18. What Now
"I've been ignoring this big lump
In my throat. I shouldn't be crying,
Tears were for the weaker days, I'm
Stronger now, or so I say, but
Something's missing".
Il mio respiro si faceva sempre più affannato, e l'opprimente sensazione al petto non sembrava volersi affievolire. Era come se avessi un macigno addosso che mi stava schiacciando. Avevo l'enorme terrore di poter morire da un momento all'altro, e non capivo perché, non capivo cosa stesse succedendo, e non capivo neanche come fosse possibile. Avevo gli occhi sgranati e il cuore che batteva così veloce, che quasi mi faceva male. A tratti non vedevo nemmeno più la faccia di Mike, e mi si oscuravano gli occhi, seppure io non li avessi chiusi. Mi veniva da piangere, vomitare e urlare contemporaneamente, ma dalla mia bocca non usciva alcun suono, e tantomeno riuscivo a fare altro se non tremare tra le braccia di Mike. Non ero nemmeno capace di deglutire. Lo vidi allontanarsi un attimo, poi sentii un rumore di chiavi che giravano e facevano scattare una serratura, dopodiché le sue braccia mi cinsero di nuovo, ma quella volta mi mise una mano sotto le ginocchia e un'altra dietro la schiena. Abbassò, non so ancora come, la maniglia e spinse la porta con un piede. In seguito la richiuse allo stesso modo e mi adagiò cautamente sul mio letto, sedendosi poi al mio fianco. Mi tolse lo zaino di dosso e lo gettò a terra, successivamente mi prese una mano tra le sue e me la strinse. Volevo parlargli, volevo spiegargli cosa mi stesse capitando, ma non avevo proprio voce, e la cosa non fece che terrorizzarmi maggiormente.
"Celeste, guardami. Ho bisogno che mi ascolti attentamente, adesso, okay?" richiese, dolcemente e pacatamente.
Non era spaventato, o almeno non lo dava a vedere, e, anzi, sembrava molto tranquillo. Cosa che contribuì, in parte, a tranquillizzare anche me. Annuii lentamente, facendo uno sforzo sovrumano per fare in modo che i comandi del mio cervello venissero eseguiti dai miei muscoli, e lui mi sorrise amorevolmente, rafforzando di poco la presa sulla mia mano, che, insieme alla sua, iniziava a sudare.
"Facciamo un gioco insieme, ti va?" mi domandò ancora, e io assentii per la seconda volta, respirando sempre più velocemente.
"Allora, inspira dal naso ed espira dalla bocca. Lo farò anch'io. Dieci volte. E, tra un'espirazione e l'altra, ho bisogno che tu pensi a una cosa bella. La più bella a cui riesci a pensare, per un totale di dieci cose belle. Che ne dici?" inquisì, dopo avermi spiegato cosa aveva intenzione di fare.
Acconsentii nuovamente e lui mi si fece più vicino, guardandomi intensamente negli occhi. Tentai di inspirare dal naso come lui mi aveva detto, con calma, insieme, ma non ne ero capace. Avevo troppa paura di quello che mi stava accadendo e di quello che era avvenuto qualche minuto prima. Lui non mi rimproverò per non esserci riuscita, ma, con dolcezza, mi incoraggiò affinché ci riprovassi. La seconda volta andò meglio. Inspirai con lui, piano, e cacciai fuori l'aria dalla bocca. Chiusi gli occhi per un secondo per pensare a una cosa bella.
"Il cielo al tramonto" mormorai, talmente a bassa voce che dubitai addirittura del fatto che mi avesse sentito.
Riaprii gli occhi e notai che mi stava sorridendo. Inspirai ancora dal naso, insieme a lui, fissando come compivamo le stesse azioni in sincronia, ed espirai ancora dalla bocca.
"Il tetto di un grattacielo" dissi, stavolta a voce un po' più alta.
Il battito del mio cuore stava pian piano rallentando la sua corsa, ma il mio respiro era ancora irregolare, e il peso sul mio petto non si era ancora affievolito. Mike mi accarezzò, titubante, una coscia, quasi come se avesse avuto timore di fare la cosa sbagliata, e mi intimò con lo sguardo di andare avanti, senza che quel sorriso scomparisse dal suo viso. Inspirammo ed espirammo per la terza volta.
"Il vento tra i capelli" ammisi, con più convinzione.
Mike sorrise ancora, e io proseguii. Inspirammo ed espirammo per la quarta volta.
"I popcorn" sussurrai, e lui ridacchiò sommessamente, facendomi sorridere.
Inspirammo ed espirammo per la quinta volta.
"La pizza" attestai, percependo il mio respiro regolarizzarsi mano a mano che andavo avanti.
Inspirammo ed espirammo per la sesta volta.
"Dormire abbracciati" dichiarai, senza esitazioni, mentre la mia mente faceva due più due.
Ma, distratta dal fatto che Mike mi stesse esortando a procedere, non ci pensai troppo. Inspirammo ed espirammo per la settima volta.
"Gli occhi celesti-verdi" decretai, metabolizzando il processo assurdo che mi stava facendo fare il mio cervello.
Mike aggrottò le sopracciglia e mi fissò leggermente incuriosito. Inspirai ed espirai per l'ottava volta.
"I capelli biondo-cenere" continuai, anche se sia il mio respiro che il mio battito si erano ormai normalizzati da un bel pezzo.
Mike rimosse impercettibilmente la mano dalla mia gamba, ma mantenne l'altra stretta alla mia. Inspirai ed espirai per la nona volta.
"Il suono di una chitarra acustica" esclamai, preparandomi al gran finale.
Mike non era più incuriosito o confuso, era consapevole, perché io so che aveva capito tutto quanto, ma non voleva intervenire per non interrompermi. Inspirai ed espirai per l'ultima volta.
"Peter" bisbigliai, con la voce che mi moriva in gola.
Mi alzai a sedere. Il peso sul petto non c'era più. I battiti erano regolari. Il respiro pure. Non tremavo più. Non mi formicolavano più le mani o le braccia. Non avevo più vampate di calore. Non sudavo più così tanto come poco prima. Era passato tutto. Sollevai gli occhi per guardare Mike, che già aveva i suoi puntati su di me.
"Anche mia sorella soffre di attacchi di panico, perciò so come comportarmi" mi spiegò, senza che gliel'avessi chiesto.
E, mentre lo fissavo, incominciai a rendermi conto del fatto che gli avevo elencato dieci cose che erano ovviamente tutte collegate a Peter, e che, quindi, io associavo tutte le cose belle della mia vita a lui, e non sapevo quanto potesse essere positivo un evento come quello. Mike mi osservava. Probabilmente voleva dire qualcosa. Ma che dico, naturalmente voleva dire qualcosa. Però non parlò nessuno dei due. Volevo ringraziarlo per quello che aveva fatto per me, per avermi aiutata, ma non lo feci. E fu solo quando si mise in piedi e mi comunicò che forse sarebbe stato meglio andarsene, che pronunciai le parole che tanto avevano faticato a risalire le mie corde vocali e a riversarsi all'esterno.
"Mike... Non può essere lui..." stabilii, con voce rotta, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime.
Con un gesto fulmineo mi si risiedette accanto e mi accarezzò un braccio.
"Celeste..." aveva il tono afflitto, e stette per un po' in silenzio, cercando forse le parole migliori da adoperare.
"Tu lo sapevi, non è vero?" lo bloccai, incapace di astenermi dal farlo.
Scosse il capo, sconsolato, e abbassò lo sguardo, confermando i miei dubbi.
"Anche Peter lo sapeva, giusto? Perciò ha reagito così, stamattina? Perché lo sapeva? Perché pensava che mentissi e che in realtà fossi ancora innamorata di quel bambino?" parlai più che altro a me stessa, rimettendo insieme pezzetto dopo pezzetto, ma sbriciolandomi dopo ogni tassello che tornava al suo posto.
Mike sospirò, arrendendosi. Non mi guardò più in faccia, il che mi fece presumere che ci fosse dell'altro. Ma, in quel momento, non avevo per niente voglia di sentire di più.
"È solo che... Non può essere lui, dannazione. Ma ti rendi conto di chi stiamo parlando?! Capisco che le persone cambino, ma... No, io mi rifiuto di crederci. Non è..." ma non fui in grado di terminare il discorso.
La voce mi si incrinò, e presto le mie guance si bagnarono delle lacrime che avevo trattenuto a stento fino a quel momento. Le braccia di Mike mi avvilupparono prontamente ancora una volta, ed era come se avesse voluto ricompormi. Ma, quando un vaso si frammenta in così tanti pezzi, è quasi impossibile rincollarli tutti insieme, ed è ancora più improbabile che torni a essere lo stesso vaso di partenza. Mi lasciai stringere, e lui mi lasciò sfogare. Piansi parecchio quella sera, e urlai ancor di più, e lui sopportò tutto, e si lasciò anche prendere a pugni sul petto, occasionalmente, quando la rabbia aveva il sopravvento sullo sconforto. Mi restò accanto, si rifiutò di lasciarmi sola, e si assicurò che non digiunassi e non mi disidratassi. Non aveva più proferito parola, ma il suo silenzio era stato sufficientemente eloquente.
×××
Quella notte, miracolosamente, non sognai nulla. O, almeno, niente che valesse la pena ricordare. Il giorno seguente mi risvegliai in uno stato pietoso, con il trucco colato ovunque e i capelli pieni di nodi. Mike non c'era, e pensai che se ne dovesse essere andato non appena era rincasata Lindsay, quando io già dormivo placidamente nel mio letto, distrutta. In tutti i sensi in cui può essere inteso l'aggettivo. Detestavo a morte l'odiosissimo suono della sveglia di Lindsay, ma detestavo ancor di più l'idea di dovermi preparare rapidamente perché, purtroppo, era lunedì e, purtroppo, era cominciata un'altra settimana. Mi alzai dal letto e mi trascinai fino al bagno, perché se ci fosse entrata prima Lindsay non ne sarebbe uscita più. Feci pipì e mi guardai allo specchio. Ero anche peggio di come mi ero immaginata. Ma c'era un altro particolare che si notava subito: era come se i miei occhi non fossero più gli stessi. Era cambiato qualcosa. Erano sempre azzurri, molto azzurri, troppo azzurri, ma c'era qualcosa di diverso. O ero semplicemente troppo sconvolta e mi immaginavo le cose. Scossi la testa e mi sciacquai il volto, asciugandolo poi con l'asciugamano rosa che era a fianco al lavandino. Mi pettinai i capelli, li avvolsi in una coda alta e, in quel momento, presi la folle decisione di non truccarmi, per quel giorno (cosa che non era mai successa, perché mi preoccupavo di essere sempre quantomeno decente). Sospirai e tornai in camera, spogliandomi velocemente e infilando dei vestiti e delle scarpe presi a caso dalla valigia. Non l'avevo ancora disfatta. All'epoca non sapevo come mai non l'avessi fatto, ma ora, ripensandoci, una mezza idea ce l'avrei. Afferrai il mio zaino da una delle sedie vicino alla scrivania, le chiavi che Mike mi aveva lasciato su quest'ultima, e mi diressi immediatamente fuori, prima ancora che Lindsay aprisse gli occhi. Prima ancora che si accorgesse del fatto che c'era qualcosa che non andava. Volevo starmene un po' da sola, e volevo anche provare a riordinare le idee, sebbene l'unica persona che avrebbe potuto aiutarmi a farlo era quella che stavo accuratamente evitando dalla sera prima. Aprii lo zaino e ne tirai fuori cellulare e auricolari. Collegai questi ultimi al telefono e iniziai ad ascoltare una canzone a caso, sperando con tutto il cuore che la musica ad alto volume mi avrebbe impedito di pensare troppo e mi avrebbe dato una mano a distrarmi. Ordinai un cappuccino in caffetteria e mi sedei al primo tavolo libero che raccapezzai. Stavo rileggendo gli interminabili messaggi che Colin mi aveva mandato la sera prima, quando vidi con la coda dell'occhio una mano che mi poggiava il cappuccino davanti. Poi qualcuno mi si sedette di fronte, ma non impiegai molto a capire di chi si trattasse. Alzai gli occhi al cielo, mi avvicinai il bicchiere alle labbra, e incominciai a sorseggiare la bevanda (seppure cocente). Non avevo tolto le cuffie dalle orecchie, e non intendevo farlo. Il liquido caldo mi stava bruciando la lingua e la gola (che già mi faceva male da quando mi ero alzata quella mattina), ma provai comunque a fare finta di niente. A un certo punto mi sfilò una cuffietta da un orecchio, e io lo trucidai con lo sguardo. Avevo finito il cappuccino, quindi mi aggiustai meglio lo zaino in spalla e mi alzai, intenzionata ad andare a buttare il bicchiere di carta e a rifugiarmi in un altro luogo, dove sarei stata sicuramente sola. Ma lui mi afferrò un braccio, esercitando una leggera pressione per impormi di guardarlo negli occhi.
"Devo parlarti, Celeste. Per favore. Almeno lasciami spiegare" mi supplicò, con uno sguardo che, per quanto implorante, mi faceva solo venir voglia di prenderlo a schiaffi.
Sbuffai e mi risedetti. Lui fece altrettanto, scrutandomi con quei suoi occhi blu oceano quasi come se avesse voluto leggermi dentro con un unico sguardo. Ma non glielo avrei permesso per nessuna ragione al mondo. C'era solo una persona in grado di farlo, e quella persona era Peter.
"Senti, lo so che sei sconvolta, che non ci vediamo da quando io avevo quattordici anni e tu tredici, che me ne sono andato senza salutarti e che non mi sono fatto vivo fino a ora. Ma io cosa dovrei dire, se appena ti rincontro ti trovo completamente cambiata e con i capelli di quel colore osceno?" mi chiese retoricamente, facendomi in automatico assottigliare gli occhi.
"Capelli di quel colore osceno". Io li avevo colorati per lui. Perché lui aveva voluto che facessimo quella ridicola scommessa. Io neppure ci volevo giocare, a nascondino. Ma aveva detto che se l'avessi trovato entro cinque minuti si sarebbe colorato i capelli di verde, da grande, e, a quel tempo, la proposta mi era sembrata molto più che allettante. Ma aveva vinto lui, e io avevo solennemente giurato di tingermeli di rosa, una volta "adulta". Pensavo avrebbe apprezzato, non che avrebbe reagito in quel modo. Contai mentalmente fino a venti per non mandarlo a cagare.
"E io cosa dovrei dire, se appena ti rincontro non solo non mi dici chi sei, una volta constatato che non me lo ricordo, ma mi inviti a una festa per ubriacarmi e poi fare sesso e quasi mi violenti contro un muro, davanti a un sacco di gente?! Come, cazzo, pensi mi sia sentita, io, Dave? Davvero credevi che ti avrei riaccolto a braccia aperte? Sei malato, allora, se ne eri veramente convinto. Io ieri mi sono sentita male, non so se te n'eri accorto. Dove, cazzo, eri mentre stavo quasi per svenire in corridoio, Dave? Dove? Ti ci è voluto così tanto per chiamare i soccorsi che non sono mai arrivati? - domandai, e il suo silenzio e il fatto che abbassò lo sguardo furono un invito a proseguire - Questa conversazione finisce qui. E per ora non voglio più né vederti né sentirti. Lasciami in pace. Sarò io a venire da te quando sarò pronta. Ciao" esclamai, tutto d'un fiato, dando libero sfogo ai miei pensieri, profondamente irritata con lui per il suo atteggiamento menefreghista, come se in realtà mi avesse detto di aver mangiato una pizza a cena la sera prima.
Mi misi in piedi, accartocciai il bicchiere di carta, glielo lanciai poco garbatamente addosso e me ne andai. Poi, però, ci ripensai, mi rigirai e gli urlai: "Se ti permetti di nuovo di togliermi un auricolare dalle orecchie, ti accartoccio quel mini giocattolino che ti ritrovi, altro che bicchiere di carta: quello farà di sicuro più male!". Gli diedi le spalle e me ne andai, senza preoccuparmi nemmeno di vedere l'espressione che aveva assunto il suo viso.
×××
Era stata la giornata più lunga ed estenuante della mia vita. Ma ero abbastanza soddisfatta della scenata che avevo fatto a Dave, perché non si era più permesso di avvicinarmisi, e la cosa mi aveva dato tempo di riflettere sulle sue parole e sulla situazione in generale quanto bastava per non impazzire. C'erano ancora una marea di interrogativi a cui non avevo trovato una risposta, ma per quelli c'era tempo. Non avevo visto Peter per tutto il giorno, perché il lunedì era molto impegnativo, per lui, quindi non ci aveva neppure raggiunti durante la pausa pranzo, e il pomeriggio aveva dovuto dare ripetizioni a quell'impedita e deficiente biondina del cavolo della quale non ricordavo neanche il nome. Per quanto riguarda Mike, invece, si era mostrato più attento e accorto del solito, ma non era mai stato invadente. Mi stava vicino in silenzio, per non disturbarmi, ma vicino, per farmi capire che c'era. Ogni tanto mi chiedeva come stessi, ma io non volevo che si angosciasse ancor di più, perciò lo rassicuravo sempre dicendogli di star bene, e lui annuiva, ma rimaneva comunque pensieroso. In quel momento ero in camera con Lindsay. Lei leggeva, io sfogliavo una rivista senza prestarle troppa attenzione.
"Mike mi ha detto tutto" ammise all'improvviso, ma non mi allarmai, e seguitai a girare le pagine senza guardarla, aspettandomi che continuasse.
"Non lo so come ti senti, perché, cavolo, non penso che mai nessuno si sia trovato in una situazione del genere, ma capisco che per te sia una cosa importante. Non voglio invadere i tuoi spazi, non voglio costringerti a parlare di qualcosa che non vuoi condividere con me e, sì, forse Mike non avrebbe neppure dovuto dirmelo. Ma sono tua amica, che tu lo voglia o no, perciò è mio dovere consolarti e almeno provare a tirarti un po' su di morale. Che ne dici di un pigiama-party tra amiche? Potremmo invitare anche Abby, se ti va... Sai, le cose possono essere dimenticate per un po' anche senza l'aiuto dell'alcool..." parlò così velocemente che quasi faticai a starle dietro.
Stavolta mi voltai a guardarla, e lei mi sorrise, facendomi intendere di sapere (non contavo moltissimo sull'omertà di Mike, dopotutto) e di aver voluto smorzare la tensione tagliando lì il discorso. Le sorrisi anch'io, grata, e, per una volta, acconsentii alla sua non più tanto silenziosa richiesta di entrare a far parte della mia vita.
"Whatever it is, it feels like it's
Laughing at me through the glass
Of a two-sided mirror. Whatever it
Is, it's just sitting there laughing
At me, and I just wanna scream".
N/A
Quante di voi avevano capito che fosse Dave?😏
Capitolo revisionato.
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