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25. Bacio accademico

.Ancora un ultimo sforzo e uno scatto felino, nonostante i tacchi e la borsa, e ce l'avrebbe fatta a raggiungere l'aula all'ultimo piano in tempo. Una parte di lei si sentiva in colpa di non aver detto una parola a nessuno di tutto quello che stava succedendo per via delle conferenze, tranne che a Cato. Ma era come se avesse sentito l'urgenza di parlarne con qualcuno che era di fatto una tabula rasa pronto ad accogliere qualsiasi informazioni a lui diretta senza giudizio. Non che non si fidasse delle altre, tutto il contrario. Ma cosa avrebbero detto poi se si fosse rivelato tutto un fuoco di paglia? Come avrebbe potuto anche solo iniziare a spiegare la confusione che la sola presenza di Aski in università le causava? Come avrebbe potuto far iniziare il proprio racconto due settimane prima e ammettere che non aveva detto nulla a nessuno per così tanto tempo?

Ma l'altra parte di sé non era così preoccupata della questione. Proprio perché si fidava di loro era certa che al momento opportuno avrebbero capito. E questo non era il momento opportuno. Era il momento di correre per evitare che lui potesse pensare che si stesse perdendo l'ultima conferenza di quel ciclo, cosa che in tutta onestà non si sarebbe persa per niente al mondo, e non solo per l'onore di essere ormai l'unica dei cinque coraggiosi ad ascoltare attivamente quel che veniva detto, ma anche per la solida convinzione che quella fosse esattamente la direzione che voleva per la sua tesi. Aveva già iniziato a cercare tutti i titoli citati dal professore durante gli incontri, e nonostante la gran parte fossero in lingue a lei ignote, questo non l'avrebbe di certo fermata. Avrebbe sempre potuto prendere Chanej, darle dei biscotti per tenerla impegnata e legarla a una sedia per qualche ora.

Quando arrivò al piano giusto, nel corridoio giusto, vide che la porta dell'aula era ancora aperta. Ci si fiondò dentro in uno slancio di atletismo e solo dopo essersi seduta vide che i partecipanti erano ancora meno della volta scorsa. L'interprete dell'università aveva la faccia appoggiata di piatto su una pigna di libri e le tazze di caffè sembravano essere aumentate esponenzialmente dalla prima volta che l'aveva visto. Da quel che sapeva da parte delle amiche interpreti di Chanej, quelle settimane erano per loro come i giorni prima dei Saturnalia per i venditori di dolciumi: turni ininterrotti soprattutto per quei poveretti che avevano la sfortuna di essere specializzati in quella particolare branca linguistica. Il povero ragazzo sembrava direttamente collassato sul suo piccolo tavolino personale. Kizia si guardò attorno: la coppia di studenti magistrali guardavano preoccupati l'interprete ma il professore straniero sembrava assolutamente tranquillo e stava mettendo in ordine i fogli sulla cattedra, osservando l'orologio ogni tanto. Stava contando i minuti per iniziare la lezione. Intendeva davvero procedere senza interprete? Gli studenti non avrebbero capito molto.

La mano di uno studente seduto al limite del primo settore di posti, dal lato opposto a Kizia, si alzò improvvisamente. Aski alzò lo sguardo, notò l'esistenza della mano e fece un cenno. In tutta risposta il ragazzo indicò l'interprete. "Come facciamo a seguire senza?". Il professore sospirò, si alzò in piedi e andò a toccare gentilmente la spalla del ragazzo. Questo si alzò di scatto e Kizia poté vedere gli occhi lividi e nervosi aprirsi improvvisamente. Sembrava un animale spaventato mentre si guardava attorno per capire cosa si fosse perso. Il professore gli appoggiò una mano sulla spalla e iniziò a parlargli. Kizia non riusciva a sentire cosa gli stesse dicendo e anche se l'avesse sentito sarebbe probabilmente stato nella sua lingua, ma sospettava stesse cercando di calmarlo perché gli occhi del ragazzo smisero di vagare nervosi e si concentrarono su di lui. Annuirono entrambi un paio di volte e poi il breve scambio si concluse con una pacca sulla spalla. Aski tornò a sedersi al suo posto mentre, al contrario, l'interprete iniziò a mettere via le proprie cose, impilando tutti i bicchierini di caffè uno sull'altro, pronto a buttarli finalmente via. Si fermò dopo aver preso tutto, la giacca appesa a un braccio, e i libri sotto l'altro. "Il professore ha detto che si occuperà personalmente della questione. Arrivederci". Prima che qualcuno potesse dire qualcosa e lamentarsi, il ragazzo sgattaiolò fuori dalla porta e la chiuse alle spalle e Kizia fu sicura di sentirlo correre via per il corridoio.

Il silenzio calò assieme al terrore degli altri studenti. Non per lei. Lei aveva speso apposta un pomeriggio della sua vita a imparare uno dei segni dal dizionario delle rune in rete apposta per quest'evenienza. Da quel che aveva capito le scorse lezione, l'interprete era bravo, ma non era comparabile a sentire i suoni inizialmente disordinati e sconosciuti trasformarsi in unità di senso compiuto che mai avrebbe potuto immaginare da sola. Il professore si alzò in piedi e prendendo un moncherino dalla lavagna tracciò una runa molto semplice. All'inizio non capì cosa stesse facendo poi comprese. Aveva disegnato la runa per le rune. Non aveva idea di come fare una runa della comprensione o del linguaggio, ma stava indicando agli studenti di procedere e arrangiarsi con la comprensione.

"Penso ci stia dicendo di armarci di rune se vogliamo seguire la lezione" disse Kizia ad alta voce, facendo girare tutti presenti verso di lei. La ragazza in prima fila alzò gli occhi al cielo e chiuse il quaderno di scatto. "Non sono una strega delle rune. Verrebbe troppo debole in ogni caso per farmi capire qualcosa".

"Posso tracciarla io se per te non è un problema" si offrì Kizia alzando l'amuleto che aveva al collo. "Non è perfetta ma funziona".

"Grazie, ma no. L'università dovrebbe investire di più in un corpo interpreti seri piuttosto che affidarsi al caso" ringhiò in tutta risposta in modo molto maleducato prima di prendere la borsa e andarsene. Rimasero in tre davanti ad Aski. Gli altri due non fiatarono e Kizia decise che erano cavoli loro come avrebbero seguito o meno la lezione. Non appena la porta si chiuse alle spalle della ragazza, il professore si schiarì la voce e iniziò a parlare.

Il latino non le era mai sembrata una lingua così poco adatta a descrivere a livello sonoro quel che stava spiegando. Avrebbe potuto sentir parlare di spirito e natura per ore di fila in quella lingua strana che sembrava aver aperto nel suo cervello una porta mai toccata prima, nascosta sotto ordinatissime cassettiere piene di informazioni catalogate in ordine alfabetico e fotografie di gattini. Era una sensazione bizzarra capire qualcosa che sapeva di non capire, ma il contenuto assumeva senso una volta superata la barriera spaziale dell'area di azione della runa e le parole diventavano latino corretto, con uno strano accento.

"Considerare le entità spirituali come inserite di fatto all'interno di una rete trofica è una delle teorie avanzate da Aguillar Tres Corunas nel suo trattato a proposito dell'addomesticamento involontario di famigli spirituali da parte di una comunità di umani sui Pirenei. Ci sono in realtà innumerevoli testimonianze che ci illustrano come il confine tra animali ed entità spirituali sia in molti punti più labile di quel che vorremmo intendere".

Agitò una mano e sulla lavagna comparvero tre intervalli di date. Kizia gongolò tra sé e sé quando si accorse di riconoscere perfettamente a cosa si riferissero, ossia alle tre conferenze della comunità magica internazionale del medioevo. Prima che venissero scoperte e aggiunte alla lista dei raduni proibiti. Tuttavia non sapeva che si fosse trattato anche il tema dei famigli durante quelle conferenze, o meglio non le era mai stato spiegato. Si era trovata a constatare come fosse una cosa parte della vita di ogni magico, ma così poco studiata dal punto di vista scientifico. Ora invece, ascoltandolo parlare, capiva che quella era la sua possibilità. Da qualche parte nella sua borsa c'era una cartellina di cartone beige a cui aveva affidato la cosa forse più importante degli ultimi tre anni. Appena finita la lezione avrebbe placcato il professore e gli avrebbe chiesto di approvare il suo indice di tesi. Aveva già previsto la struttura della tesi e aveva anche direttamente stampato l'indice sul modulo apposito. Tutto quello che Aski avrebbe dovuto fare sarebbe stato annuire, sorridere, ammettere l'ottima organizzazione dei punti e firmare. Sapeva che non era lui il professore di ruolo dell'università di partenza, ma non ci sarebbe voluto molto a ottenere una firma dalla professoressa Zumaia, che tecnicamente trattava gli stessi identici argomenti di Aski, da quanto era riuscita a capire nelle sue ricerche in rete. Sarebbe stato il coronamento di un sogno con la persona che capiva essere degna di poterla accompagnare nel suo percorso, non come tutti gli altri che avevano sminuito la sua idea dicendole che non era adatta. Non adatta a cosa, poi. Che razza di professore obietterebbe a uno studente che si sta impegnando troppo?

I pensieri correvano tanto veloci quanto la sua mano sul foglio mentre un orecchio ascoltava i suoni poco familiari ma affascinanti della lingua straniera e l'altro sembrava ascoltare una traduzione ritardata di mezzo secondo in latino standard. Era evidente che la runa non aveva un raggio di azione stabile come quelle di Chanej, ma funzionava ed era tutto quello di cui aveva bisogno.

Nel fare ricerca era incappata più volte nei concetti di cui stava parlando in quel momento, e aveva trovato incredibile l'idea di poter finalmente applicare un metodo che fosse scientificamente sperimentale a qualcosa di magico, ossia per definizione non modellizzabile. Se si sapeva dove cercare ci si sarebbe resi conto di quanto questo fosse un dibattito aperto nella comunità magica, ma non era di certo qualcosa che si poteva incontrare a un simposio di scuola superiore. Molti magici erano ancora profondamente convinti della natura puramente arcana della magia e di tutto ciò che la circonda, ma Kizia era di un'altra opinione. Era convinta fin nel midollo che l'idea di segregare i metodi di ricerca per ciò che è umano e ciò che è magico fosse stupido e balordo. E Aski sembrava andare proprio nella direzione dove stava guardando lei. Era già oltre la soglia che lei ancora doveva attraversare.

"Gli esperimenti di Zamaque de Maire del 1905 furono svolti su un gruppo di capre. Affiancando uno spirito dei pascoli alpini a un gregge di capre assolutamente normali, de Maire notò come gli animali fossero perfettamente in grado di distinguere lo spirito estraneo al gruppo. Gli fu rivolta la critica che probabilmente le capre autoctone avevano semplicemente riconosciuto l'odore diverso della capra esterna al gregge. L'esperimento fu quindi ripetuto due anni dopo in condizioni simili, questa volta integrando lo spirito nell'ambiente del gregge con un mese di anticipo. Nutrendolo con lo stesso cibo, portandolo negli stessi pascoli e lasciando a tutti il tempo di abituarsi alla novità. I risultati non cambiarono di molto. A conclusione di tutto provò a sostituire un agnellino alla madre con uno assolutamente identico, che era in realtà la forma assunta da uno spirito specchio, di cui si possono trovare parecchi esemplari in stagni e pozzi. La capra madre iniziò immediatamente a rifiutare il piccolo. Ne dedusse quindi Zamarque che gli animali percepiscono gli spiriti in modo diverso rispetto ai propri simili in un modo non troppo diverso da come fanno i magici".

Ad avere il permesso di qualche centro di ricerca umano si sarebbe potuto sfruttare un sistema di lettura delle onde cerebrali per vedere come cambiavano quelle di uno spirito rispetto a quelle dell'animale vero, nonostante questo tipo di paragone si basasse completamente sul fatto che da qualche parte qualcuno avesse uno standard di onde cerebrali per una capra e quelle di uno spirito, sempre che ne avessero. Si sentì elettrica al solo accarezzare con la mente la possibilità di scoprire una cosa del genere, di dare una risposta a una domanda che nessuno forse si era ancora posto.

"Ci sono domande?" chiese il professore, abbassando le mani sul tavolo dopo aver finito di gesticolare. Come era successo anche le altre volte non si alzò nessuna mano. Non capiva se fosse imbarazzo o se genuinamente i presenti non fossero riusciti a seguire la conferenza oppure se fosse semplice noia o disinteresse. Le tremarono leggermente le mani mentre prendeva tutte le sue cose e le riponeva con finta tranquillità nella propria cartella. Voleva dargli un minimo di vantaggio prima di piombare nel suo studio e pretendere una firma, cosa che avrebbe dovuto farlo sentire onorato, se solo avesse saputo quanta importanza lei stava dando al progetto. Lasciò che i pochi altri presenti avessero modo di avviarsi verso la porta e poi uscì assieme a loro. Come le altre volte, il professore rimase qualche secondo in più in classe per poi cancellare la lavagna e uscire. Mentre aspettava fuori dalla porta vide arrivare un altro gruppo di studenti, probabilmente diretti verso la stessa aula per un'altra lezione. Lasciarono uscire Aski prima di entrare loro stessi. Aveva provato a parlarne con Alma, la sera prima, di tutto quel che stava succedendo con i misteriosi cartelli e tutto, ma non c'era stato molto da nascondere alla donnola, che le aveva letto dentro come si fa con un libro. L'aveva guardata negli occhi e aveva capito. Guardando Aski andare verso il proprio ufficetto non poté fare a meno di pensarci di nuovo.

"C'è qualcosa di incomprensibile quando incontriamo qualcuno che ci prende più sul serio di quanto faremmo noi stesse, soprattutto se lo fa senza nessuna pretesa".

Magari era davvero solo il suo modo di fare, o magari era l'educazione che ricevevano nei villaggetti sperduti dei Pirenei, oppure era davvero un'attenzione tutta per lei. Non poteva saperlo, e come tutte le volte, non sapere non le piaceva per niente. Avrebbe voluto qualcuno li con lei a spronarla, ma allo stesso tempo sapeva con certezza che nessuno avrebbe saputo farlo con le parole di cui aveva bisogno. E allora tanto valeva dirsele da sola. "Il massimo che può fare è correggertela, non rifiutartela". Prese fiato e tirò fuori dalla cartella il materiale che aveva preparato. Poi, con il passo della decisione, che adottava prima di ogni esame, seguì l'ombra di Aski verso la zona degli uffici. Ci era passata altre volte davanti, giusto per avere la possibilità di incrociarlo, forse inconsciamente, ma aveva sempre finito per allontanarsi per paura della stessa cosa che stava cercando. Non aveva ancora avuto mezzo secondo per ammettere a sé stessa quanto questo comportamento potesse essere fraintendibile o sospetto, per i suoi standard. Le ricordava molto di più Pallia in versione "caccia aperta" piuttosto che la solita Kizia. Ma l'idea di essere sempre uguali era un costrutto patetico che non si poteva in realtà addire a nessuno, a pensarci bene.

Le luci elettriche emettevano un ronzio di fondo davvero fastidioso e le sue orecchie continuavano a percepirlo come fin troppo rilevante. Bussò alla porta dello studio, avendo calcolato di avergli lasciato almeno tre minuti di quiete tattici, per non far sembrare che l'avesse seriamente pedinato. Come la prima volta sentì il rumore del suo famiglio, stridere minaccioso, poi la voce stanca. "Avanti".

Aprì la porta con il giusto grado di incertezza, ma in realtà piena di speranza di trovare ancora all'interno lo studio dei balocchi che aveva trovato la volta scorsa. Fu investita da un muro di profumo di bosco e da una leggera nebbiolina di incenso appena acceso, appoggiato a quello che doveva essere stato un portapenne. Il magnifico volatile che aveva per famiglio era appollaiato sulla spalliera della sedia su cui era seduto, il collo teso in avanti e il becco che schioccava minaccioso. Non l'aveva osservato da vicino la volta prima, e nonostante fosse di certo qualcosa di diverso da quello a cui era abituata, pur vivendo con Naria, era affascinata dal quadro che la natura aveva dipinto addosso a quell'animale.

"Buon pomeriggio" abbozzò Aski in una specie di latino, ma prima che potesse continuare Kizia sollevò dal collo la runa che aveva inciso subito dopo pranzo. L'altro tirò un respiro di sollievo e disse qualcosa troppo sottovoce perché riuscisse a capirlo, ma sembrava sollevato.

"Posso disturbarla dieci minuti?" chiese, in quello che uscì dalla sua bocca in latino e arrivò alle orecchie dell'altro in un'altra lingua. Il professore annuì e accennò alla sedia dall'altro lato della scrivania. Kizia si sedette composta cercando di non prendere dentro tutti i libri impilati in giro. Le cose dentro l'ufficio erano solo aumentate, tra vecchi tomi, cristalli e un astrolabio, di cui si chiese l'utilità delle notti nebbiose di Mediterra. Aveva addosso una camicia non stirata ed era evidente che era stanco.

"Ci sono domande sulla lezione di oggi?" chiese.

"In realtà sono qui per propormi come tesista" disse tutto d'un fiato. Subito dopo aver detto queste parole si sentì improvvisamente vuota e piena d'aria leggera.

"Io sono un sostituto. Non il professore di Cattedra" la corresse con un sorriso dispiaciuto in viso.

"Lo so, infatti il progetto sarebbe sotto la firma della professoressa Zumaia. Secondo relatore di qui, e poi lei come supervisore".

Aski prese il foglio che gli stava porgendo e lo lesse aggrottando le sopracciglia mentre gli occhi scorrevano sui punti dell'indice. "Sei una studentessa magistrale?" chiese senza alzare lo sguardo dal foglio.

"No, triennale" rispose fiera Kizia, sperando che fosse semplicemente stupito da ciò che gli stava proponendo. Da quel che aveva letto di suo e capito degli articoli della professoressa Zumaia, erano entrambi amanti di una buona base sperimentale. Ma come quando si sta cucinando e si inizia a sentire un odore strano, anche se non è ancora propriamente odore di bruciato, Kizia sentì nella sua voce qualcosa che suggerì a una parte di lei che qualcosa non andava.

"È un progetto ambizioso" sentenziò finalmente appoggiando l'indice davanti a sé. "Molto interessante di certo, ma non firmerò questo progetto di tesi. Non prima di aver capito un paio di cose".

"Cosa vuol dire che non vuole firmarlo? È in linea con i suoi progetti di ricerca e insegnamento, se non lei e la professoressa Zumaia non so chi altro potrebbe seguirmi" disse prima che lui potesse fare le sue domande. Kizia non capì cosa ci fosse di sbagliato. Sentì improvvisamente freddo, nonostante lo studio fosse talmente pieno da essere soffocante. Il disagio si impossessò di lei e improvvisamente l'unica cosa che riusciva a pensare era come fosse strano essere viva, seduta, lì in quel posto, quando avrebbe benissimo potuto non esistere in quel momento e tutto sarebbe stato più tollerabile. Aski accavallò le gambe scostandosi dalla piccola scrivania e il suo famiglio si spostò dalla spalliera a un trespolo di legno proprio dietro di lei. Poteva sentire gli occhi dell'animale fissarle la nuca.

"Questo è un progetto di tesi che mi aspetterei per un dottorato di ricerca, non una tesi triennale. Sarò completamente onesto con lei perché capisco e sento che è animata da genuina curiosità e amore per questa materia. Ma saltare i gradini non è una mai una buona idea".

Ci mise un secondo a capire cosa intendesse con l'immagine del saltare i gradini, e immaginò probabilmente di avere una faccia immensamente stupida ai suoi occhi in quel momento, e la cosa non fece altro che buttare benzina sul falò dell'imbarazzo e della vergogna che divampava liberamente dentro di lei.

"Con i giusti cambiamenti – continuò Aski – sarei anche disposto a farlo, ma per questo ovviamente ci sono da considerare molti parametri. Non sarei minimamente interessato se non trattasse di una branca così poco popolare degli studi spirituali. In caso contrario la mia risposta rimarrà un no. Ci sono dei passaggi obbligati all'interno del mondo accademico".

"No." rispose semplicemente lei. Avrebbe potuto cuocere un uovo sulle sue guance, tanto stavano andando a fuoco. Non aveva la minima intenzione di apportare delle modifiche a quello che anche lui aveva appena definito un progetto interessante, degno di un dottorato. Sarebbe stato come ammettere che per essere in linea con quello che ci si aspetta da una laurea triennale avrebbe automaticamente dovuto fare qualcosa di banale tipo una tesi compilativa. A chi interessavano le tesi compilative? A nessuno! A lei men che meno. L'audacia con cui si stava permettendo di rifiutare il suo progetto!

"Capisco che non sia esattamente il sogno di nessuno smorzare l'intensità di quello che vorremmo".

Un cieco si sarebbe accorto dell'odio che le stava bruciando dentro, e Aski non era cieco. Kizia combatté contro l'istinto di prendere il proprio foglio e voltare i tacchi senza aggiungere altro.

"Io non voglio modificare il mio progetto" ribatté di nuovo. "Ci ho messo tempo, ci ho messo impegno, ho già pronta più di metà bibliografia".

"Una tesi triennale è un banco di prova, purtroppo. Non è una cosa per cui i relatori si aspettano che gli studenti mettano in campo anni di tempo e risorse. Il progetto che hai proposto è qualcosa che sarebbe letteralmente sprecato per un lavoro di, esagerando, tre mesi? Quattro mesi al massimo. Questa cosa qui merita di essere trattata con molta più cura e attenzione. Per questo dico di non saltare i gradini. Capisco da dove arrivi questa voglia di fare, e fare subito, ma mi sento in dovere di dirti che, secondo me, non è la strada da seguire in questo momento".

Kizia voleva ribattere ma le parole le morirono in bocca. Erano complimenti quelli che lui aveva appena detto, probabilmente, ma le stava anche dicendo che stava sbagliando. I suoi due lati erano in conflitto: doveva essere lusingata o odiarlo ancora più intensamente per aver mostrato la presunzione di dirle quello che doveva fare? Per quanto sembrasse ragionevole quel che stava dicendo, il tutto non aveva il minimo senso nella sua testa.

"Potremmo discutere delle modifiche da apportare, tenere il cuore della questione sempre lo stesso, con un'ipotesi di capitolo sulla metodologia se si arrivasse davvero a fare un esperimento del genere, ma tenere tutto ampiamente teorico" continuò lui prendendo una matita dal portapenne che aveva sulla scrivania e indicando un paio di punti al suo indice. La sola idea di vederlo toccare e modificare la perfezione del suo indice le fece seriamente considerare l'idea di strappargli la matita di mano.

"So che non è quello che avevi in mente, e spero sia di qualche aiuto il fatto che comunque, questo foglio potrebbe essere già un progetto per il futuro. Hai già pensato a cosa vorresti fare per la magistrale?" chiese con un tono molto meno diretto, come se stesse camminando su una lastra di ghiaccio sottile. Doveva ver notato che la sua interlocutrice non stava affatto bene. "Puoi tornare domani, se preferisci, e possiamo parlare con più calma di ciò che servirebbe fare. Posso mettere assieme magari un piccolo plico di testi utili, per andare in quella direzione".

Per quanto la proposta fosse allettante, Kizia lo fissò dritto negli occhi come una bambina capricciosa che vuol fare capire a chiare lettere di essere offesa da qualcosa. La mascella era contratta e le labbra strette in una piccola smorfia corrucciata che dava al suo viso un aspetto ancora più furibondo.

"Mi dispiace. Pensavo sarebbe stato un colloquio un po' più lungo. Sarò qui in ufficio tutti i giorni a quest'ora nel caso cambiassi idea".

"Grazie dell'offerta" rispose seccata alzandosi in piedi di scatto, troppo in fretta, facendo stridere la sedia sul pavimento. Ignorò il senso di orgoglio e di compiacimento all'idea che avesse desiderato parlare di più con lei, se davvero voleva buttare via così il progetto non c'era ragione di perdere la testa per lui. "Non penso tornerò a disturbarla" rispose raccogliendo le borse da terra. "Le auguro una buona giornata" piena di persone che sputano sul suo impegno per un ipotetico progetto di vita. Sorrise come se avesse appena incontrato un vecchio compagno delle medie sul tram, giusto per educazione, ma trasudando disagio e non poco fastidio. Non aspettò che rispondesse o dicesse qualsiasi altra cosa, era al limite della sopportazione verso quella persona che pretendeva di dirle cosa fare e allo stesso tempo riusciva a essere così gentile e razionale. Le faceva saltare i nervi. Si abbassò quel poco che bastava per evitare un'improvvisa stiracchiata di ali del suo famiglio e uscì dallo studio, avendo buona cura di sbattersi la porta alle spalle. Il rumore rimbombò per il corridoio vuoto che si trovò davanti. Era esausta, col fiato corto e soprattutto fumante di rabbia. Il telefono le vibrò nella tasca della mantella ma lo ignorò, l'ultima cosa che voleva era entrare in contatto, anche da remoto, con altre persone. Voleva stare da sola a digerire il bolo di rabbia. Probabilmente era qualcosa riguardante il manifesto che Chanej, Cato e Adriano dovevano tradurre.

Sapeva dentro di sé che era una cosa importante, ma ad essere completamente onesta con sé stessa non trovava le forze per preoccuparsene davvero. Non ora, dopo essere stata umiliata in quel modo. Si trattenne dal bussare di nuovo e battere i piedi fino a costringerlo a firmare. Se c'era una cosa che non sopportava era la mancanza di controllo sulle situazioni e quello che era appena successo era la definizione di "situazione fuori controllo" nel suo vocabolario mentale. Non riusciva a capire se fosse stato un suo errore riempirsi la testa di speranze futili ancora prima di parlare con lui, o se fosse stato lui un grandissimo stronzo a rifiutare l'indice e poi, non contento del danno fatto, addirittura proporle di rivederlo come se fosse sbagliato. Non c'era una virgola sbagliata! Si incamminò a passo di marcia, sperando di non incontrare assolutamente nessuno, quando improvviso le venne in mente, con orrore, che non avrebbe potuto evitare altri contatti umani. Quella sera avrebbe dovuto accompagnare Cato a fare volontariato al parco coi gatti. Si fermò sul pianerottolo delle scale a contemplare, con gli occhi che bruciavano, quanto davvero fosse tragica l'ironia della situazione. Lui era stato l'unica persona di cui aveva parlato della possibilità della tesi.

Non gli ci sarebbe voluto molto per capire che ci fosse qualcosa che non andava, esattamente come a chiunque la conoscesse un minimo. A differenza sua, di Aski, che non aveva avuto il minimo scrupolo a buttare via il suo interesse nei confronti del suo lavoro. Sperò che ora stesse fissando il muro color giallo paglierino ripercorrendo i propri errori e che stesse desiderando, in cuor suo, di essere riuscito a far durare di più il colloquio. Lei di certo lo aveva sperato.

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Buonasera Giovanottə di Mediterra!

Onorata di potervi finalmente consegnare un altro capitolo. Spero stiate tutti bene, soprattutto chi, come Kizia, sta facendo i conti con tesine/tesi/elaborati etc. Avete tutta la mia comprensione :')

Spero anche che vi stiate preparando ad Halloween! Da cosa vi vestirete (se vi vestirete)? Direttamente da strighi e streghe?  Nel caso, fate un brindisi (anche con la coca-cola) a Mediterra, mi raccomando 🌙

Alla prossima!



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