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CAPITOLO 18-Insorgenza di acluofobia

(Quassus)

Non so esattamente come tutto sia successo.

Mentre eravamo sulla montagna, o pianura, o collina, o qualsiasi cosa fosse che adesso non ricordo, ho solo chiesto a Yeela di darmi quella tavoletta-computer. Mi affascinava, anzi, credevo di poterci fare qualcosa di utile. Ovviamente non potevo fare quel qualcosa direttamente nel quinto livello, visto che avevo alle calcagna quegli avatar incappucciati delle Morti, che facevano a gara tra loro per rompermi i coglioni.

Lei me l'ha porto. Sbloccandolo non ho trovato nessun'icona se non un'applicazione del bloc notes (roba proprio utile, qui). Così, provando a maneggiarlo un pochino (c'era assieme anche una tastiera, che Yeela non mi aveva mostrato subito), sono riuscito ad accedere al codice sorgente. Ma non erano ottocento misere stringhe di dati falsi nascosti.

Bensì, come ho capito rapidamente, il codice del livello.

C'erano persino i codici di noi stessi. Ho infatti intravisto il tag "<person>", che lasciava già di suo pochi dubbi. Ma leggendo tra le righe e convertendone una parte in binario, ho capito che quelli eravamo proprio noi. Raccontavano le nostre caratteristiche fisiche, alla perfezione. E non posso averle lette per caso.

Questo mi dà già un'idea di dove mi trovi. Se questo luogo fosse reale, potrebbe esistere la mia descrizione in binario? E questo codice potrebbe cambiare in base ai miei movimenti, come se avessi addosso un GPS a trasmettere a quel computerino le coordinate? E soprattutto, scrivere tra le mie righe il tag "<view>" per cercare di scovare cose nascoste, potrebbe portarmi in questo posto del cazzo?

Sì, perché prima ho sentito una fitta di dolore e sono stato avvolto dalla luce bianca, poi aprendo gli occhi mi sono ritrovato qui. In una distesa buia, completamente. Non c'è nulla.

Be', non proprio nulla. Accanto a me c'è uno strano, altissimo, muro di codici binari. Le cifre sono gigantesche, forse il doppio di me. Risplendono di luce azzurra, contornata di bianco. Guardo la prima riga, la più vicina a quello che dovrebbe essere il terreno: sono 8 gigantesche cifre, 00100110, che mi sovrastano con la loro mole. E sopra di loro, ci sono tante altre righe, perfettamente parallele, a mo' di pila, sempre di 8 cifre gigantesche. Arrivano molto in alto, fin dove non riesco a contarle più.

Sembrano uno schermo nero gigante, molto alto, pieno solo di zeri ed uno azzurri.

Il fatto è che queste cifre, in qualche modo, sono... vive.

Infatti, provando a toccarle, scopro che sono solide. Come fossero una qualche scultura d'arte moderna. Posso persino girar loro intorno per guardarle di profilo, scoprendo che effettivamente hanno anche uno spessore.

E cambiano. Sì, ogni qualche secondo alcune cifre sembrano cambiare, passando da zero ad uno o viceversa, ed il codice cambia. O meglio, non cambia, sembra crescere. Come se qualcuno lo stesse scrivendo. Infatti, in alto, vedo man mano questo palazzone codificato crescere sempre più, di riga in riga.

Oltre a quello, c'è solo il buio. Non c'è neppure un rumore: tutto è avvolto in un silenzio così tombale che sento solo il battito del mio cuore e qualche rumore elettrico quando il codice viene continuato.

Non sapendo come fare, provo a leggere il codice.

Devo dire di aver perso un attimo l'allenamento, ma recupero in fretta.

Riesco a leggere da qui massimo una ventina di righe. Non servirà allontanarmi: dopo tutte le righe sarebbero troppo piccole, anche con cifre così grandi. Perché le righe sono comunque alte, e lo scarto tra il massimo ed il minimo visibile non sarà, ad occhio e croce, questa gran cosa.

Parlano di un pavimento. Precisamente, una mattonella, che sarà grigia, forse di piombo, e sarà posizionata esattamente in un punto.

È tutto ciò che riesco a leggere. Centosessanta righe sono davvero poche nel codice binario.

Mi volto per allontanarmi, e credo di avere paura. A procedere verso quel nero, immobile e muto, che forse nasconde chissà cosa.

Olà, ho paura del buio adesso. Yeee.

Mi faccio un pochino coraggio e cammino. Verso l'oscuro.

Mentre i miei passi cadono, producendo un altro rumore a tranquillizzarmi, guardo verso il vuoto. Davvero nulla si muove, né suona. È silenzioso e fermo come la morte. Soltanto i miei passi ed i ronzii dei numeri smuovono l'aria. E devo dire che ascoltare i propri passi è strano. Danno un colpo secco al suolo, che rimbomba solo una volta, dando l'idea di un terreno liscissimo, levigato ma di roccia, per poi mandare una breve eco.

Mi fermo dopo aver camminato per parecchio, forse per un minuto, appena credo di essere arrivato al limite.

Girando sui miei piedi produco un rumore di strisciamento. Ma lieve, sordo e pulito, quasi perfetto. Il terreno sembra completamente privo di attrito.

Riesco ancora a leggere, arrivo ad una settantina di righe.

Comincio dal basso. Tutte sembrano descrivere delle mattonelle, almeno due, e poi il collante che le dovrebbe unire. La parte superiore, invece, parla di qualcosa di vetro, molto alto.

Non riesco ad andare più a fondo.

Ma che sono quei cosi? Qualcuno sta progettando un palazzo di codici binari per davvero? No, ipotesi più intelligente: lo sta programmando? Sarà un nuovo livello della Datospiana?

Non so un cazzo di niente.

Riguardo il codice, che intanto sta continuando a crescere. Ma sono sempre stupide mattonelle, a quanto pare. Una leggermente diversa dall'altra per strani difetti o scabrosità, ma sono sempre le stesse. Qualsiasi cosa cerchi di capire da loro, penso mi sarà inutile.

Così rivolgo di nuovo il mio sguardo verso il buio, e decido di affrontare al mia paura per cercare un'uscita.

Continuo a camminare.

I miei passi continuano ad impattare con colpi secchi sul terreno, scandendo il tempo mentre proseguo verso quel nulla cosmico. Non vedo nulla. Per quanto ne so, potrebbe estendersi all'infinito.

Mi riguardo dietro un attimo. Il palazzone di codici continua a crescere, ma ora è sempre più lontano, tanto che ogni cambiamento mi sembra solo un lieve sfarfallio, come una piccola interferenza di televisione.

Mentre cammino continuo a pensare.

Sono arrivato qui scrivendo una stringa nel mio codice.

Questo vuol dire che quello ero effettivamente io. Ma perché proprio il tag "<view>"? Questo non lo so. Fatto sta che l'idea di poter cambiare il mio codice mi suggerisce che questo non è affatto un luogo reale. In un luogo reale non si può piombare di colpo in un universo informatico. Il che conferma una cosa. Già lo sospettavo implicitamente, ma nulla lo aveva mai confermato, e volevo tenere una piccola speranza.

Signore e signori, la Datospiana è ufficialmente nominata realtà virtuale.

Il fatto è che: se mi sono offerto per venire, e questa è una realtà virtuale, perché non posso uscire? Perché non lo so? Perché ho perso la memoria? Perché non posso semplicemente premere un pulsante ed andarmene? Cosa mi tiene inchiodato qui?

Tutte le mie domande vengono interrotte da un unico rumore. È uno schiocco sonoro, semplice, come di lingua o di dita, ma che inserito in questo contesto mi fa sobbalzare ed installa il panico nel cuore, che comincia ad accelerare a velocità inaudite.

Mi guardo davanti, in cerca di un segno di movimento. Ma tutto è immobile come prima. Né si sentono altri suoni.

Almeno finché proprio davanti a me non compare un gigantesco occhio.

È un occhio vero. Iride verde e pupilla nera (non si vede la parte bianca), ed all'interno mi sembra di intravedere il cristallino.

Ma quest'occhio non è ordinario. È grande forse quanto una delle cifre di quell'edificione di binario.

Quello sembra scrutarmi un attimo con sorpresa. Intuisco quest'emozione scorrere nell'immagine anche senza un volto.

Ma poi l'iride si contrae rimpicciolendosi, ed io incomincio ad avere davvero paura. Ma i miei piedi, così come la mia testa ed il mio corpo, sono ancorati nella loro posizione.

Il contorno dell'iridona comincia a diventare rosso, e nell'occhio si dipinge un'emozione rabbiosa, che intuisco nuovamente. Non capisco da quale dettaglio trasparisca.

Poi comincio a sentire fitte di dolore al petto. Me lo prendo con le mani e soffoco qualche gemito.

Guardo l'occhio mentre il contorno rosso diventa di un colore sempre più intenso, il che corrisponde ad un'intensificazione del mio dolore.

Alla fine cado in ginocchio.

Guardo nuovamente l'occhio, che ha sempre lo stesso sguardo rabbioso, anzi, forse più rabbioso di prima, mentre la mia testa finisce in basso, distrutta e sfinita da questo dolore lancinante, finendo a fissare il buio senza fine.

Almeno finché non vengo accecato da una luce candida.

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