Capitolo 22
Esco dal negozio di telefonia insieme a Sasha. Prima di andare all'allenamento, Jérémy mi ha lasciato la sua carta di credito e mi ha dato le istruzioni per usarla. Mi ha detto che potevo spendere quanto volevo e che non sarebbe stato un problema... ma ho cercato di prendere un cellulare che non costasse troppo.
Il mio ha già qualche anno, così mi ha suggerito di cogliere l'occasione.
Ho anche comprato una card nuova da inserire nel telefono, cosa che Sasha mi ha consigliato di fare a casa sua, in tranquillità. Così insieme saliamo su un taxi – che poi paga lei – e andiamo nell'appartamento che divide con Nikola.
È stata discreta, non mi ha fatto domande sul motivo per cui ho bisogno di un telefono nuovo, non ha insistito per sapere perché mi servisse. Così come ieri sera quando si è resa conto che dentro di me si era spezzato qualcosa.
«Puoi metterti qui.» Mi indica il tavolo al centro di un salone ampio, posto di lato rispetto al televisore. Lancia la sua borsa sul divano e poi entra in una stanza che credo sia la cucina. «Vuoi un succo di frutta? Non ho altro da offrirti...»
Sono ancora in piedi, non ho preso posto al tavolo, ma solo poggiato la busta sulla sua superficie scura. Mi sento sempre a disagio in casa di qualcuno che conosco da poco. L'unica eccezione è stata per casa di Jérémy, a Villeurbanne. O forse perché con lui mi sentivo tanto bene da non pensare al disagio che avrei provato normalmente.
La raggiungo in cucina, dove sta già versando del succo in due bicchieri. Oltre a quelli, prende anche un pacco di biscotti, e mette il tutto su un vassoio di metallo che porta fino al tavolo del salone.
«Ti aiuto a copiare i contatti in rubrica?» mi chiede, passandomi uno dei bicchieri.
Le rivolgo un cenno di assenso, ma sono un po' incerta. Come posso spiegarle quali contatti devo salvare e quali no? E perché mio padre non dovrebbe esserci?
«Non sarà una cosa lunga» le dico.
«Meglio così, almeno fai in fretta.» Sorride, prima di bere il suo succo di frutta. È di una bellezza prorompente, di quelle che mettono in difficoltà solo standole accanto. Eppure, i suoi modi di fare sono così normali, che stento a credere che sia anche la figlia di un ex giocatore.
Chi è ricco di famiglia tende a essere stronzo, come confermano Pierre e i suoi amici.
Mi porge la busta con i biscotti, da cui ne prende uno anche lei. Abbiamo già infilato la card nel telefono mentre eravamo in negozio, grazie a un impiegato molto disponibile, e ora mi resta solo da copiare la rubrica.
Mi guardo intorno, l'appartamento di Sasha e Nikola ha degli spazi ampi. Non solo qui nel salone, ma anche la cucina è grande... E, da quel che vedo, anche il balcone, su cui ci sono un paio di sdraio con l'ombrellone.
Sasha si volta, notando che ho allungato lo sguardo verso l'esterno. «A Niko piace prendere il sole. Una volta l'ho beccato mentre era steso completamente nudo!» Ride, trovando divertente l'immagine del suo ragazzo senza vestiti indosso.
«Avete un bel rapporto» commento invece io.
Si porta una ciocca bionda dietro l'orecchio. «Siamo solo due idioti che si trovano bene insieme... Non credo che molte coppie siano come noi. O, almeno, non glielo auguro.»
Mangio anche io un biscotto, senza replicare.
Infatti, Sasha continua: «Per il poco che ti conosco, credo che se trovassi Jérémy nudo sul balcone ti imbarazzeresti».
Sorrido, perché sembra qualcosa che lui non farebbe mai. «Sì, sarei in imbarazzo.»
I suoi occhi chiari scintillano con aria allegra. «Prendiamo la rubrica, così ci togliamo il pensiero.»
Sblocco il vecchio cellulare e glielo passo. Lei scorre in fretta verso il basso, per farsi un'idea di quanti numeri abbia salvato. «Avevi ragione, sono proprio pochi.»
Ci mettiamo subito al lavoro, con Axel che è il primo. Fila tutto liscio, fino a quando arriviamo a mia madre. Decido di salvare il numero, per essere certa che nel caso in cui con mio padre dovesse finire bene – cioè, male per lui – possa ricontattarla. Ma ho un'esitazione di troppo che a Sasha non sfugge.
Fa per domandarmi qualcosa, ma poi continua e passa a dettarmi il numero di Nicole. Questo significa che tra poco arriveremo alla P.
«Il numero di tuo padre è...» inizia lei.
«Non devo salvarlo» la interrompo.
Sasha posa il telefono sul tavolo e mi rivolge un'occhiata seria. «Come mai?»
«È una storia lunga.»
«Se non vuoi parlarne, non sei costretta.»
Ha capito. Non so come, ma ha capito che si tratta di un tasto delicato. E solo per questo decido di farmi forza e parlarne. Devo mettermi alla prova, devo capire se riesco a raccontare tutto a un'altra persona, qualcuno che non sia stato dentro la mia situazione... E magari trovare ancora più sicurezza nella mia scelta.
Così inizio a raccontare, le dico di mio padre, della Mareé comprata insieme a mio zio, dei primi tempi in cui ho lavorato lì, dell'intrusione dei Lefort, del periodo difficile dopo l'incidente in cui è morto mio zio... E arrivo fino a ciò che mi è successo negli ultimi giorni.
Sasha mi ascolta con attenzione, ogni tanto riempie il mio bicchiere, ogni tanto mi ferma e fa domande o commenta Pierre e il suo essere un essere fastidioso e ripugnante... Ma è partecipe e sembra sinceramente interessata al mio passato, alla mia storia.
«Spiega perché sei così in imbarazzo con tutto quello che succede» dice alla fine. «Devi ancora trovare la tua strada, la tua affermazione di te.»
«Ho scelto di andare via... quindi in qualche modo la sto prendendo» provo a dire.
Sorride, amorevole. «Quella è stata l'unica via che avevi per liberarti da una situazione asfissiante. Ora devi rinascere. Lo capisco, l'ho passato anche io quando sono andata via da casa dei miei per convivere con Niko. La mia situazione era meno pesante della tua, ma mi è costata tanto. Stavo con Niko solo da pochi giorni... quindi ti capisco.»
Mi capisce.
Anche lei ha vissuto qualcosa di simile e l'ha affrontato. Il suo discorso mi stupisce quasi più del mio coraggio di parlarne, seppur con imbarazzo in alcuni tratti.
«Che intendi con rinascere?»
«Intendo che devi trovare qualcosa di tuo, di veramente tuo con cui riempire il tuo tempo e le tue giornate. Può essere un lavoro, oppure una passione da coltivare. Visto che hai lavorato da quando hai finito le superiori, puoi prenderti una pausa per capire cos'è che ti piacerebbe fare davvero.»
Cosa mi piacerebbe fare.
«Una volta ne ho parlato con Jérémy» le racconto. «E gli ho detto che avrei voluto studiare le lingue straniere all'università... Ma forse con un corso farei prima, e potrei approfondire per conto mio gli aspetti che mi interessano.»
Sasha si trattiene dal saltare sulla sedia. «Bene, vuoi frequentare un corso di lingua. O più di uno. Da quale vorresti partire?»
«Non lo so» ammetto. «Una certificazione alta in inglese sarebbe utile, ma ora che mi trovo qui avrebbe più senso studiare italiano, no?»
«Sì, ha senso» annuisce lei. «Parlane con Jérémy, magari vuole impararlo anche lui.»
Mi sistemo in post basso, marcato da Daniele Palanca – che tutti qui chiamano "Pala". Teo Milinkovic finge di tirare, poi mi passa il pallone, così faccio un paio di palleggi per aggirare Pala e salto per schiacciare a canestro.
«Bene, bravo!» mi incita Colucci. «Pala, fai più attenzione, non puoi farti saltare così!»
«Ma devo fare fallo?» gli chiede lui. «Così sono due punti più il libero?»
«Lo devi fare prima dell'azione di tiro!»
I due continuano a discutere, mentre anche Niko e Ryan Hill si intromettono per altri chiarimenti.
Teo mi si accosta. «Se ci riesci, prova a fare una finta prima di saltare. Se sei sotto canestro, potrebbero marcarti in due, e invece devi farli girare dalla parte sbagliata.»
«Grazie» gli dico. È un buon consiglio, e da uno come lui mi farei consigliare qualsiasi cosa.
Qualche minuto più tardi Colucci ci dà il via libera per andare a cambiarci, così mi incammino verso lo spogliatoio insieme a Pala e Marco Regis, uno degli altri ragazzi italiani della squadra. Ci entriamo insieme mentre Pippo sta mimando qualcosa di osceno davanti a Niko.
«Oh, no, basta...» Pala scuote la testa, sedendosi sulla panca per spogliarsi.
«Che succede?» gli chiedo, ma non serve che mi risponda.
«Quindi poi siamo saliti in camera e lì... Non puoi capire che mi ha fatto.» Pippo ha iniziato a parlare in inglese, per far capire anche a me, immagino.
«Ecco perché sei stanco!» ride Niko. «Ci hai dato dentro tutta la notte!»
«Non sono stanco, ma rigenerato» lo corregge Pippo, con un sorriso soddisfatto.
«E tu?» mi chiede Niko, lasciandolo perdere. «Hai fatto vedere la tua Tour Eiffel alla tua ragazza?»
Pala scoppia a ridere. «Ma non dire cazzate!»
Rido anche io, ma non rispondo. La metafora era pessima e l'ultima cosa che voglio è parlare di Alizée in certi modi.
«Tour Eiffel non si può sentire» dice Pippo, lanciando un asciugamano in faccia a Niko.
Ci cambiamo e pranziamo insieme al resto della squadra, che non bada ai loro discorsi da cavernicoli. Poi li lascio in fretta per andare in albergo, dove mi aspetta Alizée per andare a vedere la prima casa.
Lei è già pronta, indossa dei jeans e una maglietta chiara che le risalta il colore degli occhi. Mi incanto a guardarla: è splendida ogni volta come se fosse la prima. E l'avventura in cui ci siamo imbarcati insieme la rende ancora più bella.
Poso il borsone della Vulnus da parte e le lascio un bacio a fior di labbra, ma è lei a baciarmi con più intensità.
«Com'è andato l'allenamento?» sussurra prendendomi per mano, prima di precedermi fuori dalla stanza.
«Bene» le rispondo, e attacco a raccontarle dei ragazzi e del clima che c'è con loro. Evito di riferirle le chiacchiere da spogliatoio, perché non so come le prenderebbe. Con Niko e Sasha si era trovata bene e non vorrei farle cambiare idea.
Alla fine non ha detto nulla di male, si è solo limitato a fare un'insinuazione su come abbiamo trascorso la nottata.
«Tu, invece? Hai fatto tutto?»
«Sì, ho tutto. Ho ancora la tua carta...» Fa per prendere qualcosa dalla borsa, ma le faccio cenno di no.
«Tienila tu.»
Arriviamo alla hall dell'albergo, prima di raggiungere fuori il taxi che mi ha portato fin qui. Avevo chiesto all'autista di aspettarmi perché sarei tornato presto.
Prendo posto all'interno, accanto ad Alizée, che mima con le labbra che deve parlarmi.
Suo padre?
Do l'indirizzo al tassista, che riparte subito. La corsa in taxi procede tranquilla e senza impedimenti, fino a quando l'uomo, un tipo barbuto sulla cinquantina, accosta al punto in cui dovremmo essere arrivati e si volta per guardarmi ai sedili posteriori.
«Ma tu sei... Jérémy Arnaud?» mi chiede.
Annuisco.
«Sono proprio contento di averti qui, e di averti avuto sul mio taxi. Proprio contento.»
Gli sorrido, riconoscente, e pago la corsa, mentre Alizée mi precede sul marciapiede. Scendo anche io dalla vettura e lui riparte. Mi guardo intorno, non sembra esserci traccia di nessun agente immobiliare.
La zona è residenziale e ha l'aria di essere tranquilla. Ci sono alcuni palazzi, i cui balconi strabordano di fiori e piante rampicanti.
«Sembra una zona carina» dico.
«Sasha e Niko abitano qui.» Alizée si guarda intorno, come se cercasse qualche punto di riferimento. «Credo proprio a questo portone.» E accenna a quello davanti cui stiamo aspettando.
Possibile, la società potrebbe aver aiutato anche lui a trovare una sistemazione.
«Come ti sei trovata stamattina con lei?» le chiedo.
«Bene. Secondo te posso fare un corso per imparare italiano?»
Italiano. Voleva studiare Lingue, e quindi essendo qui coglierebbe la palla al balzo. Mi sembra un'ottima idea.
«Certo, perché no?»
Sorride, illuminandosi. Intreccia le dita alle mie e si avvicina ancora di più a me. Si sporge sulle punte dei piedi per arrivare a baciarmi e io la stringo, con una mano che le accarezza la schiena. Assaggio il suo sapore, godendomi la sua lingua intrecciata alla mia.
La amo, la amo pazzamente.
Si allontana da me solo per un istante, per poi baciarmi ancora. Fisso le sue ciglia lunghe e i suoi occhi ancora chiusi, che si aprono quando sente una vibrazione dalla tasca dei miei pantaloni.
Mi sta telefonando qualcuno. Niko.
Clicco sulla cornetta verde.
«Latin lover, a ore dieci!» ride lui.
«Che succede?» mi chiede Alizée.
Cerco con lo sguardo intorno a me, e lo vedo. La Jaguar di Niko è parcheggiata più in avanti lungo la via e lui è all'interno.
«Ho dei compagni di squadra veramente stupidi» le spiego, prendendola per mano, mentre dall'automobile sbucano Niko, Pippo e Pala.
«Se ti mancavo potevi dirmelo, invece di appostarti sotto casa mia» mi prende in giro Nikola, facendo ridere Alizée.
Filippo gli dà una manata dietro la testa, come a dirgli che è un idiota, mentre Pala si avvicina a noi a grandi passi, lasciandosi indietro gli altri due.
«Come mai qui?» mi chiede.
«Dobbiamo vedere un appartamento» gli rispondo sbrigativo. «Alizée, lui è Daniele. Quell'altro è Filippo.»
Lei stringe la mano ai ragazzi, anche a Pippo che ci raggiunge in un secondo tempo.
«Se volete, potete venire da noi quando avete fatto» ci dice Niko.
«Non lo so, ragazzi.» Metto le mani avanti. Non riusciamo a stare insieme in tranquillità addirittura da quando eravamo a Villeurbanne. Dopo che ieri sera si è presa quel brutto spavento legato al padre, vorrei riuscire a ritagliarmi del tempo con lei.
Alizée mi scruta sorpresa.
«Volevo passare la serata con te» mormoro, intrecciando le dita alle sue, e lei sorride, senza dire nulla. Forse si imbarazza a prendere posizione davanti ai miei compagni di squadra.
Dal fondo della via, vedo arrivare un uomo in giacca e cravatta, che ha proprio l'aria di essere un agente immobiliare. Così salutiamo i ragazzi, che entrano nel portone.
Entriamo nell'appartamento, spazioso. La luce del tramonto filtra attraverso le tapparelle, facendomi venire in mente la prima volta in cui sono stata a casa di Jérémy. Lui si sta già guardando intorno, ascoltando l'agente immobiliare che ci guida, mostrandoci le varie stanze e tutti i comfort che ha da offrire.
Il bagno ha una vasca idromassaggio, la cucina è dotata di lavastoviglie, e in una stanzetta ci sono lavatrice e asciugatrice. Non ho mai usato un'asciugatrice.
Le pareti sono bianche, catturano i raggi del sole e li restituiscono a tutto l'ambiente. I mobili sono bianchi e neri, in modo da non stonare troppo con l'ambiente, tranne il bagno, piastrellato di azzurro.
È simile all'appartamento di Sasha e Nikola, anche se è disposto in maniera diversa. E anche se loro hanno impresso la propria impronta dopo averci vissuto a lungo.
«Vi lascio un po' a gironzolare per farvi un'idea» ci avverte l'uomo, prima di allontanarsi da noi rispondendo a una telefonata.
Jérémy picchetta sulle dita sul piano cottura della cucina, con aria riflessiva. Posa lo sguardo nel mio, così caldo che mi sembra di prendere fuoco. «Che ne pensi? Ti sentiresti a casa qui?»
Gli porto le braccia al collo, appoggiandomi al suo petto. Mi stringe a sé, accarezzandomi la schiena.
«Penso che potrebbe andare bene. Vorrei iniziare presto a sentirmi a casa.»
«Quindi ci trasferiamo qui?»
Lo bacio a fior di labbra. «Sì.»
Quando l'agente immobiliare torna, Jérémy si mette d'accordo con lui per vedersi domattina e firmare tutte le pratiche per l'affitto. Poi scendiamo insieme al piano terra e ci congediamo dall'uomo, che si allontana per la sua strada.
«Il posto mi piace» gli dico. «Sembra tranquillo, e poi ci sarebbero anche Sasha e Nikola vicini.»
Li conosco solo da poco, ma avere già qualche piccolo contatto per me è molto importante. Mi fa sentire meno spaesata, meno dispersa in un luogo con cui devo ancora familiarizzare.
Jérémy sorride, in un modo che mi fa sciogliere da dentro. «Piace anche a me. Per questa sera, io direi di...»
Gli porto l'indice sulle labbra, facendolo tacere.
«Hai ragione, anche io vorrei stare da sola con te. E magari fare qualcosa che non facciamo da un paio di giorni.»
L'arrivo qui a Villafiore è stato frenetico e tra una cosa e l'altra non siamo riusciti a stare da soli e a prenderci del tempo per noi. Non che mi dispiaccia aver conosciuto i suoi compagni di squadra e, anzi, sono curiosa anche degli altri, così come sono stata bene insieme a Sasha... ma le sensazioni che provo nello stare con Jérémy in camera, tra le lenzuola, mi mancano.
Ci incamminiamo verso la zona dov'è il nostro albergo, godendoci la luce del tramonto e l'aria che si fa più tiepida con l'avvicinarsi della sera. Lui mi tiene per mano, chiacchiera tranquillo nel raccontarmi come è andato l'allenamento.
«Sai, Teo è molto silenzioso» mi dice. «Parla poco ma è molto attento. E dice solo cose sensate. Oggi mi ha dato un buon suggerimento, non vedo l'ora di metterlo in pratica in partita.»
«Posso venirvi a vedere?» gli chiedo. Se il nuovo allenatore lo farà giocare più di quello all'Asvel, mi piacerà essere lì per constatare ancora di più con i miei occhi ciò che sa fare in campo.
«Certo che puoi, ti voglio in prima fila» sorride, come se ripensasse a quella sera di un paio di settimane fa, a quella partita in cui l'ho visto giocare la prima volta.
«Allora devo iniziare a capire un po' di più di basket» ragiono ad alta voce. «Cioè, so solo quando il canestro è da due o da tre...»
Jérémy ride. «Se vuoi, possiamo vedere una partita insieme e ti spiego qualcosa.»
Mi fermo a guardare una libreria. «Secondo te avranno un manuale di italiano? Così posso iniziare presto a imparare qualcosa.»
«Scopriamolo.» Mi precede all'interno. «Così poi me lo insegni.»
«Facciamo lezione di basket in italiano» lo prendo in giro.
Lui ride ancora una volta e mi fa andare avanti per parlare con la libraia.
Spazio autrice
Piccolo capitolo di passaggio (lo so, lo dico quasi ogni settimana, ma i fuochi d'artificio arriveranno tra poco). Però ci sono alcune cose interessanti, no?
Intanto, Alizée ha trovato il coraggio di confidarsi con Sasha e lei e Jérémy hanno avuto un colpo di fortuna con il nuovo appartamento. Che dite, si ambienteranno bene lì?
Inoltre, abbiamo la conoscenza tra Alizée e i nostri Filippo e Daniele (presto conoscerà anche gli altri).
Domandina speciale perché ho questo dubbio: come vedete Sasha da amica? Nella storia di Elena compare troppo poco per avere un peso rilevante, mentre nella sua è protagonista... Questa è la prima volta che vedete che tipo di amica sia. Spero che vi piaccia💖
Grazie per la lettura e baci a tutti,
Snowtulip.
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