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CAPITOLO 43-Plastica rimossa

(Claudia) [Sì, credo che i tempi siano già maturi perché si passi a questi nomi. (n.d.A.)]

Quando la luce bianca dell'ascensore dietro di me abbandona lo scenario, mi sento completamente sola.

Sono sulla soglia del tunnel rotondo che contiene appunto l'ascensore a teletrasporto. Quassus... ehm, Stefano, se n'è appena andato, diretto alla sua sala.

Davanti a me, c'è una parete bianca, che prosegue verso sinistra formando un corridoio curvo. A destra un muro sbarra la strada. Tutto è muto: non sento alcun rumore oltre al ronzio del drone.

Appena giro la testa verso sinistra, vedo che tutto il corridoio curvo, di un candore asettico, si volge verso la mia destra. Se dovessi indovinare che forma avrebbe questa struttura dall'alto, sarebbe a chiocciola. Anche se non ho idea di cosa ci sia oltre la parete curvilinea.

Non c'è nulla oltre al bianco. Riesco a definire i contorni solo grazie al tracciato delle lampade sul soffitto, che proiettano qualche ombra assieme alla loro luce, e da qualche retta grigia di vernice disegnata sull'angolo tra muri e pavimenti. Senza di quelli, mi sembrerebbe di essere in un vuoto candido.

I miei passi sono lenti mentre percorro il corridoio. Sebbene siano solo prudenti, sembrerebbero stanchi. Questo posto curva continuamente, verso destra. Mi ritrovo dopo qualche passo ad avere davanti agli occhi una scena identica a quella iniziale. Ed intendiamoci: facendo un passo i miei occhi ricevono un'immagine diversa solo perché ci sono spazi tra le lampade. Se, poniamo, fossero un'unica lampada lunghissima che seguisse la curvatura del corridoio, come i bulbi allungatissimi di certe insegne al neon, camminando vedrei sempre la stessa cosa.

Continuo un altro po'. La curva è abbastanza larga e prospetta ci sia ancora strada da macinare. Così affretto il passo, accelerando quella specie di flipbook di immagini continuo.

Ma il tutto termina prima di quanto avrei previsto.

Infatti, di colpo, a destra vedo una porta nera.

Finisco di camminare finché non sono di fronte.

"Tutto qui?" mi verrebbe da chiedere.

È così facile accedere alla plancia? Devo solo spalancare quel rettangolone?

So che c'è qualcosa sotto.

Ma posso fare solo una cosa.

La mia mano fluttua verso la superficie scura. A giudicare dal tatto, è legno.

Non ci sono maniglie da abbassare, per cui imprimo della forza nel braccio e spingo in avanti.

Non è facile elaborare in un colpo tutta la scena che sboccia davanti ai miei occhi.

Pavimento bianco, come all'esterno. Neppure una macchia, solo candore assoluto.

Stessa cosa per il soffitto, che esibisce soltanto, esattamente al centro, una lampada rotonda, sempre bianca.

Ma per le pareti è tutto diverso.

Mi sembra un navicella spaziale. Innanzitutto, noto che la stanza non è circolare come credevo all'inizio, poiché influenzata da tutte le curve del corridoio di prima, ma esagonale.

Su ogni lato c'è una miriade di puntini su pannelli di ferro lisci ed uniformi. Sono lampadine, pulsanti e scritte luminose che non riesco a leggere.

E davanti al secondo da sinistra c'è una figura avvolta da un mantello nero.

Darth Vader 2.

-Yeela. - pronuncia. Il tono è neutro, anche se con una punta di letizia. È eretto e fermo davanti alla parete.

-Non chiamarmi così. - Mentre lo dico, vengo raggiunta, al mio fianco, dal drone. Non lo percepisco perché lo vedo, ma ne sento semplicemente il ronzio. -Stronzo.

Forse non è una mossa intelligente chiamarlo così. Ma la sola idea che esistesse mi ha mandato così in bestia che non potrei fare altrimenti.

-Mmh. - borbotta. La sua testa si gira lentamente.

La sua mano scivola verso l'alto verso la maschera. La strappa via con un movimento secco.

Per la prima volta vedo il suo volto.

Anche se coperti dalla cappa, riesco a vedere un luccichio sui capelli scuri. Scuri e lunghi, con alcune increspature, che sembrano fargli da seconda cornice nera.

Qualche lentiggine sparsa. Un brufolo. Occhi quasi squadrati ed incorniciati dall'ombra.

Fa una certa impressione, ma sembra che per lui non sia cambiato nulla. -Suppongo tu sia qui per accedere ad un comando... forse la sala degli avatar?

Vengo colta per un attimo di sorpresa, tanto che trasalisco. -Come...?

-Dove altro potresti voler andare, Claudia? - Fa qualche passetto in avanti, aprendo il mantello. Al di sotto si vede soltanto un buio scuro come il tessuto stesso, ma al contempo emergono due mani. Coperte da guanti grigi. Alla vista, comincio a sporgere la mano in avanti per preparare la spada. -Tu ed il tuo Quassus, o se vuoi Stefano, non sembrate voler altro. - Procede ancora, facendosi sempre più vicino. Sempre col pugno leggermente alzato, arretro fuori dalla sala.

-E dire che potreste essere ottimi collaboratori al mio fianco - afferma. -È ciò che speravo mi sarebbe arrivato quando ho mandato quel computer nel quinto livello. Ma voi siete testardi. È Quassus è un vero mostro. - Respira, mentre io continuo a camminare all'indietro.

-Ma ora avete passato il limite. Abbiamo appena impostato il programma per spegnere i vostri corpi. A quanto pare quel virus non ha funzionato...

-Non ce la farete - affermo. Intanto, sento un tocco sul piede, che mi avverte che ho raggiunto la parete. Non posso più andare indietro. -Stefano ha impostato dei firewall per rendersi invisibile. Non lo troverete.

-Davvero? - A questa parola, la mia schiena finisce contro il muro. Il cuore mi accelera. Sono in trappola. -E credi che un programmatorucolo come lui possa batterci? Fosse per noi, lo avremmo neutralizzato già da un po'. Ma a quanto pare avete la fortuna dalla vostra, oltre che dei codici piuttosto potenti.

È arrivato. È di fronte a me. -Qualcun altro sta sabotando la Datospiana.

Eh? -Cosa?

-Non sappiamo ancora cosa sia. Ma ci ha impedito di trovarvi. Ma adesso, appena vi avremo eliminati, ce ne occuperemo con calma...

Respira. -E dire che ho continuato a credere poteste cambiare idea... invece siete dei meschini irrecuperabili...

Un suo scatto. Le mani protese. Il mio braccio in avanti. -Attacca!

Una lama, partendo dal mio polso, nasce fino a completarsi. Nei due secondi in cui si genera, scintille di fuoco sprizzano nei punti dove viene riempito il vuoto. Sembra venir forgiata dalla sola aria. Si fa strada nello spazio finché non si completa, così che posso stringere l'elsa grigia, da cui si diparte il triangolo di ferro lucidissimo.

Lo spingo in avanti. Affonda nella sua carne trapassandolo da parte a parte.

Ma non va come speravo.

Non subisce alcun danno. Non emette grido, non esce sangue, né sembra aver sentito. La spada è come fantasma.

I suoi occhi cadono brevemente sul contorno della lama, per poi risollevarsi.

Fa un passo avanti, ovviamente ignorando l'arma. Viene ancora trapassato e sembra totalmente immune. -Credevi davvero sarei stato così stupido da non premunirmi? - Alza le braccia, come a sottolineare che la cosa sia ovvia. -Non puoi farmi niente. È il mio avatar. Io, qui, sono invincibile.

Vorrei dirgli che assaporerà la vera giustizia quando saremo fuori. Ma mi esce soltanto: -Siete tutti dei coglioni del cazzo.

Il tempo si dilata. Al contrario del mio battito cardiaco, i cui intervalli si riducono ancora. Faccio per arretrare di nuovo, ma la mia schiena trova di nuovo solo il muro. Sono stesa sulla parete, schiacciata, in trappola.

Adesso ci tocchiamo. I corpi si sovrappongono quasi completamente, combaciando. Nel mentre mi afferra i polsi e li scaraventa verso il basso: la spada lo trapassa ancora, ma esce da lui. Praticamente è un ologramma. Ora non posso neanche attivare il drone.

Sono inchiodata alla parete. Sola. Indifesa. Bloccata. Sto ansimando.

In un lampo d'adrenalina scuoto le braccia per liberarmi, ma la sua presa è titanica. Le sue mani mi forzano sulla pelle come catene.

-Paura? - mi chiede, con un sorriso deliziato. Per un momento resta fisso, premendomi ancora contro il muro, assaporando il crudo e perverso piacere di sentire i miei respiri affannati.

Poi si stacca di colpo. Mi viene tolto un peso, tanto che dopo un iniziale sbuffo il mio battito torna alla normalità.

Ci fissiamo per un momento. Poi cerco di riavanzare verso di lui, ma mi trovo impedita.

Le mie mani sono davvero incatenate alla parete, adesso. Due anelli di ferro avviluppano i miei polsi, e scavano conficcandosi nel bianco.

-Non potete nulla contro di noi. - Sentenzia. -Siete deboli. 

Sbatte gli occhi. Un coltello gli affiora tra le dita.

Il mio battito cardiaco torna al ritmo precedente.

Per un breve attimo mi si offusca la vista, tanto che non vedo come arrivi ad un passo da me. Ci tocchiamo solo con le punte delle scarpe.

Un taglio affilato e sordo. Dolore. Un mio urlo. La bocca aperta. La mia testa piegata.

Con un taglio preciso, affilato e felino, mi lacerato la maglia sul ventre, e la pelle. Quando mi si piega la testa, mentre oltre ad urlare a squarciagola il battito accelera ancora assieme al mio respiro, vedo la linea del taglio nella maglia, assieme al rosso che già inzuppa il tessuto.

-Non mi azzardo a mandarti in game over perché poi ne combinereste un'altra delle vostre - afferma. -Ma è da un po' che non vado nel nono livello ad assistere alle torture... mi scuserai se ho una certa brama di sofferenza...

Un fitta immane. Al braccio.

Mi ci ha appena piantato il coltello stesso.

-Ah! Ah! Ah! - ride, mentre la mia vista si appanna e tutto diventa dolore. Non so neppure io cosa sto facendo.

-Ah! Ah! Ahhhhhhhhhhhh!

Prendo momentaneamente coscienza al suo urlo. La mia vista ritorna normale, e riesco a vedere che gli è successo qualcosa.

È coperto da una specie di cortina arancione. È paralizzato. La sua bocca rimane aperta, senza emettere suoni.

Guardo sotto di me. Gli anelli delle catene sono spariti.

Cosa sta succedendo?

Decido subito che è meglio chiederselo più tardi: adesso ho una missione da compiere, e lui potrebbe svegliarsi in qualsiasi momento.

Ma appena il piede mi si solleva per compiere un passo, ricordo di avere delle ferite. La carne si schiaccia, richiamando il dolore.

Devo resistere. Devo.

Ma sembra così difficile.

Seppur dopo una vita passata ad andare in game over e danneggiarmi, queste ferite mi mettono a dura prova. Com'è logico che sia: quel coltello non era certo progettato per lasciarmi un eventuale scampo.

Ma riesco a passare oltre e lasciarmi dietro quell'aura arancione.

Mi trascino dentro la stanza. Qualunque sia la cosa che tiene Darth Vader in questo stato, vedi di non interrompere.

Dolorante ed ansimante, dopo essere caduta in ginocchio sul pavimento digrignando i denti e contorcendo le membra, guardo le pareti. Le scorro tutte con lo sguardo. 

"Comandi del palazzo".

"Telecamere".

"Contatti esterni".

"Piattaforma di programmazione e microfono".

"Accessi".

Decido che questa è la parete che cerco.

Per fortuna non è troppo lontana, quindi mi ci trascino ginocchioni. Una volta davanti, i miei occhi la esaminano rapidamente. Faccio attenzione, ma un paio di fitte riescono nuovamente a trapassarmi.

È una doppia serie di pulsanti gialli, ognuno accompagnato da una spia verde o rossa, l'una o l'altra accesa,  e da una scritta, disposti in tre colonne. 

La prima serie esibisce il titolo: "Datospiana".

La seconda: "Sede".

Bene. È lei.

Incomincio a leggere tutte le scritte.

"Plancia interna."

"Passerella d'entrata".

"Sala macchine".

"Alloggio dell'incaricato."

"Sala del consiglio."

"Sala del simbolismo PAV."

"Sala degli avatar".

Dev'essere questo il pulsante.

Almeno non ne vedo di altri sospetti.

Lo premo.

La spia rossa si spegne, lasciando che la luce passi alla verde.

Ce l'ho fatta.

Anche se tormentata da un remoto dubbio, ora sono come occupata ad essere felice. Devo lasciare che un sorriso mi sorga sulla faccia, che mi senta sollevata, che mi sembri che tutto stia per finire.

Devo solo aspettare che Stefano impartisca l'ordine di disattivazione e saremo liberi. Per sempre.

O forse no?

Fuori c'è un mondo crudele. Un mondo dittatoriale, dove dovremo orientarci, tornare e combattere.

Soprattutto combattere.

-Yeela.

Mi risveglio dai pensieri. È di nuovo Darth Vader 2.

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