Capitolo IV
Appena entrata in camera mi buttai sul letto e poi rimasi a guardare il soffitto, cercando di riordinare le idee. Dovevo calmarmi, non potevo avere le farfalle allo stomaco ogni volta che mi avvicinavo a lui! Come avrebbe detto Piton, dovevo controllare le mie emozioni…
Dovevo solo farci l’abitudine, in fin dei conti erano solo due mesi, potevo farcela! L’importante era essere convinte… mi alzai dal letto e iniziai a raccattare tutti i vestiti che erano sparsi sul pavimento, portandoli poi in una cesta nel bagno; poi dovevo anche spolverare tutte le mensole sulle pareti, non dimenticando ovviamente i soprammobili, e il letto da rifare…
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Piton era seduto sul divano a guardare uno stupido documentario sugli antichi egizi, certo che la televisione non se la ricordava così piatta, ma era più a forma di scatola, d’altronde erano passati molti anni dalla sua infanzia, quindi le tecnologie si erano ovviamente evolute. Non era mai stato un suo hobby guardarla, troppo babbana per i suoi gusti, quindi mentre osservava le immagini sullo schermo, pensò alla mattinata trascorsa al centro commerciale.
Il supermercato era stato un concentrato di nervosismo e non si era sentito a proprio agio a spingere il carrello come un maritino che segue la moglie come un cagnolino, era un’esperienza da evitare in futuro...
La parte esilarante era stata però nel negozio di intimo per uomo, quanto si era divertito lì! All’inizio non voleva neppure entrarci, ma in effetti non aveva biancheria intima a disposizione e non poteva usare gli stessi boxer per due mesi… quando Mia gli aveva domandato come dormisse solitamente, si era veramente sbizzarrito, gli piaceva vederla arrossire per causa sua, e già da quando si era svegliata era successo un bel po’ di volte… nudo era stata la risposta più azzeccata in quel frangente, per non parlare poi di quando erano nel reparto dell’intimo. Lui non aveva aperto bocca, aveva voluto vederla crogiolarsi nel suo imbarazzo, per chiedergli se preferisse boxer o slip. Poi aveva risposto semplicemente, altrimenti sarebbe svenuta lì sul posto dalla vergogna, ma quella ragazza non smetteva mai di stupirlo, e la conosceva solamente da un giorno.
Infatti non le aveva detto la sua taglia, quindi o li avrebbe dovuti prendere caso, oppure avrebbe dovuto porre un'altra domanda imbarazzante; era rimasta con la mano a mezz’aria, e per pietà si era arrangiato con la biancheria, altrimenti sarebbero rimasti in quello stupido negozio per ore. Ed ora si stava annoiando a morte seduto su quel divano, non aveva nemmeno un libro da leggere, per non parlare delle pozioni… iniziò così a guardarsi intorno: la mobilia era moderna, si vedeva che l’appartamento aveva un tocco femminile, tutti i soprammobili erano disposti con gusto sulle mensole: lui avrebbe fatto piazza pulita, gli serviva solo l’indispensabile, e tutti quegli oggetti non rientravano di certo in quella categoria. Notò anche il pianoforte a mezza coda che faceva sfoggio di tutto il suo splendore davanti alla vetrata: avrebbe potuto suonare qualcosa, anche se era fuori allenamento. Sua madre gli aveva insegnato le basi e quando suo padre era ad ubriacarsi al pub, lui si dilettava ad eseguire ogni genere di brano che gli capitava sotto mano, anche se da adulto aveva optato per composizioni malinconiche e tristi. Si alzò quindi dal divano e si diresse allo strumento, sedendosi poi delicatamente sullo sgabello di pelle nera; sollevò il coperchio, rimanendo poi ad osservare i tasti bianchi e neri della tastiera. Fece scorrere il dito indice come per accarezzarli, mettendo le mani in posizione per suonare. Erano passati anni dall’ultima volta che aveva avuto il piacere di sfiorare una tastiera e adesso ne aveva di nuovo l’opportunità; mentre pensava a cosa eseguire si arrotolò le maniche della camicia e poi si rimise in posizione: aveva scelto Claire de Lune di Debussy, anche se poteva sembrare strano optava solamente per compositori babbani.
Svuotò la mente, com’era solito fare, respirò profondamente e schiacciò leggiadro le prime note, dando il via ad un brano struggente e particolarmente romantico per i propri canoni. Dopo una mattinata di tensione era semplicemente sublime e si beò della sensazione di pace che in quel momento lo stava pian piano pervadendo.
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In quell’istante sembravo Cenerentola che sgobbava come se non ci fosse un domani: la camera ora era quasi in ordine, ma ero io un disastro, assomigliavo molto ad uno spaventapasseri con i miei capelli totalmente in disordine. Mi ero fermata un momento a guardare un album fotografico trovato sotto la scrivania, di cui non ricordavo nemmeno l’esistenza, quando sentii le note distinte del mio pianoforte, e appena collegai che l’unico che poteva suonarlo visto che eravamo in due nell’appartamento era Severus, mi precipitai in soggiorno, cercando però di non fare rumore, volevo sentire tutto il brano.
Mi sistemai quindi con passo felpato sullo stipite della porta, proprio dietro le sue spalle, così che non potesse vedermi; nel frattempo lo osservavo, estasiata: tutti i discorsi interiori che mi ero fatta in camera, cercando di convincermi che sarei resistita per due stupidi mesi, caddero in un nanosecondo, ero proprio cotta. Era meglio dei miei sogni! Suonava pure il piano, che era una caratteristica che apprezzavo moltissimo in un uomo, e come lo suonava… sembrava un concertista e il brano che stava eseguendo mi stava mandando letteralmente in tilt, Claire de Lune era uno dei miei preferiti, dopo Chopin. Chissà chi glielo aveva insegnato? Magari Albus, anzi la McGrannit, lasciamo perdere, lei non ce la vedevo proprio a strimpellare una tastiera… comunque era veramente eccezionale, ero ipnotizzata da quella melodia così romantica e triste, che mi faceva venire la pelle d’oca già dalle prime note, mi piaceva immaginare che la suonasse per me, anche se sapevo che non era così.
Lui non avrebbe mai potuto innamorarsi della sottoscritta, ero solamente una babbana, e a lui non andavano particolarmente a genio i miei simili. Poi ci conoscevamo solamente da un giorno, anche se mi pareva di conoscerlo da una vita. In quel preciso istante avrei voluto posizionarmi dietro di lui e abbracciarlo, posandogli anche un leggero bacio sul collo, sentendo così il calore della sua pelle pallida.
Piton era totalmente immerso nell’esecuzione, quindi pensai di avvicinarmi un po’, non per l’idea che mi era balenata in mente, bensì per riuscire a vedere le sue mani, con quelle dita lunghe e sottili, ma forti allo stesso tempo, che picchiettavano i tasti dello strumento. Era ormai verso la fine del brano, quindi dovevo sbrigarmi se volevo vedere qualcosa, ma il fato volle giocarmi un brutto scherzo: cosa avevo fatto di male nella mia vita per meritarmi una simile goffaggine e sbadataggine? Infatti, essendo molto presa nell’osservare quella figura divina che mi stava facendo impazzire, non notai assolutamente il tavolino che era posizionato dietro il divano, e non accorgendomi della distanza effettiva che separava me da quello stupido pezzo di legno, andai a sbattere contro lo spigolo. Il risultato? Io seduta con uno stinco dolorante, un rumore fastidiosissimo causato dallo strusciare della gamba del tavolino, un’imprecazione mal trattenuta da parte mia e l’interruzione del brano proprio nel momento clou. Subito Severus si girò e si mise in piedi, guardandomi, come se non fosse già imbarazzante il fatto di essere stata scoperta mentre lo guardavo.
“Ma vaffanculo…” imprecai a denti stretti, massaggiandomi la parte dolorante.
“Che femminilità…” disse lui guardandomi con un sorriso diabolico. “Mi stavi spiando, per caso?”
Io cercai di fare la faccia più angelica del mio repertorio ed iniziai a raccontare qualche palla per non dirgli effettivamente che lo stavo mangiando con gli occhi.
“Ehm, non esattamente; ti stavo ascoltando, non volevo interromperti, ma come hai potuto vedere così non è stato…”
“Pensavo si fosse materializzato un elefante, ma quando ho sentito che parlava come uno scaricatore di porto ho intuito che fosse qualcun altro.” Concluse lui, rimettendo a posto lo sgabello e chiudendo il coperchio del piano.
Io non sapevo che dirgli, che poi, scaricatore di porto, un po’ esagerato per una singola parolaccia… e paragonarmi ad un elefante… sembrava quasi che l’atmosfera magica di prima si fosse dissolta con il suo carattere acido.
“Ha un suono stupendo il pianoforte, è tuo?” mi domandò poi lui, porgendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi. Secondo me aveva una doppia personalità: prima mi sfotteva e poi mi aiutava?
“Sì, me lo hanno regalato i miei.” Feci semplicemente, rimanendo imbambolata a guardare il suo avambraccio sinistro: afferrando la sua mano con la mia destra, il suo braccio si era leggermente girato e così, mentre gliela tenevo ancora stretta, notai il Marchio Nero. Pensavo che dopo la guerra e la disfatta di Voldemort il tatuaggio fosse svanito, ma evidentemente mi sbagliavo, era ancora impresso nella sua pelle.
Lui, come scottato, ritrasse la mano e subito si abbassò le maniche della camicia, abbottonandosi i polsini. Io ero senza parole, non me lo immaginavo così, non so, pensavo fosse molto più scuro e più piccolo, invece occupava quasi tutta la superficie dell’avambraccio. Era leggermente macabro, mi faceva impressione il serpente che usciva dalla bocca del teschio. In quel momento mi venivano in mente alcune scene dei libri che avevo letto, ad esempio l’attacco dei Mangiamorte alla coppa del mondo di Quidditch, i lampi di luce verde, la crudeltà di Voldemort e Severus.
“Spero non ti abbia recato disturbo.” Disse asciutto, guardandomi attentamente negli occhi.
“N-No, figurati. Tutto ok!” affermai sdrammatizzando. “Ora preparo la cena, fra poco Sirius e Belle saranno di ritorno.”
Lui annuì, senza indagare oltre, e mi misi ai fornelli, mentre lui si accomodò sul divano.
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Quel pianoforte era magnifico, il timbro era rilassante ed armonioso, Piton sembrava racchiuso in una bolla mentre suonava e si sentiva calmo come non lo era da tempo. Fino a che non sentì un rumore molesto alle sue spalle, e girandosi si trovò la sua balia con il sedere sul pavimento, mentre si teneva la gamba. Strano che non si fosse accorto della sua presenza, era talmente concentrato che non aveva udito i suoi passi.
Dopo averla messa un'altra volta in imbarazzo, anche se lei non era arrossita, l’aveva aiutata ad alzarsi. Non si era reso conto che porgendole la mano, avrebbe senz’altro visto il marchio, e così fu. Ne era rimasta sicuramente turbata, e vedendo gli occhi sgranati a quella visione ne aveva avuto la conferma anche se poi lei lo aveva rassicurato. Infatti non avrebbe dovuto, ma aveva usato un pizzico di legimanzia e quello che aveva visto era stato vago, anche se sufficiente a capire quello che provava: lei aveva paura. Lampi di luce verde, le maschere dei mangiamorte e soprattutto lui che lanciava l’anatema che uccide. Come poteva far capire alla gente che non era più un assassino? Lui non voleva uccidere, era stato costretto.
Si alzò sbuffando dal divano, andando alla finestra per guardare di sotto. Le auto correvano veloci sulla strada e scorse anche quella che la sera precedente lo aveva portato fino all’appartamento, quindi Black e la coinquilina stavano arrivando.
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Stavo cucinando, continuando a pensare a quello stupido tatuaggio; ero una rimbambita, perché avevo paura? Non poteva mica uccidermi così a sangue freddo perché lo infastidivo solamente! Io e le mie congetture mentali, avrei fatto venire il mal di testa anche a Voldemort se mi avesse letto nella mente!
Ne ero talmente immersa finché non sentii Severus battermi sulla spalla, e feci un balzo dalla paura, rovesciandomi un bicchiere d’acqua addosso, e così dalla maglietta bianca che portavo, ora trasparente, si poteva vedere il mio reggiseno. Ritardata anch’io, lo avevo messo nero con una maglia bianca!
Lui mi stava guardando con un sopracciglio alzato e un leggero ghigno, ma mi puntò contro la bacchetta e in un momento di terrore pensai a tutto quello che mi era passato prima per la testa e spalancai gli occhi, poi però asciugò solo i miei vestiti ed io mi diedi per la milionesima volta della stupida.
“Stanno arrivando.” Disse poi solamente, per tornare da dove era venuto.
Dopo essere tornata in me, iniziai a preparare la tavola, servendo poi la cena e in quel momento entrarono anche Belle e Sirius, almeno quella sera avremmo parlato di più, dovevo assolutamente domandargli come aveva convinto il capo a tenere Black in negozio.
“Buonasera a tutti!” esordì Felpato, venendo verso la tavola imbandita, dove io e Severus ci stavamo sedendo. “Passato bene la giornata?” domandò accomodandosi, dopo aver spostato la sedia per far sedere Belle.
“Uno spettacolo…” commentò Piton sarcastico, portandosi un boccone di bistecca alla bocca e iniziando a mangiare.
“Siamo andati al centro commerciale, abbiamo fatto la spesa, e vi ho comprato un bagnoschiuma e un pigiama. Non so cosa usi di solito, ma ho anche acquistato degli slip, spero ti vadano bene.” Dissi io, facendo un piccolo sorriso. Fortunatamente non arrossii, era solo Severus che mi faceva quell’effetto!
Lui mi ringraziò e poi Belle incominciò a raccontare la loro di giornata.
“La nostra è stata tranquilla, tutto sommato. Non ho trovato una scusa decente però da rifilare ad Hudson…” “E come avete fatto?” domandai allora io. Di certo non lo aveva chiuso tutto il giorno in auto!
“La mattinata l’ho trascorsa al parco, poi il pomeriggio ho parlato io con il vostro capo.” Intervenì lui. “Ho detto che io e un mio conoscente siamo momentaneamente accampati a casa vostra e visto che non abbiamo un rapporto idilliaco preferiamo stare separati. Inoltre ho domandato se anche Mocciosus poteva restare lì. Comunque io posso stare nel pomeriggio e lui può starci alla mattina.”
“Bene, è perfetto!” dissi io, e lui in risposta mi fece l’occhiolino, mentre Severus emise un verso gutturale infastidito.
La cena proseguì poi tranquillamente e finita questa toccò a Belle sparecchiare e lavare i piatti e le stoviglie. Io andai in camera mia, mentre i due ospiti stettero un po’ sul divano, andando poi a turno a lavarsi e cambiarsi per la notte. L’indomani saremmo dovuti andare al lavoro insieme e magari avremmo avuto modo di parlare un po’ tra un cliente e l’altro, chissà!
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Spazio autrice
Ciao a tutte! 👋 Ecco qui il quarto capitolo, spero vi sia piaciuto. Comunque se volete leggerlo una seconda volta vi consiglio di ascoltare Claire de Lune di Debussy proprio nella parte dove il nostro Severus suona. Dato che anch'io sono una pianista, ogni volta che lo suono mi immagino questa scena del capitolo... 😍
Ditemi che ne pensate e alla prossima! 👋 (fra due settimane questa volta, altrimenti la storia finisce subito...)
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