CAPITOLO 1-Cavallo di Frisia
(Quassus)
Terra chiama Quassus, Terra chiama Quassus.
Mi sveglio, guardandomi attorno.
Sono in una casetta di legno.
Non è di certo casa mia. La esploro ancora con lo sguardo: è una casa piuttosto larga, col pavimento sempre in legno, e piuttosto spoglio. Lungo i muri vedo librerie piene di ciotole con la frutta più disparata: mele, pere, kiwi, uva, ciliegie e persino meloni bianchi.
Guardo sopra.
Una lampadina sul soffitto emana una luce arancione.
Vicino ad una delle librerie c'è un tavolo, con due tablet, da cui esce un'altra luce, ma azzurrognola.
Mentre mi alzo, la mia mente mi riempie di un fiume di domande. "Che posto è questo?", "Che sta succedendo?", ed io vorrei intimarle: "Ma stai zitta. Quando potresti funzionare male funzioni bene e per il resto del tempo mi rendi ebete?" Peccato non si possa fare.
Devo ascoltarla. Perché sono qui? Non lo ricordo proprio. Come sono arrivato? Non so nemmeno questo. Vuoto mnemonico totale.
Il letto su cui ero sdraiato ha un'aria piuttosto rustica. Infatti è costituito da una struttura in legno e semplici materasso e coperta, entrambi bianchi, su cui permangono i segni del mio peso. Non c'è nient'altro.
Ora che guardo bene, neppure finestre. Tutta la luce presente viene da quella lampada. Senza dominerebbe il buio. Sprigiona la sua luce sulle pareti tappezzate di librerie ricolme e sul pavimento di legno, forse platano.
Nell'attesa di risposte, penso di poter fare una sola cosa per schiarirmi le idee.
-Su, andiamo a goderci il sole - mi dico. Ne ho bisogno, di mattina.
Spalanco la porta. Ma poi devo coprirmi gli occhi per proteggerli dalla luce accecante.
Appena faccio un passo in avanti i miei piedi sbattono contro qualcosa. Istintivamente allungo le mani, lasciando gli occhi in balia di quella luce assassina. –Ma cosa...? – borbotto. Cerco di camminare ancora, ma mi ritrovo in volo verso qualcosa di grigio, poi sbatto, di nuovo il piede, su qualcosa simile a pali di legno. Ora sono disteso su un pavimento di cemento o qualcosa così. Mi sono portato quei pali di legno, forse facendoli rotolare, sopra di me. Esattamente sopra di me. Ed a quanto pare sono più di due. Ed a quanto pare non ho capito neanch'io un bel niente di come sia successo.
Ecco, vedi? Ti pareva che oltre a trovarmi in un posto sconosciuto non dovessi pure farmi un botto male, poi in questa maniera orribile, a caso. Da dove cavolo spuntano quei pali, e perché ero in una casa sospesa su un burrone?
Mi scervello per capire come sfuggire a questo morso; alla fine, dopo una manovra con le mani, riesco a toglierle dai pali tra cui erano intrappolate. Li afferro, e, sollevatili in alto (quanto pesano), li scaglio da qualche parte che non sia il mio corpo, cercando di non farmi male. Senza tanto successo, visto che un altro palo, venuto da chissà dove, mi graffia. Poi, guardando bene, riesco a vederlo chiaramente.
Ero caduto, chissà perché, sopra ad un cavallo di Frisia.
Ora ripenso alla scena. Devo aver dato una botta ad un palo cadendo poi sull'asfalto, e tutto il cavallo dev'essermi rotolato sopra.
Scena che sembra voler violare completamente le leggi della fisica.
-Ma dove cazzo sono? - borbotto.
Facendo qualche passo in avanti, esploro i dintorni. La baita è in mezzo ad un giardino. Su un'alta pedana di cemento cubica, isolata dall'erba. È praticamente rialzata su un piedistallo.
Davanti all'ingresso c'è un piccolo oggetto a listello, forse di vetro. Devo essere inciampato su quello. Verme d'un costruttore.
Vedo che intanto la pedana di pietra su cui sono caduto, e su cui stava il cavallo, si sta muovendo. Prima la parte vicina a me si abbassa, andando sottoterra e rendendo la piattaforma inclinata, a mo' di salita. Dopo tutto il blocco si alza, creando una specie di sentiero liscio d'entrata.
Ed il resto? Il giardino sembra esaurirsi dopo cinquanta metri quadri. Dopo non c'è nulla, soltanto il cielo. Come se la terra fosse stata tagliata per far posto all'aria.
Comincio ad aver paura. Cosa significa tutto questo?
È un giardino... di buon gusto, bello: l'erba è rigogliosa, il sole splende alto ed i fiori invadono coi colori l'area, e m'inebriano coi loro profumi. -Che posto magnifico. - commento, anche se con nessuno. Davvero, è bellissimo.
-Comunque... perché sono qui? - E perché non a casa?
Continuo ad ispezionare: avvicinatomi ai limitari del giardino, dove la terra sembra finire dando spazio all'atmosfera, comincio a distinguere qualcosa nell'aria. Avverto come delle linee di forza, perfettamente dritte, che corrono lungo le pareti del giardino. Ne tocco una: la mano sembra toccare qualcosa di invisibile. Spingo, ma resta immobile.
Sembra che ci sia un muro di cristallo a confinare il taglio fatto alla terra.
Lo seguo per tutto il perimetro, finché non arrivo ad uno strano cartello, con scritto: "PRIMO LIVELLO DELLA DATOSPIANA". Datospiana...
Sembro non ricordare nulla sul perché sia qui. Come posso avere la memoria tanto corta?
Eppure devo per forza esser venuto ieri, mi ricordo che due giorni fa ho cucinato dei broccoletti (che shock), e di essere andato a letto dopo aver telefonato ad un'amica. Anche se non ricordo l'argomento del discorso.
Non mi sento esattamente al sicuro.
Ma preferisco continuare ad esplorare sperando di ricordare qualcosa.
Sul retro della casa? Vado ad ispezionarlo. Ci trovo una botola a due ante obliqua, probabilmente una cantina. Ah, perfetto, non è che magari c'è qualcosa di meglio da mangiare di tutta quella frutta? Non mi dispiacerebbe rimpinzarmi di bignè alla crema, ho una certa famina. Poi vedremo cosa sia tutto questo.
Una volta sceso, scopro questa cantina piena solo di tre cose: acqua, olio e vino. Ok, dovevo giusto anche bere: infatti non appena ne vedo una piena di vino, afferro una damigiana e ne scolo un quartuccio.
Una damigiana?
Cavolo, ma che modernità. Dovrei ricordare al tizio che ha costruito questo tugurio che ormai da qualche decina di lustri sono state inventate le bottiglie, e con qualche decina non intendo venti o trenta.
Non ho molta sete di vino, piuttosto mi chiedo cosa si fumi questo tizio, che ha portato qui tanto olio. Ma per caso ci condisce la frutta? Che gusti.
Setaccio l'intero corridoio, e lo osservo meglio di prima (ero impegnato a tracannare e scolare, chi osserverebbe?). A quanto pare ha su entrambe le pareti degli scaffali di contenitori (damigiane) dei tre liquidi. Non proprio scaffali, sono mensole ampissime, coprono tutta la lunghezza delle pareti. Tutte sono piene zeppe di damigiane, disposte ordinatissimamente. Sembrano intatte.
Il corridoio, vedo con un rapido calcolo, termina esattamente dove sopra il giardino dovrebbe finire lasciando il posto all'aria.
Ma cosa sta succedendo? E dove sono? E soprattutto, -Perché cavolo il mondo si è ristretto a cinquanta metri quadrati? - Perché intorno corrono delle scariche elettriche? E che cavolo è questa Datospiana?
Mi accorgo di aver urlato l'ultima frase.
In effetti mi sono già spazientito. Preferisco levarmi ed andare da qui. Imboccherò il sentiero per quella Datospiana, qualunque cosa sia. Voglio tornare a casa, e magari fare una colazione decente.
Peccato che non sappia neanche dove sia adesso. Ah, la memoria corta.
Ma chi se ne frega, alla fine.
Mi precipito di sopra, arrampicandomi sulle scale legnose. Vado dirimpetto al cartello. Senza tante esitazioni varco l'unica striscia di confine tra giardino ed aria che sembra non fermare le mie mani.
Una volta uscito, rimango sul punto di svenire.
Fuori dal mondo... questa non è la mia città, né tantomeno un bosco.
Sembra che sia uscito da una sferetta (be', casomai un cubetto) piena di liquido, quei souvenir da collezione.
Fuori c'è soltanto un cielo. Cambia rapidamente colore dal grigiastro al nero. Dal nero al blu. Dal blu all'azzurro. Infine spruzza due colonne di scintille viola. Per poi ringrigirsi.
A terra è tutto ancora più strano: una serie di mattonelle. Sempre dello stesso colore nero, intervallate da linee separatrici blu elettriche. Sembra infinita. Corre verso l'orizzonte, solcata da strane linee che mi ricordano tanto i circuiti dei chip dei computer. Cammino in avanti.
Sono sbalordito. Ma dove cavolo sono finito? Cos'è successo ai miei cari spiazzi erbosi che fino a ieri coprivano ogni terra extraurbana?
Non lo so. Ma di certo devo fuggire da qui.
Prima getto un'occhiata dietro di me. Tutto il giardino, la casa, la cantina, sembrano essere scomparsi di colpo. Soltanto il cartello rimane, su cui però campeggia una nuova scritta, che aguzzo la vista a leggere.
"SOGGETTO 2201"
Ma cosa...?
Io sarei il soggetto di cosa? Perché è scomparso tutto quel paradiso lasciandomi in questo luogo orribile?
Non voglio crederci. Corro contro all'aria accanto al cartello, ma sbatto contro qualcosa. Un muro invisibile. Il che mi restituisce una piccola, seppur inutile, speranza.
Vado a sinistra. Compiuti tre passi, mi ritrovo nel giardino. Tutto esattamente come poco fa: nulla era scomparso.
Tutto è intatto. Faccio una breve ispezione, e vedo che effettivamente nulla è cambiato.
Che mi trovi in una realtà virtuale e mi sia stata bloccata la memoria? Non ricordo di aver mai sentito parlare di cose simili. Non penso esistano. E se esistono, ne ignoro l'esistenza. Eppure mi sembra l'unica alternativa. Fatto sta che non so né come ci sia arrivato, né come si esca.
Oppure sto sognando.
Oppure sono in una città iperfuturistica. No, scartiamola. Ricorderei il viaggio.
Oltrepasso nuovamente il cartello. Comincio a correre in quel luogo dall'aspetto informatico, che deve essere questa fantomatica Datospiana di cui parla l'indicazione.
Non so precisamente dove stia andando, né cosa stia percorrendo. L'unica cosa che mi venga in mente è che devo allontanarmi da questo luogo. Questo cavolo di posto dovrà avere una fine da qualche parte, insomma. Od almeno un'uscita.
Così continuo a correre alla cieca, osservando nel mentre cosa accade intorno. Semplicemente il colore continua a cambiare ed a sprizzare scintille violacee, rischiando di provocarmi una qualche orribile crisi epilettica. Di tanto in tanto scorgo delle specie di serpenti volanti nel cielo. Guardandoli meglio mi accorgo che sono... file di numeri intessuti, tutti zeri ed uno. Codici binari. Ma che diavoleria è questa?
Questo posto non può essere reale. Spero tanto sia tutto un sogno.
La paura mi spinge a correre ancora di più, ed ancora di più. Ma dovunque cambi direzione mi sembra di trovare soltanto altri circuiti. Uno più luminoso ed accecante dell'altro.
Finché non sbatto il mio naso.
-Argh.
Che male. No, non è un sogno.
Ma cos'è successo...? Ho trovato un altro muro invisibile.
Be', magari questa corsa non è stata del tutto vana. Anche se non ho buoni presentimenti.
Mi tengo una mano sul naso, che sta cominciando a sanguinarmi. Ma non importa, perché devo fuggire da questo luogo se voglio fare qualcosa... e, detto tra noi, le epistassi non sono letali. Guariscono presto.
Con l'altra tasto il muro invisibile. Come si aspettava il mio subconscio, è lungo e gira.
Ho la sensazione di sapere già cosa troverò al suo interno. Ma continuo a cercare a tastoni l'entrata.
Su quest'altro lato trovo un altro cartello, che recita: "SOGGETTO 579".
Il che conferma parzialmente i miei sospetti, ma alimentando la mia già crescente confusione. Quindi... io sarei il duemiladucentunesimo di dei fantomatici soggetti? E di che?
Non resisto: lo supero, ritrovandomi in un giardino. Identico a quello in cui mi sono svegliato. Solo che in questo non c'è nessun cavallo di Frisia. Soltanto un mucchietto di legnetti, rado e quasi invisibile. Se era come nel mio, qualcun altro deve averlo smontato.
E l'idea che ci sia qualcun altro che potrebbe spiegarmi che cavolo sia tutto questo è qualcosa a cui non posso resistere.
Mi precipito nella baita. La scopro essere sia esteriormente, come il giardino, sia interiormente, identica all'altra. Scaffali ricolmi della frutta più svariata, un letto e due tablet.
Ma persone, zero. Cavolo. Che cazzo è questo deserto?
Sto facendo un sogno ed ho sbattuto la testa contro una parete nel sonno senza svegliarmi. Tutto questo non può essere reale. E realtà virtuali così non dovrebbero esistere.
Provo ad accendere un tablet, ignorando la mia mente che mi dice immotivatamente di non fidarmene. Vi compare sopra un logo, indicando l'accensione. Ma per il momento non posso fare nulla.
Farò meglio ad esplorare la cantina. Vuoi vedere che ce n'è anche qui una sul retro?
Infatti, dopo essermi messo il tablet in mano ed essere uscito per andare sul retro, trovo una botola, perfettamente identica a quella della prima baita. È solo un pochino più rovinata, ed i cardini sono più arrugginiti. Questa casa dev'essere da più tempo in piedi dell'altra. Il che ha uno strano e macabro collegamento col rapporto tra i numeri sui cartelli.
Spalanco le ante, e mi calo sulle scale legnose.
...uguali a quelle dell'altra casa. Solo che queste sembrano più vecchie, ed utilizzate molte più volte. Mentre, ora che ci penso, quelle della prima baita sembravano nuove di zecca. Il legno era liscio e lucido, come se nessuno l'avesse mai sfiorato. Tutte le damigiane, anche quelle vicine all'ingresso, piene. Intatte.
Il che è parecchio strano: sembra che quell'altra baita sia stata edificata solo per me. Era tutto pieno e quasi intatto come se le scorte fossero nuove di zecca. Non c'era un ingresso, in pratica, prima che io uscissi. Ma io l'ho mai chiesto?
Ma soprattutto: perché qui tutto è quasi uguale? Perché cambia solo lo stato... dell'edificio?
Perlustro il corridoio, identico spiccicato al precedente: colmo fino allo sfinimento di bottiglie d'acqua, olio e vino. Solo che qui ne sono state consumate di più: un buon 30% sarà completamente vuoto.
Be', mi rallegra, perché anche se dovessi fermarmi, non morirei di sete. Anche quella frutta, nonostante le dimensioni della casa, era in quantità mastodontiche. Abbastanza da poter consumare tutto per un lungo arco di tempo. Ma poi? E se la stessa cosa succedesse anche alla "mia" baita?
Non voglio pensarci. Aspetta, ma non stavo fuggendo? Perché sono ancora qui impalato come un babbeo?
A quanto pare è tutto disabitato od abbandonato. Così esco portandomi dietro una damigiana di vino e mi siedo sui fiori prendendo il tablet in mano. Si è finalmente acceso. Dovrei preoccuparmi del perché non ci sia nessuno qui dentro?
No, insomma. Io devo tornare a casa. Se qualcuno abita qui, tanto meglio. A me cosa dovrebbe fregare? A me importa di capire che cavolo stia succedendo, come si esca da questa roba, qualsiasi cosa sia. E di tornare tra le coperte del mio fottuto letto. Voglio dormire. E voglio la mia Nutella.
Ma non avevo già supposto che stessi sognando?
Ho comunque l'impressione che le sensazioni siano un po' troppo reali per essere un sogno.
Una scritta mi chiede di scorrere lo schermo per sbloccare, ed io lo faccio.
Non che ci sia molto: compare solo qualche icona. Che io non capisco. L'unica che per me ha un senso è quella che rappresenta una mappa. La tocco: non se che applicazione verrà lanciata, ma tanto vale rischiare.
Compare una mappa davanti.
Oh, guarda, non me lo sarei mai aspettato, Quassus! Ora avrai una medaglia!
Grazie, grazie. Sono un genio!
Ecco.
Solo io in situazioni così riesco ancora a partorire pensieri così cretini.
Io sono sopra ad una zonetta contrassegnata dal numero 579. Intorno, a quanto pare, ci sono altri numeri. 458, 12, 1259, 1450... li digito infatti sulla barra di ricerca, mosso da una sola speranza/paura che a quanto pare sembra essere fondata.
Poi faccio ciò che avrei dovuto fare già all'inizio: digito l'indirizzo di casa mia.
Ma non appare nulla. Il comando sembra non esser mai stato inviato: la barra si è svuotata come se niente fosse.
Probabilmente dovrò ritornare indietro e riflettere un attimo. Il tablet è infatti molto carico, segno che è stato usato, o caricato, di recente. Il che, assieme al grado di vecchiaia della casa, mi suggerisce che effettivamente ci abiti qualcuno. Che quel qualcuno mi trovi mentre giochicchio col suo tablet e mi scolo il suo vino non è esattamente in cima alla mia lista dei desideri.
Così osservo il percorso preciso da compiere. Dovrei correre diritto per cinquecento metri circa, poi svoltare a destra ed andare sempre dritto. Strano, pensavo di aver corso più a zigzag: incredibile che tutte le mie manovre si siano annullate reciprocamente!
Per sicurezza riporto dentro il tablet nella baita ed il vino nella cantina. Se quel tizio controllerà la cronologia, potrebbe decidere anche di farmi una brutta sorpresa. Meglio cancellarla.
Starò correndo alla mia velocità normale una volta uscito, quanto, cinque metri in venti secondi? Dovrò correre, allora, per trenta e più fottutissimi minuti. Ma chi me l'ha fatto fare di uscire da quell'angolo di bellezza e natura incontaminate? E come ho fatto a correre come non so che senza notarlo fino ad ora?
Ma a quanto pare la mia corsa è destinata a finire presto.
Perché, ad una quarantina di metri da me, si erge alto un mucchione di codici binari ammassati e sfarfallanti. Che, dato che emette ululati costituiti da esplosioni di pixel assieme ai quali ruota una proboscide di codicetti immensa, ha tutta l'aria di essere innocuo.
ANGOLO DELL'AUTORE:
E così avete conosciuto Quassus... (niente domande sul nome, grazie).
Altre impressioni? Rispetto a prima sono migliorato... o peggiorato?
Su, lasciate un commento od una stellina per questo nostro... eroe.
Ok, francamente è leggermente stupido, ma è sempre il nostro eroe.
Su, aspetto le vostre voci :)
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