25. Never Forget You
"Once upon a time you were my
Everything. It's clear to see that
Time hasn't changed a thing. It's
Very deep inside me, but I feel
There's something you should know".
"Ma non ha un senso logico!" protestò Colin, contrariato, massaggiandosi il viso con le mani.
Aveva insistito per tornare da me quella notte stessa, ma ero, per fortuna, riuscita a farlo desistere: sia perché non volevo farlo rialzare dal letto e rivestire inutilmente - siccome ero quasi certa che, per lo shock, non sarei stata capace di rispondergli se non a monosillabi -, sia perché avevo necessità di rimanere per conto mio e di riuscire a completare il puzzle da sola. Sembrava quasi che il fato, il destino, o qualsiasi cosa fosse, fosse assolutamente contrario al fatto di farmi aiutare da qualcuno a rimettere insieme i pezzi, e che volesse, anzi, che lo facessi io stessa. Il problema era che non si può completare un puzzle con dei tasselli mancanti, o se c'è sempre chi è pronto a sottrartene qualcuno da sotto il naso. Quella notte non avevo letteralmente chiuso occhio, infatti quel giorno mi sentivo privata di ogni minima forma di energia. Colin aveva perfettamente ragione: niente aveva un senso logico. Nella mia mente vorticavano tanti di quegli interrogativi, che sentivo la testa esplodermi: perché non me l'aveva detto, innanzitutto? E perché, quando ci eravamo incontrati per la prima volta al campus, mi aveva trattata in quel modo (perché, sì, ormai ero più che sicura che mi avesse riconosciuta da subito)? Perché mi aveva evitata come la peste, fino a quella fantomatica serata da Billy & Denny's di cui non ricordavo praticamente nulla? Cosa cavolo c'entrava Dave, e come faceva a sapere tutte quelle cose? La canzone che aveva scritto era dedicata a me, per questo me l'aveva fatta ascoltare? Non aveva mai avuto intenzione di dirmelo, oppure sì? Quante volte aveva tentato di farlo, ma poi si era arreso? Mi scorsero davanti agli occhi le immagini di tutte le volte che aveva provato a dirmi qualcosa e io lo avevo puntualmente zittito, parlandogli da sopra o cambiando argomento. Possibile che fosse stato sul punto di dirmelo quella volta su quel tetto? O quando andammo insieme in quel parco giochi? E, a proposito del parco giochi: la storia di sé che mi aveva raccontato non quadrava per niente con quello che ricordavo io. I suoi genitori erano molto uniti, era impossibile che avessero divorziato. Ma, soprattutto, come aveva fatto a permettersi tutti quei viaggi? E quella volta in caffetteria, quando gli avevo detto di non provare più niente per quel bambino... Aveva reagito a quel modo perché pensava parlassi di lui? Significava che aveva provato - o provava ancora - qualcosa per me? Beh, quello sicuramente, dato che l'iniziativa di baciarmi l'aveva presa lui, la prima volta. Poteva avermi mentito, però. Tanto lo aveva fatto fino a quel momento... Chissà quante altre balle avrebbe continuato a raccontarmi. Sbuffai, pervasa da un insostenibile senso di sconforto, e appoggiai la testa su una spalla di Colin, chiudendo gli occhi, mentre lui mi lasciava un leggero bacio tra i capelli. Era dalle sette di mattina che stavamo discutendo a riguardo (o, meglio, lui si cimentava in filippiche più lunghe dei rotoloni di carta igienica che pubblicizzavano sempre in Tv, e io annuivo o dissentivo), ed erano le undici passate. Non avevamo neppure fatto colazione. Cioè, io non l'avevo fatta. Mamma e papà erano andati in chiesa, per cui avevamo tutta la casa per noi, ma non avevamo fatto altro che rimanere chiusi in quel seminterrato per tutto il tempo. Avevamo seguitato a vedere filmini fin quando gli occhi non avevano cominciato a lacrimarmi, per quanto mi bruciavano - a causa dello sforzo eccessivo a cui li avevo sottoposti. Avevo lo stomaco chiuso e un'innata voglia di vomitare. Forse per tutta la cioccolata che avevo ingurgitato con Colin quella notte. Oppure per l'agitazione e l'ansia accumulate in quelle ore. Ero stanca. Mentalmente, fisicamente e psicologicamente. E Colin non fece altro che peggiorare le cose, quando prese parola.
"Cosa pensi di fare, adesso?" mi pose la domanda da un milione di dollari, avvolgendo un braccio attorno alle mie spalle e attirandomi più vicina a lui.
"Non lo so" ammisi, sconsolata, e la mia voce suonò più come un lamento che come una semplice ammissione.
E davvero non lo sapevo: non ne avevo la più pallida idea. Per tutta la notte avevo pensato a come giustificare con una spiegazione plausibile ciò che avevo recentemente appreso, non a come agire di conseguenza. Non che avessi fatto chissà che gran progressi anche dall'altro punto di vista. Avrei voluto avere Peter davanti per abbracciarlo così forte da soffocarlo. Poi avrei voluto prenderlo a ceffoni e usarlo come punching ball fino a far sì che mi implorasse di smettere. Grugnii, frustrata, e mi stropicciai gli occhi, distrutta.
"Basta, hai bisogno di una pausa. Ti preparo la colazione e poi ci mettiamo sul divano nel soggiorno e dormi un po'. Devi staccare la spina" decretò, perentorio, Colin, balzando su dal sofà vecchio e ammuffito alla velocità della luce.
Lo guardai interdetta, poiché la stanchezza m'impediva di recepire immediatamente le cose, e lui mi porse una mano, esortandomi silenziosamente ad alzarmi.
"Ma se tu non sai neanche friggere un uovo" lo schernii, ridacchiando e afferrando la mano che mi stava tendendo, facendomi aiutare a tirarmi su.
"Non è mai troppo tardi per imparare" sentenziò, ammiccandomi e tirandomi verso le scale.
Sorrisi e lo seguii senza più oppormi, sentendo la testa girarmi a ogni passo, e la debolezza diffondersi ovunque nel mio corpo - a partire dalle gambe, che non mi reggevano quasi in piedi, per finire con il mio cervello, che non aveva i riflessi pronti, e che mi avrebbe fatta andare a sbattere contro lo spigolo che ci si parò davanti quando svoltammo, se Colin non mi avesse prontamente fatto deviare. Aveva senza ombra di dubbio dormito molto più di me. Ovviamente. Chiunque avrebbe potuto dormire più di me. Giunti in cucina, mi sedetti su uno degli sgabelli attorno all'isola di marmo, e lo lasciai armeggiare indisturbato tra pentole, pentolini, tazze e tazzine. La luce del giorno, completamente assente in quel tugurio di seminterrato, mi pizzicava ancora di più gli occhi, non più abituati alla luce naturale. Anche l'aria dal profumo di cannella, che si respirava ovunque, era totalmente differente da quella chiusa e viziata alla quale ero stata obbligata fino a qualche minuto prima. Chiusi gli occhi, poggiai la testa sul freddo marmo bianco dell'isola, tra le braccia che vi avevo incrociato sopra, e mugolai. Un piacevole odorino di uova fritte e bacon mi raggiunse le narici e mi rasserenò. Sentii Colin aprire il frigo e richiuderlo, poi lo sbattere dell'anta di uno sportello - della credenza, probabilmente. Il rumore dello scoppiettare dell'olio in padella, invece, era una presenza costante. Il bicchiere di vetro che Colin mi pose accanto fece un suono strano, a contatto con la pietra del ripiano su cui ero effettivamente stesa. Alzai di poco la testa e vidi che era una tazza, in realtà. La mia preferita, per giunta: quella rossa a pois bianchi con un disegno stilizzato di Snoopy sopra. Era fumante, e il liquido al suo interno era quasi arancione, così storsi immediatamente il naso.
"Colin, che schifo, lo sai che il tè caldo non mi piace" brontolai, come se già non mi stesse rivolgendo un'accortezza particolare che non era per niente tenuto a farmi.
"È una tisana, infatti. Bevila, Cel, ne hai bisogno: ti rilasserai e ti aiuterà a dormire meglio" mi rassicurò, mettendo sul banco anche una forchetta e un piatto, con all'interno due uova fritte e tre strisce di bacon.
Lo guardai adorante, prima di fiondarmi letteralmente su quelle pietanze e divorarle speditamente.
"Niente a che vedere con le schifezze che ti propinano al campus, eh?" scherzò, prendendo posto di fronte a me.
Scossi la testa e proseguii a divorare la colazione che mi aveva preparato, chiedendomi da dove avesse tirato fuori quelle doti culinarie. Ma, presumibilmente, non me l'aveva mai detto prima per non permettermi così di sfruttarlo a ogni occasione buona (cosa che sarei indubbiamente stata capace di fare). Quando finii, si premurò addirittura di lavare i piatti, mentre io bevevo quello schifo di tisana bollente. Cacciai in fuori la lingua e assunsi un'espressione disgustata, quando smisi di sorseggiarla e gli passai la tazza vuota per fargliela lavare, e lui rise di gusto, facendo sogghignare anche me. Una volta in salotto, lui si sedette a un'estremità del divano, e io mi stesi sul resto, appoggiando la testa sulle sue gambe. E fu così che mi assopii nel giro di qualche attimo, cullata dalle sue carezze e dai dialoghi a malapena udibili tra gli attori del film che aveva iniziato a guardare.
×××
Posso dire con soddisfazione di aver dormito benissimo, grazie a quella tisana orripilante che Colin mi aveva preparato, e, per grazia o per sfortuna, avevo riposato così profondamente da non ricordare se avessi sognato o meno. Mi sentivo di gran lunga più tranquilla e rilassata (seppure il sonnellino fosse durato soltanto due o tre ore circa), quando una carezza sul viso mi fece risvegliare. Era papà, che mi stava amorevolmente incitando a destarmi, dicendomi che era pronto il pranzo, che Colin se n'era andato a casa sua per mangiare, e che sarebbe tornato nel primo pomeriggio per salutarmi prima della mia partenza per Princeton. Ma io non volevo tornarci. C'era una parte di me che lo desiderava ardentemente, e un'altra che non ci pensava proprio ad affrontare il fiume in piena di complicazioni che mi avrebbe investita e soffocata una volta lì. Ma dovevo rientrare per forza: il giorno dopo sarebbero incominciati gli esami, e non potevo assentarmi, per quanto lo volessi. L'atmosfera del pranzo non si rivelò essere differente da quella che aleggiava in quella casa dal giorno precedente. Papà cercava di tenere in piedi una conversazione, provando a coinvolgere entrambe, mamma rispondeva a monosillabi, e io facevo quello che potevo. Subito dopo aver mangiato, ero andata dritta nella mia stanza a preparare lo zaino con le mie cose, dopo essermi lavata i denti e data una veloce rinfrescata. Fiduciosamente, avrei dormito anche per le cinque ore di pullman che mi attendevano (anche se sia papà che Colin si erano più volte offerti di accompagnarmi in macchina), e non avrei pensato più a tutto quello che quel brevissimo ma intenso fine settimana si era portato dietro.
×××
La sessione di esami era stata estenuante. Era durata per ben venticinque giorni, e non avevo avuto neanche un secondo di respiro, sempre di corsa tra una lezione e l'altra e i turni da Babs'. Ma l'inferno era finalmente terminato, per fortuna, e, grazie soprattutto all'aiuto di Dave, ero riuscita a superare tutti i test. Io e l'allegra combriccola non avevamo proprio avuto modo di passare del tempo insieme, dati i continui affanni e impegni di ognuno di noi. Non mi è difficile constatare con certezza che quelli sono stati i giorni più lunghi e infiniti della mia vita. Intravedevo di sfuggita Lindsay solo la sera, quando mi ritiravo dal locale, e la mattina, prima di filare entrambe a lezione per non fare tardi. Abigail non l'avevo quasi vista più, se non qualche volta a pranzo, quando ci eravamo ritrovate a mangiare insieme in un attimo di pace prima di riprendere la maratona. Mike era sempre a lezione e, quando non lo era, era a lavorare in biblioteca, ed erano state più che rare le volte in cui eravamo riusciti a dirci anche solo: "Ciao!", entrambi troppo indaffarati per fermarci anche solo un istante per parlare. Dave era sfuggente e costantemente impegnato, ma lo incrociavo ogni giorno per i corridoi, e lo ringraziavo ogni volta per l'aiuto prezioso che mi aveva dato, perché senza di lui avrei preso una sfilza interminabile di insufficienze. E Peter... Beh, Peter era quello più occupato, tra tutti noi. I corsi che seguiva lui erano decisamente più impegnativi dei nostri, e Mike aveva anche avuto l'occasione di dirmi, tra una chiacchiera e l'altra, che aveva dovuto addirittura rinunciare a suonare da Billy & Denny's, per quel periodo, tanto che aveva da fare. Per cui i ritmi frenetici non ci avevano per niente dato tempo di parlare. Avevo riflettuto a lungo su cosa fare, con lui, ed ero giunta alla semplice conclusione che molte volte le cose non vanno programmate: si deve agire d'istinto, in fondo siamo esseri umani, è nella nostra natura agire d'impulsi. Per grazia divina, quel giorno erano ufficialmente cominciate le vacanze d'autunno, e sarebbero durate fino all'otto novembre, quindi avevamo un'intera settimana di riposo e nullafacenza davanti. Per di più era Halloween, e ci eravamo messi d'accordo per celebrarlo tutti insieme in una delle nostre stanze, istituendo una serata all'insegna dell'ozio e della stupidaggine. Mike si era procurato delle scorte immense di porcherie, tra cui: marshmallow e vari tipi di caramelle, patatine e, naturalmente, Nutella. Lindsay si era autoincaricata di truccarci il viso in modo "quantomeno spaventoso", perché, a detta sua, dovevamo rimanere in tema. Persino Ryan (l'amico di Peter che suonava il basso in quella che credevo essere la loro "band") si era unito a noi, e aveva provveduto a svaligiare l'intero piano bar di Billy & Denny's, a quanto sembrava, portando gli alcolici, e dicendo che Carl sicuramente glieli avrebbe scalati tutti dallo stipendio, una volta accortosi della mancanza. Abigail ci aveva invitato a riunirci nella sua stanza - perché la sua coinquilina sarebbe tornata a casa per le "vacanze" -, a patto di non fare troppo casino e non attirare l'attenzione del guardiano. Non era molto diversa da quella mia e di Lindsay, sebbene il suo dormitorio si trovasse al Whitman e non al Mathey come il nostro: la camera era molto sobria, sui toni del verde pistacchio, con: due letti singoli addossati alla parete sulla destra; una porta che conduceva a un piccolo bagnetto sulla sinistra; una scrivania con sopra una mini Tv e con due sedie affiancata al muro di fronte alla porta principale, e un armadio disposto contro la parete dove si trovava anche l'entrata del bagno. C'erano anche delle bacheche di sughero stracolme di foto e degli scaffali traboccanti di libri, sopra la scrivania. Io mi ero personalmente occupata di stilare una sottospecie di programma della serata, con su scritte tutte le cose che avremmo potuto fare. Peter non aveva per nulla partecipato, ma, onestamente, non sapevamo neppure con certezza se sarebbe venuto o meno.
"Spiegami un'ultima volta come hai fatto a infiltrarti all'interno del campus senza destare sospetti..." richiese Mike a Ryan, sinceramente interessato, siccome ancora non riusciva ad afferrare come quest'ultimo avesse fatto a scamparla, con tutti i sistemi di sicurezza e di sorveglianza che erano sparsi in giro, e senza badge - visto che neanche studiava lì.
Io, Abigail e Lindsay eravamo sedute a terra, mentre quest'ultima ci ritoccava il trucco, ci disegnava a turno delle ragnatele sul viso con una matita per gli occhi, e spargeva un po' ovunque sulla nostra pelle ombretto nero glitterato. I ragazzi erano seduti sul letto della coinquilina di Abigail, intenti a discutere giocherellando con ogni cosa capitasse loro a tiro (avevo compreso che si conoscevano già, quindi presupposi che anche Mike frequentasse il Billy & Denny's, occasionalmente). Eravamo tutti in pigiama - regola fissata da Abigail, che non voleva che ci stendessimo sul letto suo o della sua amica con i vestiti "sporchi" o con le scarpe. Erano appena le dieci e mezza di sera, quando Lindsay ci completò il make-up e comunicò ai ragazzi che eravamo ufficialmente pronte, e quando qualcuno bussò alla porta. Il mio cuore perse un battito al pensiero che potesse essere lui. Invece dall'esterno provenne solo la voce nasale e infastidita di una ragazza, che raccomandava ad Abigail di fare silenzio, perché altrimenti avrebbe convocato il controllore.
"Io proporrei di cominciare dalla Chubby Bunny Challenge, tanto i marshmallow ce li abbiamo" suggerì Lindsay, leggendo a fatica il programma che avevo scritto frettolosamente su un pezzo di carta raccapezzato per miracolo, prendendo posto sul letto, al fianco di Ryan (tutto accuratamente calcolato per non avvicinarsi troppo al povero Mike).
"E che sarebbe?" domandò Ryan, incuriosito, alzandosi dalla sua posizione supina e mettendosi a sedere.
"È una sfida a chi riesce a mettersi in bocca più marshmallow senza ingoiarli né masticarli, e a dire 'Chubby Bunny' ogni volta che se ne ficca in bocca un altro" gli spiegò Abigail, arrossendo e abbassando immediatamente gli occhi nel momento in cui si rese conto che ci eravamo zittiti tutti per starla a sentire, e che lo sguardo incuriosito di Ryan si era posato su di lei.
A quanto pareva qualcuno aveva una piccola cotta. Lindsay si schiarì la voce per distogliere l'attenzione da Abigail, e ci chiese chi voleva partecipare. Io e i ragazzi aderimmo senza pensarci due volte. Lei si autoproclamò arbitro, e Abigail non voleva rendersi ridicola: preferiva fare solo da spettatrice. Mike aprì il pacchetto di dolcetti che ci aveva fornito lui stesso, e ne prendemmo uno a testa tutti e tre. Al via di Lindsay, li mettemmo in bocca, pronunciando la fatidica frase senza intoppi. Gli altri tre turni successivi procedettero alla stessa maniera. Il problema sorse al quarto marshmallow (cavolo, quei cosi erano veramente enormi), quando Ryan prese a tossire convulsamente, perché si stava quasi per strozzare, e dichiarò forfait. Rimanemmo solo io e Mike in gara, e facevamo di tutto per non scoppiare a ridere, ma con scarsi risultati. All'ottavo marshmallow avevo le guance più piene di quelle di Theodore, il chipmunk di Alvin Superstar, e faticavo tantissimo a mantenere un'espressione seria, vedendo che Mike non era messo molto meglio di me. Stavamo per inaugurare il nono, ma qualcuno bussò nuovamente alla porta.
"Che palle, Cassandra, ho capito: faremo silenzio!" si lamentò Abigail, facendoci spalancare gli occhi, perché nessuno di noi l'aveva mai sentita parlare così a qualcuno.
Il bussare si fece sempre più insistente, al che Lindsay, alquanto seccata, scese dal letto, già pronta a fare una scenata a quella rompipalle, ma la visione che si presentò davanti ai loro occhi stupì Mike a tal punto, che prese a tossire come un malato terminale di tubercolosi e ingoiò tutti i marshmallow, facendomi automaticamente vincere. Sollevai i pugni chiusi in aria, in segno di vittoria, masticai il tutto e ingoiai anch'io, sentendo le guance farmi male. Avevano assunto tutti un'espressione abbastanza infastidita, perciò sapevo già di chi si trattasse, ancora prima di girarmi verso la porta.
"Ehi, grazie per avermi fatto vincere, Dave!" gli riconobbi, voltandomi nella sua direzione e facendogli il saluto del capitano con una mano.
Lui ridacchiò, ricambiando il cenno e chiedendo a Lindsay il permesso di entrare, che lei, di malavoglia, gli concesse. Forse avrei dovuto avvisarli del fatto che lo avevo invitato, ma sicuramente mi avrebbero imposto di dirgli che la serata era stata annullata, vista l'enorme simpatia che provavano nei suoi confronti. È vero, era stato molto egoistico da parte mia, ma io avevo bisogno di sapere, e di vedere che effetto avrebbe avuto su Peter il piano genialmente idiota che avevo da poco ideato. Peccato che di Peter non ci fosse nemmeno l'ombra.
"Cambiamo gioco, vi prego. Sulley, qual è il prossimo punto sulla lista?" inquisì Mike, bevendo un sorso d'acqua da una bottiglietta che Abigail aveva sul comodino.
Quest'ultima emise un verso di disgusto - per il fatto che avesse bevuto la sua acqua (manco avesse avuto la lebbra) - che fece ridacchiare Ryan. La piccola cotta era reciproca. Dave si accigliò per il soprannome che aveva usato Mike, e per come eravamo conciate noi ragazze, ma non disse niente e si accomodò sul letto di Abigail. Io lo raggiunsi poco dopo, sedendomi accanto a lui. Lei era ancora per terra, ma presto andò ad accomodarsi su una delle due sedie vicino alla scrivania.
"Uhm... Obbligo o Verità, ma non è banale?" annunciò Lindsay al posto mio, con ancora in mano la mia lista.
"Perché? Secondo me non è una cattiva idea, invece. Ma stabiliamo che chi si rifiuta di attenersi agli obblighi che gli vengono inferti deve bere un sorso di vodka. Almeno così la cosa è resa più interessante, e saremo tutti ubriachi nel giro di qualche minuto" consigliò Ryan, risolutivo, prendendo e agitando una bottiglia di vetro, contenente un liquido trasparente, con un'espressione furba in viso.
"Io ci sto. Ma questo vuol dire che gli obblighi dovranno essere alquanto improponibili" concordò Dave, ridacchiando, e cogliendo l'occasione per presentarsi a Ryan e Abigail.
Acconsentimmo tutti unanimemente - a parte Abigail, che si rivelò un po' restia, all'inizio. Mike bevve tutta l'acqua che c'era nella bottiglietta di Abigail e la mise a terra, incitandoci a sederci lì, perché sennò la bottiglia non avrebbe girato bene, e la sorte si sarebbe rivoltata contro di noi. Quando bussarono alla porta per l'ennesima volta, scatenando gli sbuffi di tutti quanti, fui io ad alzarmi per andare ad aprire a quell'odiosa. Ma il cuore mi affondò in picchiata nello stomaco, come appena buttatosi da un burrone, quando incontrai due occhi grigi che mi fissavano allegri.
"Ciao" esclamò, sorridendomi, corrugando solo per un attimo le sopracciglia alla vista del trucco sul mio viso.
Aveva con sé un'infinità di cartoni di pizza, che sorreggeva con un braccio, e una busta bianca di plastica - che conteneva quelle che avevano tutta l'aria di essere due bottiglie di Coca Cola - appesa all'altro. Deglutii rumorosamente, perché non avevo fatto i conti con le sensazioni che mi avrebbe provocato rivederlo davvero, e non solo per pochi secondi, dopo quello che avevo appreso quell'ormai lontano weekend ventisette giorni prima. Avevo la pelle d'oca, e credevo che, per qualche strana ragione a me ignota, il mio cuore avesse improvvisamente smesso di battere.
"Ehi, Pete, alla buon'ora!" lo rimbeccò Ryan, facendomi ridestare dal mio momentaneo stato di trance e aprirgli di più la porta per farlo passare.
"No!! Hai portato le pizze! Ma io ti adoro!!" esultò Lindsay, alzandosi immediatamente per andargli incontro e aiutarlo a liberarsi del peso, mentre io ero ancora immobile sull'uscio.
Mi schiaffeggiai mentalmente e richiusi la porta, vedendolo salutare tutti tranne Dave, che, invece, con mia - e anche sua - somma sorpresa, gli tese una mano e si presentò. Assottigliai gli occhi a quel gesto. "Ma non si conoscevano già?" pensai. Ma era ovvio che si conoscessero già, altrimenti non avrebbe avuto senso. Niente avrebbe avuto senso. Peter, riluttante, gli strinse la mano, per poi togliersi la giacca e salutare Ryan con una pacca su una spalla e una strana stretta di mano. Mi rimisi accanto a Dave, tentando di rimuovere dalla mia mente l'istantanea immagine di Peter da bambino che mi era apparsa davanti agli occhi, come in un flash, appena gli avevo aperto la porta, poco prima. Prese posto sull'altra sedia, vicino ad Abigail, e Lindsay distribuì le pizze. Ne divisi una con Dave - cosa che in una situazione normale non sarebbe mai avvenuta, perché la pizza è sacra, e non si condivide. Non avevo poi così tanto appetito. Avevo un groppo in gola e voglia di vomitare. Ma dovevo calmarmi, perché, in caso contrario, avrei mandato tutto a rotoli. Finito di cenare, riprendemmo da dove eravamo rimasti, e Mike si premurò di introdurre a Peter le regole del gioco. Lui, però, era troppo impegnato a guardarmi intensamente per prestargli attenzione. Aveva capito che c'era qualcosa che non andava, e mi stava squadrando per capire dove fosse il problema. Faceva così anche quando eravamo bambini: si accorgeva subito di quando ero triste, e provava sempre a consolarmi. Doveva dannatamente smetterla, però, perché mi avrebbe fatta ammattire, sennò.
"Quindi tu giochi, Pete?" gli domandò Lindsay, e, non so bene per quale motivo, ma mi irritai parecchio a sentirla chiamarlo in quel modo.
Lui annuì semplicemente, continuando a fissarmi. Non me la sentivo di ricambiare il suo sguardo. Almeno, non ancora. Dannazione, non avrei mai pensato che sarebbe stato così difficile affrontarlo. Ma tutto divenne più facile dopo i primi giri della bottiglia di plastica, perché - quando si dice il caso - aveva indicato me per più volte, e mi ero di proposito rifiutata di fare tutte le cose che mi avevano prescritto, quindi avevo già bevuto innumerevoli sorsi dalla bottiglia di vetro, quando quella di plastica indicò prima Peter e poi me. Scelse verità e, per la prima volta quella sera, mi decisi a rivolgergli la parola. Sceglieva sempre verità, evitando apposta gli obblighi, probabilmente per non bere - anche Abigail faceva così.
"Per chi era quella canzone?" ecco tutto ciò che il mio elaboratissimo cervello riuscì a partorire in quel tangente.
Tra tutte le cose che potevo domandargli, avevo prescelto la più cretina di tutte. Glielo avevo già chiesto, per di più, ma lui non mi aveva risposto adeguatamente per i miei gusti. Si irrigidì. In quel momento mi ritrovai a smentire tutti i libri e i film che avevo letto e visto fino ad allora: l'alcool rende stupidi, non audaci. Nella stanza calò il silenzio. Avevano tutti un'espressione abbastanza preoccupata in volto - a parte Dave e Ryan, ignari di tutto. E, forse, se non fossi stata un po' brilla, avrei anche collegato le due cose, e mi sarei resa prima conto del fatto che loro sapevano, sapevano tutti, ma nessuno si era degnato di dirmi niente. Erano dalla sua parte, e allora io dovevo giocare bene le mie carte per non perdere la partita. Perché era diventato quello: una partita, una sfida, uno stupido gioco a chi avrebbe ceduto prima. E a me non è mai piaciuto perdere.
"Per una ragazza" proferì soltanto, imperturbabile, provando a mantenere il tono fermo e distaccato.
"Oh, andiamo, Pete, che razza di risposta è? Come se l'avessi composta per un ragazzo" lo prese in giro Ryan.
Oh, povero, ingenuo, Ryan, inconsapevole delle occhiate di fuoco che gli stavano indiscretamente lanciando un po' tutti. Peter si passò una mano tra i capelli e tirò leggermente le punte, alle strette. Distolse per qualche attimo lo sguardo, meditando probabilmente su cosa dire e su come misurare le parole per non sbilanciarsi troppo. Che razza di codardo che era. Sarebbe stato tutto così semplice, se me l'avesse detto senza troppi giri di parole.
"L'ho scritta per la ragazza che am...avo" si corresse alla fine, guardandomi solo per un millisecondo, prima di rigirare la bottiglia e far ripartire il gioco.
Perché il mio cuore si era fermato, invece? Si palpava chiaramente la tensione, nell'aria, ma nessuno ci fece caso a parte me. Oppure fecero finta di non notarlo. Sentii qualcosa di caldo a contatto con le mie dita fredde, e notai che era la mano di Dave che stava cingendo la mia con delicatezza. Lo fissai negli occhi e mi sorrise, come per rassicurarmi. Ricambiai il suo sorriso, strinsi la sua mano nella mia, gli lasciai un leggero bacio su una spalla e poi mi ci appoggiai, incatenando gli occhi a quelli del ragazzo di fronte a me, che si fingeva indifferente. La bottiglia, girando, indicò nuovamente Peter - che puntò sull'obbligo -, ma stavolta era Lindsay a dovergli fare una domanda. Non potemmo che rimanere tutti allibiti, quando si espresse, però.
"Descrivi nei dettagli la prima volta che hai fatto sesso con una ragazza" gli intimò, sorridendo con aria maliziosa.
Dacché sembrava essere andato in pensione, il mio cuore riprese a battere alla velocità di un giovane cavallo in corsa. Allentai la presa sulla mano di Dave, e potrei giurare di aver visto Mike sbiancare. Tutti fissavano Peter interessatissimi, e le sue guance si colorarono di una leggera sfumatura di rosso. Non rispose, ma quel silenzio valse più di mille parole, soprattutto per Lindsay. Due erano le cose: o si imbarazzava a dirlo ad alta voce, o...
"O mio Dio, non ci credo! Sei vergine?" squittì Lindsay, al limite dello stupore e dell'incredulità, facendolo arrossire visibilmente di più.
Dave sbarrò gli occhi e si portò una mano davanti alla bocca per non scoppiare a ridere, bisbigliando sottovoce un "Ci avrei scommesso". Mike abbassò lo sguardo sul pavimento, sconsolato. Ryan sembrava avesse addirittura smesso di respirare per lo shock (allora compresi che non erano amici tanto intimi quanto invece credevo che fossero). Lindsay aveva un'espressione impagabile, e persino Abigail si disse sconvolta da quella non-ammissione. Io dovevo somigliare a un fantasma, per come sentivo il sangue defluirmi lentamente dal viso.
"Dipende da tu cosa intendi per 'vergine'..." alluse Peter, dopo svariati minuti di silenzio, con il tono di voce che tradiva l'insicurezza che voleva celare, alzando un sopracciglio.
Assumemmo tutti un'espressione crucciata, perché non esistevano più modi di intendere il termine. Mike si illuminò e si morse il labbro inferiore per non ridere. Lindsay rimase parecchio interdetta, così come il resto di noi. Fu Mike a riprendere in mano la situazione.
"Oh, sì, ti capisco: anche la mia prima volta è stata terribile. Era la ragazza più orrenda di tutta la scuola, ma era il ballo dell'ultimo anno, e sarebbe stato da sfigati non farci sesso. Uh, che ricordi... Beh, allora, che ne dite di cambiare gioco?" ponderò, accartocciando la bottiglietta ancora prima che potessimo rispondere e gettandola nel cestino sotto la scrivania, con un canestro perfetto che fece esultare Ryan e Peter.
Forse fui l'unica a notare lo sguardo colmo di gratitudine che quest'ultimo gli riservò. Dave sbuffò, e Peter posò di nuovo gli occhi su di noi. Colsi la palla al balzo per sussurrare all'orecchio di Dave una frase piuttosto normale, ma alla quale il suo corpo reagì in maniera alquanto esagerata, facendo intendere all'osservatore che avevamo di fronte che, in verità, gli avessi detto qualcos'altro: "Ti stai divertendo?". Dave mi rivolse un sorriso sghembo, per poi sussurrarmi a sua volta, con tono seducente: "Avrei in mente una serie di altri modi per divertirci entrambi molto di più". Ridacchiai, con aria civettuola, controllando Peter, che aveva un'espressione seria in volto, le mani chiuse a pugno e le nocche bianche. Oh, dolce, dolce vendetta.
"E allora perché non ce ne andiamo da qualche altra parte, solo io e te?" lo provocai, a voce bassissima, posandogli con delicatezza una mano sull'interno coscia.
Lui era abbastanza ebbro, e si impietrì repentinamente alle mie parole. Io non ero ancora così ubriaca, ma volevo suscitare anche una minima reazione da parte di Peter, e mi auspicavo con tutto il cuore che quel piano assurdo sarebbe andato in porto. Perciò, nella confusione generale, mentre tutti erano impegnati a discutere su cosa avrebbero fatto dopo e su se avrebbero potuto mettere un po' di musica senza far sì che quell'odiosa Cassandra tornasse all'attacco, io e Dave ci alzammo in piedi, afferrammo i nostri cappotti e le nostre scarpe, li salutammo frettolosamente, e uscimmo dalla stanza, incamminandoci verso una destinazione a me ignota. "Ti prego, ti prego, ti prego" era quello che mi ritrovai a sperare, quando lui si fermò e mi addossò contro una delle pareti del corridoio, probabilmente per baciarmi. Ma, con mio grande sollievo, qualcuno ci interruppe.
"Dave, scusa, puoi venire con me un secondo? Avrei bisogno del tuo parere riguardo... una certa cosa" Lindsay incespicò tra le parole, in difficoltà, e lui, ancora voltato verso di me, roteò gli occhi al cielo.
"Torno subito, dolcezza" mi rassicurò, lasciandomi frettolosamente un bacio sul mento, per poi seguire la mia coinquilina.
Sospirai e appoggiai le scarpe a terra, per infilarmi il giubbino e farmi una rapida treccia laterale, con un elastico che avevo indossato come bracciale fino a quel momento. Poi mi chinai per mettermi le mie adorate Converse. Sbadigliai, rialzandomi, e, senza avere neppure il tempo di spiegarmi come, mi ritrovai ancora incastrata tra il muro e un corpo. Ma quella volta non era il corpo di Dave.
"Lo fai apposta?" indagò, con il tono disperato e il fiatone, connettendo i suoi splendidi occhi grigi ai miei, mentre il suo profumo mi riempiva i polmoni.
"A fare cosa?" articolai, con un filo di voce, con lo stomaco che mi faceva le capriole in pancia e il battito cardiaco notevolmente accelerato.
"A farmi impazzire" sostenne, passando il naso sul mio collo e provocandomi la pelle d'oca ovunque, con il suo fiato sulla mia pelle, aggrappandosi ai miei fianchi con entrambe le mani.
Chiusi gli occhi, pervasa dal piacere e dalle sensazioni. Non so ancora con quale forza di volontà fui capace di spiccicare parola.
"Non so di cosa tu stia parlando" mentii, risucchiando un respiro quando posò le labbra morbide e screpolate sul mio collo.
"Mm... Non mi piace condividere" ammise, con la voce roca che mi fece sciogliere come neve al sole.
Seguitava a parlare muovendo le labbra mentre mi sfiorava il collo, ma non mi aveva ancora effettivamente baciata, e la cosa stava facendo ammattire me.
"E questo cosa vorrebbe dire?" mormorai, allacciando le braccia attorno al suo collo.
"Che vorrei renderti mia e fare in modo che tutti lo sappiano" asserì, regalandomi, finalmente, un dolce e tenero bacio proprio sotto la mandibola.
"Temo che questo non sia possibile" lo stuzzicai, accarezzandogli con le dita i capelli sulla nuca.
"Ma potremmo fare in modo che lo sia almeno per noi" constatò, con gli occhi nei miei e lo sguardo pieno di tacite promesse, accarezzandomi le labbra con il pollice di una mano, prima di congiungere le sue alle mie in un gesto matto e bisognoso.
Le sue mani si spostarono sotto le mie ginocchia, e io avvolsi le gambe attorno ai suoi fianchi, mentre la sua lingua rincorreva la mia. Avevo lo stomaco attorcigliato, il cuore a mille, e mi mancava il fiato. Sapeva ancora della pizza che avevamo mangiato qualche ora prima. In quel momento compresi che non importava da quanto tempo non lo vedessi, o il fatto che non mi fossi immediatamente ricordata di lui. L'unica cosa rilevante era che, con il cuore che batteva più velocemente del solito e le farfalle nella pancia, capii che non avrei mai amato altri occhi, altre labbra, altri pregi e altri difetti se non i suoi. Perché, per quanto il destino potesse esserci avverso, un modo per farci ritornare l'una dall'altro lo avrebbe trovato sempre.
"I'll never forget you, and you'll
Always be by my side. From the
Day that I met you, I knew that I
Would love you till the day I die.
And I will never want much more,
And in my heart I will always be sure".
N/A
Okay, fa letteralmente schifo e mi vergogno di aver scritto una cosa così orrenda e orripilante.
Capitolo revisionato.
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