Capitolo 31
Rimango da sola nella palestra vuota. Non avevo mai visto un allenamento di basket, è stata un'esperienza interessante. Ho visto Jérémy nel suo ambiente naturale, con i compagni di squadra – che si sono presentati man mano che arrivavano.
Sono grata a tutti per non aver fatto domande sul motivo per cui fossi qui. Non mi preoccupa che conoscano la situazione, perché non è un problema. Solo una settimana fa lo sarebbe stato e me ne sarei vergognata da morire, ma ho dovuto rivedere le priorità.
Che gli altri sappiano cosa ho vissuto non mi crea alcun disagio, perché è più importante che mi senta al sicuro. E qui mi ci sento.
Mi alzo dalla panca e faccio per uscire dalla palestra, quando Niko mi raggiunge. «Ti faccio fare un giro mentre Jemmy si fa la doccia?» propone. «Ti faccio vedere una cosa.»
Accetto, così lo seguo fuori attraverso i corridoi bianchi e verdi dell'impianto, fino a quando non capitiamo in uno con le pareti tappezzate da immagini di giocatori che sollevano trofei.
«Questa è di due anni fa.» Niko indica una foto alla mia destra. Ci sono lui, Daniele, Filippo e altri che non riconosco attorno a una coppa. Sono seduti sul pavimento, hanno tutti delle medaglie al collo, che Filippo e Niko stringono tra i denti come per morderla.
«Cosa avete vinto?» gli chiedo.
«La Champions League. Nel calcio è il torneo più importante d'Europa, nel basket è solo il terzo. Però intanto l'abbiamo vinta. È stato bello, la Vulnus non vinceva niente dai tempi di mio padre...» Accenna con il mento a una gigantografia più datata, a cui mi avvicino.
Un uomo enorme e con delle braccia muscolose che assomiglia parecchio a Niko stringe tra le mani un trofeo insieme a un compagno di squadra, alto altrettanto e calvo.
«Quello è il padre di Sasha» mi racconta. Posa l'indice su una figura in secondo piano, che però nella foto è sfocata. «Questa qui dovrebbe essere lei, vedi i capelli lunghi?»
Sebbene non si veda chiaramente e debba essere stata una bambina, credo che si tratti proprio di lei. «Tu dov'eri?»
«Probabilmente a rubare un pallone da portarmi a casa» ridacchia lui. «Facevo la collezione. Cioè... Ce li ho ancora tutti a casa dei miei, se li portassi da me non ci sarebbe più posto per me e Sasha!»
Accenno un sorriso anche io, guardando la foto. «Perché mi hai portata qui?»
«Jemmy è parte della squadra, quindi anche tu fai parte della Vulnus, in qualche modo. Sasha mi ha detto che non sai niente di basket... Non in senso negativo» si affretta a precisare «ma non sapeva da che parte iniziare per farti sapere qualcosa in più. Questo è ciò che la Vulnus significa per me: fare meglio di ciò che ha fatto mio padre per rendere felici i tifosi. Sasha tifa Vulnus da quando è nata, quindi per me dare tutto in campo è ancora più importante. Non lo dico a tutti, ma mi fido di te.»
«Perché me lo stai dicendo?»
«Perché so qualcosa molto importante su di te. Questo» e con il mento indica il padre «non è lo stesso, però per me è importante. Tu sei venuta qui scappando da roba tremenda e farsi dei nuovi amici è difficile. Almeno sai di poter contare su me e Sasha.»
«Jérémy ti ha detto che non voglio separarmi da lui?» gli chiedo. Potrebbero averne parlato nello spogliatoio, oppure essersi scambiati dei messaggi. Questo è diverso dal conoscere i miei trascorsi. Il suo improvviso slancio di complicità mi ha messa in allerta. Non l'avrebbe fatto se...
«Perché dovresti separarti da lui?» Strabuzza gli occhi, sinceramente confuso.
«Crede che sia meglio per me. Almeno finché mio padre è ancora in giro.»
Si gratta dietro la nuca, pensieroso. «Mah, non saprei. Al vostro posto non so che farei. Forse mi metterei a cercarlo di persona per essere sicuro che non la passi liscia.»
«Non suggerirglielo» mormoro. «Mio padre mi spaventa.»
«Ci credo.»
Non replico, perché Jérémy sbuca dall'altro capo del corridoio insieme a Teo. Entrambi sono cambiati e pronti ad andare via.
«Vado a farmi la doccia anch'io e vi riporto a casa» gli dice Niko. Finora aveva avuto sulle spalle l'asciugamano con cui tamponavano il sudore durante l'allenamento, forse per tenermi compagnia e non lasciarmi da sola. Più che la sua confessione, il suo comportamento è stato da amico.
«Non serve.» Teo gli fa un cenno di saluto, che Niko rivolge anche a me e Jérémy prima di correre allo spogliatoio. «Ti va di venire a pranzo da me e Anja?»
Anja è la moglie che ho conosciuto la prima sera a casa nuova, e che ho incontrato al palazzetto in occasione dell'amichevole di due giorni fa. Mi è sembrata una donna tranquilla, anche se un po' restia ad aprirsi con gli altri.
Accetto l'invito, così andiamo alla sua automobile e mi siedo accanto a lui nei sedili davanti.
«Ti sta piacendo Villafiore?» mi chiede. Strano che voglia fare conversazione, è uno silenzioso. O forse parla solo lo stretto necessario?
«Sì.» Attorciglio l'indice attorno a uno dei miei ricci.
«Ho detto ad Anja che ci siete anche voi. Di solito a pranzo mangiamo una pasta, vi va bene?»
«La pasta è perfetta» risponde Jérémy dai posti dietro.
«Ci sono anche i miei figli» dice ancora Teo. «La scuola è chiusa perché dovevano disinfestarla.»
Ho incontrato anche loro alla partita. Il figlio maschio è un bambino vivace e allegro, la figlia è più enigmatica, ha passato tutta la serata a fissare il campo da basket e a esultare per i canestri. Ma erano seduti lontano da me e Sasha – e in quell'occasione dovevo stare anche con Marjorie e Rashid.
«Ogni tanto viene anche Mike con il figlio e ci facciamo una partita insieme.» Teo guarda Jérémy nello specchietto retrovisore. «Tu sai giocare?» mi chiede.
«No» mormoro.
«Non ti preoccupare, Daisy costringerà anche te.» Sul suo viso impassibile si forma un sorriso. Anche il suo sguardo si illumina nel parlare della figlia, pur continuando a guidare e mantenendosi concentrato sulla strada davanti. Sembrano avere un bel rapporto.
Un rapporto diverso da quello che ho avuto io con mio padre da piccola.
Guardo Jérémy dallo specchietto retrovisore posto fuori dal finestrino accanto a me. Mi sta sorridendo, in modo accennato, come se volesse rassicurarmi e dirmi che passeremo un bel pomeriggio.
Teo ha una villetta con il cortile poco fuori Villafiore, in una stradina in cui ce ne sono altre, ordinate con cura e che sembrano uscite da un film americano. Ci fa scendere e lascia la macchina nel garage esterno, da cui sbuca ritornando da noi.
«Lì c'è casino» ci spiega al volo. «Anja non vuole che gli ospiti lo vedano.»
Il cortile è spazioso, ed è pieno per giochi da bambini, come uno scivoletto in plastica, una macchina finta e altre cose del genere. Un lato, però, è adibito a campetto da basket – dove immagino che trascorra il tempo con la figlia. Ci sono anche delle piante tenute con cura in una zona sgombra dai giochi del figlio.
Ci apre la porta di casa e siamo subito immersi in un'atmosfera serena. Il salotto è diviso in due da un muretto di un metro. Alla nostra sinistra dev'esserci quella che potrebbe essere una zona soggiorno, con il televisore e dei divani attorno. Una pianta da interno arreda l'angolo, mentre quello opposto è occupato dal caminetto spento. Sopra ci sono alcune foto incorniciate che da dove sono non riesco a vedere bene.
Alla destra, invece, c'è la zona con cucina e sala da pranzo. Due lati di parete sono occupati da ciò che è necessario in una cucina, cioè frigo, lavello, forno e credenze varie, mentre sul terzo c'è una finestra che permette di guardare il cortile da cui siamo entrati.
Una bambina sta disponendo i piatti con cura, sopra una tovaglia, mentre la madre ci dà le spalle e gira un mestolo in una pentola ricolma di sugo. La prima ci guarda subito con gli occhi che le brillano e ci saluta timidamente, la seconda si volta solo richiamata dal suono della porta che si richiude.
Anja è una bella donna, nonostante l'aria un po' spenta. Ci saluta con un sorriso e si precipita a dare un bacio sulla guancia ad Alizée, che presenta alla figlia Daisy.
«Darko?» chiede Teo. Daisy gli risponde in serbo e lui va alla ricerca del secondo figlio.
«Si sta lavando le mani» precisa direttamente lei in inglese. «Da venti minuti.»
Mi viene da ridere, perché i bambini si inventano qualsiasi scusa pur di non aiutare in casa. Da piccolo facevo lo stesso anche io, poi ho cambiato idea per stare lontano da Julie e Jeanne.
Anja pesa la pasta su una bilancia da cucina e la mette a cuocere nella pentola, chiacchierando con Alizée. Entrambe usano un italiano stentato, cercando di venirsi incontro come possono, e io rimango da parte ad ascoltarle senza capire granché.
Daisy continua ad apparecchiare, portando anche a tavola una bottiglia d'acqua dal frigorifero. Mi dà l'impressione di essere una ragazzina responsabile, più di quanto faccia pensare il suo aspetto infantile.
Poco dopo arrivano anche Teo e il figlio Darko, che presenta a me e Alizée.
Il pranzo trascorre serenamente. Né Teo né Anja sono dei gran chiacchieroni, ma sanno fare conversazione. Il paragone con Niko e Sasha mi viene spontaneo, perché loro parlerebbero di qualsiasi cosa per lunghi minuti. Invece Anja è simile al marito: va dritta al punto e non dice più di quanto non serva, senza giri di parole.
Forse questo è dovuto alla barriera linguistica, ma inizio a nutrire dei dubbi, perché anche le poche frasi che lei e Teo si scambiano in serbo sono brevi e concise.
Alizée si trova a suo agio, non ha il minimo cenno di imbarazzo o di ritrosia nel parlare con loro, che si approcciano a lei come due fratelli maggiori. Racconta un po' della sua vita a Villeurbanne e delle differenze con ora, di quanto sia diverso non vivere più a casa dei suoi...
Per quanto eviti di nominare suo padre, la cosa non la mette in difficoltà. E loro non le fanno domande scomode, come se pensassero che se ha da dire qualcosa lo dirà a prescindere.
Appena finiamo di mangiare, Teo rimane a preparare la lavastoviglie mentre Anja, dopo aver dato il permesso ai figli, li accompagna in una delle camerette per far vedere loro un cartone animato. Poi torna da noi.
Rimaniamo in un silenzio rotto solo dal gorgogliare della macchinetta del caffè sul fornello. Eppure, non è un silenzio pesante né tantomeno imbarazzante. Sembra un momento di riflessione per tutti e quattro.
Anja borbotta qualcosa in serbo che non riesco neanche a sentire bene, poi cerca qualcosa tra le credenze.
«Voi prendete il caffè?» ci chiede Teo.
Gli faccio cenno di no, così come anche Alizée.
«Non servono altre tazzine» dice allora lui alla moglie, che richiude anche l'ultima credenza e si siede al tavolo.
Il gorgogliare della macchinetta ci fa compagnia. Intreccio le dita sul tavolo davanti a me, cercando di pensare a come scoprire se Xavier è appostato da qualche parte nei dintorni di casa nostra. Potrei ingaggiare un investigatore privato? Mi farebbe comodo uno Sherlock Holmes.
Devo risolvere questa questione, o almeno prevenire eventuali problemi finché la polizia e la giustizia non l'avranno fatto per noi.
«Che stai guardando?» Teo spegne il fornello sotto il caffè, e nota Alizée appostata alla finestra.
«Le rose» risponde lei, con semplicità.
Anja le rivolge un sorriso e beve in un sorso il caffè che il marito le sta porgendo. «Te le faccio vedere da vicino.» Le due escono dalla porta di casa e ci lasciano da soli.
«Le piacciono i fiori?» mi chiede Teo.
«Credo di sì.» Mi sento così stupido nel rispondere così. Sto con Alizée, ho anche pensato di sposarla e non ho la minima idea di cosa le piace. «Ma non le regalerei delle rose, il suo stalker gliene ha fatte arrivare una marea a casa nostra giusto ieri.»
«Si vede che è preoccupata.» Si appoggia alla credenza alle sue spalle, sorseggiando il caffè con placida calma. «E si vede che tu non sai che fare. L'avrei capito anche se non me l'avessi detto.»
«Hai dei consigli?» Vado anche io al dunque.
«Concentrati su ciò che le piace. Non puoi cercare suo padre o quel tipo e buttarli in prigione, quindi cerca di farla stare meglio con ciò che puoi.»
«Lei ha paura che possano trovarci e che possano farmi del male. Visto che l'hanno già fatto.»
«Vi hanno già trovati, hai detto.»
È vero: loro ci hanno già trovati. Che senso ha stare lontani da casa nostra, fuggire da ciò che stiamo costruendo insieme e rischiare che il mondo ci crolli addosso? Per Alizée sarebbe difficile, ma ci sono io. Io non ho paura, non di suo padre né tantomeno di Pierre.
«Mi hai fatto venire un'idea. Ti dispiace se vado fuori anche io?» gli chiedo.
Lui si limita a fare una smorfia impassibile di assenso, così raggiungo le due donne nel giardino. Alizée è china a guardare un cespuglio di rose azzurre. Strofina con il pollice il petalo di una di queste e sospira malinconica. Mi viene in mente solo ora che all'esterno dalla Marée c'erano delle piante di rose. Forse era proprio lei a occuparsene, per quanto non l'abbia mai vista intorno a quei vasi.
«Posso parlarti un momento?» le chiedo.
Lei annuisce e sembra chiedere scusa ad Anja, che ci lascia da soli dopo avermi dato un buffetto sulla spalla.
«Tuo padre e Pierre sanno già dove siamo» le dico. «Non dobbiamo nasconderci. Dobbiamo fare solo la nostra vita, quella che faremmo se loro non ci fossero. Hai ragione, non possiamo separarci. Io non voglio stare lontano da te. Ho pensato a tante cose da ieri, e...»
«Anche io, Jérémy» mi interrompe con tono dolce. Sbatte le palpebre e i suoi occhi verdi sono ancora più luminosi. «Anche io ho pensato molto. Abbiamo fatto tanta strada per arrivare fin qui. Ci siamo buttati tutti e due, e io non tornerei indietro. Mai. Non solo per mio padre, ma soprattutto per te. Ciò che provo... o meglio, la paura che provo significa che tengo a te. Che forse... che forse ti amo.»
Mi ama.
Rimango spiazzato e tutte le parole che avrei voluto pronunciare rimangono incastrate tra la gola e le corde vocali. La attiro a me e la stringo in un abbraccio, in cui infondo tutto l'amore che provo anche io per lei. Le accarezzo la schiena annusando il suo odore misto a quello delle rose davanti a noi e Alizée ricambia l'abbraccio.
«Quindi sei d'accordo? Continuiamo la nostra vita, proviamo a essere felici. Se loro si metteranno in mezzo, ci penserà la giustizia.»
«Sì, sono d'accordo.»
«Ma i fiori alla Marée erano opera tua?» le chiedo.
«Di Nicole. Vedere le rose di Anja mi ha ricordato lei.»
«Vuoi delle piante di rose a casa?»
«Vorrei delle piante, ma non so quali.»
«Ne andiamo a cercare qualcuna quando andiamo via?» le propongo. «Così casa nostra sarà un po' di più casa nostra.»
Mi bacia, come a dirmi che è un'idea meravigliosa.
Spazio autrice
Regalo di Natale da parte mia a voi: un capitolo nuovo oggi e un altro domani! Sì, ci sono aggiornamenti per tre giorni consecutivi, ma è Natale e siamo tutti più buoni... e lo sono anch'io <3
Questo capitolo è di passaggio, perché serve soprattutto a immergere di più i ragazzi nel gruppo con gli altri e a farli legare con i compagni della Vulnus. Che dite, vi è piaciuto questo ritorno di Teo con una scena tutta sua? Sappiate che avrà altro spazio e sarà un buon amico per Jérémy (e con chi non lo è?).
Per la prima volta vi ho mostrato un po' di più Anja... non so cosa pensiate di lei, è un personaggio difficilissimo da scrivere (ho buttato giù qualcosa su di lei e non avete idea della fatica che mi sia costata!).
E poi... c'è un bel momento di Niko <3 Lui e Sasha sono sempre di più il collante tra queste storie, ve ne accorgerete quando ci sarà la prossima... Ma sto correndo troppo. Intanto godetevi questo capitolo e preparatevi anche a quello di domani <3
Baci a tutti e buona Vigilia,
Snowtulip.
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