Capitolo 25
Mi sveglio quando fuori è ancora buio o, magari, è ancora presto e le luci del giorno sono ancora lontane. Mi giro nel letto, rabbrividendo per il fresco della mattina. Dovremo prendere delle coperte, visto che tra un po' inizierà a fare più freddo durante la notte.
Infatti, Alizée si rannicchia su sé stessa appena muovo il lenzuolo. Se ripenso a ieri sera...
È stata fantastica, molto più delle altre volte. Si è spogliata di tutti i pensieri che le affollano la mente, ed è stata sé stessa. E io amo da impazzire il suo essere naturale e libera, molto più di quanto mi sia innamorato di lei nel corso dei mesi.
Si appoggia a me, cercando calore nel contatto fisico, così la stringo al mio petto e le accarezzo la schiena nuda. La sua pelle liscia è tanto fredda che voglio scaldarla ancora, che voglio avvolgerla tra le mie braccia, baciarla e farle sentire che con me può avere tutto ciò che non ha mai avuto.
Prendo il telefono, scoprendo che mi è arrivato un messaggio da mia madre, che mi ha scritto un'oretta fa. "Tesoro, noi stiamo partendo ora, in giornata arriviamo da te. Baci." Poi ha aggiunto un: "E saluta Alizée da parte mia".
Lei si muove nel letto, sinuosa come una creatura marina sotto il lenzuolo che ne avvolge le forme con eleganza. E pensare che a volte al bistrot sembrava così impacciata...
Mi chino sul suo viso, per lasciarle un bacio sulla guancia. Si riscuote appena, come se non volesse alzarsi dal letto. D'altronde, neanche io voglio muovermi da come sono, con Alizée nuda accoccolata su di me, con il suo braccio intorno al mio petto e la mia mano che le accarezza la schiena.
Sto bene, sto veramente bene accanto a lei.
La bacio di nuovo, stavolta cercando le sue labbra, e il mio bacio viene ricambiato, tanto che è lei ad aprire la bocca per metterci la lingua.
Le palpeggio un seno, e Alizée mi avvolge i fianchi con le gambe mentre salgo su di lei.
«Non pensavo che volessi farlo così presto» sussurro.
Apre gli occhi, con quelle ciglia lunghe e incantevoli, e sorride. «Perché? C'è un orario?»
Le lascio un bacio veloce e mi catapulto a prendere un preservativo dalla confezione regalo – che ieri abbiamo nascosto prima che i ragazzi facessero irruzione.
Me lo infilo e ritorno da lei, senza perdere tempo. Entro subito tra le sue gambe, iniziando a dare piacere a entrambi, ma Alizée mi fa cambiare posizione, finendo seduta sopra di me.
Se l'altra sera era stata incerta, ora si trova a suo agio, tanto più che non mi chiede di abbassare la tapparella e di nasconderci al buio, ma si gode totalmente il contatto con me.
E godo anche io, perché con lei è così fantastico che non si può esprimere a parole.
Scivola accanto a me sul letto, con il respiro affannoso, mentre io mi tolgo il preservativo e vado in cucina a buttarlo. Faccio per andare in bagno, ma lei mi anticipa e si fionda sotto la doccia, a togliere il caldo e la fatica degli orgasmi continui che ci procuriamo a vicenda.
Ne esce poco dopo, avvolta in un asciugamano, con le gambe nude.
«Oggi arrivano i tuoi?» mi chiede, memore di ieri sera.
«Sì.» Non dico altro, e faccio la doccia in un baleno. Dovrei dirle che mio padre è fissato con Gabrielle e che vorrebbe che tornassi con lei, ma non so da che punto iniziare il discorso. Preferirei non dirglielo e non doverne parlare: la rottura con lei non era stata semplice da superare. Oltre al fatto che lui è fissato con l'idea che debba sistemarmi e iniziare a sfornare figli. Strano che a Julie e Jeanne ancora non abbia fatto pressione perché si fidanzino o addirittura sposino...
Mi asciugo e metto qualcosa addosso. In cucina, Alizée ha preparato il tè per entrambi.
«Tra le cose che ci hanno portato i ragazzi ci sono dei tè» mi spiega, accennando a una confezione aperta. Le nostre tazze sono ancora fumanti, e il profumo dolce degli infusi permea l'aria della cucina.
«Non ti hanno messa in imbarazzo in qualche modo, vero?»
«No, affatto. Sono stata bene.» Indossa solo una maglia larga sopra alle mutandine. È tremendamente sensuale, solo la sua voce mi fa di nuovo salire il desiderio. «Tu?»
«Anche io» rispondo subito, sedendomi al tavolo della cucina. Dalla tapparella alzata di mezzo metro entra la luce del mattino, anche se per fortuna non ci batte il sole – altrimenti staremmo di nuovo morendo di caldo.
Lei, che stava prendendo lo zucchero e una confezione di biscotti, si ferma per un istante. «Ti sta suonando il telefono?»
Drizzo le orecchie e sento il volume basso della mia suoneria, così vado a recuperare il cellulare. È mia madre.
«Tesoro, come stai?»
«Bene, bene. Voi? A che punto siete?»
«Anche noi bene. Siamo atterrati poco fa e stiamo andando a prendere i bagagli. Non mi ricordo se riesci a venirci a prendere.»
Mi gratto la nuca, tornando alla mia colazione. «Temo di no, stamattina ho l'allenamento.»
Alizée mi scruta con viva curiosità, cercando di carpire l'intera conversazione, ma non dice nulla.
«Va bene, tesoro, allora ci vediamo quando hai finito. Magari possiamo andare a cena con voi, e ci raccontate come sta andando in Italia.»
Una cena. Significa che Alizée non vedrà mio padre prima di questa sera. Il che può essere un bene, così ho anche tempo di dirle della sua fissazione per Gabrielle.
«Sì, è una buona idea.» La saluto e le dico che ci vedremo più tardi.
«Quindi siamo a cena fuori?» sussurra lei, prima di soffiare sulla tazza ancora fumante.
«Sì. Preferivi rimanere a casa?»
Scuote la testa, e i ricci morbidi le ondeggiano intorno al viso. È una dea. «No, Jérémy. Mi piace, sai... tutto questo. È normale. E ne ho bisogno, mi fa stare bene.»
Sorrido, rincuorato. Dovrei dirle di mio padre, ma come faccio se lei è così serena? Come faccio a spiegarle che dà fastidio persino a me il suo impicciarsi della mia situazione sentimentale? Come faccio a rompere questa normalità che ha iniziato solo da poco a respirare a pieni polmoni?
Appena Jérémy mi lascia da sola per andare all'allenamento, mi butto di nuovo a capofitto nello studio dell'italiano. Sono ancora ai rudimenti, ma è una lingua per cui provo una particolare affinità e mi sembra semplice da studiare.
Da questo al parlarla correttamente sarà tutta un'altra storia, eppure mi fa sentire bene. Accendo la televisione, e guardo uno dei programmi del mattino, provando a capire quante più frasi possibile. È un gioco che mi diverte, ma non mi sembro così brava.
Mi siedo sul divano e faccio zapping tra i canali, finché non arrivo a quelli che trasmettono lo sport. Mostrano soprattutto repliche di calcio, ma decido di accontentarmi, nonostante non ne sia mai stata una grande appassionata. Se è per questo, anche di basket sono poco ferrata.
Rimango a guardare la televisione fino a quando Sasha mi scrive per sapere se sono libera. Le dico che sono a casa, se vuole raggiungermi, cosa che lei fa in pochi minuti. Forse era già pronta per uscire.
È avvolta in un vestito estivo, sembra che stia per andare al mare. Si muove con sicurezza nell'appartamento mio e di Jérémy, come se si sentisse a suo agio. Il tutto senza mettere a disagio me.
Scocca un'occhiata curiosa alla televisione. «Stai guardando l'Inter?»
«Sì, be'... Non so perché ho lasciato qui. Speravo di vedere un po' di basket e iniziare a capirci qualcosa, in realtà.»
«Niko ha una collezione di partite vecchie, se vuoi. E, poi, vedrai che imparerai di più venendo al Palavulnus volta per volta.»
«Ma domani ci saranno i genitori di Jérémy, che arrivano già oggi e ci andiamo a cena» le spiego. «Non voglio essere impreparata, loro magari saranno preparatissimi su tutto quello che fa lui.»
Per quanto Marjorie sappia già che non sono una grande appassionata di basket, non sono sicura di come la prenderebbe suo marito, che non ho mai incontrato. Lei mi aveva fatto una bella impressione, vorrei non essere da meno.
Sasha si siede sul divano e abbassa il volume della televisione. «C'è molto poco da sapere di base. Quando la palla finisce dentro il canestro va bene. Non puoi imparare tutto lo scibile in un paio di giorni, quindi stai tranquilla. A lui farà sicuramente piacere saperti lì a fare il tifo, no?»
Penso di sì.
«Vedrai che non sarà un problema» mi sorride, complice. «Devi solo essere più sicura in te stessa, a volte sembri un pesce fuor d'acqua.»
«Perché è come mi sento.» Ed è la verità. Sono ancora spaesata, sto cercando di trovare il mio posto. Mi sono liberata del controllo asfissiante di mio padre, sono libera di fare ciò che voglio.
Avere tutta l'infinità delle scelte mi destabilizza. Ora posso decidere io, e ora io non so cosa decidere per me.
Studiare italiano è una piccola cosa, una minuscola tessera di un mosaico ancora da comporre. E tra tutti i colori e le forme che mi si offrono davanti, ho solo l'imbarazzo della scelta, che esce di metafora e diventa vero e proprio imbarazzo.
«Hai già deciso che indossare stasera?» mi chiede.
«No.»
«Allora vediamo che hai nell'armadio. Se non c'è niente che ti vada di mettere, andiamo a fare un giro tra i negozi in centro.»
Sorrido, tra me e me. Mi piace fare shopping, era una delle poche occasioni in cui avevo il via libera da mio padre per avere una mezza giornata tutta per me. Sempre a patto che fossi da sola con Nicole, al massimo con Vivienne.
Sto iniziando a sentire la loro mancanza.
Mentre seguo Sasha verso la camera, invio un messaggio veloce a entrambe per chiedere come stanno. Insieme a lei vaglio tutti i vestiti... E la sua intuizione era giusta: non c'è niente che mi soddisfi.
Mi mordicchio il labbro. Se devo comprare qualcosa, dovrò per forza di cosa usare la carta di Jérémy, che ha lasciato sul comodino. Forse avrà pensato che mi sarebbe servita.
Teo mi passa il pallone tra le gambe di Niko, mentre mi ero smarcato tra Mike e il Fabbro. Afferro la palla tutto da solo, salto e schiaccio a canestro.
«Ma che cazzo» borbotta Niko, con la maglia bianca da allenamento. Invece io, Teo, Pala, Pippo e Léo stiamo giocando con quella verde. Bianchi contro verdi.
Pippo batte una pacca sulla spalla a Niko, con un sorriso sfacciato sulle labbra. Gli dice qualcosa in italiano, ma non riesco a capirlo.
Teo, invece, mi fa un semplice cenno di assenso, con la stessa espressione impassibile che aveva quando ci siamo incontrati al mio primo giorno qui.
Il coach soffia nel fischietto, segno che ci dobbiamo fermare. «Tu e tu.» Indica Mike e il Fabbro, colpevoli di avermi lasciato libero. «Quando c'è la difesa a zona, dovete stare attenti. Ok, che eravamo con la box and one, ma il one non era Jemmy! Dovete stare attenti!»
Mike annuisce, poi va a spiegarsi con Ryan perché anche lui si era mosso in modo non ottimale e mi aveva permesso di essere da solo.
Colucci si avvicina a me e mi assesta una pacca sulla spalla sudata. «Bravo, Jemmy.»
Bravo.
Che bello sentirselo dire, soprattutto dopo un anno e mezzo in cui sono stato sminuito sempre più giorno dopo giorno. È bello sapere di poter rinascere e dare il meglio di me.
Ricominciamo a giocare, con Mike e il Fabbro che fanno attenzione alla marcatura su di me, tanto che faccio fatica a liberarmi di nuovo per andare a canestro. Nonostante questo, riesco a creare un'occasione per Pala, che però tira sul ferro, e un'altra per una schiacciata di Léo.
Quando più tardi il coach ci dà il via libera, mi dirigo a passo spedito verso gli spogliatoi. Voglio sentire Alizée, magari sarà preoccupata per stasera. O magari no, visto che ha già conosciuto mamma.
Leggo subito il suo messaggio, ma non contiene nessun riferimento alla cena. Mi avvisa soltanto che usa la mia carta per andare a comprare qualcosa insieme a Sasha. Le dico che va bene – d'altra parte l'avevo lasciata a casa proprio perché la usasse.
«Pensieroso?» Niko mi schiaffa sotto il naso una delle sue scarpe maleodoranti.
«Niente di grave» rispondo, evasivo.
«Spero che dopo ieri sera, vi siate divertiti» ammicca, con aria divertita.
«Lascialo stare» interviene Pala. È il più tranquillo del trio, e sospetto che si sentirebbe a disagio se fosse lui vittima di tutte le insinuazioni che Niko fa quando allude a me e Alizée.
«Che c'è? Non hai idea di quello che abbiamo fatto io e Sash...»
«Spari cazzate per invidia?» Teo rompe il suo silenzio da monaco tibetano e ci fa scoppiare a ridere.
C'è un bel clima con i ragazzi. Mi hanno accolto a braccia aperte e mi trattano da amico. Non so se in Italia sia usuale, ma è un modo di fare che mi piace.
Ancora deve iniziare la stagione, ma credo di aver trovato il posto giusto per ripartire.
Guardo il mio riflesso allo specchio del camerino, con una gonna e una camicetta nuova, da annodare davanti sopra a una canottiera nera, come amo indossarle. Sono una via di mezzo tra l'elegante e il casual, magari andiamo di nuovo nel ristorante dove eravamo stati con Sasha e Niko.
Proprio lei bussa alla porta ancora chiusa. «Allora, come ti sta?»
Le apro e Sasha si limita a sorridere in segno di complicità.
Mi ricambio e indosso i vestiti di prima, con la canottiera color ottanio e una gonna a fiori che mi sono portata da Villeurbanne. Vado a pagare alla cassa tutti e tre i vestiti, soddisfatta della scelta.
Ci ributtiamo tra le vie allegre e colorate di Villafiore, tra i suoi palazzi di stampo rinascimentale, con i suoi colori tra l'ocra e il mattone e gli stessi portici in alcune strade che riparano dal sole e in cui il vento si insinua con dolcezza.
E tra tutta questa gente, tra tutta questa vitalità che brulica intorno a me, io non so ancora chi sono.
«Sei di nuovo nel tuo mondo.» Sasha cammina al mio fianco con la solita sicurezza di sé.
«Stavo pensando.»
«Se vuoi pensare ad alta voce, ti ascolto. Ci prendiamo un caffè?» Con il mento accenna a un bar non troppo distante da noi, in cui ci infiliamo subito.
Ci serve una barista gentile, dai tratti del viso un po' spigolosi ma con un sorriso spigliato e sincero, e poco dopo siamo sedute a un tavolino, con due tazze di cioccolata calda.
«Ti perdi nel tuo mondo così spesso?» mi chiede Sasha.
«Più o meno. A Villeurbanne era più facile» le dico, con sincerità. «Sapevo perfettamente cosa volevo o, meglio, cosa non volevo. Era facile sentirmi più me stessa perché ero forte di questa consapevolezza. Era facile tutto ciò che facevo o dicevo, persino nei momenti peggiori, quando temevo che mio padre avrebbe perso il controllo, o quando Pierre...»
Lascio in sospeso la frase, non riesco ancora a dire ad alta voce cosa mi stava facendo. O forse qui, lontana da dove sono accadute alcune cose, è più semplice prenderne le distanze e credere che faccia parte di un incubo relegato al sonno.
«Forse tutta la libertà che hai ora ti destabilizza. Ne hai troppa e non sai che farne» ipotizza Sasha. «Non devi più trovare un modo per sopravvivere a forze più grandi di te, come può essere la presenza di tuo padre e il suo imporsi sulla tua vita. Intanto riparti dalle certezze che hai.»
Le certezze che ho.
«Jérémy» le dico. «Per ora è l'unica certezza.»
Sospira, soffiando sulla cioccolata calda. «Non credo che sia l'unica. Hai iniziato a studiare italiano: altra certezza. Sei stata abbastanza forte da lasciare tua cugina, tua madre e i tuoi amici: altra certezza. Tuo padre ti deve una montagna di soldi per tutti gli anni in cui ti ha fatto lavorare gratis: altra certezza. Vedi qualcosa da cui ripartire?»
«I soldi che mi deve mio padre» realizzo all'improvviso. «Non posso dipendere da Jérémy.»
Sasha annuisce. «Esatto. Nonostante la vostra relazione, che mi sembra già molto solida nonostante sia così recente, devi essere sicura di poter contare su di te. Da quello che ho potuto capire, lui non si farebbe alcun problema a coprire le tue spese, ma è anche da qui che passa la tua libertà. È bello sapere di avercela fatta. Con questo non sto sminuendo tutto ciò che hai fatto finora, perché è fuori dall'ordinario, ma sto cercando di aprirti un nuovo orizzonte. Sei ancora spaesata, ma se hai un obiettivo il tuo spaesamento sparisce.»
Le sue parole mi colpiscono e mi permettono di capire che lei ci è passata davvero e che in passato questi sono i ragionamenti che ha fatto per sé stessa.
Devo trovare un obiettivo nuovo.
«Quei soldi sono miei» mormoro. «Ho lavorato tutti i giorni della settimana per mesi. Anni. Poche pause. E non voleva che me ne andassi. Praticamente ero schiavizzata.»
«Hai idea di come recuperarli?»
Dovrò chiedere a Nicole, non ho alternative. Ma lei potrebbe essere più all'oscuro di me su come...
«Alizée? Sei nel tuo mondo?»
«Forse mia cugina può aiutarmi.»
Spazio autrice
Pronti per la cena tra Jérémy e Alizée da una parte e Marjorie e Rashid dall'altra? Secondo voi andrà tutto bene?
Intanto, vi condivido un mio piccolo pensiero. Più scrivo (e credetemi, sto scrivendo un sacco della storia dei ragazzi di Villafiore), più mi rendo conto che Niko e Sasha sono ovunque: sono il vero collante tra le storie, e si dimostrano dei veri amici con tutti. E mi piace molto pensare a questa amicizia che i personaggi coltivano (sono sentimentale su tutto XD).
Piccola nota di colore: la barista che serve Sasha e Alizée è la nostra Alice (che abbiamo conosciuto in "Amore all'Overtime"). Vedete come è tutto collegato?
Per finire, ho un ultimissimo avviso per voi. Ho finito di scrivere tutta la storia di Cab. Mancano dodici capitoli (epilogo incluso) alla conclusione, poi potremo salutare Jérémy e Alizée (oppure potremmo rileggere da capo tutta la storia per non lasciarli mai!). Ma torneranno (anche se non so dirvi quando di preciso).
Baci a tutti, grazie per la lettura e buon finesettimana!
Snowtulip.
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