Il corteo | @EZOwle
di EZOwle
La via prosegue dritta come al solito, con i condomini da un lato e i palazzi dall'altro. L'ampio stradone incrocia altre vie più strette, con innumerevoli semafori e nessun rondò.
Io, come mia abitudine, dopo aver chiuso a chiave la porta di casa passeggio su uno dei marciapiedi che costeggiano l'ampia carreggiata normalmente trafficata, attraversando di quando in quando delle piccole aree verdi fuggevoli di fronte all'asfalto della città, in cui è comune incontrare altre persone, spesso con il proprio cane.
E mentre passeggio sono circondato e avvolto dai rumori della città: le numerose automobili che nel traffico suonano il clacson ad ogni incrocio, le moto che sfrecciano sorpassando e rilasciando lo smog che va a impregnare questi stradoni del suo odore caratteristico, il vociare dei passanti che parlano al telefono.
Io sento distintamente tutti questi rumori: ed è questa la cosa strana. Esatto, perché la città adesso è vuota. Non c'è letteralmente nessuno, sono solo sul marciapiede e di altre persone non vi è nemmeno l'ombra. Anche guardando nelle vie laterali non riesco a incrociare un singolo veicolo.
E ripeto: tutti i rumori sono i soliti. Sento chiaramente una moto passare accanto a me, un ciclista suonare il suo campanello, ma ciononostante la città è deserta.
Stando leggermente più attento a questo baccano inizio a distinguere meglio una voce: mi sta chiamando. Sembra lontana e portata dal vento come un'eco, ma è chiara e limpida come se fosse molto vicina. Sta dicendo il mio nome e lo sta declamando come se stesse cercando di attirare la mia attenzione. Non capisco da dove venga, mi rendo conto però che è familiare: è la voce di una persona che conosco.
Mi guardo intorno per cercare una direzione, stordito dall'incredibile vuoto che mi circonda: e allora vedo in una via parallela a quella in cui sto camminando una fila di persone. Viste da lontano sembrano una processione, un corteo ordinato e muto. Sì, muto dico, perché incuriosito mi avvicino e da quanto vedo sembra che nessuno stia parlando: eppure quella voce squillante e familiare che continua a chiamarmi senza sosta proviene indubbiamente da lì. La processione si delinea per tutta la strada e alla cima del corteo vedo da lontano delle figure.
Sentendomi sempre chiamare mi avvicino, mentre le miriadi di persone silenziose sembrano ignorarmi totalmente. La voce arriva da una di quelle sagome che avvicinandomi riesco a riconoscere come due uomini su una specie di palco rialzato: anzi, a vedere da più vicino una lo è sicuramente, mentre l'altra è stranamente immobile se non per un fluttuare calmo, come se fosse in balia del vento e non dei propri movimenti volontari.
E quando raggiungo la cima della processione capisco.
Su un palco rialzato sorretto da alcuni partecipanti di quello strano corteo, quattro persone grigie come il fumo, vi è l'uomo che mi sta chiamando. Il suo volto è sfuggente, come se non riuscissi a comprenderne i lineamenti, eppure mi è familiare, come se lo avessi già incontrato numerose volte. Con i suoi occhi caldi mi sta guardando finalmente contento di vedermi dopo avermi atteso a lungo.
Accanto a lui un manichino è appeso a quella che sembra una piccola forca. E quel manichino ha le mie sembianze. È identico a me, indossa i miei stessi vestiti, ha persino la mia stessa pettinatura. Da quanto è realistico potrebbe essere di carne.
Forse sono davvero io, mi sto in qualche modo guardando dall'esterno del mio corpo. Non può essere solo una copia, è troppo fedele. Sì, ormai ne sono sicuro, quello sono...
"No, non sei tu!" esclama allora l'uomo a me sempre più familiare.
"Non sei tu, guardalo bene e poi guarda bene te."
Rivolgo allora lo sguardo sulle mie mani prima di cacciare un urlo sordo di fronte a quello schifo. Non saprei bene come descriverlo: le mie dita sono deformi, piene di escrescenze a forma di piccole dita che si diramano dalle falangi come dei secchi rami di alberi, e l'aspetto è quello della carne macinata. D'intorno a me il caos del traffico si fa più intenso, e la processione è ora ferma ma sempre silenziosa, mi sento tutti gli occhi puntati contro. Li sento mentre mi guardano e giudicano il mostro che sono diventato.
Io non sono questa... questa roba. Il mio stomaco ha dei piccoli balzi in sincrono con il cuore sempre più agitato. Forse dovrei vomitare ma non riesco a reagire se non piangendo.
Ma la mia salvezza è qui nella mia tasca, il mio stomaco forse si sta calmando. E allora tutto attorno a me scompare.
Non so se sono solo e francamente neanche mi importa, voglio solo liberarmi di quelle... cose. Le mie chiavi di casa sono affilate e fortunatamente riesco a cominciare a tagliare, mentre le mie dita si colorano di rosso intenso. Tutti i rumori della città sono sempre attorno a me, ma ora sembrano più concilianti mentre cerco di rimuovere un obbrobrio del mio corpo.
Perché quelle schifezze non fanno parte di me. A costo di urlare dal dolore devo toglierle subito. Devo farlo.
Perché queste cazzo di chiavi non riescono più a tagliare? Cristo, fa malissimo, brucia come poche cose al mondo, e non si sta staccando nulla. Quegli orrori potrebbero essere su tutto il mio corpo, e adesso mi sta tornando il vomito mentre continuo a piangere e le mie lacrime si mescolano al sudore.
L'ultima cosa che mi resta da fare è ignorare le mie chiavi e fare qualcos'altro. Non mi resta che cacciarmi improvvisamente le dita in bocca senza pensare. Quelle stupide stronze si staccheranno adesso.
Mordo di scatto tranciandole. Le mie dita ora imbrattate di sangue possono tornare alla normalità, e io posso tirare un sospiro di sollievo. Che però dura troppo poco.
Quello che ora vedo e non posso che osservare inerme è la ricrescita improvvisa di quelle bastarde. Non posso fermare nulla, è inevitabile e io ora non riesco neanche più a muovermi. Senza pensarci troppo ricaccio in bocca tutte le dita, l'unica cosa rimasta da fare è distruggerle totalmente.
Sotto i miei denti sento le ossa del mio pollice sinistro frantumarsi come cristallo in briciole mentre le mie lacrime ora incontrollabili scendono senza più freno alcuno. Subito dopo arrivano l'indice e il medio. Non devo fermarmi altrimenti mi arrenderò. Devo proseguire.
Arriva l'anulare mentre continuo a sanguinare. Non riesco più ad emettere suono dal dolore. Una fitta mi colpisce quando mi rendo conto che il mignolo si è cacciato in gola e l'ho ingoiato. Sento il sapore salato della pelle ruvida mentre l'unghia mi graffia la gola, per poi scivolare agevolmente dentro di me violentandomi l'esofago. Ma devo continuare.
Passo allora alla mano destra, ma quando sono a metà vedo quello che sta accadendo: le mie dita stanno ricrescendo, ma questa volta composte della stessa sostanza di cui erano fatte le escrescenze. Al posto delle mie cinque dita ho cinque appendici di carne macinata compatta e ripugnante.
Questa volta esplodo in un gemito, al suono del quale si fa vivo l'uomo che guidava la processione ora totalmente scomparsa. Siamo solo io e lui, come se nel buio le nostre fossero le uniche figure illuminate.
La sua voce è ora pacata, consolatoria. È la voce di un amico, e non posso fare a meno di pensare che forse la sua faccia assomiglia alla mia.
"Caro mio, come ti sei ridotto?" mi dice con tono amichevole.
"So perché accade tutto questo" prosegue. "Sta continuando a succedere perché tu stai guardando. Devi smettere di guardare, e allora si fermerà."
Nel dirlo mi porge ago e filo.
So cosa devo fare. E nell'usare ciò che mi è stato dato sento la mia palpebra superiore bucarsi e il filo passare tra le carni dandomi un leggero brivido, per poi ricongiungersi a quella inferiore, e così più volte per entrambi gli occhi. Non mi accorgo neanche più del dolore, sto giungendo alla salvezza.
Ora che ho le palpebre chiuse non vedo più nulla. Tutti i rumori attorno a me scompaiono. Tutto è silenzioso come avrebbe dovuto essere.
Comincio a ridere.
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