata proprio dentro ai nostri crateri emotivi (molti moti emotivi, del resto, non c'è altro)


Annegate nello stesso sangue (il mondo) dove si assolse la passione, particolari parteggiati nel dipartire della mattutina pressione, ma non giungerà.



Yoko: "No che non lo farò"



E Margaretha ed Edonia meritocratiche meridiane dello scindersi del SENSO, dove affoghi le labbia abbaiate dai miei sguardi da lor guardati, d'allor straripanti di represse intuizione e negazioni inaccettate.



Destiny: "Cara sei a casa?"


Frill: "Non sono più mia"


Destiny: "e altre scuse per conferire almeno una minima grazia a decorsi di discorsi simposiaci"



Margaretha: "Sono a casa!"


Edonia: ""Chi ti ha fatto entrare! Lesbiche in casa non le vogliamo" Mi disse tuo padre"


Margaretha: "E a non pensarci non aveva alcun torto"


Edonia: "Non essere dura con me stessa, tu, io, ci siamo capite!"


Margaretha: ""Giammai, ti devi maritare con Giammarco e con lui ti mariterai" Mi disse tua madre"


Edonia: "Voleva che finissimo come lei con papà"


Margaretha: "Direi che v'è riuscita"


Edonia: "Ho le farfalle nello stomaco, mi sono innamorata dell'ultima via"


Margaretha: "Più che farfalle falene, la strada è vecchia e vestita di invereconda libidine libertina"



Yoko: "Lo voglio fare, lo devo fare"



Luff: ""E dovrei persino rifiutarti, mi rifiuto. Tanto indegni da non meritare nemmeno di ricevere rigetto, repulsione, refuso di una stanca notte passata a precludersi il vezzo di macchiarmi di mancanza di autostima a lo specchio, son bella" Mi dico di stento, sofferta la piaga d'un fascino fasciato per le gambe con delle calze a rete, a restituire imago d'intervalli internati con la stoltezza d'una putrida e perimetrale approvazione sociale"



Marik: "De la sua vanitas un geloso elogio elegiaco, l'allegrezza! Una timida allusione nel mutevole volto avvalorato dall'amorevole disgusto della corruzione, deflorata, consumata, e così via..."



Nelle notti istrioniche, istruita dall'istinto ((supplichevole di cedere il supplizio, il silenzio della tua nitidezza, estatica marea, l'intuito per principio di negazione. Non volermene se non oso affermarmi, oh Luna dai marmorei mormorii, mia Hanabi. La magrezza del tuo pallore, in questo de-realismo magico, sintetizzi il canto dei gufi, la guillottine delle mantidi, madide d'angusti tardi manti romantici. L'immotivato motivetto delle "notti blu in Akasaka", l'harakiri del vento che lambisce l'Agnello (il parto del civil lupo) nella pleonastica necrosi plastica delle nuvole avviluppatesi avvilenti. Che stia per piovere?


A riedere l'ispessirsi delle volte non potei che pensare al SENSO, come ve ne fosse uno, o molti, troppi; che tu sia attenta come i serpenti, semplice come le colombe, col ventre rivolto al mio quando e se sorgerà ma il sole, ma sempre con il capo ai cieli, leggiadra di beatitudine. L'ha ucciso! Gridan che l'ha ucciso, chi sia costui, che poi sia io? (Il sole s'intende) Io uccisa e uccisore)


Non oserei mai rassomigliarmi a me medesima, come tu a un rame risonante, l'ariento della chioma, il concitarsi dell'acquatico chetarsi della contraddizione. E aspersi ogni apparenza di tensione (sicché immanifesta di apprezzamento, come il Battista chinai l'occhi in attesa del sollevarsi della mattutina scure), atavica e giovine, esterna all'esterno.



Yoko: (ridendo) "Lo faccio" (piangendo) "Non riesco"



Il mancamento dell'essersi persi nell'oggettivazione di un silente assoluto (che per solvente ha lo stilema della "negligenza" popolare)



Destiny: "Pensi ch'io possa, e quand'anche potessi, voglia aiutare? Vergini son le suore e si sa che son tutte malate"


Frill: "Non è compito mio dire del detto, né tuo, né nostro"


Destiny: "Nevvero? Tant'è che la civettuola faceva la corte al compagno dei lumi (non è posto per l'uomini) e il nostro caro caso, per circostanze incircoscrivibili, descrisse attorno al tradimento un altro più grave"


Frill: "Io son follia, mai che la folla mi conobbe"


Destiny: "Ed io la sorte, che per causa incausata"


Frill: "si scopri e sconti cauzione"



Il pathos che non mi lascia in potere di voltarmi alle notti addietro, nel dubbio della metamorfosi in una statua di sale (dolce è la tua compagnia, la campagna boschiva dove stanziano le nostre compagne), alludendo ad altri divin fatti, è tempo che lo stesso ci si riversi addosso, nel brindisi dell'ipocrita che fa del suo ipotetico legge buona e giusta.



Luff: "Grazie ma davvero sto bene così"



Ma cosa è bene, cosa mi rispondo assolta dal peccato d'un corpo ripugnante, propugnato con tal disgusto da far del SENSO solo un lontano ricordo. Sono persa, o mia Hanabi, assieme ai momenti trascorsi assieme ai momenti mai trascorsi assieme. Senti che piove!



Margaretha: "Piove"


Edonia: "Cara torna in casa, ti beccherà un malanno"


Margaretha: "mi disse mia madre"


Edonia: "a pensare a quel che era successo"


Margaretha: "giusto un eterno monumentale momento prima"


Edonia: "Lagrime, sudore, sperma e pudore"


Margaretha: "tutto quel di cui avevo bisogno"



Gevurah: "Ma se la cosa è vera, se la giovane non è stata ritrovata in uno stato di verginità, allora la faranno uscire all'ingresso della casa del padre e la gente della sua città la lapiderà, così che muoia. Portale, negro flagello della fame, apri il petto, in nome tuo, ti scongiuro, strappa il costato all'Agnello, fa sì che perisca l'impudico deflorarsi di erbacce inseminate dal peccato "d'amore". Che il corvo discenda sulle carni ammorbate dal morbido bacio spregiudicato del libertin ideale, dissimula il malvagio malleolo del fiume, rendi grazie a chi grazia ha preservato, punisca chi ha peccato; mai più vi sia un orrore tale, tanto il timore di render amore solo un tremore ventrale. L'amore spetta al Padre, a dispetto di quanto per sentimento detto dal "cuore" (che il Nero Gabbiano quivi tragga nutrimento), al che a la sua sola parola si possa intendere legittimo l'atto, sia pur senza il consenso dell'attuatore. Che legge sia!"



Yoko: "Che sia finalmente riuscita a farlo?"



E piovve come non mai. Ho sentito i tuoi sussulti nella notte, può a malapena camminare. Nel ramificarsi delle sillabazioni imploranti (il cadenzato decadere dell'individuazione, il sogno o l'incubo che in collettivo cagion di caricatura-cavità l'unica ha beffarda stanziato l'eclissi del dinamismo apogetico, seggio di labbra, allocuzione deprivativa del lor depravato liturgismo regio), corri o Hanabi; ne le notti istrioniche, l'imitante limitazione che han voluto oprare, recati laddove non si reciti per nome la Bestia prona a sopraggiungere, fra errato qualche mondo, al suo arrivo, s'aprirà sorpreso, le dame, addolorate, dal suo, odore, orrorifico, dormirà ogni speme; s'adorerà un falso Signore. Scappa ti dico! Appena prima del giorno, ti raggiungerò. E il seme d'una semantica algida, strariperà insignifica, spenta di soprassalto nelle gole agonizzanti delle dame tormentate dal fallo d'un'idolatria minore.


E piove, Melancholie ci osserva. "Son bella" si dice quella, "ormai lo sto facendo" quell'altra, ma nessuna preoccupazione necessiterà di riprovarsi, giacché il falso Signore danzerà sereno sul volto oltraggiato di Selene. Non lo lascerò accadere...



Luff: "Son bella"



Marik: "Non si può negare l'annegamento, questo Yoko l'aveva compreso, così Kotobuki, così serena. La marcia marcescente delle foglie fiorenti, il falso Signore è in frutto finalmente. Junko aveva le mani congiunte, le labbra conserte, l'espressione nascosta sotto allo sferzare dei venti (Junko: "Hanno fatto quel che dovean fare; non sono altro che oggetti") e le consorti si concedevano l'ultima stretta di mano, ammantando all'odio per il creatore, l'amor per il creato"



Hanabi, tu coltre cortese da farmi cortesia; la tua vicinanza arbitria le mie vitree vanaglorie.



Yoko: "Ormai lo sto facendo"



L'eternità si apre, lo strepito sterile rutila ancora (e ancora, e ancora, e ancora...)


Gevurah: "L'opra mortale, monta sul dorso dell'agnello sacrificale uno zitto infastidito; s'apra il Portale! Sicché come può giustificarsi l'uomo innanzi a Dio, apparire puro il nato di donna? Sia beata la sterile non contaminata, la quale non ha conosciuto un letto peccaminoso, dannato invece quel campo che s'è fatto fautor di semina: muoiano tutte chi adulte e giovani altro e non l'uomo assegnato abbiano accostato. Soffocate siano nella colpa della loro ignominia, e così la discendenza di un'unione illegittima sterminata. Sicché ripeto, sia la sua discendenza votata allo sterminio, nella generazione che segue il suo nome sia cancellato.


Non è terra di donne, quel che Lui ha fornito, e quelle c'han fruito soffrano d'altrettanto male.


Portale, rendi giusto al giusto, all'impunito obito alluvionale. Ascoltate dei mari l'agitarsi la lagna astrale, del vento l'accento maestrale, la ritrosia d'un'utopica utopia arcale. Nel retore recere dell'ulcera trapunta dal glauco gladio addentato nell'invidia, ritorto nella sua cavità atriale, ogni gola ora gorgoglia del cruore d'orgoglio e vergogna che quivi è fatto sgorgare" (*cori demoniaci sorreggono le istanze mnemoniche del ciclico avvicendarsi delle nubili nubi in una incoerente discorrenza, improvvisa quanto provvidenziale*)



E piovve, e provai l'intimità di chi, messa a nudo, sente per la prima volta delinearsi per la pelle il SENSO, libera perfettamente. E piangesti come non mai, oh Hanabi, tuonandomi fra i seni, e stringendoli fra i palmi, porgendoli in araldiche cristallizzazioni tattili. E Uriele disse loro di liberarsi della carcassa dell'Arca, ma ne le notti istrioniche l'ordine fu solo un remo remore dei miei fallimenti. "Taci e baciami" mi dissi, eppure questa volta non fu un controsenso.



Margaretha: "Ben ti sta, quello è l'uso che si deve fare della donna, e gli sei stata utile"


Edonia: "Non mi sento più le dita; ho freddo. son stanca. Ho esaurito ogni principio che per principio mi rendeva donna in quanto tale. Umida d'umiltà, deambulo"


Margaretha: "per le ronde infestate dalle rondini impaurite, rannicchiata in un angolo, era Natale"


Edonia: "Zitta Babilonia, è giunta l'ora"


Margaretha: "Mi muoiono in gola"


Edonia: "orrorifici nodi di questioni irrisolte, irrisa d'aspetto, derisa di rimorsi ed intrusione"



Frill: "Non crediate all'alluvione, come difatti dapprima alluso, che non sia vera illusione"


Destiny: "E il Signore, falso fra l'altro, disperse in perdizione credenze indegne del favore ricevuto"



Luff: "M'ha spettinato, il maledetto m'ha spettinato"



Marik: "Fra li strilli delle dame inondate dall'ammassarsi degli abissi, la convinta repulsione di qualche temeraria trama, la negazione temporanea del narrarsi del tempo, interposto all'intervista dell'oculo universale, Gevurah cavalcava la serpe, strisciando entro le carni dell'Agnello impugnando la ripugnanza dei volti delle stolte"



Gevurah: "Sentii il vostro disgusto; me ne nutrii, e in bocca mi fu dolce come del miele. Dall'alto del trono, al basso delle suppliche terrene, maledetta la donna che ama l'altra donna e fa della carne il suo braccio, e il suo cuore si allontana dal Signore. Brameranno morire (Yoko: "Voglio morire"), ma la morte fuggirà da loro. Con il pugno, simile all'aspetto della pietra di diaspro e di sardonico, all'aspro vespro, sanerò l'addebito che l'infedele ha accumulato, lapiderò la donna senza marito, o che a lui vergine non s'è data.


Portale, scendi fra loro e ti mostrerò le cose che devono avvenire in seguito; si dischiuda la campana, che si dibatta il ferro dissolvendosi nell'Agnello sacrificale. L'abisso alzi la sottana, celebri il parto all'Agnello, s'agiti il vento, plachi la piaga, infuri l'inverno, dilaghi il diluvio, sia carne la sua lama"



Yoko: "Uccidimi, fammi del male, anzi del bene, fai pur qualcosa per cui valga la pena soffrire"



Hanabi, che sia la fine? Non posso sopportare un giudizio tanto superficiale, universalizzando il dialettico romanticismo ostracizzato dalla restrizione sociale, perché tal sguardi? che sia solo paura la vostra, paura forse di chi ha in esercizio capacità d'amare? che colpevolizziate l'innocente per rendere coscienza, individuale, privata, unica cagion di volontade? Ma passiate pure innanzi alla mia tavola, che vi sputiate parole amare se è necessario, o se così ritenete; poich'io non temo l'altro mio mondo, così come non ho temuto questo vostro, ne l'altri; la Luna mi sorveglia ammantata di fastidio, e ogni tuo gesto sarà facezia, inezia d'infausto dissidio. Oh, la gretta allegrezza, qual maschera martire ne le notti istrioniche, grigie e non bianche, sta imparando a superare l'attore, a trarne la persona; sono stanca di fingere.



Binah: "Smetta di piovere - e così fu - smetti di piangere - e così fece - cessi lo strillo - e lo cessò - così vi dico, così voi fate. Gli abissi non vi coprirono, non sprofondaste come di pietra i carri, come piombo.


Volgetevi a mirar le stelle, ch'al cielo rasserenato fanno benigna corona; il suffragio del mendace è passato, il nero Gabbiano ha perduto l'ali, il suo vessillo sei volte sigillato; al settimo venne segregato per l'eterni confini, là oltre rabbatte la notte. Che il compiacimento per il compianto sia trasmutato in lodi di riconoscenza, a Lei che per salvamento ha fatto delle nuvole spuma, brina dal diaccio. Sicché io voglio, e voi vogliate, cantare in onore della Signora, poiché ha mirabilmente trionfato, ha gettato in mare cavallo e cavaliere.


Iris: "Sia lodata; le tenebre si approssimano alla luce diurna, un'urna diffranta per il mio bel volto di cenere; sia sacrificata la mia grazia, così nel petto aperto richiuda il Portale. Per le mie vene offerte a far cessare l'alluvione. Benedetto sia il dolore, che ci ha servito il pasto, e maledetto l'uomo che convenne ritenendo di ritener primato da vassallo per calare sulle primizie de le vergini e di tutto le dame il sozzo sguardo.



Binah : "Che Margaretha prenda in comunione l'altr'io interiore, voglia voltarsi; il velo della natura ventura ebbi calato"



Margaretha: "Ne ho abbastanza dei vostri rimproveri, degli imperativi che verseggiate invano. Come se fosse questione d'amore, di leggi e di altri insulsi insulti convulsi e inani"


Edonia: "Fra diritto e reato non vi è che medesima sostanza di giudizio e di morale"


Margaretha: "E che il primo non s'esprima, la seconda uguale, siffatti che entrambe sono in merito solo ad entità d'etica inequivocabile, di ineffabile fascino, certa fortuna, perciò inumane"


Edonia: "E la contesa convinzione che possiate arrogarvi la decisione secondo quale condizione io debba amare, mi rende vittima di prigionia, e pertanto di bisognosa di liberazione"



Marik: "Margaretha e Edonia decretarono la loro evasione, da un'ambiente tanto familiare quanto sociale, struggendo le catene che ne rilegavano il legame con sofferta indecisione"



Binah: "L'intercessione che disgrazia la vita d'una povera giovine, sia resa più che ressa dialogo, ferma fissione nell'instabile instaurarsi del tempo passato, passato a ricercare disperatamente di alcuno la compassione (e finalmente m'han trovato). Yoko, che la mia voce s'avvalori della tua udienza, parli il tuo petto, non il tuo ingegno. Ho veduto la tua afflizione e conosco la tua profonda angoscia, eppur confida nel suo nome, così come nel mio. Il fio della perdizione, che l'Uomo avrebbe da te voluto ripagato, sia estinto con l'istinto vinto con dedizione"



Yoko: "Or voglio, or voglio, a dispetto d'orgoglio, vivere!"



Marik: "Quella notte, Yoko non si tagliò"



Binah: "Luff, che piansi poiché convinta d'essere incapace, fosti tanto audace quanto tranquilla, tanto bambina quanto donna, adornata a l'orecchi con adorazioni dorate. Le tue guance sono belle in mezzo alle collane, il tuo collo è bello tra i filari di perle"


E parli e non parli per farti guardare, quale sinestesia ossimorica che riede per la mente mia, nell'integra amnesia d'una astratta distrazione attrattiva.



Luff: "Non ci sono solo io, è vero! Anche l'altre hanno in dote la bellezza, non sono l'unica, non sono sola. Sia lodata la mia Signora"


Iris: "Ebbene sia lodata"



Binah: "L'eco di Hod rinsavisca il metodico demerito che venne affidato ai cieli, sia fatto rinascere l'Agnello, torni il suo regno, sia fatta la sua volontà, che per tempo s'era voluta dimenticare. Possa la Luna riavvicinarsi alla sua amante, sia questa la volta del loro sposalizio; dipartano le nubili nubi, è l'ora del lume, che il giorno scavalchi equestre il defunto orizzonte"



Frill: "Parole, è davvero così che puotesi comunicare?"


Destiny: "Pensano di dare alla semantica sembianze di prigione?"


Frill: "Vilipendi dall'empio compendio. Oh, come furono sorprese le dame a sentir tali trame tramandate con tant'entusiasmo"


Destiny: "Eppur si trattò d'un mero torto, la beffa di una Natura a lungo beffata, che beffarda s'abbevera dal fresco corso dell'opinione"



Marik: "Perduto ogni sostegno, dilagò il panico, giacché il sereno disdegnato non era in seno al caso; si rassegnò l'indeciso, il convertito tornò sul suo passato, pianse di riso chi inviso prima non s'ebbe pentito d'aver peccato"



Yoko: "L'ho fatto, mi sono ammazzata"



Margaretha: "Mi violò prima mio padre, poi il suo e così via"


Edonia: "Mia madre stette a guardare"


Margaretha: "Mi odio"


Edonia: "Che i trenta sicli siano gettati nel tempio. Io me ne vado, vado a impiccarmi"



Marik: "E Yoko si dissanguò come l'Agnello, Margaretha baciò Edonia con voluttà mortale"



Luff: "Dev'essere rotto, lo specchio, non può essere riflesso mio un abominio d'aspetto tanto gretto da render pretto pure il saluto di chi rifiuta di dirsi addio. No che non l'accetto, il mio bel volto, quant'era bello..."



Kotobuki: "Nessuna si compiace di guardarmi"



Marik: "Inutile dire quello che infine si può persin guardare"



Oggi ho veduto il Senso, era difforme, spento e disperso. Nelle tue forme, o mia Luna, mia Hanabi, l'ho trovato. È così intenso, così profondo, che al solo tocco fui pervasa da un senso di perfezione; commossa, piansi come si piange a messa, o a un funerale. Sono morta, o Hanabi, ho smesso di cercare.


Ma ne le notti istrioniche, la realtà ebbe la parvenza d'una rappresentazione, e perseverando ne la mia perversione, torsi intransigente ogni reticenza retinale.


Hanabi, mi manchi, mi manchi di supposta definizione, mentre t'orro di timore, lodi d'allusione, locando l'ultimo mio spiro, corroso da una corrusca passione, proprio sotto il seno sinistro, sotteso ad accogliere i lamenti e la lor pressione; e implodi in teneri eritemi, giusto sopra le gote"



Hanabi: "Mio sole, in conclusione, io t'ho incontrata. Sono tua"



Fine



Written by Niar L. (The narrator), Ariel R., Iris (Herself), Marik (Himself), Hanabi (Herself) and Miriam.






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