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27. Army

"I know that I've been messed up.
You never let me give up. All the
Nights and the fights, and the
Break-ups, you're
Always there to call up".

Con la calca che esplodeva in un boato di applausi, con Carl che continuava a parlarmi seppure io non lo stessi ascoltando, con l'odore di chiuso, sudore e alcool che aleggiava in quel posto, io ero completamente altrove. Mi chiedevo cosa avrei dovuto fare, cosa sarebbe stato giusto che facessi, cosa avrei dovuto evitare di dire e cosa invece avrei dovuto dire. La testa mi stava scoppiando, e nemmeno me ne accorsi, quando dalle casse partì un'altra melodia, e quando Ryan cominciò a cantare. Né mi accorsi di quanto la sua voce risultasse così diversa da quella di Peter, che mi faceva tutto un altro effetto. Ma era lui a farmi tutt'altro effetto. Era così da sempre, e all'epoca credevo che così sarebbe stato fino alla fine dei tempi. Ma l'inverno diventa primavera, la tempesta arcobaleno, e il bruco una farfalla. Quindi dovevo farla finita e dovevo parlargli, perché il tenermi tutto dentro mi stava facendo ammattire. Così, con l'alcool ormai in circolo dentro di me, estrassi da una tasca posteriore dei jeans una banconota da dieci dollari, che lasciai a Carl sul bancone, e mi diressi nuovamente verso il nostro tavolo. Peter non c'era, ma non era nemmeno sul palco, quindi dedussi che si sarebbe fatto vivo a momenti. Non c'era neanche Brandon, ma non potei che essere sollevata per quella constatazione. Peccato non si potesse dire lo stesso di Lindsay. Se non fossi stata così concentrata su me stessa e su quello che vorticava nella mia mente e che avrei poi detto a Peter, forse mi sarei anche resa conto del fatto che stesse piangendo, che c'era qualcosa che non andava, e che Mike le corse immediatamente dietro, quando lei si alzò frettolosamente e annunciò di aver bisogno del bagno.

"Peter, so che sei tu quel bambino" suonava troppo affrettato e diretto.

"Peter, dobbiamo parlare" presagiva una catastrofe.

"Perché mi hai mentito?" era troppo accusatorio.

Questo era tutto ciò a cui ero capace di pensare e su cui ero capace di concentrarmi in quel momento. E grugnii, frustrata, quando realizzai che non sapevo cosa dirgli, da dove cominciare, e che la situazione era decisamente più complessa di come mi sarei augurata. Presi in mano un tovagliolo di carta e iniziai a spezzettarlo in piccoli pezzi, provando in qualche modo ad attutire l'ansia e l'agitazione. Sollevai lo sguardo, quando vidi con la coda dell'occhio qualcuno prendere posto di fronte a me. Era Ryan, gasato, sudato e felice. Mi domandai quanto tempo fosse effettivamente passato da quando mi ero chiusa in me stessa. Il palchetto era vuoto, ormai, e di Peter non c'era ancora l'ombra. Quello che non sapevo era che dovevo augurarmi che ci fosse, invece di sperare il contrario, perché tutto sarebbe stato meglio di fare quella chiacchierata cuore a cuore con Ryan, che rovinò ogni cosa nel giro di qualche minuto.

"Ti è piaciuta?" si informò, sinceramente interessato, facendomi smettere di scervellarmi e di torturare quel povero e innocente fazzoletto.

Lo guardai in viso, e non sembravano esserci doppi fini dietro quella domanda, solo un semplice e onesto interessamento. Prima ancora che potessi elaborare una risposta, lui riprese a parlare, sconcertandomi con sole poche parole buttate lì a caso.

"Peter non era del tutto convinto, ma secondo me, invece, con le mie modifiche è molto meglio" si vantò, ridacchiando e prendendo un sorso di Coca Cola dal bicchiere semivuoto che Mike aveva lasciato sul tavolo.

Mi si bloccò per un attimo il respiro, e, per un secondo, il mio cuore smise di battere.

"Modifiche?" mormorai, con un filo di voce, pregando tutti i santi del cielo di aver capito male.

"Tutta la parte finale è opera mia" attestò, terminando la bevanda e poggiando il bicchiere ormai vuoto e ricolmo solo di ghiaccio freddo sul tavolo.

"Ah" fu tutto quello che riuscii a proferire, deglutendo per mandare giù l'orrendo groppo che mi si era formato in gola.

Lui si accasciò allo schienale della sedia e sfilò il cellulare da una delle tasche posteriori dei jeans, cominciando a smanettare con quello e ignorandomi totalmente. Tutta la parte finale era opera sua. Il che significava, in parole spicciole, che non era stato Peter a scrivere l'ultima strofa. Quella consapevolezza mi fece sentire stranamente combattuta tra l'essere sollevata o distrutta. Decisi di tastare ulteriormente il terreno, tanto per autopugnalarmi un'ennesima volta.

"Tu sai per chi ha composto quella canzone?" esclamai, riportando la sua completa attenzione su di me.

Rimase con il telefono a mezz'aria, interdetto, forse meditando sul come ribattere. Mi scrutò attentamente, e quel suo sguardo mi mise notevolmente in imbarazzo. Poi avvicinò la sedia al tavolo e vi ci posò cellulare e gomiti sopra, mettendosi a braccia conserte.

"Ma perché ti interessa così tanto?" indagò, incuriosito, e mi sentii tanto un agnellino tra le grinfie del lupo.

Distolsi lo sguardo e lo direzionai altrove, cercando Peter tra la ressa ma non vedendolo da nessuna parte. Quando riportai gli occhi su Ryan, mi resi conto del fatto che mi stava guardando, in attesa, aspettandosi probabilmente un'inesistente giustificazione al mio smanioso desiderio di sapere. Sospirò, scuotendo la testa, sconsolato, quando capì che non avrei parlato. Sapevo che dovevo smetterla di tenere le cose per me, evitando appositamente di esternare il mio stato d'animo, tuttavia non riuscivo a fare altrimenti. Io e me stessa eravamo sempre state una grande squadra, e non volevo che nessun altro interferisse, sebbene questo significasse combattere da me guerre insostenibili per una sola persona. Schiuse le labbra, forse per riprendere parola, ma fu preceduto da Peter, la cui presenza avevo già notato a causa del suo forte e inconfondibile profumo. Si accomodò accanto a me e mi sorrise, per poi accigliarsi qualche attimo dopo.

"Che fine hanno fatto gli altri?" inquisì, tossendo a causa del fumo che le sigarette dei due tizi dietro di noi stavano diffondendo nell'aria.

Ryan scrollò le spalle e riprese il telefono fra le mani, mentre io mi accorsi solo in quel frangente del fatto che erano effettivamente spariti tutti. Vagai con lo sguardo un po' ovunque, fin quando non intercettai la chioma bionda di Brandon. Che non era solo. Ma quella ragazza rossa e formosa con la quale stava a dir poco pomiciando di sicuro non era Lindsay. Sgranai gli occhi e spalancai le labbra. Vidi Peter assumere un'espressione confusa alla vista della mia reazione, che mutò in sorpresa quando comprese quello che avevo compreso io.

"Brutto figlio di..." feci per dire, balzando subito in piedi, pronta ad andare a dirne quattro a quel bastardo, ma la presa salda di Peter sul mio braccio destro mi fece desistere.

Mi girai verso di lui come una furia, sperando per lui che capisse dal mio sguardo che non gli conveniva trattenermi.

"A lui penso io. Va' a cercare quei due" mi intimò, con un sorriso rassicurante in volto, allentando di poco la stretta.

Intanto si erano messi in piedi sia lui che Ryan, il quale, perso, cercava di capire cosa stesse succedendo. Studiai a fondo l'espressione di Peter, per comprendere se mi sarei potuta fidare di lui e se avrebbe davvero dato una lezione a quello stronzo. Annuì, come se mi avesse letto nel pensiero, e sollevò il mignolo di una mano in aria, volendo suggellare quella promessa con quel gesto. Sorrisi e congiunsi il dito al suo. Mi diede un bacio a fior di labbra, che mi destabilizzò e mi fece accelerare il battito cardiaco per qualche secondo, e poi sia lui che Ryan si allontanarono in direzione di Brandon. Scorsi Ryan voltarsi per qualche secondo verso di me e farmi un occhiolino che mi fece ridacchiare. Solo allora realizzai che Peter mi aveva baciata per la prima volta davanti a qualcuno, e arrossii visibilmente. Presi il giubbino dallo schienale della mia sedia e me lo infilai, per poi mettermi la borsa a tracolla e dirigermi a passo svelto verso i bagni putridi di quel pub, sperando di trovare Lindsay lì. Ma, a parte un orribile odoraccio di pipì e detersivo, erano vuoti. Sbuffai, aprendo rapidamente la cerniera della borsa e tirandone fuori il telefono, componendo il numero di Lindsay e augurandomi che rispondesse. Cosa che non accadde. Dopo innumerevoli squilli partiva sempre la segreteria.

"Qui parla Lindsay Casey! Se non ho risposto, vuol dire che avrò di meglio da fare. Lasciate un messaggio dopo il beep solo se è una questione di vita o di morte".

Soffocai un urlo di frustrazione e lasciai comunque quel dannato messaggio: "Lindsay, cazzo, dove sei? Rispondi, per l'amor di Dio!". Poi telefonai a Mike, ma inutile sarebbe dire che neppure lui rispondeva. La mia mente iniziò a immaginare una serie di scenari orribili: di Lindsay che si buttava da un ponte e di Mike che faceva altrettanto per salvarla; di lei che si tagliava le vene e di Mike che arrivava troppo tardi... Insomma, devo dire che sono sempre stata una persona molto positiva, soprattutto nelle situazioni di panico. Uscii dal locale per verificare se almeno l'auto di Mike fosse ancora lì, ma, naturalmente, non c'era. Mi sentii pervasa da un opprimente senso di sconforto. Non solo erano scomparsi dalla faccia della Terra, ma, cosa un po' meno grave ma comunque non irrilevante, ci avevano anche lasciati a piedi! Proprio quando stavo per ritornare dentro alla ricerca di Peter e Ryan - auspicandomi di non aver perso anche loro due -, emersero entrambi dal locale. Ryan si stava sbellicando dalle risate, e Peter stava agitando la mano destra con un'espressione dolorante in viso. Gli sanguinava un sopracciglio.

"Cosa diamine è successo?" richiesi, in preda al terrore, avvicinandomi velocemente a Peter e portandogli una mano su una guancia, esaminando attentamente il taglio che aveva proprio sul sopracciglio sinistro.

Contrasse il volto in una smorfia, e Ryan rise ancora più fragorosamente, prima di riprendersi e spiegarmi, mentre Peter si rilassò notevolmente quando gli accarezzai la guancia con il pollice.

"Magari qualcuno avrebbe dovuto frequentare lezioni di wrestling, o quantomeno boxe, prima di prendere l'iniziativa di picchiare qualcun altro. Cazzo, Pete, ti avrebbe fatto nero se non fossi intervenuto" affermò Ryan, ricominciando a ridere.

"Hai fatto a botte con Brandon?" sottolineai l'ovvio, tentando disperatamente di non seguire a ruota Ryan e iniziare a ridere a mia volta.

"Te l'avevo promesso" si giustificò, lamentandosi quando gli passai un fazzolettino di carta, che avevo raccapezzato nella mia borsa, sul taglio, per rimuovere le tracce di sangue.

"Le hai promesso di darle, non di prenderle. E forse avresti dovuto fare i conti con il fatto che avrebbe reagito" lo canzonò Ryan, tossicchiando per darsi un contegno e smettere di ridere.

"Ryan, vedi di darci un taglio, dai" lo rimproverai, per poi bagnare il fazzoletto con un po' di saliva per asciugare dalla pelle di Peter le gocce di sangue ormai secco.

Nel frattempo, i suoi occhi seguivano con attenzione ogni mio movimento, e mi squadravano ricolmi di gratitudine e qualcos'altro che non riuscivo a definire. Gli sorrisi, e sentii Ryan sbuffare rumorosamente, prima di comunicarci che sarebbe tornato dentro a vedere se Carl era riuscito a calmare Brandon. Sorrisi a Peter, che ricambiò il gesto. Eravamo vicinissimi, e i nostri nasi si sfioravano - grazie alle scarpe col tacco che stavo indossando quella sera.

"Sei un angelo" mormorò, solleticandomi il viso con il suo respiro, che sapeva del ketchup del panino che aveva mangiato a inizio serata.

Rabbrividii, nonostante non facesse particolarmente freddo, e il suo sorriso si ampliò. Allontanai la mano dal suo sopracciglio e riposi il fazzoletto sporco in una tasca del soprabito, vista l'assenza di cestini nelle vicinanze. Portò una mano sulla mia guancia destra e mi accarezzò la pelle accaldata, che - sebbene la sua mano fosse tutto fuorché calda - si infiammò maggiormente a contatto con le sue dita. Mi guardò negli occhi per un attimo che parve un'eternità, prima di unire le sue labbra alle mie. Mi chiesi perché, ogni santissima volta, il cuore dovesse battermi così forte, e lo stomaco mi si dovesse attorcigliare su se stesso fino a formare una matassa indistinta di nodi. Posi le mani sul suo petto, appurando che anche il suo battito stava accelerando gradualmente, e lui portò anche l'altra sul mio viso, attirandomi più vicina a sé. Il bacio divenne presto più intenso, e quando la sua lingua si intrecciò alla mia mi tremarono le gambe. Avevo un così grande bisogno, come un'urgenza, di confessargli tutto quello che provavo per lui. Ogni singola cellula del mio corpo stava gridando a squarciagola: "Diglielo, diglielo!". Ma sapevo bene che quello sarebbe stato un punto di non ritorno, e io non ero ancora pronta a lasciarmi andare completamente a lui. C'erano troppe cose da chiarire e da definire. Non sapevo neanche se stessimo effettivamente insieme o meno.

"Celeste..." bisbigliò, con voce bassa e grave, una volta che ci fummo distanziati per riprendere fiato.

"Mike e Lindsay non rispondono al telefono. Nessuno dei due. E la macchina è sparita. Dobbiamo trovarli, Peter, io..." la mia bocca cominciò a parlare a vanvera di cose senza senso, pur di non urlargli in faccia quanto lo amassi e quanto facesse male tenermelo per me e non riuscire a condividerlo con lui.

Mi zittì dandomi un altro bacio, decisamente più breve e casto del precedente. Sorrisi come un'imbecille, mentre il cuore mi si buttava a precipizio nello stomaco, e smisi di straparlare.

"Ora ci facciamo dare un passaggio da Ryan fino al campus e li cerchiamo anche lì, d'accordo? Però devi stare tranquilla, amore. Non è successo niente di irreparabile e staranno benissimo entrambi" propose, rassicurandomi e guardandomi intensamente negli occhi.

Ma il mio cervello aveva smesso di recepire le sue parole dopo che mi aveva chiamata in quel modo. Mi irrigidii e mi sentii mancare, ma annuii lo stesso per non destargli sospetti. E feci di tutto per sembrargli calma, mentre dentro di me era in atto una tempesta. Mentre il mio cuore correva una maratona e avevo il respiro accelerato, come se la maratona la stessi correndo io. Mentre sentivo le gambe cedere e la pancia farmi male per quante capriole stava compiendo il mio stomaco. Mentre lui mi prendeva per mano e tornava all'interno di quella struttura. E mentre i miei piedi camminavano per stare al passo con i suoi, ma il mio cuore rimaneva lì fuori, sull'asfalto freddo, dove mi aveva chiamata "amore" spontaneamente e forse anche involontariamente per la prima volta.

×××

Ryan ci aveva riportati al campus in fretta e furia, e ci eravamo precipitati fuori dalla sua macchina così speditamente, una volta arrivati, da non riuscire neppure a ringraziarlo a dovere. Non sapevamo dove andare, e non ci passò nemmeno per l'anticamera del cervello l'idea che, forse, sarebbe stato meglio dividerci, così li avremmo probabilmente trovati prima. Sorpassammo, salutandola distrattamente, la ragazza alla reception del Rockefeller, e ci fiondammo all'interno dell'ascensore come dei forsennati, senza neanche prendere in considerazione l'ipotesi di utilizzare quella di servizio, che ci avrebbe sicuramente fatti giungere prima a destinazione. Peter non aveva fatto altro che provare a chiamare Mike fino allo sfinimento. Con l'unico risultato di un telefono scarico e di centinaia di chiamate senza risposta. Erano due ore che non avevamo loro notizie, e - non so lui - io ormai ero andata totalmente nel pallone, divorata dall'ansia. Quando arrivammo al loro piano, corremmo come dei dannati fino alla porta della loro stanza. Peter bussò un paio di volte chiamando il nome di Mike, ma non ricevette risposta. A quel punto prese il suo mazzo di chiavi da una tasca della giacca di pelle e aprì la porta. All'interno era tutto buio, e non si vedeva un accidente. Prima ancora che Peter potesse accendere la luce e capire se la camera fosse vuota o meno, un singhiozzo proveniente dal fondo della stanza ci fece immobilizzare di colpo. La luce fioca del corridoio non aiutava per niente. Così Peter tastò la parete fino a trovare l'interruttore, e illuminò maggiormente l'ambiente. Mike era seduto con la schiena poggiata al muro, accanto alla porta del bagno. Aveva gli occhi lucidi e rossi, e una bottiglia con del liquido marroncino al suo interno stretta in mano.

"Sia lodato il cielo! Mike!" strillai, catapultandomi letteralmente addosso a lui e abbracciandolo di slancio.

Peter chiuse la porta alle nostre spalle e ci si avvicinò a sua volta. Sospirò, evidentemente sollevato anche lui, e io mi staccai da Mike, inginocchiandomi al suo fianco. Puzzava tantissimo di alcool, e aveva tutta l'aria di chi aveva appena finito di piangere.

"Mike, ma che cazzo è successo, si può sapere? Hai guidato ubriaco? Dove hai trovato quella bottiglia? Ma, dannazione, ti pare normale sparire a quel modo senza lasciare tracce?" lo aggredì Peter, accovacciandosi vicino a me e sfogando solo in quel momento tutta l'agitazione accumulata fino ad allora.

Gli posi una mano su una spalla per calmarlo, e cercai di fargli capire con lo sguardo di non pressarlo, dato lo stato in cui si era ridotto.

"Din don, le campane suonano" fu tutto quello che ottenemmo da Mike, che si mise a ridere subito dopo aver pronunciato la frase.

Io mi accostai una mano alle labbra per non scoppiare a ridere a mia volta - sì, Peter sfogava lo stress urlando contro le persone, e io ridendo. Un Mike ubriaco era sempre stato il mio sogno, ma, in quel momento, la situazione era probabilmente più grave di quanto credessimo, se era conciato così.

"Cazzo, Mike, ma quanto cavolo hai bevuto?" lo riprese Peter, sconvolto e frustrato, togliendosi la bandana e passandosi una mano fra i capelli.

Dacché stava ridendo come un matto, le risate di Mike si tramutarono presto in singhiozzi incontrollati, e incominciò a piangere. Fissai Peter, che era in preda al panico e allo sconcerto, e presi in mano la situazione.

"Mike, ti ricordi cosa è successo?" inquisii, accarezzandogli un braccio, mentre Peter gli rimuoveva con cautela la bottiglia di mano e la poggiava sulla scrivania.

Mike tirò su col naso e ci si passò una manica della maglia sotto. Quando i suoi occhi blu incontrarono i miei, percepii come una morsa allo stomaco. Non l'avevo mai visto ridotto in quello stato, e solo allora realizzai che aveva i capelli scuri sparati in tutte le direzioni, i jeans con bottone e cerniera aperti, la maglia al contrario, ed era scalzo. Non impiegai molto tempo a fare due più due.

"Io... Io non volevo. Io non volevo che andasse così... Ma poi lei si è arrabbiata, e io..." borbottò, tra le lacrime, nascondendo poi il viso tra le mani.

Guardai Peter, che aveva la mia stessa espressione in viso: preoccupata e confusa. Mi sedetti accanto a Mike e gli presi una mano tra le mie, allontanandogliela dal viso e stringendogliela, sperando che non mi avrebbe respinta. Non lo fece, così tirai interiormente un sospiro di sollievo.

"Mike... Dov'è Lindsay?" gli domandai, con dolcezza, mentre Peter prendeva posto all'altro suo fianco.

Lui tirò ancora una volta su col naso, e si lasciò sfuggire un altro singhiozzo. Scosse la testa, riprendendo a piangere, e mi si strinse il cuore a vederlo così. Io e Peter ci guardammo per l'ennesima volta, e lui assentì, leggendomi nel pensiero di nuovo. Lasciai lentamente la presa sulla mano di Mike e mi alzai, pronta ad andare a cercare Lindsay nella nostra stanza, ormai quasi certa che l'avrei trovata là. La voce spezzata di Mike che richiamò il mio nome, però, mi fece voltare nella sua direzione, quando ero ormai a qualche centimetro dalla porta.

"Dille che mi dispiace" mi supplicò soltanto, afflitto.

Acconsentii e, dopo che Peter mi ebbe fatto un occhiolino, uscii rapidamente da quella camera, diretta al Mathey, da Lindsay.

×××

Prevedibilmente, trovai Lindsay in una situazione più o meno identica a quella in cui avevamo rinvenuto Mike. Solo che lei, per fortuna, non aveva una bottiglia di whiskey in mano. Stava piangendo a dirotto, sdraiata sul mio letto. Cosa che già mi fece pensare male. Mi sfilai la borsa e il cappotto a velocità supersonica, sbattei la porta e mi sedetti sul materasso, accanto a lei. Le lenzuola erano un casino, e c'erano... delle mutandine buttate ai piedi del letto. Contai mentalmente fino a dieci per non esplodere, e le accarezzai i capelli corti, mentre il suo corpo era del tutto scosso dai singulti.

"Ti prego, dimmi che non l'avete fatto sul mio letto..." mi lamentai sarcasticamente, ridacchiando per smorzare la tensione.

Lei pianse ancora, più di prima, e io capii che il sarcasmo non sarebbe servito a niente, e che la cosa era seria. Mi avvicinai di più e la richiamai, ma mi ignorò e continuò imperterrita a fare quello che stava facendo. Era infoderata sotto le lenzuola, quindi non sapevo se stesse indossando qualcosa da sotto, ma mi augurai di sì.

"Senti, Lindsay, non so cosa sia successo. Non so perché tu te ne sia fuggita via da quel locale a gambe levate, né so cosa abbia fatto Brandon, perché, in quel momento, sono stata troppo egoista per preoccuparmene, e me ne pento amaramente. Quello che so, però, è che Peter l'ha conciato per le feste - mentii giusto un pochino per rincuorarla - Non merita le tue lacrime. Né lui, né quell'imbecille di Mike. Che, a proposito, mi ha chiesto di farti sapere che gli dispiace" le confessai, e seppi che ero riuscita nel mio intento di farla rilassare, quando iniziò a piangere più silenziosamente.

Espirò profondamente, per poi girarsi verso di me e stendersi su un fianco. Avevo ancora le mani tra i suoi capelli. Il trucco sciolto le macchiava le guance e la federa del mio cuscino. Aveva gli occhi rossissimi e il muco che le colava dal naso. Mi munii di un fazzoletto, come prima cosa, e glielo passai, decidendo, poi, di consegnarle tutto il pacco. Si soffiò il naso e si asciugò le lacrime, aspettando che i singhiozzi si placassero, prima di rivolgermi la parola.

"Ora penserai che sono una sgualdrina" si autocommiserò, con la voce incrinata, pronta a riprendere a piangere.

Scoppiai a ridere di gusto a quella sua affermazione, e lei si accigliò, non capendo l'antifona.

"Ti ricordo che è con me che stai parlando, Lindsay. Sarei un'ipocrita a pensarlo, e poi non mi permetterei mai di farlo" ammisi, con sincerità, e lei mi fece un piccolo sorriso, smettendo definitivamente di piangere.

Si tranquillizzò e sospirò, per poi alzarsi a sedere e guardarmi intensamente negli occhi, prendendo un altro respiro per non piangere ancora mentre mi raccontava.

"I genitori miei e di Brandon sono molto uniti. Io e lui siamo amici da quando ne ho memoria. Fidanzarci ci è sembrato quasi un dovere, visto che i nostri genitori - e non stupirti - stanno già decidendo e ultimando i preparativi per un nostro futuro ed eventuale matrimonio. Ci abbiamo provato davvero, Celeste, ma nessuno dei due ha mai sentito qualcosa di forte per l'altro. E oggi abbiamo litigato, perché lui ha deliberatamente deciso di mettere fine a questa farsa senza consultarmi, e mi ha annunciato che domani sarebbe andato a dirlo ai nostri genitori. Ma io non volevo che lo facesse da solo, e, soprattutto, senza preavviso. Non mi ha voluta ascoltare, quindi mi sono arrabbiata, e l'ho insultato pesantemente. Lui non è stato da meno, ma mi ha detto delle cose veramente orribili. Mi ha dato della 'puritana del cazzo' davanti a Mike, e io... Insomma, mi ha fatto fare una figura orrenda. E..." parlò a raffica, senza prendere neanche fiato tra una parola e un'altra.

"Tu sei vergine?" indagai, al limite dello stupore, interrompendola.

Dopo la sera di Halloween, quando aveva fatto a Peter quella domanda, ed essendo lei così audace e pimpante di suo... Io mai e poi mai avrei creduto che fosse vergine. E visto come ci davano dentro lei e Brandon...

"Ero - puntualizzò - Ero vergine, Celeste" mi confidò, arrossendo immediatamente e facendomi quasi strozzare con la mia stessa saliva.

Sgranai gli occhi e tossii convulsamente, allibita. Lei mi rivolse un piccolo sorriso di scuse, e io spalancai anche le labbra.

"Cioè... Tu e Mike... Poco fa... Nel mio letto. Oddio santo, devo assolutamente cambiare le lenzuola! E stanotte ci dormi tu lì, non voglio sentire ragioni - le ordinai, facendola ridacchiare, ma io ero davvero seria, e seriamente sotto shock - Io non posso crederci. Ma voi... Tu lo odi. O no...? Quindi avevo ragione, lui ti piace! E anche tanto! Ma allora perché l'hai mandato via? E perché piangevi?" in quell'occasione ero io quella che parlava a macchinetta, e lei sorrise e arrossì contemporaneamente al mio ragionamento che non faceva una piega.

"Io... Non lo so se mi piace, Celeste! So solo che mi ha seguita e mi ha chiesto se andava tutto bene, e mi ha detto che Brandon è un coglione e... Io non ci ho visto più e l'ho baciato. Lui non si è tirato indietro, e mi ha portata qui, e l'abbiamo... fatto. E quando gli ho detto che, come prima volta, non era stata tanto dolorosa quanto credevo sarebbe stata, lui è praticamente impazzito e ha dato di matto. Poi se n'è andato, e io sono rimasta qui, a chiedermi se forse non avevo fatto la cosa sbagliata. E poi sai cosa succede nei momenti di sconforto: pensi a tutte le cose brutte che ti sono capitate e finisci per piangere per una serie di motivi differenti e non più per uno soltanto" sussurrò, rabbuiandosi subito dopo aver terminato il monologo.

Le sorrisi, e sapevo di non poterle dire di aver trovato Mike in quelle condizioni, e che secondo me si era solo spaventato perché temeva anche lui di aver fatto la cosa sbagliata. Potevo solo sperare che Peter riuscisse a fargli capire che era completamente e totalmente cotto di Lindsay. Anche perché lo avevano capito persino i muri, ormai. Così le presi una mano tra le mie e ampliai il mio sorriso per confortarla.

"Sappiamo entrambe che Mike è un idiota, Lindsay. E poi è un bravo ragazzo, e sono certa che le cose si risolveranno prima ancora che tu te ne accorga. Brandon, invece, è un coglione e basta. Ma non devi stare male per lui: se vuole parlare con i vostri genitori, che lo faccia, tanto poi sarà lui a sorbirsi tutta la loro collera - feci una pausa, e lei mi stava già dedicando il sorriso forse più riconoscente di tutto il suo repertorio - Ora ti ci vuole un sano pigiama-party all'insegna di cioccolata e di quegli orrendi film strappalacrime che piacciono a te" dichiarai, facendo per alzarmi, togliermi le scarpe, e vedere se erano avanzate un po' di quelle porcherie ipercaloriche da Halloween.

Ma lei mi afferrò una mano, trattenendomi, e io mi voltai verso di lei, con il sorriso ancora sulle labbra. Mi fissò a lungo con quei suoi occhi verdi e sinceri, che erano tornati a essere più luminosi e meno lucidi, ma erano pur sempre rossi a causa del pianto.

"Grazie, Celeste. Sul serio" mormorò, sorridendomi.

Io le feci un sorriso e un cenno col capo, e quando mi rigirai la sentii bisbigliare un "Ha ragione: sei proprio speciale" che forse non avrei dovuto sentire, ma che mi fece sorridere ancora di più, nella speranza e convinzione che fosse stato Peter a dirglielo.

×××

Lindsay ormai dormiva già da un po' (era crollata ancora prima del primo bacio tra i protagonisti del film che stavamo vedendo in streaming sul mio PC), così chiusi la finestra del sito, siccome non mi andava di finire di vedere un film che non avevo per nulla seguito, e aprii la mia casella e-mail. Non ve n'erano di nuove, perciò premetti sul tasto "Scrivi" con il mouse, e immisi l'indirizzo della posta elettronica della mamma nella casella del destinatario. La chiacchierata con Lindsay mi aveva fatto riflettere. Doveva avere un rapporto tremendo con i genitori, se non le lasciavano neppure prendere decisioni così banali come chi frequentare o - addirittura - sposare. E mi ero sentita fortunata al pensiero che i miei non si fossero mai permessi di fare qualcosa del genere, e che, anzi, mi amassero al di sopra di ogni cosa. Così mi scrocchiai le dita, mi stropicciai gli occhi stanchi, e incominciai a scrivere.

"Ciao, mamma

Non so perché io ti stia scrivendo questa e-mail, sinceramente. Anche perché sappiamo entrambe che non sono mai stata una cima nello scrivere. Non sono mai stata una cima in molte cose, per la verità, e tra queste c'è sicuramente il sapermi relazionare alle persone e il sapermi comportare. Mi dispiace tanto che ci abbia messo così tanto tempo a capirlo, e mi dispiace ancora di più pensare a quello che è successo. Non saprei spiegarti perché io stia piangendo, mentre ti scrivo, ma continuerò lo stesso (e, a proposito, scusa in anticipo per gli eventuali errori di battitura). Siamo entrambe molto orgogliose e testarde, ma tu sei sempre stata più ferma di me nel mantenere il punto. Io non ce la faccio più, però. Non sono più una bambina, so che un semplice bacetto sulla guancia e uno "Scusa" poco sentito non aggiusteranno il nostro rapporto e non cancelleranno quello che è successo. So di averti delusa, e so ancora meglio che non meritavi tutto questo. Non dopo tutto quello che ho fatto passare a te e a papà. Ma io non sono Milah. Non sono perfetta quanto lei, e non miro a esserlo. Io sono solo io, e questo, purtroppo, non si può cambiare. Scusa, doveva essere una mail di scuse e si sta trasformando nella storia della mia vita. Forse ho scritto troppe volte la parola "scusa". È che è tardi, ed è stata una giornata molto impegnativa. In ogni caso: mi manca parlare con te, mamma. Mi manca il rapporto libero e aperto che avevamo. Mi manchi tu. Non so quando sia effettivamente finito tutto questo, ma di sicuro è successo prima di quel fatidico giorno. Non pensi anche tu? Non so se potrai mai perdonarmi, ma io spero tanto di sì, perché vorrei avere l'occasione di spiegarti, e non tramite uno stupido schermo. Sarò a casa per il Ringraziamento, comunque, e verrà anche zia Flo - l'ho sentita proprio oggi pomeriggio. Ho rincontrato Peter, sai? Te lo ricordi ancora? Mi piacerebbe tanto parlare con te anche di questo. So che non ti è mai andato tanto a genio, ma forse, ora, vedendolo cresciuto, potresti cambiare idea ;-)

Ti voglio un mondo di bene, mamma.

Scusa ancora.

Per sempre tua,

Celeste".

Inviai la mail e spensi il computer, asciugandomi gli occhi con le maniche del pigiama, per poi posare il portatile nel cassetto del comodino - che era ormai diventato il suo posto fisso - e salire la scaletta per il letto di Lindsay. Mi rimboccai le coperte fin sopra le orecchie e mi assopii, augurando la buonanotte a una coinquilina già da un bel po' nel mondo dei sogni.

"Dark times, you could always
Find the bright side. I'm amazed
By the things that you would sacrifice
Just to be there for me".

N/A

Capitolo di passaggio: perdonate se non succede niente di eclatante.

Fatemi sapere cosa ne pensate!

P.S. I nomi ufficiali per le ship sono "Celer" e "Minday"

Un bacio,

Rita x

Capitolo revisionato.

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