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Capitolo 2

Esco dalla stanzetta in cui mi cambio, mentre Nicole si costringe a ridere a una battuta squallida di Pierre – o, almeno, è così che sembra senza aver sentito le sue parole. E non credo di essermi persa granché. Un riflesso obliquo della luce del tramonto si riflette sul bancone, quasi accecandomi, tanto che devo portarmi una mano davanti al viso per schermirmi.

Per fortuna rimarrò qui solo per poco.

«Stai andando a casa?» mi chiede Pierre, inarcando un sopracciglio. Oggi è stato scontroso per quasi tutto il tempo che ha trascorso qui: deve avergli dato fastidio il mio rifiuto di ieri. Non vorrà di nuovo invitarmi a uscire? O vuole solo sfinirmi perché ceda alle sue avances squallide?

«Sì, è quello che fanno le persone quando finiscono di lavorare» ribatto, secca. Magari mi lascia in pace.

«Andiamo, ti accompagno.»

Cosa? No!

Cerco Nicole con lo sguardo, ma è stata allontanata da mio padre, che ha preso il suo posto dietro il bancone. Deve aver orchestrato tutto insieme a Pierre, in modo da impedirmi di rifiutare.

«Buona idea, non mi piace la gente che sta iniziando a girare qui di sera» dice mio padre.

Se potessi, lo fulminerei con lo sguardo. Perché si infila in questa conversazione quando è palese che sto cercando in ogni modo di respingere Pierre? Perché gli importa così poco di me, al punto da usarmi come pedina per migliorare lo status del bistrot? Perché nessuno si mette in mezzo per dirgli che è troppo invadente?

Capisco Nicole, Vivienne, Axel e Luis, perché lavorano qui e rischiano il posto, ma i clienti? Perché il solito commesso del negozio di scarpe qui accanto non gli dice mai che deve rispettarmi? Perché la signora distinta che sta sorseggiando il suo aperitivo con la madre si limita a strabuzzare gli occhi, invece di intervenire?

Perché mi sento così sola a lottare per un po' di rispetto?

«Non c'è bisogno che mi accompagni nessuno, so raggiungere casa con le mie gambe» dico, risentita. Spero che Pierre e mio padre capiscano quanto mi infastidiscano, ma temo che siano speranze vane.

Infatti, Pierre non perde tempo e appena sono all'aperto me lo ritrovo accanto. «Tuo padre ha ragione, questa zona rischia di diventare pericolosa per una ragazza.»

«Cusset non è mai stato una zona pericolosa, è per questo che ha aperto il bistrot qui» replico, fredda. Non ci sto che dicano sciocchezze solo perché così ha la scusa per starmi appiccicato, non voglio essere vista come una bambola di porcellana da accudire. Ed è quello che loro stanno facendo, rendendo ancora più asfissianti le mie giornate. Non ne posso più.

«Allora, come stai?»

«Sei stato tutto il giorno da noi, sai benissimo come sto.» Vuole fare conversazione? Che pena.

Ci fermiamo per attraversare a un semaforo, e Pierre prova a tenermi per mano, ma allontano subito il braccio da lui per farmi aria. Vorrei che capisse il messaggio – cioè che non lo terrei per mano neanche se fosse un calorifero e fossimo in pieno inverno – ma, di nuovo, dubito che gli importi di coglierlo.

«Pensavo che stessi meglio, visto che ora sei libera.»

Libera? Cosa odono le mie orecchie?

Roteo gli occhi al cielo, infastidita. Ho questa palla al piede di cui non so come liberarmi, non mi sento meglio. Né tantomeno libera.

Rimango in silenzio – e Pierre ha la decenza di non aprire più bocca fino a quando non arriviamo al portone.

«Allora, ciao» mi dice, con una finta aria impacciata.

Cosa dovrei rispondergli? Grazie per la compagnia non richiesta? No, così lo ringrazierei... Meglio qualcosa che possa fargli passare la voglia di trattenermi qui.

«Addio.» Faccio per voltarmi, ma mi attira a sé, prima stringendomi tra le braccia, e poi avvicinando il viso al mio. Sta provando a baciarmi?

Lo lascio illudersi, ma appena chiude gli occhi e avvicina le labbra, sfuggo alla sua presa. Aveva allentato, convinto che ormai fossi caduta nella sua trappola, ma lo lascio lì da solo e sparisco dietro al portone prima che possa rendersene conto.

Cammino a passo svelto alla rampa di scalette che portano all'ascensore, dove non può più vedermi, e mi prendo un momento per respirare. Non ha osato seguirmi – e per fortuna, perché mi sento ancora un po' spaventata dalla sua sfrontatezza.

Che gli è saltato in mente? Non ha accettato che il mio rifiuto di ieri e ha usato la scusa del salutarsi per baciarmi? Come ha solo potuto pensare che fossi così stupida da cascarci?

Mi sento il cuore in gola, tanto che quando arrivo a casa e mi butto sul letto mi sento ancora la testa che gira e non ho ancora realizzato del tutto. Se questo è quello che ha intenzione di fare finché non accetto le sue stupide avances, sono in grado di farmi accompagnare a casa tutti i giorni da Vivienne o Nicole.

«Tesoro, sei già qui? Pensavo che arrivassi più tardi.» Mi madre si affaccia alla porta della camera. Aggrotta le sopracciglia, con il grembiule violetto sporco di schizzi di olio ancora lucenti.

«Già. Ho fatto presto.» La seguo in cucina, così può riprendere a preparare la cena. Della carne sta cuocendo in una pentola, insieme a olive e alcuni rametti di rosmarino. Il profumo è delizioso. «Pierre mi ha accompagnato a casa e volevo scappare da lui il prima possibile.»

La butto lì, cercando di tastare il terreno. Lei non mi guarda, non vede la mia espressione nauseata perché è concentrata nel girare lo spezzatino con un cucchiaio di legno. I capelli, castani come i miei, sono raccolti sulla nuca con un fermaglio. Una ciocca un po' riccia sfugge dall'acconciatura improvvisata e le ricade lungo il viso, così come io acconcio i miei... In modo che sembri una sirena uscita dal mare.

Il profilo di mia madre assomiglia al mio, con il mento appuntito, il taglio degli occhi che si assottiglia per lanciare sguardi intorno ma che si spalanca per mostrare qualsiasi emozione forte. Anche se io invece provo emozioni forti solo quando mi ritrovo Pierre nei dintorni. Emozioni forti e spiacevoli.

«Non ti piace la sua compagnia? È un bel ragazzo, con un conto in banca a sei zeri... Ci sono tante ragazze che vorrebbero uno come lui.»

Che è un bel ragazzo potrei essere d'accordo, anche se si atteggia da pavone vanitoso. Sul conto in banca non posso dire nulla, i soldi sono un dato di fatto... «Se tante ragazze lo vorrebbero, che si facessero avanti, è tutto loro.»

«Tesoro, ma Pierre ha perso la testa per te. Non te ne rendi conto? Farebbe qualsiasi cosa pur di compiacerti e di esserti gradito.»

«Allora potrebbe sparire e ne sarei molto più che compiaciuta.»

«Non dovresti parlare così. Hai un carattere fastidioso, potresti non piacere a tanti ragazzi... E invece lui accetta anche le tue rispostacce. Avreste dei bambini bellissimi, siete due ragazzi con una bellezza fuori dal comune!»

Solo l'idea di farmi mettere incinta da Pierre mi dà il voltastomaco e mi fa salire la nausea. Per non parlare della gravidanza o del rischio di avere un figlio che abbia i suoi stupidi capelli biondi o la sua faccia da impunito.

«Non ci tengo.»

Lei rimesta la carne con un cucchiaio di legno. «Cambierai idea. Quando un ragazzo così affascinante si mette in testa una cosa, è difficile dirgli di no.»

«Ma io non ho intenzione di dirgli di sì.»

«Potresti almeno dargli una possibilità, no?»

Scuoto la testa, anche se lei non può vedermi. Mio padre l'ha intortata bene con i suoi ragionamenti stupidi sulla convenienza di sposare Pierre e su quanto sarebbe meglio per tutti. Si sono dimenticati di un piccolo dettaglio: che non è quello che voglio io.

Lei avrebbe accettato, ma è la prima a non avere abbastanza spina dorsale da imporre un rifiuto. È talmente ammaliata dal marito che crederebbe a qualsiasi sciocchezza che le dice. Io, però, non sono così: voglio prendere le mie decisioni senza lasciarmi influenzare da nessuno. Né dai miei genitori, né da quell'imbecille di Pierre.

"Noi veniamo tra qualche giorno, intanto fai riposare mamma, sono mesi che non si prende una pausa!" è il messaggio che mi ha scritto Jeanne mentre ero sotto la doccia. Mi tampono la testa con un asciugamano e poi passo alle treccine, che altrimenti continuerebbero a grondare acqua.

"Sì, certo" le rispondo al volo. "Tu e quell'altra non fate ammattire papà."

"Noi non facciamo proprio niente!" mi scrive lei, con un'emoticon scocciata.

Certo, non fanno niente... Lei e Julie sono due gemelle pestifere. Ma almeno sono solo pestifere e hanno abbastanza sale in zucca da non finire in brutti giri. A volte vorrei essere con loro tutti i giorni, invece di ritrovarmi a dover messaggiare o a fare delle videochiamate. Stare insieme nel quotidiano sarebbe diverso, soprattutto ora che sono grandi e non mi darebbero così sui nervi come facevano da bambine, quando ero la vittima preferita dei loro scherzi.

Non dimenticherò mai di quella volta in cui hanno infilato delle uova nel mio zaino del basket e quando ero arrivato all'allenamento si erano tutte rotte rovinandomi una preziosissima canotta dell'NBA... Quella volta hanno preso una strigliata pazzesca, e sono stato stupito nel non vedere mio padre alzare le mani su di loro.

Credo che avermi visto piangere disperato sia stata una buona punizione. Ripensandoci adesso, mi rendo conto anche io che il loro era solo uno scherzo stupido e che non volevano davvero rovinarmi la canotta di Jordan.

Finisco di prepararmi per uscire e leggo il nuovo messaggio di Jeanne.

"Oggi tutto il giorno allenamento?"

"No, solo oggi pomeriggio. Voi due pensate a studiare, non voglio sentire mamma che si lamenta perché siete due pigrone!"

"Neanche tu andavi bene a scuola!"

"Ma non mi hanno mai bocciato. Quindi impegnatevi tutte e due."

E almeno io andavo benissimo almeno in due materie. Certo, le materie erano arte e ginnastica, ma in quelle avevo una media dal nove in su!

Muovo le dita per aggiungere qualcos'altro al messaggio, ma il telefono inizia a vibrare. Adrien Blanc, il mio agente, mi sta chiamando.

Rispondo, mentre acciuffo le chiavi di casa e della macchina ed esco. «Dimmi che hai una buona notizia.»

«All'incirca. Ho un paio di offerte. La prima è del Patrasso, in Grecia. Giocano in Eurocup e puntano a dare fastidio a Olympiakos e Panathinaikos per il campionato. Ma l'anno scorso non hanno fatto niente di che, e il loro mercato non mi convince, non mi sembra una squadra in cui puoi dare il meglio.»

Mi travolge subito con la sua parlantina, mentre io sto ancora carburando. La doccia non è servita granché a svegliarmi, ma solo a lavarmi per essere presentabile. Stanotte ho sudato come un maiale per il caldo, perché ho lasciato il condizionatore spento.

«Sì, bene, tanto non sarei andato lì. Che altro hai?»

«Il Valencia ha avanzato un'offerta, ma l'allenatore è stato vice di Tremble sei anni fa, quindi penso che sia in buoni rapporti con lui. Non so se vuoi assumerti il rischio, ma io ti sconsiglio di farlo.»

«Già, non sarebbe una buona idea. Potrei finire tagliato da un giorno all'altro senza sapere perché.» Salgo in macchina, metto il vivavoce e parto. Prima di andare a prendere mamma alla stazione, in pieno centro di Lione, ho proprio bisogno di un ginseng. Di sicuro troverà il modo di tirare fuori il discorso del "non ho una ragazza" e non ce la faccio ad affrontarlo.

Almeno vedere Alizée può darmi la carica morale di affrontare l'argomento.

«Senti...» esito, perché ho paura che la mia domanda non abbia la risposta che spero. «Di Eurolega niente?»

«Il Barcellona mi ha chiesto informazioni, così come la Stella Rossa e l'Efes... Ma ti dovrai inserire lentamente in rotazione, e potrebbero volerci almeno un paio di mesi. E c'è il rischio che se in Eurolega non ti dimostri all'altezza o se perdono qualche partita di troppo, ti taglino alla prima occasione utile. Quello che ti serve ora è giocare, dimostrare che sei uno che in campo sa il fatto suo. Hai venticinque anni, dovresti essere nel pieno della tua carriera, non... Insomma, non voglio sapere che soffri perché non ti danno lo spazio che meriti. Secondo me è meglio scendere di categoria e guadagnare l'Eurolega sul campo. Per questo il Valencia sarebbe stata un'ottima opzione, con un allenatore diverso.»

Sospiro, fermandomi a un semaforo. Il suo discorso ha senso, ma una vocina dentro di me mi dice che se non vado in Eurolega avrà ragione Tremble. Ma cosa sarebbe peggio, farsi tagliare da una squadra di alto livello o giocare in una squadra meno blasonata, ma con cui spaccare i culi agli avversari, in più giocando titolare?

Non devo neanche pensarci.

«D'accordo, vada per l'Eurocup. Ma voglio una squadra che punti a vincerla, perché quello stronzo non può avere ragione e pensare che io non valga niente. Un progetto serio che punti a crescere nel tempo e ad alzare sempre di più l'asticella. I soldi non sono un problema, lo sai.»

«Ci sono campionati da escludere a priori?»

«Guarda le squadre, non i campionati. Una squadra che punti a vincere l'Eurocup e che, oltre a volermi, abbia anche bisogno di un giocatore come me.» Parcheggio in un posto libero davanti al ristorante cinese. Nella via parallela a questa c'è La Mareé du Jour, ormai sono quasi arrivato. «Adrien, mi fido di te. Magari mettici un po' di più e non farmi accettare la prima offerta che trovi, ma vediamo se ce ne sono diverse e le vagliamo insieme.»

«Ti faccio sapere appena ho qualcosa, non devi rispondere di sì al primo che ti cerca. Vedo cosa esce fuori e ti informo al più presto, d'accordo?»

«Sì, certo.» Saluto un con cenno uno dei pensionati amici del vecchio Lefort, che sta entrando prima di me. «Sono arrivato, devo andare.»

«Non spaccare la faccia a Tremble, anche se lo odi. Mi complicheresti il lavoro

«Va bene, sarò cauto. Grazie.»

Mi saluta anche lui e chiudo la telefonata. Da dietro il vetro dell'ingresso, riesco a vedere Alizée scendere dalla pedana dietro al bancone e avvicinarsi impacciata a un tavolo vuoto.

Ora sì che la mia giornata è migliorata.


Spazio autrice

Scusatemi per l'aggiornamento tardivo (sono riuscita a liberarmi solo ora), ma spero che il capitolo possa farmi perdonare.

Siete pronti a leggere il primo incontro tra Jérémy e Alizée dopo quello del prologo? Dovrete aspettare ancora una settimana (e spero che ne sia valsa la pena, visto che per ora sono su due binari diversi!).

​Buon finesettimana e baci a tutti,
Snowtulip.

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