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Cataclisma

Storia ambientata nella quarta stagione, dopo l'episodio destruction e con un accenno all'episodio "Exaltaction"

Buona lettura!

Sangue. È ovunque, lo può vedere da ogni parte, tanto che sembra ricoprire le pareti, il pavimento, pare che, invece di pioggia, sia quello a bagnargli capelli e testa.
«Mon chaton?» È l'unico suono il suo, quasi strozzato, un soffio tra le ormai silenziose pareti di villa Agreste.
È la donna che ha amato per innumerevoli mesi.
Deglutisce, stringe gli occhi ancor di più e li strizza, non ha il coraggio di anche solo osare a guardarla.
Delicate mani lo toccano, sono mani piccole e affusolate, di una giovane insieme estranea e conosciuta da una vita.
E sono rosse, rosse come le sue, anche se non hanno mai fatto gridare alcuno di dolore, anche se non hanno mai fatto scorrere sangue, innocente o colpevole.
Anche se non appartengono a un cuore lacerato e sofferente, che invoca pietà e perdono. Sono rosse, le sue, anche non hanno mai ucciso.

Un suono secco risuona vicino al suo viso, realizza che quelle vermiglie dita lo hanno toccato con un ritardo che lo dovrebbe allarmare.
Ma ignora tutto, perché niente adesso è più importante, nemmeno lui ormai. Perché niente ha più senso.
È tutto un maledetto, orribile, crudele scherzo del destino, burattinaio delle loro vite e loro... solo vittime.
Vittima e carnefice.
E la stanza intorno a lui vortica per l'ennesima volta, anche se non la vede, anche se sa che è solo un'illusione della sua mente devastata, e di nuovo si sente annegare in un turbinio di disperazione. Ma non è mai stato così felice di sprofondare in un tale dolce dolore, e mai è stato così sereno nell'apprendere la sorte che lo attende.
La pioggia cade infiltrandosi dal pavimento in rovina del piano superiore, corrodendo lentamente cemento e mattoni, ma non sarà lei a ucciderlo. Lo sa, e d'altronde non desidererebbe mai una fine tanto lenta e logorante, sebbene reputi sarebbe la giusta punizione per lui.
Invece no, è lo scricchiolio delle travi sovrastanti che preannunciano una fine violenta ma veloce, tra le macerie che cadranno senza che lui, anche volendo, le possa evitare. Il suono del legno che si incurva sotto il peso della casa sembra ormai l'unica cosa reale, pronta a scrivere la parola fine della loro vicenda con inchiostro rosso.

«Andiamocene, chaton.» Non è un ordine, piuttosto una supplica, una preghiera, accompagnata da un tocco intorno al suo braccio sinistro.
Adrien riapre gli occhi e allontana delicatamente la mano della compagna.
La evita volontariamente con lo sguardo, che si sofferma altrove, sui resti calcinacci e pietra, sul giardino distrutto, sui frammenti di vetro...
«Vai pure senza di me, devo aspettare una cosa.» Afferma con un tono sorprendentemente calmo «Farò in un attimo, te lo giuro.»
«Non ho idea di quanto reggerà il soffitto.». Spiega lei, torcendosi le mani. Non la vede, ma lo sa come si stia torturando le dita per l'agitazione in quel momento. L'ha amata troppo per ignorarlo.
«Reggerà, te lo prometto.» Invece no, mente, consapevole delle sue bugie «Ho bisogno di un ultimo momento qui.» Non può farne a meno, nonostante è consapevole di quanto sia pericoloso.
I suoi occhi passano velocemente sul corpo inerte della madre, cercando di non notarla, di non vederla, stesa a terra immobile. Se anche solo ci fosse stata una speranza di salvarla, adesso è sparita.
Vorrebbe gridare di dolore, ma ormai non si sente più la gola, come se, con il cuore, gli avessero strappato dal petto anche la voce. Vorrebbe avvicinarsi a lei e sentire che il suo polso batte ancora, anche senza quella capsula di vetro, e tentare in ogni disperato modo di trattenere la sua vita in quel mondo. Ma è solo una vana illusione, la sua.
E poi i suoi occhi incrociano quelli vitrei di lui, di suo padre, del loro nemico, che non vedono la distruzione intorno a loro, ma hanno impresso solo il terrore dell'esplosione fatale.
Il completo elegante adesso non è bianco, ma grigio per la polvere e lacero in più punti, i guanti sono a terra, a pochi metri di distanza, le dita, un tempo così abili nel disegno, ustionate in più punti.
La mano sinistra è in una condizione pietosa, annerita, consumata da quella cancrena scesa dall'avambraccio, stretta per il dolore. Lo stesso male è salito, lungo l'arto, corrodendo la mente dell'uomo e avvelenandogli il cuore.
Un uomo impazzito per la sofferenza, vissuto fino a quel tragico momento per chissà quale miracolo.

Lo ha spiegato anche lui, nel suo ultimo monologo, raccontando la sua vicenda, la sua incomprensione verso un mondo così crudele e anche il rammarico per le sue azioni. Ma ormai non si poteva più arrendere, lo sapeva, l'unico motivo per cui il suo sangue continuava a scorrere era che il suo corpo era sorretto da una distruzione più forte e potente che mai. Era stato l'odio a tenere in vita Gabriel Agreste, i suoi gesti disperati allungavano la sua esistenza e contemporaneamente moltiplicavano il suo dolore e la sua follia.
Ma quando finalmente aveva compreso la sua pazzia e si era pentito ormai era troppo tardi: nessun potere, nemmeno il Lucky Charm di Ladybug poteva salvarlo. Ne era consapevole lo stilista, eppure aveva accettato lo stesso di abbandonare l'ombra d'odio che lo sorreggeva e intrappolava allo stesso tempo. E così, aveva terminato i suoi giorni.
Non se ne era pentito, ragiona il biondo, ricordandosi il suo sguardo sollevato prima che tutto il male da lui commesso gli si rivoltasse contro. Ladybug era corsa a purificare quella scia nerastra che aveva assalito lo stilista e Adrien non aveva la più pallida idea di come avesse retto l'urto con una cosa tanto potente ed estranea a lei, né tanto meno lo può supporre ora. Sente solo il suo cuore che batte, il suo respiro affannato e un dolore troppo forte per sembrare vero, eppure è vivo.
È vivo, a scapito dei suoi due genitori, rapiti da un potere affine a quello che lo ha appena salvato. E lui, a differenza loro, è colpevole di atti peggiori.
Emilie non aveva commesso nessun crimine, aveva raccontato Gabriel, in una disperata difesa del ricordo dell'amata, e Adrien gli aveva creduto, era inconcepibile che sua madre facesse del male. Era per questo che lo stilista non aveva accettato di perderla ed era stato sopraffatto dalla follia. Ma alla fine, non può considerare colpevole neanche Gabriel, non dopo che lui, mettendo la coscienza davanti all'onore, ha chiesto perdono e ha accettato la sua fine.

Era felice di morire, realizza il ragazzo, lo considerava meglio rispetto al convivere con il rimorso.
E lui allora? Suo padre non aveva mai fatto del male fisico a nessuno, lui invece? Sente il suo Miraculous bruciare, come se volesse ricordargli che è indegno di portarlo, così come il genitore lo era per quei gioielli modificati.
Suo padre era morto nel preciso istante in cui aveva indossato la spilla, la sua coscienza era stata annientata, la sua capacità di giudizio offuscata, era solo in parte consapevole dei suoi gesti. Per il resto, ciò che aveva visto era stato solo lo spettro del suo genitore.
Ma lui, invece? Adrien sapeva cosa stesse accadendo, era perfettamente lucido quando, preso alla sprovvista, lo aveva colpito. Ladybug si era incolpata per il suo piano, ma il vero responsabile era lui: sapeva quanto effettivamente fosse distruttivo il suo potere, sapeva che aveva conseguenze irreversibili; eppure aveva accettato.

«Andiamo, Chat Noir.»
Alza la testa lentamente, distoglie gli occhi dal cadavere del genitore e la trova in piedi, nello stesso punto di prima. Pensava fosse andata, invece è rimasta lì.
«Non possiamo fare niente per loro.» Si incolpa per cose di cui è innocente, la sua insettina, e rimane lì a rischiare con lui. «Mi dispiace.» Sussurra rivolta a lui, provando in parte le sue emozioni, perché non è riuscita a salvare due vite, perché mai prima d'ora i suoi poteri le sono sembrati tanto inutili.
«M'lady...»
«È tremendamente crudele lo so, ma dobbiamo salvarci almeno noi due.» Lancia uno sguardo dubbioso al soffitto «Ti prego.» Aggiunge.
«Io non ce la faccio. Non puoi capire. Dovrebbe reggere ancora un po', vai senza di me.»
«Non posso lasciarti qui.» La comprende, ha paura di ritrovarlo sotto un cumulo di macerie.
«Vattene!» Spera di farla scappare, anche a costo di farsi odiare da lei, perché va bene se è lui a rischiare, ma lei non deve pagare per le sue follie.
«Sii ragionevole.» Stringe tra le dita un sacchettino contenente i vari Miraculous.  Il biondo crede che non avrebbe mai avuto il coraggio di toglierli dalle dita del loro illegittimo proprietario, ma sono stati sbalzati via dalle mani dello stilista poco prima che cessasse di vivere.
Caduti a terra, a vari metri da lui, dopo la sua rinuncia. Rivede l'immensa luce che ha illuminato l'intera stanza, si ricorda come la sua compagna si sia aggrappata a lui, l'esplosione, e lui che correva verso il genitore sperando di poterlo salvare.
Almeno lui. Ma Gabriel Agreste ormai era morto.
Cade in ginocchio, le gambe non lo sorreggono.
«Chat Noir?» Ripete lei, ansiosamente, lo raggiunge e si mette al suo fianco.
«Dobbiamo andarcene, so che per te è dura, ma non abbiamo altra scelta.»
No, non lo sa, non può neppure lontanamente avere idea del suo dolore, eppure ha ragione. Dovrebbe rialzarsi e affrontare anche quello. Però si sente paralizzato e, anche volendolo, è certo di non riuscire nemmeno a muoversi.
«É tutta colpa mia, m'lady.» Dirlo ad alta voce lo fa sentire anche peggio, perché è un'ammissione e i suoi sospetti diventano certezza «L'ho colpito io, l'ho ucciso.»
«Poteva scegliere se vivere pagando le sue colpe o cercare di scappare rischiando. Ha preferito la seconda.» Ribatte lei secca, si sente in colpa certo, ma il suo compagno ha ragione, non lo può capire.
Non nutre affetto nei confronti di Gabriel Agreste, ed è da tempo, da quando ha saputo come tratta il figlio, che nemmeno lo stima. Già lo disprezzava, non per la sua arte ma per il suo atteggiamento, ed essere Monarch non ha migliorato la sua posizione agli occhi della corvina.
È colui che le ha rovinato la vita e messo in pericolo i suoi cari, non merita nessuna pietà e lo perdona solo perché si riconosce nel suo amore folle e per l'amicizia con il figlio. Però apprezza il suo pentimento, perché sa che la sua è stata una sconfitta voluta, fin da quando hanno notato che gli Alliance dei loro nemici si illuminavano.
Gabriel Agreste era innocente ai loro occhi, eppure aveva deciso lo stesso di svelarsi a loro. Lo sapeva che il suo tempo era contato, era disposto ad accettare la sconfitta definitiva per un ultimo disperato tentativo di salvare la moglie, voleva lasciare tutto, sperava che loro non l'avrebbero abbandonata e di questo la giovane non lo biasimava. O forse il suo piano era catturarli, e aveva calcolato i rischi di una loro vittoria minimi.
«Ci ha salvato la vita.» Afferma a mezza voce la ragazza stupita e improvvisamente riconoscente «Il soffitto aveva incominciato a cedere appena siamo entrati, se avessimo continuato a combattere sarebbe crollato nel bel mezzo scontro senza che potessimo accorgercene.» Spiega, rispondendo allo sguardo interrogativo del compagno «Chaton, non rendiamo vano il suo sacrificio e lasciamo questo maledetto posto.» Non crede nemmeno lei alle sue parole, ma deve trovare un modo per convincerlo a uscire. Deve, non può rischiare di perdere il suo compagno, sa che se ciò dovesse accadere non agirebbe in modo meno sconsiderato rispetto al loro avversario. E se è necessario supplicarlo in nome del loro acerrimo nemico lo farà, perché niente le può sembrare peggiore di non poter più rivedere il suo partner.
Adrien trema, può davvero essere vero ciò che la sua insettina sta dicendo? Non lo sa, ma di colpo il rischio che sta correndo gli appare più concreto e reale. Si lascia condurre fuori dall'abitazione, incosciente di cosa stia accadendo, muovendosi solo guidato dalla mano della compagna.
È fuori, alla fine, però suo padre è ancora dentro. Deve tirarlo via di lì, forse si è sbagliato, forse c'è ancora una speranza. Cerca di tornare indietro sui suoi passi, ma viene bloccato dalla stretta della Guardiana, e da un monito di Nathalie, che è già fuori dall'edificio.
Volge lo sguardo altrove, cercando di ignorare cosa stia per accadere.

Villa Agreste crolla su se stessa, non più sorretta dai segreti e dalle menzogne, trascinandosi dietro la sua distruzione l'ombra malvagia che aveva oppresso la città.
Rimarrà per sempre tutto lì dentro. La verità, i racconti di una vita, nessuno, eccetto loro, saprà questa parte della storia e gli unici spettatori non sono intenzionati a raccontarla. Di sicuro non lui. Non riesce a credere a tutto ciò che è appena successo, deve essere un incubo e non vede l'ora di essere svegliato.

Nathalie piange sommessamente e lui si sente per l'ennesima volta paralizzato.
Spera, implora, prega, che tutto questo sia solo frutto della sua immaginazione, ma il freddo bagnato della pioggia gli ricorda che è tutto reale.
Non riesce più a reggere tutte le emozioni dentro di lui, è sempre stato convinto che una volta sconfitto Monarch la sua vita sarebbe stata solo gioia, è la motivazione che lo ha sempre spinto ad andare avanti, eppure la verità è totalmente diversa. D'altronde come poteva anche solo pensarlo? Nemmeno nel più assurdo dei suoi incubi lo avrebbe mai potuto sospettare.
Sente che sta per cedere, ma non gli importa, che gli altri scoprano il suo segreto, non riusciva a nascondere la disperazione prima, figurarsi ora.

Le due donne discutono di dove possa essere Adrien e si preoccupano per lui.
Nathalie tranquillizza l'eroina, assicurandole che Gabriel aveva fatto in modo che il figlio non fosse in casa al momento dell'attacco, la corvina annuisce, come se in parte sapesse già la cosa ma volesse una conferma.
La segretaria li prega di non diffondere la notizia, non subito, vuole prima raccontare tutto al giovane, merita di sapere la verità, che è stato tutto un incidente, che suo padre non era malvagio ma solo accecato dal dolore, e si scusa per non essere riuscita a fermare  il capo.
Il desiderio di ritrovare l'amica e ridare una madre al ragazzo le avevano impedito di vedere la realtà per ciò che era, finché non era troppo tardi: Gabriel era diventato troppo forte e lei troppo debole per l'uso del Miraculous del pavone. Aveva deciso di rimanere a Villa Agreste e fingere di spalleggiare lo stilista per limitare i suoi danni e proteggere il figlio di Emilie dalla sua follia, non poteva fare altrimenti, non dopo averlo giurato a colei che considerava come una sorella.
Almeno gli rimane lei.
Si volta verso la donna, con gli occhi lucidi, lei lo guarda, forse capisce anche. Chiede aiuto per sedersi, si sente troppo stanca, il biondo la fa appoggiare un un muretto e le si siede affianco.
Nathalie sospira, si asciuga le lacrime sul suo volto, è la prima volta che la vede piangere, lei che agli altri è sempre apparsa fredda e senza cuore.
«Andrà tutto bene.» Promette in un fioco sussurro che solo il ragazzo riesce a udire.
Vorrebbe crederle, eppure non ci riesce. Andare meglio? Come è possibile immaginare una cosa simile in un momento come questo? Però ha ragione, cosa potrebbe andare peggio? Non lo sa, non lo vuole sapere e non ci vuole nemmeno pensare.
«Lo spero, lo spero davvero.»
«Mi dispiace che tu debba passare tutto questo, è ingiusto e crudele.»
Ma il mondo non è sempre giusto, l'ha già imparato tempo addietro e oggi quella ferita mai rimarginata completamente si è riaperta come mai prima d'ora. E il sangue continua a scorrere.
Adrien non risponde, continua a fissare distratto Parigi, che fa da sfondo alla sua partner. Il cielo è vermiglio, vede rosso ovunque.

Arriva la polizia, vari agenti esaminano i resti della villa e interrogano più volte i ragazzi, solo un disperato intervento dei due eroi impedisce loro di portare Nathalie in caserma per ulteriori accertamenti.
«Prima dovrete passare sul mio cadavere.» É il sibilio furioso della protettrice della città «Sta male e vi abbiamo già raccontato tutto: è innocente.»
Forse sono le sue parole, forse è lo sguardo minaccioso del giovane vestito di nero, ma i poliziotti si allontanano e li lasciano in pace.
«Grazie.» Riesce a dire solo allora l'adolescente, se fosse stato per lui prima non sarebbe riuscito a trovare la minima difesa per la donna. Perché si sente così debole e incapace di agire? Perché è così vuoto dentro? Non si riconosce nemmeno più, adesso. Ed è toccato a lei mentire, nonostante detesto mentire. L'ha fatto per lui, ne è certo.
«Te lo dovevo.»
Nathalie le sorride riconoscente eppure pare che, nel suo sguardo, ci sia anche un cenno di incoraggiamento rivolto all'altra. Ma per cosa? Cosa dovrebbe temere la sua collega? Non lo sa, ma la vede sbattere le palpebre, sorpresa dal gesto e la sente sussurrare il suo nome «Adrien.»
É il contesto di sicuro, perché mai sentirsi chiamare lo ha fatto sentire come colpito da una scarica elettrica. E gli sembra di poter iniziare a vivere nuovamente, che gli servisse quella spinta per potersi decidere a sollevare. Non ha parole, adesso, ma questa volta è per la sorpresa.
Lei abbassa gli occhi intimidita, sembra quasi pentirsi della sua scelta, o è soltanto imbarazzo? Può giurare che le sue guance si siano leggermente arrossare, o è solo la sua mente che vede cose non vere?
Ma da quanto sa? Non lo riesce a capire. Di sicuro non prima, altrimenti ne avrebbe parlato con lui, eppure in qualche modo deve averlo compreso.
Osserva di soppiatto Nathalie, platealmente commossa dalla scena: che le donne abbiano un loro modo di comunicare ignoto a lui? O semplicemente la sua insettina lo ha notato dai suoi gesti? Di sicuro è merito della segretaria, ne è certo, ma anche l'altra corvina deve aver avuto un suo ruolo nella scoperta.
Magari era una cosa ovvia a tutti tranne che a lui. Non gli importa però così tanto, adesso che ci ripensa. È accaduto, e non se ne rammarica.

Ladybug sta osservando il tramonto assorta e lui guarda di rimando il suo riflesso in una pozzanghera.
Sente nell'aria l'odore della pioggia e un lieve profumo di rose, e gli sembra di rivivere un ricordo.
Rose bianche per un'amore puro. Scuote la testa, è ciò che sente anche adesso, ma non il sentimento che sta cercando.
Rose rosa per un affetto sincero. È ovvio che gli scaldi il cuore, ma si sente ancora incompleto.
E poi, all'improvviso, il déjà vu: una passeggiata tra i tetti e un bacio sotto alla luce della luna. Lui però non aveva mai baciato Ladybug, non al di fuori di una battaglia, e cos'era quella macchia rossa che le copre gli occhi?
Inspira e chiude gli occhi, pensa Adrien, pensa. Eppure la risposta è semplice: è solo un'altra la ragazza che gli ha rapito il cuore al punto di poter compiere ogni follia. Marinette.

E l'aria profuma di rose rosse e di passione, Chat Noir sbatte le palpebre sorpreso, stupito.
«M'lady...»
Si volta verso di lui, e finalmente riesce a vedere l'amore nelle sue iridi: come è riuscito a non notarlo in tutto quel tempo e a scambiare i suoi tentativi di dichiarazione per innocenti flirt?
Lei sobbalza al suo sussurro, come se non riesce a credere ai segnali che lui le invia, la gioia che prova in quel momento è così incredibile da non sembrare vera.
«Eri tu quella sera, vero?»
Annuisce e le sue guance arrossate sono terribilmente adorabili.
«È così... strano. Non ci posso credere, non sono nemmeno riuscito a riconoscerti.»
«Avremo tempo per recuperare.»
«Molto tempo, perché non ho intenzione di rimanere separata da te più del necessario.»
«Nemmeno io.»
Non sa come, ma i loro volti sono improvvisamente vicini, uno di fronte all'altro. Si sporge e avviene l'incanto: non esiste più Parigi, i loro problemi di supereroi o anche solo Nathalie che li guarda, ma loro due e basta. Ed è bellissimo, vorrebbe che quell' attimo duri per sempre.
Ma è impossibile, lo sa. E con una fitta di rimpianto riapre gli occhi e lascia il volto dell'amata.
Ripiomba nel mondo reale e viene preso dallo sconforto: potrà mai riprovare un sentimento simile?
Sente la giovane stringergli la mano per rassicurarlo.
“Puoi farcela” parla il suo sguardo “E io sarò con te, in ogni caso.”
Marinette crede in lui, Ladybug sa che può farcela. Deve riuscirci, non può essere altrimenti.


Spazio autrice
Ciao a tutti, considero questa shot un po' come un esperimento, un come sfida verso me stessa.
Da un confronto con altre scrittrici è emerso che loro pensano che la narrazione al presente sia la più coinvolgente, quindi ho pensato perché non provare anche io? Avevo in testa l'ispirazione per Cataclisma già da un po', ma non sapevo come iniziarla e questa discussione è stata la spinta di cui avevo bisogno.
Mi rendo conto che è decisamente fuori dal mio stile, personalmente preferisco scrivere cose più allegre e sdolcinate, ma mi sembrava carina, sebbene penso di essere più “impacciata” nell'usare il presente. Il passato ha un il suo fascino secondo me.
Un'altra cosa che vorrei chiarire sono le numerose ripetizioni: se non me ne è scappata qualcuna dalla revisione, sono volute, è tutta una narrazione dal punto di vista di Chat Noir, un continuo susseguirsi di pensieri.
Bene, basta, ho finito.

Voi invece cosa ne pensate? Preferite questa o altre mie storie? Sono curiosa di un vostro parere, che siano opinioni positive o meno, non mi offendo.
Alla prossima! 😊

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