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Capitolo 28

La sirena finale segna il termine di questa amichevole prestagionale. Ho messo a referto ben quindici punti, più di quanti sia riuscito a fare in una singola partita durante l'anno e mezzo all'Asvel. I tifosi sugli spalti ci applaudono inneggiando cori, sbandierando stendardi e regalandoci un calore che ho incontrato in poche squadre, anche tra quelle contro cui ho giocato.

Esulto con i miei compagni, notando subito che Niko è il più entusiasta di tutti, tanto che assesta pacche sonore a chiunque senza preoccuparsi di cosa colpisce. I tifosi ci applaudono con convinzione, sono felici della partita e li capisco – dopo un'estate praticamente a digiuno della propria squadra, anche io sarei tanto sovraeccitato alle amichevoli.

Alizée era nei posti vicino al campo, insieme ai miei genitori e ai familiari dei miei compagni di squadra. Si era seduta tra mia madre e Sasha, dal che deduco che gliel'abbia presentata.

Dopo essermi fatto la doccia e cambiato, la raggiungo. È con mamma e papà fuori dall'impianto del Palavulnus. Sembra piuttosto tranquilla, nonostante ciò che le ho raccontato stamattina, come se si rendesse conto che con mio padre c'è poco da fare perché difficilmente cambierà idea.

Anche lui, però, mi dà l'idea di essere sereno. Forse non si azzarda a tirare fuori il discorso davanti a lei perché sa che abbandonerei la mia calma e andrei su tutte le furie. Posso accettare che metta pressione a me, non che lo faccia anche con Alizée.

«Vi siete divertiti?» chiedo appena li raggiungo. Scocco un bacio sulla guancia della mia ragazza, che mi sorride raggiante.

«Moltissimo» risponde mia madre.

«Sei stato fantastico» sussurra Alizée, in modo che possa sentirla solo io.

Sono stato fantastico.

L'euforia della partita mi sale di nuovo alle sue parole. Forse di basket sa ancora poco – è lei stessa a dirlo – ma che la pensi così su come gioco mi riempie il cuore. A parte il trascorrere tempo con lei, è ciò che amo fare di più al mondo. Il suo parere è importante per me, nonostante non sia quello di una persona che conosce il mio sport. Ma non importa, perché so già di essere bravo: mi piace solo l'idea di Alizée che si entusiasma nel vedere le mie partite. E se dice che sono stato fantastico, io non potrei essere più felice.

Andiamo a cena tutti insieme a un ristorante poco distante dal palazzetto, con il proprietario che ci riserva un trattamento di favore. Aveva ragione Niko, qui a Villafiore tutti sono pazzi per la Vulnus: la città intera vive per il basket e l'affetto dei tifosi è sempre presente.

Prima che possa sedermi a tavola, vengo fermato tre-quattro volte, ma non mi dà fastidio, tutt'altro. Mi fa sentire importante, mi fa sentire di essere capitato nel posto giusto. Non è una squadra da Eurolega, ma è la squadra con cui voglio riconquistarla sul campo.

«Prima o poi non potremo più nemmeno andare a fare la spesa» scherza Alizée.

«Già» sorrido. Durante la mattinata, dopo la colazione, siamo andati a un supermercato e lì abbiamo attirato gli sguardi curiosi di qualcuno, ma nessuno ci ha domandato nulla. Sembra di essere sempre sotto osservazione, ma è una sensazione che posso accettare – almeno, fino a quando non diventerà insopportabile. Eppure, ci sono dei giocatori che sono qui da diversi anni e nessuno di loro se ne è andato a causa dell'eccessivo calore ricevuto.

La serata trascorre molto più tranquillamente rispetto a quella di ieri. Alizée è più sicura di sé, tanto che finisce a chiacchierare fitto con mia madre a proposito del suo lavoro da sarta in una compagnia teatrale e rimane ad ascoltarla quando le racconta nei particolari il riadattamento del Macbeth che porteranno in scena tra qualche settimana.

Papà, invece, è taciturno come sempre. Deve avergli dato fastidio il modo in cui ho difeso la mia scelta di non tornare con Gabrielle e la mia decisione di continuare a stare con Alizée. E, immagino, anche la mia reticenza nell'affrontare il discorso bambini.

Rimango della mia opinione: non è il momento, adesso abbiamo altre priorità.

Finiamo di cenare e lasciamo il ristorante, quando mi arriva una telefonata di Odile Blanc. A quest'ora? Che può essere successo? Perché non contatta Alizée?

«Scusate, è urgente.» Mi separo dagli altri, camminando qualche metro in avanti in una direzione imprecisata – devo ancora ambientarmi. «Pronto?»

«Mi è arrivata una richiesta del tribunale di Lione» esordisce subito Odile, senza mezzi termini. «Tu e Alizée dovreste comparire per confermare la vostra denuncia nei confronti di Xavier Favre e Pierre Lefort. Si tratta di essere qui martedì.»

«Martedì? Odile, è un problema. Ho le partite, non posso saltare gli allenamenti... E non credo che ad Alizée farebbe bene tornare lì. Se si avvicinassero di nuovo a lei?»

Cammino veloce, non voglio che i miei ascoltino questa telefonata. Non devono saperne nulla, almeno per il momento. Una denuncia e una comparizione in tribunale rischiano di diventare un peso anche per loro – di sicuro per mamma che si preoccuperebbe.

«Provo a chiedere se potete intervenire da remoto, ma preparati all'eventualità in cui mi dicano di no. Cerco di avere la meglio su questi incompetenti, ma voi due tenetevi pronti a tutto, intesi?»

«Intesi» mormoro a malincuore.

«Spero di aggiornarti presto con notizie più allegre. Tipo che hanno trovato quel gradasso e l'hanno sbattuto in galera

«Cosa?»

«Il padre di Alizée: non si trova. Hanno provato a recapitargli la richiesta di comparizione, ma non è stato possibile. Dei poliziotti hanno fatto irruzione a casa sua, dove hanno trovato solo la moglie che non ha saputo – o voluto – dire niente.»

«Questo non ci voleva.»

«Sarà un'altra conferma dei suoi comportamenti loschi nei confronti della figlia. Ti lascio, buona serata.»

Attacco il telefono senza replicare. Non posso avere una buona serata, non dopo questa scoperta: per Alizée sarà un colpo non da poco. Ma ho deciso di essere sincero con lei e di non nasconderle più nulla, quindi dovrò dirglielo.

«Chi era?» mi chiede subito. Mi ero fermato in mezzo a un marciapiede per permettere a lei e ai miei di raggiungermi.

«Odile.» Non aggiungo altro, perché mio padre inarca un sopracciglio con l'aria di chi sta per fare altre domande scomode. «Ne riparliamo dopo. Ora chiamiamo un taxi, meglio andare a dormire.»

«E ci lasci così?» Papà sbarra gli occhi. «Abbiamo fatto chilometri per stare un po' con te, e...»

Stringo la mano di Alizée, scaldandola al contatto con la mia. «È una questione importante. E non so se...» La guardo, la sua bocca è piegata all'ingiù, alla luce flebile del lampione posso persino vedere la sua pelle dorata sbiadirsi dalla paura. «Non è il caso che ve ne parli. Scusatemi, ma...»

«Siamo i tuoi genitori, cosa hai da nasconderci? Ti sei cacciato in qualche guaio?» insiste lui.

«Jérémy...» mormora Alizée. Si stringe a me, cercando un abbraccio che non le rifiuterei mai. Le accarezzo con la schiena con dolcezza, sperando di trasmetterle i miei pensieri. O, meglio, la mia speranza che ogni cosa si sistemerà, che andrà per il verso giusto e che potrà essere libera. «Andiamo a casa e raccontiamogli tutto.»

Marjorie mi lascia tra le mani una tisana bollente. Accanto a me, il cellulare vibra per l'ultimo messaggio di Nicole.

"Preferivo non spaventarti, pensavo che sarebbe stata una cosa da poco e che presto sarebbe tornato alla Marée. Mi sbagliavo, Zézé, mi dispiace."

Non mi ha detto che mio padre è andato via di casa pochi giorni fa, senza avvisare nessuno, né che mia madre non è stata in grado di dare delle spiegazioni né a lei né ai poliziotti che l'hanno interrogata.

Abbiamo iniziato a raccontare la storia mentre eravamo ancora in giro per Villafiore e l'abbiamo conclusa arrivando a casa, quando Jérémy mi ha aggiornato sulla telefonata con Odile. Ho subito scritto a Nicole: appena arrivata in Italia le avevo chiesto se era successo qualcosa, se mio padre si comportava in modo strano... e lei non è stata del tutto sincera con me.

Riesco a comprendere che volesse proteggermi e non farmi preoccupare, ma avevo bisogno di sapere la verità. Se fosse accaduto qualcosa in questi giorni? Avrei dovuto avvertire l'avvocata, e all'istante.

E ora il solo pensiero di rimettere piede a Villeurbanne mi spaventa. Non voglio tornarci, ho paura di mio padre e di Pierre: temo che non si fermerebbero di fronte a niente e nessuno.

Marjorie si siede al mio fianco e mi accarezza la schiena, amorevole. Come mia madre non ha mai fatto. «Si risolverà, intanto hai fatto tutto ciò che potevi.»

«E se non fosse abbastanza?» sussurro.

Jérémy e suo padre ci raggiungono, ognuno con una tazza fumante in mano a sua volta. Rashid la consegna alla moglie, e sprofonda su una delle sedie. È scosso anche lui, non immaginava che mi portassi un peso così grande, né che suo figlio avesse deciso di condividerlo.

Soffio sulla tisana, fin troppo calda per una sera di metà settembre, mentre Jérémy si siede al lato libero accanto a me. Mi lascia un bacio tra i capelli e mi stringe una mano intrecciando le dita alle mie, con la solita dolcezza.

«Credo che sia meglio dirlo alla società» dice, serio. «Potranno aiutarci, almeno per evitare di dover tornare laggiù. Per te è un problema, ma...»

«Se può essere utile, va bene» lo interrompo. Non mi interessa se si viene a sapere cosa ho passato, non più. La serenità che ho guadagnato qui è più importante del pudore.

«Sono due criminali, dovrebbero finire in prigione» commenta Rashid.

«Dubito che il carciofo ci finisca, la sua famiglia è troppo ricca perché corra questo rischio.» Jérémy beve un sorso, continuando a scaldare le mie dita. Vorrei che mi abbracciasse, ho bisogno di essere avvolta tra le sue braccia e scaricare tutta l'agitazione che mi ha pervasa.

«Non li chiami?» gli chiede Marjorie.

«Adesso?»

«Devi farlo il prima possibile. Non c'è niente di più importante, non importa che sia sera e disturbi, no?»

La sua decisione nel parlare e il fatto che si sia presa tanto a cuore la mia situazione mi riempie di conforto. Il comportamento di Marjorie dimostra che tiene a me. La cosa migliore di tutto ciò che mi è capitato questa sera è stato ricevere il sostegno dei genitori di Jérémy.

«Sì, io...» Estrae il telefono e mi guarda. «Vado in camera, così non devi sentire tutto un'altra volta.» Mi lascia un altro bacio tra i capelli e si alza dal divano, attaccando subito il cellulare all'orecchio. Sua madre lo segue, immagino per essergli di sostegno.

Così rimango da sola con Rashid. Resto in silenzio, sorseggiando di tanto in tanto la mia tisana. È una di quelle che i compagni di squadra di Jérémy ci hanno portato, ha un sapore di frutta esotica. Non avranno pensato a quanto fosse adatta a me, che mi trovo fuori posto in ogni luogo del mondo.

Sono inerme. Non mi resta che attendere, aspettare che la giustizia faccia il suo corso, che la polizia francese o italiana trovi mio padre, che la Vulnus dia garanzie a Jérémy che non dovremo tornare di nuovo a Villeurbanne... Non posso fare più di ciò che ho già fatto.

Anzi, una cosa c'è.

Telefono a Nicole, che mi risponde subito.

«Zézé, scusami, se sei arrabbiata ti capisco...» inizia a dire, ma la interrompo subito.

«Non sono arrabbiata con te. Puoi farmi un favore, invece?»

«Certo

«Cerca il libro contabile della Marée. Dev'esserci una voce per i pagamenti a me, o qualcosa del genere... Lui diceva che mi teneva i soldi da parte, quindi deve averli messi su qualche conto.»

«Aspetta, sono entrata ora nell'ufficio di zio. Nella scrivania c'è un cassetto chiuso, ma serve la chiave...»

«Prova a forzarla, oppure chiama Luis» le suggerisco.

«Dammi un momento

Per un po' non parla, ma sento dei suoni in sottofondo che mi suggeriscono che sta cercando di aprire la serratura pur senza usare la chiave.

Se mio padre dovesse essere arrestato, come a questo punto mi auguro, diventerebbe lei la titolare del bistrot e sarebbe tutto sotto la sua responsabilità. Se c'è qualcuno che può aiutarmi a recuperare le paghe che non ho ricevuto nel corso degli anni, quel qualcuno è Nicole.

Pensava che fossi arrabbiata, ma non riesco ad arrabbiarmi con lei, non quando il suo intento era quello di proteggermi. È una protezione diversa da quella che voleva darmi Jérémy con suo padre, perché Rashid non mi sembra affatto un uomo pericoloso... mentre mio padre lo è.

Ho visto cosa ha fatto al ragazzo che amo, per quanto non sia stato lui a picchiarlo e a ferirlo a quel modo durante la sera del compleanno del vecchio Lefort. Ma è stato in grado di pagare qualcuno perché lo facesse e a me tanto basta per spaventarmi. Ora che è a piede libero e in fuga, potrebbe venire qui e... E provare a concludere ciò che voleva accadesse?

Dal telefono, sento a distanza Nicole parlare con qualcuno, come se avesse posato il proprio cellulare per chiedere una mano a uno dei ragazzi. Un suono metallico mi perfora i timpani, seguito dal cigolio di un cassetto aperto.

«Ce l'abbiamo fatta. Ho il libro contabile, adesso controllo. No, Luis, si tratta di Alizée...» Ne ero certa, ha chiamato il nostro pasticcere. «Zézé, qui non ci sono uscite mensili a tuo nome, né altre cose che mi fanno pensare che zio ti mettesse lo stipendio da parte. Mi dispiace, avrei voluto aiutarti.»

Traggo un profondo sospiro, scaldandomi la mano libera attorno alla tazza. «Se a mio padre succedesse quello che spero,» ancora non riesco a dirlo a voce, «saresti tu a capo della Marée, giusto?»

«Di fatto lo sono già ora

«Nicole, potresti restituirmi dalla Marée tutti gli stipendi arretrati?» le chiedo, con il cuore in gola. «Non adesso e non tutti insieme, se ti dà troppi problemi.»

«Sì, certo. Sono soldi tuoi, Zézé, zio avrebbe dovuto darteli prima

Ma dandomeli mi avrebbe dato anche la libertà. Invece lui voleva tenermi ingabbiata.

«Ti prego, in futuro fammi sapere subito se succede qualcosa di strano, d'accordo?»

«D'accordo

La saluto e la lascio tornare al bistrot e ai clienti.

Scambio uno sguardo con Rashid, che ha ascoltato in silenzio la mia telefonata.

Si piega in avanti poggiando i gomiti sulle ginocchia e intrecciando le dita tra loro, nella posa di un uomo vissuto che vede i giovani finire nei guai e vanno da lui per risolverli. «Non ti è venuto il dubbio che volesse costringerti a rimanere lì e che la storia dello stipendio fosse una fesseria?»

«Non mi è venuto il dubbio: io ne ero certa. Ma fino a stasera non potevo averne la conferma, né potevo riottenere i miei soldi in alcun modo.»

Si ritrae tornando alla posizione di prima, mentre Jérémy e Marjorie ritornano da noi. Lui si siede di nuovo accanto a me e mi cinge le spalle in un abbraccio affettuoso.

«Non torneremo a Villeurbanne, mi hanno detto che capiscono la situazione e che ci aiuteranno» mormora.

Capiscono la situazione. Ci aiuteranno.

Scoppio a piangere, liberando la tensione che mi aveva attanagliata negli ultimi minuti. Non sono da sola a combattere contro tutto questo. C'è Jérémy, ci sono Nicole e Luis. C'è Odile che sta portando avanti la mia denuncia. C'è la Vulnus che si è schierata dalla nostra parte.

«Non potevi scegliere squadra migliore» gli dico.

Mi accarezza la guancia e mi stringe ancora a sé. «Risolveremo tutto, te lo prometto.»

Spazio autrice

Vi chiedo umilmente perdono per il giorno di ritardo, ma ieri non sono riuscita ad avere un momento per rileggere il capitolo. Spero che l'attesa sia stata ben ripagata!

Che ne pensate? Xavier si starà nascondendo o è partito alla ricerca dei nostri due innamorati? Cosa potrebbe fare se li trovasse?

Le risposte ci saranno nei prossimi capitoli e vi anticipo che anche nel prossimo ci sarà una brutta mazzata emotiva per Alizée (piccola mia!).

Baci a tutti e buon finesettimana!
Snowtulip.

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