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26. Gita nella palude

Aveva fissato lo schermo del cellulare per tutto viaggio, indeciso se scrivere o meno a Chanej, ringraziarla per il pomeriggio. Ma era conscio che sarebbe suonato estremamente fuori luogo, contato che cera stato anche Adriano e non avrebbe mai scritto ad Adriano per ringraziarlo del bel pomeriggio. Era anche vero però che non voleva fare colpo su di lui. Spense lo schermo e si mise il telefono in tasca. Se ci doveva pensare così tanto, forse non era la cosa da fare. Aveva provato a prestare attenzione a come lei lo guardava ma non ci aveva trovato niente di diverso rispetto al trattamento che riservava agli altri, non sembravano gli occhi di Valeria con Enea. Ovvio, questo non escludeva che lui potesse comunque essersi preso una cotta, ma era un sentimento così incomprensibile che l'unica cosa che riusciva a fare era chiedersi se era vero o se si stava convincendo della cosa. Si era dovuto frenare più di una volta dal fantasticare a occhi aperti durante la piccola pausa che aveva fatto a casa, sdraiato sul letto con Micicero sulla pancia a fare le fusa. Si era trovato a pensare alle grandi storie d'amore della letteratura, a Ilia e Alberto, oppure Lorenzo e Lucia, ma nessuno di quei libri aveva mai descritto esattamente come ci si dovesse sentire. La cosa più logica sarebbe stata paragonare quello che sentiva ora alle esperienze passate, ma non era certo di voler avere così su due piedi la conferma che si trattasse solo di un fuoco di paglia. Il treno frenò alla fermata che gli serviva e tenendo le mani in tasca uscì dal vagone e poi riemerse dalla stazione sotterranea della metropolitana. Aveva preso la metro per evitare il tram e il bus all'ora di punta e a giudicare dai suoni del traffico che lo investirono appena fu a portata di orecchio, capì di aver fatto bene. Riuscì a distrarsi dal pensiero assillante cercando di raccapezzarsi su dove fosse e come arrivare a casa di Kizia. Si erano dati appuntamento sotto casa sua mezz'ora prima dell'inizio del volontariato. La strega aveva già avvertito la responsabile che sarebbe andata con un amico e a quanto pareva non c'era stato nessun problema. Non vedeva l'ora di trovarsi nel paradiso dei gatti, nascosti dietro ogni angolo a fissare ogni faccia sconosciuta, valutando se farsi vedere o meno. Creaturine giudicanti ma estremamente caratteriali. Sperava solo che i suoi due cuccioloni non si indisponessero a sentirgli addosso l'odore di altri gatti.

Percorse un lungo controviale, in direzione opposta al traffico e dopo un paio di svolte i palazzi iniziarono a schermare il rumore frenetico della città, riportando tutto a una dimensione più umana fatta di vie a una corsia sola e condomini con giardino, una vera e propria rarità se non nelle zone tradizionalmente residenziali come quella di Kizia. Era curioso di sapere come fosse finita a vivere in una zona così non studentesca, soprattutto con un coinquilino come Naria. L'appartamento, essendo mansardato, era più piccolo di quello che divideva con Enea, ma la zona era incredibilmente più tranquilla. Si chiese se gli altri condomini avessero avuto da ridire all'idea di due magici nello stabile, ma Kizia non aveva mai fatto menzione di problemi, quindi poteva anche essere che la situazione fosse tranquilla. Superò un incrocio e in prospettiva vide comparire la struttura del palazzo di Kizia, all'angolo. Fuori dal cancello non c'era ancora nessuno, ma anche senza guardare l'orologio sapeva di essere qualche minuto in anticipo. Rallentò il passo che teneva normalmente quando si trovava a girare per la città, giusto per il piacere di farlo. Arrivò al cancello d'ingresso, dove c'erano i citofoni e solo allora guardò il telefono. C'erano dei messaggi non letti ma proprio nel momento in cui li stava aprendo sentì il rumore dell'apertura automatica della serratura dall'interno e dal vetro zigrinato dell'ingresso comparve una figura dalla sagoma familiare. Sorrise e alzò una mano per salutarla, prima di notare il modo in cui aprì la porta con un gesto feroce e marciò verso il cancello come se stesse andando in guerra.

"Buonasera." disse. La voce gli suonò vagamente strana, roca forse?

"Ehi, tutto bene?" chiese cercando di mettere assieme cosa potesse essere successo, ma fu distratto da un movimento proveniente dalla sua borsetta a tracolla da cui spunto un musetto triangolare. Alma lo guardò con i suoi occhi neri e lucidi e fu certo che fosse un segno di saluto nei suoi confronti, in mancanza di parole. "Buonasera anche a te, Alma". La donnola chiuse gli occhi e si accomodò più rilassata nella borsa.

"Abbiamo compagnia oggi" disse Kizia chiudendo il cancello alle spalle e aggiustando lo spallaccio della borsa che si era arrotolato. "Le fa piacere fare quattro passi ogni tanto, e poi le piacciono genuinamente i gatti. Li adora".

"Siamo in tre".

Era la seconda volta che andavano al parco dei gatti assieme, ma era la prima volta che ci andava in veste di volontario. Aveva memorizzato la strada guardando la mappa in rete, in caso gli dovesse capitare di andare da solo. Sperava di rivedere i mici che aveva conosciuto la settimana prima.

"Come è andata in biblioteca questo pomeriggio?" chiese Kizia riempiendo il silenzio. Cato la guardò mentre si incamminavano. Chanej aveva scritto tutto a tutti, e nel gruppo c'era anche Kizia. "Bene, siamo riusciti a interpretare il manifesto".

"E?" chiese Kizia, quasi senza interesse.

"E salta fuori che la riunione è già passata. Si sono incontrati alla fine della settimana scorsa, quindi dobbiamo mettere le mani su un altro manifesto e tradurlo, per poi andare a vedere cosa si può fare" rispose Cato. "Tu invece? Come è andata la tua conferenza?".

La mascella di Kizia si irrigidì. "Non la più interessante".

Quello fu l'indizio. Se aveva capito qualcosa di Kizia, era proprio che l'interesse per qualcosa non spariva tutto a un tratto, a prescindere dalla bravura del professore o meno. E soprattutto in tema di spiriti e animali, Kizia non avrebbe mai detto che qualcosa, che fino a pochi giorni prima l'aveva fatta sognare ad occhi aperti, era poco interessante. "Cosa è successo?" le chiese con tono serio. Kizia si fermò, con le mani strette a pugno sulla tracolla della borsa, e le sopracciglia bionde corrucciate. Il fuoco sotto la cenere si rianimò all'improvviso e Kizia proruppe, con tono feroce: "Ha avuto la faccia tosta di rifiutarmi la tesi".

Cato si fermò anche lui due passi più avanti e collegò tutta la speranza che le aveva visto addosso quando gli aveva accennato della possibilità di aver trovato un relatore e la disperazione rabbiosa che le vedeva addosso in questo momento. Sembrava sul punto di piangere ma era certo che non sarebbero state lacrime di tristezza.

"Ha sputato sul mio lavoro e sul mio impegno, e poi ha avuto l'audacia di dirmi che se voglio possiamo modificare assieme il progetto. Ho una lunghissima lista di posti dove potrebbe infilarsi le sue modifiche ma-"

"Aspetta, frena. Come mai l'ha rifiutata? Ti ha dato delle motivazioni spero!". Gli sembrava semplicemente assurda l'idea che questo mitico professore sconosciuto fosse riuscito a guadagnarsi il suo rispetto per poi rifiutare così la proposta di essere il relatore della sua tesi. "Non ha nessun senso. Soprattutto se è una tesi con un ateneo straniero!".

"Oh no, lui non pensa alla sua fama. Lui pensa alla mia carriera – aggiunse in tono drammatico Kizia appoggiandosi una mano aperta sul cuore. – Lui lo fa per me di dirmi che il mio lavoro è troppo avanzato per una tesi triennale, e che sarebbe un lavoro da dottorato!". Le parole canzonatorie si riversarono fuori dalla sua bocca come un fiume incendiario e Cato notò che le stavano brillando gli occhi. Più che offesa dalla tesi sembrava offesa da questa persona. "Perché evidentemente io sono troppo avanti per lui, ed è per questo che se l'è fatta sotto e poi si è permesso di farmi la paternale. Se pensa che tornerò indietro a piangere per un indice di tesi sotto forma di libro da colorare, si sbaglia di grosso. Può marcire in quel merda di studio con il suo stupido pappagallo sotto steroidi". Riprese fiato e a camminare a passo di marcia, superando Cato. Non l'aveva mai vista in quello stato e la sua mente fece fatica a collegare quell'immagine da bambola di porcellana a quello che aveva davanti adesso. Le conosceva tutte e quattro da poco, e ognuno aveva i suoi modi di essere che non tutti potevano vedere, ma mai si sarebbe aspettato da lei quella rabbia ruvida e pura, l'astio del rifiuto e la frustrazione che fa solo venire voglia di ripicca. È una cosa che si sarebbe aspettato da Livia, con il suo modo di fare diretto e imprevedibile, ma ora che ci pensava, mentre allungava il passo per raggiungerla, Kizia gli aveva dato l'impressione di essere qualcuno che si tiene tutto dentro. Forse il vaso si era riempito troppo e la porcellana della bambola si era incrinata, mostrando tutto quanto c'era sotto. Di certo le sue amiche ne erano a conoscenza, ma come con ogni nuovo rapporto di amicizia o di studio, era sempre strano vedere qualcuno messo a nudo in quel modo, mostrare una parte di sé che generalmente era riservata a una stanza chiusa.

"Aspetta, Kizia" disse mentre la raggiungeva. Andava veloce nonostante le gambe corte. "Non ti sto seguendo, spiegami bene cosa è successo".

Kizia sospirò infastidita ma si degnò di rispondere. "Mentre voi eravate in biblioteca sono andata alla conferenza, che è stata l'ultima, con l'intenzione di andare subito dopo nel suo ufficio e proporgli la tesi. Ho letteralmente passato tutto ieri sera a cercare la documentazione necessaria per la tesi con relatore esterno. Ho anche preparato un messaggio di posta elettronica per la professoressa che tecnicamente lui sta sostituendo qui, Zumaia. Mi sono presentata e lui, dopo aver letto il mio indice mi ha semplicemente detto che no, non vuole. Ci rendiamo conto di quanto questa cosa sia una palese mancanza di rispetto?". Stava per riprendere a parlare come una mitragliatrice ma Cato la interruppe.

"Ma perché ha detto no, questo va capito".

"Perché è uno stronzo, evidentemente!"

Si trattenne dal dirle che la rabbia non l'avrebbe aiutato a capire meglio come se sentisse, ma ebbe l'impressione che dirlo sarebbe stato come infilare un fiammifero in una pompa di benzina. Dubitava che la persona che fino al giorno prima aveva letteralmente catturato l'interesse di Kizia per la sua brillantezza in una branca semioscura degli studi magici potesse di punto in bianco non interessarsi a una ricerca in merito. "Magari si è spaventato all'idea di avere una tesista straniera. So che ci vogliono un sacco di permessi e poi non possono sempre venire a seguire la discussione poi in sede di laurea" propose, sperando che lo correggesse con le vere motivazioni.

"No, quello sarebbe stato solo vagamente più comprensibile, ma non scusabile. Secondo lui il mio progetto di tesi non potrebbe essere supportato dalle risorse dell'università perché sono triennale, e qui servono soldi da borsa di studio. Allora mi ha detto che, sempre secondo la sua mente superiore, sarebbe stato meglio apportare delle modifiche all'indice.".

"E quali modifiche proponeva?" chiese Cato, ma la risposta lo colpì in pieno. "Ma che ne so! Non glielo ho chiesto, non mi interessa", disse chiaramente con il tono di qualcuno a cui la cosa invece interessa molto. Non si sarebbe offesa così tanto se non le fosse importato. "Posso dire la mia?" chiese cauto e Kizia lo guardò come se avesse appena iniziato a parlare un'altra lingua. "C'è bisogno di chiederlo?".

Cato alzò le mani con fare difensivo. "Non tutti apprezzano le opinioni altrui durante uno sfogo".

"Ho ancora un minimo di lucidità, grazie tante. Forza, cosa devi dirmi? Che sto esagerando? Io non credo proprio".

Cato sospirò e si mise a scegliere le parole con cura prima di dirle, di modo che non potessero essere fraintese da Kizia. Era come disinnescare una bomba ad orologeria pronta ad esplodere.

"Per capire meglio le cose, alla Politecnica, ci dicono sempre che è necessario scomporle in parti più piccole. Lui insegna, no?"

"Qualcosa del genere, è tipo il sottoposto di una professoressa anziana. Ma da quanto ho visto sul sito della sua università, ricopre quella posizione da quasi una decina d'anni" rispose senza esitazione, confermando a Cato esattamente quello che sospettava. Kizia aveva rispetto per lui, ma qualcosa l'aveva ferita. E quel qualcosa era il rifiuto.

"Quindi possiamo dire che ha esperienza in quel che fa. Non è che davvero il suo consiglio ha un senso? Ti spiego, non fare quella faccia, dammi un secondo per spiegarmi – si affrettò a dire notando lo sguardo incendiario di Kizia. – Lui ha una triennale, una magistrale e un dottorato. La questione delle risorse non è uno scherzo. Quanto ci tieni da uno a cento a questo progetto sperimentale?"

"Che razza di domanda è?! Non dobbiamo parlare della mia tesi, ma di quanto lui ha sbagliato a rifiutarla!"

"Tu rispondi e ti prometto che arriverò a dire qualcosa di sensato".

Lei sbuffò. Si fermarono ad un semaforo rosso prima di attraversare la strada. "Cento, ovviamente".

"E non ti piacerebbe per niente che il tuo lavoro venisse male. Secondo me lui spera che tu porti questa tua idea davanti a un pubblico che possa davvero capirla, non alla commissione di una triennale. Ti ha vista appassionata e spera tu riesca a portare avanti questa cosa fino al dottorato".

Kizia lo guardò in viso, seria, come se avesse toccato un nervo scoperto. "Ti sei messo d'accordo con lui? Siete segretamente compagni di bevute il sabato sera?".

"No, è logica. Pensaci un attimo anche tu"

"Non mi piace per niente il tono che stai usando" lo interruppe lei, con voce tagliente.

"Dopo potrai dirmi tutto quello che vuoi, hai il permesso. Però ci tengo davvero che tu mi ascolti un secondo. Lui ha dalla sua qualcosa che né io né te abbiamo: l'esperienza. Lui sa cosa vuol dire portare avanti un progetto del genere, perché ci è passato prima di noi. E non è colpa tua o sua, è semplicemente come stanno le cose. Capisco, è evidente che la cosa che ti ferisce davvero è un no da parte sua, più che un no in sé stesso. Che tu riponevi un sacco di speranze in lui, più che nella tesi".

"Ora stai prendendo una tangente. Non ho mai detto nulla del genere".

"Va bene, prendiamola come una condizione d'esistenza per la mia teoria"

"Che è una pessima teoria".

"Sì, ma è la mia teoria quindi lasciami fare. Se il tuo lavoro così come l'hai proposto potesse essere meglio realizzato con più tempo, più conoscenze e più risorse, faresti un disservizio al tuo stesso processo se ti impuntassi a volerlo fare adesso".

"Non mi servono più conoscenze!" ribatté lei immediatamente. "Così come non mi serve che lui mi faccia trovare un plico di testi raccomandati per... per darmi una mano!"

"Ecco! Come volevasi dimostrare. Lui non ha la minima intenzione di rifiutarti. Se no come mai ti avrebbe chiesto di tornare a colloquio e perché mai ti avrebbe chiesto se vuoi fare delle modifiche? Se non fosse stato interessato avrebbe semplicemente potuto dirti NO".

Kizia lo guardò con gli occhi di chi sta chiaramente odiando di essere nel torto, ma non disse nulla. Forse lo stava davvero ascoltando, per cui continuò a parlare. "Se fossi in te mi farei aiutare. Hai detto che per te questo progetto, da uno a cento, è importante cento, allora si fa quel che è necessario per portarlo a termine. Soprattutto se la sua collaborazione è parte integrante".

"Non ho mai detto che lo fosse" si difese immediatamente lei.

"Non serve che tu lo dica. Si vede quanto ti brucia il fatto di esserti sentita rifiutata personalmente ed accademicamente, e non so se è orgoglio o istinto di autoconservazione, ma ti posso assicurare che ascoltare le sue proposte non potrebbe assolutamente farti del male. Ti darebbe modo di parlare con lui, ti capire se hai delle possibilità di piazzarti come dottoranda da qualche parte, magari alla sua università, e poi potresti anche capire cosa manca al tuo progetto, detto da una persona che li valuta di lavoro".

"Mi ha chiesto se ho intenzione di muovermi poi verso una magistrale".

"Sospetto, sinceramente, che lui abbia capito che tipo di passione ti anima. Probabilmente è la stessa che ha mosso e muove lui. Magari è una cosa di voi accademici, che ne so".

Kizia fece una smorfia che Cato immaginò essere un sorriso amaro e si fermò davanti ai cancelli accostati del parco che era stata la loro destinazione fin dal principio. La luce bassa e gli alberi all'interno davano l'impressione di essere al di fuori di un posto tranquillo e inquietante al tempo stesso, ma non avrebbe potuto sentirsi più al sicuro. "Non mi piace farmi aiutare".

"Ma sei anche una persona ragionevole, Kizia. Chiedilo a chi vuoi, te lo sapranno dire meglio di me. E so che in fondo sai benissimo di non sapere già tutto, se no non avresti ragione di continuare a studiare. Avere la pretesa di essere già arrivata non è una cosa che secondo me ti appartiene davvero. Poi magari è solo una mia stupida opinione da umano e in realtà sai già davvero tutto, però non rischierei. Ecco".

"Quindi cosa dovrei fare? Andare da lui e dire Guarda scusa, sono cretina ecco fai di me la tua schiava? Non se ne parla, nemmeno dipinta su un muro, Cato. Piuttosto scrivo la tesi completamente da sola. Tanto per quel che sono utili i professori, non cambierebbe molto dalla realtà. Si pentirà di non aver accolto il mio progetto, tutto qui. Nella peggiore delle maniere. Mi auguro che stia piangendo in questo momento".

"Di aver perso una possibilità con la tua tesi o con te?" chiese sardonico e se ne pentì immediatamente. Fu fulminato e Cato si aspettò che Kizia gli soffiasse contro come un gatto dall'espressione che fece.

"Non sono affatto affari tuoi" ribatté, confermando quello che Cato stava pensando ma anche stabilendo un chiaro limite che avrebbe dovuto rispettare. Era arrivato alla fonte del lago ghiacciato, dove lo strato era più sottile e rischiava di spezzarsi a ogni passo. Forse conveniva ritirarsi.

"Non voglio più parlarne"

"Mi spiace comunque che tu ti senta così" disse mentre entravano nel parco buio. Kizia fece un verso che sembrò una mezza risata. "Grazie del tuo dispiacere".

Forse avrebbe dovuto ritenersi offeso, ma non era il tipo di persona da farlo, un po' per fortuna sua, un po' per fortuna di Kizia, anche se era convinto che non fosse tra le sue priorità in questo momento. Tuttavia l'aveva detto chiaramente: non voleva più parlarne e sarebbe stato maleducato ignorare quel chiarissimo messaggio.

"Mi ritiro fuori dalla tua palude" disse in tono di assenso.

Lei lo guardò ancora una volta male, ma c'era più resa che rabbia questa volta nei suoi occhi. "Ti perdono la citazione. Ma solo quella". 

***

Buonasera a tutti gli abitanti, o anche villeggianti, di Mediterra!

Ero sparita? Sì!
Posso fare promesse che non lo rifarò? No, purtroppo.

Come state, meraviglie? Spero che stia andando tutto bene e che questo capitolo vi faccia piacere.

Alla prossima! (si spera non tra sei mesi)

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