Capitolo 29
«Jemmy, che succede?»
Il coach mi squadra dall'alto in basso, mi ha chiamato da parte al termine dell'allenamento e mi ha condotto in una delle stanze della struttura, che usa come ufficio per studiare sia il nostro gioco sia quello dei nostri avversari. Su una delle lavagne sono disegnati degli schemi con un pennarello rosso, come sulle lavagnette che usa nei time-out.
Non ho avuto occasione di parlare con lui, ma stamattina deve avermi visto con la testa da tutt'altra parte. Continuo a pensare ad Alizée, a cosa rischia se suo padre e quel bastardo dovessero passarla liscia e a cosa posso fare io perché non le accada niente di male.
Ieri sera ho raccontato tutto a Sabelli, su indicazione di Adrien con cui mi sono confrontato prima. A questo punto tanto vale che lo sappia anche Colucci.
«La mia ragazza è nei guai» gli dico.
«Che ha combinato?» mi chiede lui, con l'aria di chi sta per perdere la pazienza. Dev'essere uno di quegli allenatori che tendono a dividere il più possibile la vita privata e quella lavorativa e che pretendono lo stesso da noi giocatori.
«Niente. Suo padre era opprimente con lei e la costringeva a lavorare al bistrot di famiglia senza pagarla. Voleva che sposasse un altro e quando abbiamo iniziato a frequentarci...» Gli faccio un breve riassunto di tutta la vicenda. A forza di ripeterla la sto imparando a memoria, come se averla vissuta non fosse stato abbastanza. Lui mi ascolta, dapprima infastidito – non credo che gli importino le mie vicende sentimentali – poi, quando il discorso arriva alle violenze subite da Alizée, si fa più serio e comprensivo, almeno nella mimica del viso. «Ho parlato con Sabelli e mi ha detto che cercheranno di far sì che non lasciamo Villafiore» concludo. «Mi dispiace se oggi le sono sembrato distratto, ma è una cosa grave e mi preoccupa.»
«Volevo farti una sfuriata» annuisce il coach. «Ma non sarebbe servita a niente. Avete fatto tutto il possibile, cerca di stare tranquillo. Intesi?»
«Farò del mio meglio» gli rispondo, in tutta sincerità. Faccio sempre del mio meglio, in ogni aspetto della mia vita.
«Ci vediamo domani» mi congeda Colucci, indicandomi la porta. Almeno non ha più il cipiglio infuriato di poco fa.
Tra i corridoi incontro Niko.
«Oh, Jemmy.» Mi batte una pacca sulla spalla. «Mi dai un passaggio a casa? Pala e Pippo mi hanno lasciato a piedi ed ero venuto con loro.»
«Va bene.» Non è un problema, tanto abitiamo nello stesso palazzo.
«Che voleva il coach? Hai già fatto qualcosa di male?» mi chiede, con il solito fare canzonatorio. «Sei qui solo da poco, devi aspettare prima di farlo incazzare!»
Abbozzo un sorriso, ma non replico, continuando a camminare verso il parcheggio all'aperto dell'impianto.
«Non l'hai fatto incazzare, vero?» mi chiede quando ci sediamo in macchina. Il mio silenzio deve averlo allarmato.
«In realtà credo di sì, ma gli ho fatto cambiare idea.»
«Sei un Dio onnipotente, spiegami come si fa!»
Rido alla sua battuta. «Ho una preoccupazione seria e mi sono allenato con meno intensità rispetto agli altri giorni.»
«Una preoccupazione seria?» Anche il tono di Niko non è più quello scherzoso di sempre. «Stai bene?»
«Sì, io sì.»
«Alizée? Si tratta di lei?»
«Starà bene anche lei.»
«È malata? È grave?»
Traggo un sospiro, guidando tra le vie di Villafiore. Non sembra così diversa da Villeurbanne, almeno per il traffico. «No, non è malata, per fortuna. Ma in Francia si è lasciata alcune faccende in sospeso e non sono cose leggere.»
«Cioè?»
Mi gratto la barba sulla guancia. Non so se Alizée voglia che ne parli con qualcuno. Niko, però, si è comportato da amico appena sono arrivato e, nonostante le battute e allusioni sconce, non mi sembra una cattiva persona.
«Ti ha detto che ha lasciato il lavoro per venire qui» riprendo da ciò che sa, cioè dal poco che Alizée ha tirato fuori durante la nostra prima cena con lui e Sasha. «Ma non solo il lavoro, tutta la sua situazione familiare. Il padre non è mai stato il massimo.»
«Che intendi? La picchiava o...?» Non lo dice, ma riesco a capire quale fosse la seconda ipotesi.
«No, picchiarla no. Ma fa poca differenza se le impediva di decidere di qualsiasi aspetto della sua vita. L'ha costretta a lavorare nel bistrot di famiglia appena ha finito la scuola e l'ha praticamente promessa in sposa a uno dei clienti, perché la famiglia di questo qui l'ha aiutato quando ha avuto difficoltà economiche.»
«E quindi vuole riportarla a casa e costringerla a posare quel tipo?»
«In sintesi sì.»
«Ci credo se sei preoccupato.»
«Non è tanto questo, quanto la convocazione al tribunale. Non voglio che debba tornare a Villeurbanne, non quando c'è il rischio che...»
«Tribunale?» mi interrompe Niko. «Addirittura?»
«La situazione si è complicata» gli spiego. «Il carciofo che vuole sposare Alizée ha cercato di violentarla, dopo averla molestata per chissà quanto tempo... E io sono stato picchiato, credo che i mandanti fossero lui e suo padre. Abbiamo dovuto denunciarli. Vedi questo?» gli indico la cicatrice sullo zigomo, rimarginata da poco. «Me l'hanno fatto loro.»
«Cazzo. Per questo era così spaventata, quella sera.»
«Non pensavo che te ne fossi accorto.»
«Non volevo metterla a disagio, la conoscevo appena. Però sì, me ne ero accorto.»
Parcheggio la macchina nel garage condominiale, e ne esco insieme a Niko.
«Hai detto tutto a Colucci?» mi chiede.
«Ieri sera ho chiamato Sabelli e gli ho chiesto di preparare qualcosa, un qualche tipo di documento per impedirci di tornare lì. Mi sono dimenticato di parlarne a Colucci e l'ho fatto prima.»
«Hai fatto bene. Anche se ha la faccia da duro, è uno che capisce quando c'è un problema.»
«Il problema ci sarà fin quando il padre di Alizée non sarà trovato dalla polizia» commento amaramente. Entriamo in ascensore e clicco sul pulsante del nostro piano.
«Invece quell'altro? L'hanno arrestato?»
«Gli avranno dato la richiesta di comparizione al tribunale, come è stato per noi. La polizia cercava di consegnarla anche al padre di Alizée ma è sparito nel nulla.»
«Cazzo, è un bel casino.» Niko legge un messaggio dal telefono. «Sasha è da lei, vengo anche io?»
Gli faccio cenno di sì, non ci vedo niente di male. Avere il sostegno di qualcuno, persino di un amico che si conosce da pochi giorni, può essere importante nella sua situazione.
Appena apro la porta di casa, mi trovo davanti a uno spettacolo surreale. Mazzi di rose rosse sono sparsi ovunque, la maggior parte abbandonati sul pavimento, una presenza terrificante che si sta riproponendo con forza, pallida imitazione di un sentimento d'amore mai realmente provato.
Alizée è seduta sul divano, in lacrime, mentre Sasha cerca di consolarla.
«Che cazzo è successo?» chiede Niko, sorpreso quanto me.
Alizée si volta, e i suoi occhi verdi sono spenti dal pianto. «Lo sanno. Sanno dove sono.»
Indico il tavolo a Jérémy, dove ho lanciato la lettera che mi è stata recapitata insieme a tutte queste rose. In un primo momento ho pensato che fosse opera sua, un gesto romantico per farmi sentire la sua vicinanza... Ma appena l'ho letta mi si è ghiacciato il sangue nelle vene.
Ho avuto paura.
Una paura che non provavo da quando ero a Villeurbanne.
«Torna a casa, ti amo. Pierre» legge Jérémy, disgustato.
«Che coraggio» commenta Niko. Anche se non sa il francese, il significato non dev'essere difficile da capire.
«Come hanno fatto a sapere dove abito?» chiedo a Jérémy. Ho bisogno di una sua parola di conforto, di un suo abbraccio, di lui.
«Ci avranno spiati e l'avranno scoperto» mormora. «L'hai mandato a Odile?»
«Sì, io... le ho mandato le foto di tutto questo e poi ho chiamato Sasha.»
Jérémy si siede accanto a me e, come ieri sera, mi stringe fra le sue braccia, donandomi quel calore necessario per non perdermi del tutto. Ero sicura di essere finalmente nel posto giusto, di non dovermi più preoccupare di mio padre e invece... mi ritrovo di nuovo a essere preda della paura, del timore che possano portarmi via da qui con la forza per incatenarmi a casa. Una casa da cui sono andata via consapevolmente, o un'altra in cui sarei costretta a fare una vita che non vorrei, accanto a un uomo che disprezzo e che non ha rispetto per me.
«Odile mi ha detto che avrebbe fatto richiesta per far sì che venisse informata anche la polizia italiana, ma ancora non ho novità da parte sua.»
Jérémy mi lascia un bacio tra i capelli. «Hai fatto bene.»
«Non voglio tornarci» sussurro. Ho il cuore in gola e il viso ancora umido per le lacrime. Non mi sono controllata, appena ho visto Sasha sono scoppiata a piangere, avevo bisogno di sfogarmi e di alleggerirmi. E lei è stata paziente, mi è stata accanto e ha aspettato insieme a me una telefonata che ancora non è arrivata. «Sono disposti a tutto pur di riavermi indietro, e io non voglio. A loro non importa nulla di me.»
«Non ci tornerai. Abbiamo inoltrato la richiesta per partecipare da qui, non ci muoveremo da dove siamo.»
«Questo ha un sacco di soldi da buttare...» commenta Niko a bassa voce, tanto che lo sento a fatica.
«Gliel'hai detto?» chiedo a Sasha, che scuote la testa.
«Gliene ho parlato io» dice Jérémy. «Oggi sono stato un po' per conto mio e se ne sono accorti tutti.»
«A chi altro l'hai detto?»
«Solo a Niko e al coach. Nessun altro.» Mi stringe di nuovo a sé, e io mi rannicchio contro il suo petto ampio, cercando di sentirmi al sicuro.
La verità è che non mi sento sicura di niente. Non quando credevo che sarebbe stato semplice ricominciare da zero in una nuova città, non quando pregavo che mio padre non si facesse prendere dalla furia di trovarmi, non quando credevo che Pierre si fosse rassegnato all'idea di avermi persa per sempre.
«Se hai paura che tuo padre ti trovi qui, possiamo chiedere ai ragazzi di ospitarti» propone Niko. «Ti direi di venire da me e Sasha, ma il portone è lo stesso... Almeno, mentre aspetti che lo prendano.»
«Che ne pensi?» mi chiede Jérémy. «Potresti sentirti più tranquilla?»
«Se fossero in attesa qui fuori? Se ci seguissero in qualche modo? Se mettessimo in pericolo anche gli altri della squadra? E se...» Le parole mi muoiono in gola. Non ho il coraggio di dire ad alta voce che ho paura che possano fare a Jérémy quello che già gli hanno fatto una volta, nonostante sia vero che qui sarebbe molto più difficile riuscire a coglierlo in un momento da solo e indifeso. Se a Villeurbanne Pierre aveva molti agganci, qui non ne ha neanche uno, così come non ne ha mio padre.
«Intanto andiamo alla polizia» decide lui. «In base a cosa ci diranno, vedremo come comportarci. Se ti fa sentire più tranquilla, verrò con te ovunque.»
«Sì, andiamo.» Faccio per alzarmi, ma il telefono vibra per la telefonata di Odile. Spero che abbia qualche novità, lo spero con tutta me stessa.
Mostro lo schermo a Jérémy, poi rispondo.
«Allora, per l'udienza di martedì è tutto sistemato. Voi potrete intervenire da remoto. Ringrazia la Vulnus che mi ha messo a disposizione i documenti necessari. E... la mia richiesta di inoltrare alla polizia italiana la ricerca di tuo padre è stata accettata. Quindi non dovrai fare nulla che non sia aspettare che la polizia si presenti da voi. Non buttare quei fiori né la lettera perché sono una prova di quanto quel pazzoide sia pericoloso.»
«Dio mio... grazie, Odile» sussurro. Non ho fiato in corpo per dirle quanto sono grata di tutto ciò che sta facendo per me.
«Non serve che mi ringrazi. Ora stai tranquilla e preoccupati solo di dire la verità. Appena la polizia sarà lì, videochiamami perché devo assistere, in quanto tuo avvocato.»
«Va bene.» La saluto e faccio cadere il telefono sul divano accanto a me. Mi sento leggera, Odile è un angelo.
Mio padre è ancora libero, ma non lo sarà a lungo e tanto mi basta per calmare la paura.
Spazio autrice
Avevo detto di prepararvi a una mazzata per Alizée... e purtroppo c'è stata :( Ma almeno ha la fortuna di essere circondata dalle persone giuste <3
Vi è piaciuto? O già immaginavate "cose brutte"? (E quelle possono ancora accadere...)
Se volete piccole anticipazioni su questa storia o sulle future che pubblicherò, vi ricordo di seguirmi su instagram (mi trovate come @snowtulip_autrice) <3
Baci a tutti e buon finesettimana!
Snowtulip.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro