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X. Castello di carte

"Lei era quella destinata, però il destino si può perdere per strada, non è una cosa sicura che deve succedere per forza. Il destino è una rarità."
-Erri De Luca.

La bara brillava, illuminata dai raggi del sole, bianca e aperta.
Genevieve osservava il corpo pallido ed esangue di suo padre, nella posizione che avrebbe avuto per l'eternità.
Le braccia adagiate sul petto, le mani congiunte e una rosa che presto sarebbe appassita nel taschino della giacca con lo stemma reale.
La bocca non aveva espressione, come se fosse un manichino.
Genevieve lo osservava ma non lo vedeva.
Vedeva l'uomo che era stato e che le aveva tenuta nascosta la verità.
Il giorno prima, Anne era entrata di corsa nella sala delle esercitazioni, dove aveva trovato Genevieve e Peter inginocchiati l'uno davanti all'altra a mormorare qualcosa.
Gli stava raccontando quello che Malcolm le aveva detto un'ora prima, la verità sulle sue origini e su chi fosse suo padre.
"Non cambia nulla" aveva detto Peter, bianco in volto ma con un cipiglio deciso "tu sei Genevieve. E il fatto di essere figlia del diavolo non cambia chi sei adesso. Sono le scelte che facciamo noi stessi a definire la persona che siamo, non ciò che pensano gli altri oppure i nostri antenati"
"È facile dirlo, per te" aveva ribattutto lei, con gli occhi lucidi "tu non sei un mostro"
"Non lo sei nemmeno tu"
Peter sembrava essere stato sul punto di fare qualcosa quando Anne era entrata.
"Anne!" aveva esclamato Genevieve, scattando in piedi.
La balia l'aveva guardata e aveva annuito.
"So che lo sai" aveva detto "ma adesso c'è una cosa più importante. Re Malcolm è morto"
Genevieve aveva barcollato, come se qualcuno l'avesse spinta per farla cadere, e Peter l'aveva sostenuta.
Era stata tutto il resto della giornata nella camera di Malcolm, con la porta chiusa, immaginando cosa gli altri stessero pensando.
"La principessa vuole piangere da sola" avrebbero detto "da sola con suo padre"
Il problema era che Malcolm non era suo padre.
E Genevieve non voleva stare da sola, per niente.
Ma se l'era imposto.
Come una punizione, una prova per se stessa.
Era rimasta in piedi, sulla soglia, fissando il corpo ormai senza vita del re.
Non aveva detto una parola, non aveva gridato, non aveva pianto.
Era rimasta in silenzio, come un fantasma, ad osservarlo.
Quando era calata la notte, era tornata in camera sua e non aveva chiuso occhio.
Era rimasta sdraiata sul letto, a fissare il soffitto, chiedendosi se nel buio della stanza avrebbe rivisto gli occhi dorati di Lucifero.
Quando il sole era sorto all'orizzonte, si era alzata ed Heather era entrata per aiutarla a vestirsi a lutto.
Il funerale di Malcolm si sarebbe svolto di lì a qualche ora, perchè ritornando in paese il dottor Jones aveva avvisato che ormai il re aveva i minuti contati.
Sarebbe stato un gran funerale, se solo al popolo fosse importato del proprio re.
Genevieve rimase a fissare il proprio sguardo spento, con le occhiaie, attraverso lo specchio della camera mentre Heather le infilava un abito nero e poi le acconciava i capelli.
Vedeva riflessa l'espressione triste della domestica, con gli occhi verdi arrossati.
"Mi dispiace tanto, principessa" aveva detto.
"Dispiace anche a me" aveva risposto Genevieve.
Genevieve sbattè le palpebre e si rese conto di aver avuto la vista appannata dalle lacrime.
Alzò lo sguardo e vide che Peter aveva preso la vanga, gettando la prima manciata di terra nella fossa scavata per la bara.
Si era persa il momento in cui essa era stata chiusa.
Spencer aveva un braccio intorno alla sua vita, in un gesto protettivo come per sottolineare a tutti che quella ragazza sarebbe presto diventata sua moglie.
Aveva un portamento impettito, più del solito, come se avesse già la corona in testa e si stesse atteggiando di conseguenza.
Genevieve fece un respiro profondo.
Per Spencer Moore ovviamente il funerale di Malcolm significava che presto – molto presto – sarebbe stato lui il re.
Per lo meno aveva la decenza di fingersi addolorato davanti alla servitù e alle guardie.
Proprio così: era il funerale del re dell'isola, ma erano presenti solo gli abitanti del castello.
Lucifero non aveva tolto a Malcolm solo l'amata moglie, ma perfino l'amore del popolo.
"Mi dispiace non aver potuto salutare tuo padre, ieri" sussurrò Spencer all'orecchio di lei.
Genevieve si limitò ad annuire, sorpresa di non notare falsità nella voce di lui.
Era incolore.
Poi si allontanò da lei per prendere il posto di Peter e gettare una manciata di terra, seguito dagli altri uomini.
Peter tornò al fianco di Genevieve e la guardò.
Lei ricambiò il suo sguardo, senza dire una parola.
Sentiva in sottofondo il prete salmodiare in latino, probabilmente augurando che i cancelli del Paradiso si aprissero per far entrare l'anima del defunto re.
Colse le parole "aeterna requies" ma le sentì bruciare dentro di sè, come se si fosse accesa una scintilla.
"Ce la fai?" bisbigliò Peter.
Spencer era tornato e affiancava i due.
Genevieve fece un respiro profondo e avanzò, sentendo su di sè gli occhi di tutti.
Il velo nero le ricadeva sul viso, quindi lo scostò tirandolo indietro.
I suoi occhi dorati si posarono prima sulla manciata di terra che copriva quasi interamente la bara bianca e poi sulla lapide davanti a lei.

Malcolm Alder
Re giusto e padre affettuoso.
Che riposi in pace accanto all'amata moglie.

Tenendo gli occhi fissi sulla parola "moglie", lasciò cadere la rosa bianca che aveva in mano.
Si posò tra la terra scura, spiccando come la luna durante una notte buia.
"Addio" disse.
Rimase lì, ferma, mentre anche le altre donne la imitavano e lasciavano cadere il loro omaggio.
Con lentezza, tutti cominciarono ad andarsene in silenzio.
Passavano accanto a Genevieve e le mormoravano le loro condoglianze, ma lei non batteva ciglio.
Sembrava non vedesse niente oltre alla lapide grigia.
"Sono sicura che in Paradiso c'è un posto per lui, accanto al Padre" le disse il prete, affiancandola "era un'anima buona"
"Voi non l'avete mai conosciuto" replicò lei, più sgarbata di quanto avrebbe voluto.
Il prete rimase in silenzio un secondo.
"Lo so" ammise "ma tutte le anime giungono in Paradiso"
"E allora l'Inferno?"
"Lucifero vorrebbe essere più potente di Dio. Avere più anime da reclamare nel suo tetro regno. Ma non potrà mai esserlo e non potrà mai averle"
"Perchè?"
"Perchè Dio ama ciò che crea" rispose il prete, chinando la testa con rispetto per congedarsi "mentre Lucifero lo distrugge"
Genevieve sentì un brivido correrle lungo la spina dorsale.
Il prete si allontanò con passo lento, ciondolante, la lunga veste nera che sfiorava il terreno.
Il sole era alto all'orizzonte, segno che era mezzogiorno.
Il cielo era limpidissimo, senza l'ombra di una nuvola, in contrasto con la funzione che si era appena svolta.
"Perché non me l'hai mai detto, papà?" mormorò.
Era rimasta sola nel cimitero.
Genevieve cadde in ginocchio e l'abito nero da lutto si allargò intorno a lei.
"Voleva il tuo bene" disse Peter, che era sempre lì quando lei aveva bisogno di lui "è sempre stato così. Ti amava moltissimo"
Le si inginocchiò accanto e le mise un braccio intorno alle spalle.
Genevieve fece un singhiozzo.
"È come se la mia vita fosse stata un castello di carte e un soffio di vento lo avesse appena buttato giù" disse, con voce incrinata.
"Ma i castelli si possono costruire di nuovo"
Peter l'attirò a sè e le diede un bacio sui capelli, stringendola proprio com'era successo un anno prima e Genevieve era scappata dalla sala da pranzo, dopo che aveva scoperto di possedere il suo potere.
Alla fine tutto si ricollegava sempre ad un unico nome: Lucifero.
Lei cominciò a piangere sulla sua spalla.
"Non sempre è così facile"

***

La pioggia aveva cominciato a scendere, riempiendo ogni stanza del castello con il suo veloce ticchettio costante.
Era rassicurante, in un certo senso, perchè scandiva il battito del cuore di Genevieve che andava alla stessa velocità.
Dopo il funerale non si era cambiata, rimanendo nel lungo abito nero bordato di pizzo.
Si stava dirigendo in biblioteca, perchè i libri erano sempre stati capaci di darle conforto.
In quei mesi, nonostante tutto quello che aveva scoperto e quello che era diventata, i libri erano gli unici amici che erano rimasti immutati.
E come sempre sarebbero stati pronti ad accoglierla.
Peter le aveva chiesto se volesse andasse con lei, ma Genevieve aveva risposto che preferiva stare da sola.
Dopo aver pianto tra le sue braccia, si sentiva come un guscio vuoto e voleva stare sola con i propri pensieri.
Quando spalancò la porta della biblioteca, si ritrovò faccia faccia con Heather.
Aveva in mano uno spolverino ed era affaccendata nel pulire uno scaffale vicino alla finestra.
"Principessa!" esclamò, quando la vide.
Si inchinò e si avvicinò a lei.
"La biblioteca è tirata a lucido per voi" disse, sorridendo incerta "così potete prendere qualsiasi libro desideriate senza la paura di starnutire per la polvere!"
Genevieve la ringraziò con un cenno della testa, avvolgendosi le mani intorno al busto.
"Non so perchè, ma quando succede una disgrazia tendo sempre ad indaffararmi per scordarla e così ho deciso di pulire tutto proprio dopo il funerale..." all'improvviso, Heather si portò le mani sulla bocca per tapparsela "oh mio Dio, principessa, mi dispiace tantissimo! Sono una vera sconsiderata, non avrei mai dovuto dirlo"
Lei scosse la testa.
"Va tutto bene" disse, facendo per avviarsi verso lo scaffale dei romanzi "puoi andare"
"Certo, principessa"
La domestica esitò, mordicchiandosi il labbro inferiore e chinando gli occhi verdi.
"Ehm per quel che vale" disse alla fine, sulla soglia "sono contenta che sia voi che il vosto futuro sposo abbiate visto il re un'ultima volta. Avete potuto salutarlo"
Genevieve si fermò, interdetta, e si voltò.
"Spencer ha visto mio padre?" ripetè "Strano, al funerale mi ha detto che gli dispiaceva non averlo potuto salutare"
Heather aggrottò la fronte.
"Potrei giurare di averlo visto uscire dalla stanza del re mentre andavo in cucina a dare una mano a Dawn" disse "è stato quando sono tornata di sopra per chiedere al re se desiderasse qualcosa per colazione che l'ho trovato e ho subito chiamato Anne"
Genevieve serrò la mascella, congendando con un cenno la domestica che, dopo essersi inchinata nuovamente, se ne andò.
Perchè Spencer le aveva mentito?
Un terribile presentimento si insinuò nella sua mente ma lo scacciò.
Malcolm era morto per la sua malattia incurabile, come aveva profetizzato il dottor Jones.
Non c'erano altre spiegazioni.
Fece un respiro profondo e si piazzò davanti allo scaffale dei romanzi, scorrendo con gli occhi dorati le coste dei libri per cercare il titolo che desiderava.
Adocchiò Orgoglio e Pregiudizio e si alzò sulle punte per afferrarlo, quando qualcosa andò a sbattere contro la grande finestra.
Genevieve sobbalzò e lasciò cadere il libro, che atterrò con un tonfo sordo.
Si voltò di scatto e vide che fuori uno stormo di gabbiani volava cercando di combattere il vento e la pioggia.
Pensò che forse uno di loro fosse andato a sbattere contro il vetro, provocando quel rumore.
Non era Lucifero andanto a reclamare la sua anima.
Si impose di calmarsi e si chinò per raccogliere il libro, quando si rese conto che un foglio bianco sporgeva dalla prima pagina.
Aggrottò la fronte e lo tirò fuori dal libro, posando invece il romanzo sullo scaffale.
Era un foglio ripiegato più volte e sopra c'era scritto con una grafia elegante il suo nome.
Con il cuore che le batteva a mille, si diresse di corsa verso lo scaffale dedicato alla mitologia e tirò la copertina delle Metamorfosi, entrando nel suo rifugio segreto.
Si sedette sul davanzale della finestra e, con mani tremanti ma curiose, aprì il biglietto.
Era una lettera.

Non so quando leggerai queste parole, principessa, ma so che prima o poi lo farai. È il tuo libro preferito, non è vero? Me l'hai detto una settimana fa, come tuo segreto. Io ti ho aperto il mio cuore, raccontandoti una parte del mio passato, e tu mi ripaghi così? D'accordo, sto scherzando. Forse dovrei sbrigarmi a scrivere ciò che voglio davvero dirti, perchè la candela si sta velocemente sciogliendo e devo approfittarne. In questo momento sono al buio, mentre fuori è calata la notte del tuo compleanno. Stai sognando in questo momento? Se io sognassi, so che sognerei te. Perchè non sarebbe la prima volta. Ci crederesti se ti dicessi che prima ancora di conoscerti ti avevo sognata? Sono pazzo se penso che io e te siamo legati da qualcosa che nemmeno noi riusciamo a comprendere? Forse è stato il fato narrato dai poeti che tanto ami a farci incontrare. Perchè non trovo altra spiegazione. Quando ho aperto gli occhi quella volta sulla spiaggia, il tuo viso è stato tutto ciò che ho visto ed è stato così da quel momento in poi. Hai come un'aura così intensa che mette in ombra tutti quelli che ti circondano, facendo esaltare solamente la tua figura. Sei stata capace di toccarmi il cuore come nessuno aveva mai fatto prima e per te è stato... naturale. Come se fossi nata per possedere la chiave del mio cuore e io fossi nato per darti il libero accesso ad esso.
Mi piace pensare che il ciondolo da cui non ti separi mai sia a forma di chiave proprio per questo. Mi sento strano a scriverti queste parole, a te che sei una principessa mentre io non sono altro che un orfano senza un soldo, eppure mentre lo faccio sento che è la cosa giusta da fare. È come se una nuova strana ma potente forza si fosse impossessata di me, muovendo la mia mano e guidandomi a scrivere queste parole. Sono più bravo a disegnare che a scrivere ma per te ho voluto fare uno sforzo. Ti chiederai perchè proprio una lettera, perchè non abbia scelto di dirti queste parole di persona, faccia a faccia. Domani è il tuo compleanno, sarebbe l'occasione perfetta. Giuro che non è perchè mi manchi il coraggio, anche se non potrai mai avere la prova che io stia dicendo la verità. Semplicemente è perchè ho osservato il tuo viso, la tua espressione, quando leggi un libro che ti piace e che ti è entrato nel cuore. Vorrei che mentre leggessi queste parole avessi quell'espressione, come se anche io ti fossi entrato nel cuore.
                                                                       Killian

Una calda lacrima cadde sulla parte più in alto della lettera e Genevieve si ritrasse di scatto, per evitare che altre macchiassero ciò che aveva tra le mani.
Non si era nemmeno resa conto di star piangendo.
Era passato un anno, ma i sentimenti che aveva scoperto di provare per Killian la notte del suo compleanno non se ne erano andati.
Per nulla.
Erano ancora lì, più forti che mai, e pronti ad affiorare in superficie.
Lo capì in quel momento, ma si rese conto di averlo sempre saputo.
Il suo cuore sarebbe sempre appartenuto a Killian, qualunque cosa fosse successa.
Si sentì inondare da una felicità incontenibile rendendosi conto che anche lui provava ciò che provava lei.
E poi le sembrò di aver ricevuto un pugno in pancia.
Quella lettera era stata scritta più di un anno prima, quando ancora erano insieme.
Prima che tutto precipitasse e Malcolm lo cacciasse dal castello.
Come poteva avere la certezza che Killian tenesse ancora a lei?
Non poteva averla e non importava.
Perchè non si sarebbero più rivisti.
Cos'erano stati loro due, l'uno per l'altra?
Beatrice e Dante?
Due anime innamorate l'una dell'altra in un mondo che non era quello reale.
Non ci sarebbe mai stato un futuro per Genevieve e Killian.
E questo le spezzò il cuore per la seconda volta.
Non tanto perchè si era illusa anche solo per un istante di essere un'altra persona che poteva stare con il ragazzo che amava e che l'amava, ma perchè nonostante tutto aveva cercato, riuscendoci, di soffocare i sentimenti che provava in un angolo nascosto del suo cuore per evitare di soffrire, ma ora quella piccola cassaforte era stata aperta come un secondo vaso di Pandora.
Fu quello a spezzarle il cuore.

***

"Io vado" disse Genevieve.
Era in piedi, accanto alla scrivania imponente di Malcolm, guardando distrattamente fuori dalla finestra dove la pioggia continuava a cadere.
Peter, impegnato a richiudere dietro di sè la porta dello studio del re, si voltò e la guardò aggrottando la fronte.
"Vai dove?" chiese.
Genevieve ebbe il sospetto che lui sapesse perfettamente dove avesse intenzione di andare, ma le avesse posto quella domanda per dare tempo a lei di cambiare idea o a lui di metabolizzarla.
"Lo sai" esitò, voltandosi "all'inferno"
Peter le andò incontro.
"Non puoi parlare sul serio"
"E invece sì"
Genevieve si liberò dalla sua presa.
"Peter" disse "mia madre è all'inferno con il diavolo per colpa mia! Non posso starmene qui con le mani in mano"
"Non sai nemmeno dove sia l'inferno!"
"Non importa"
Lei si mosse verso la scrivania, dove aveva srotolato una cartina geografica della Gran Bretagna.
"In qualche modo scoprirò come arrivarci" continuò "ma io devo partire. Capisci? È ciò che lei ha bisogno io faccia"
"Farai il gioco di Lucifero"
"Correrò il rischio!"
Sbattè la mano sulla cartina, facendo sobbalzare alcuni fogli che erano lì accanto.
"Se avessi la possibilità di salvare tua madre, non faresti come me?" gli chiese, con voce spezzata.
Peter sembrava furibondo e terribilmente spaventato.
Aveva capito che lei faceva sul serio.
"I miei genitori sono morti" ribattè lui.
"E così pensavo di mia madre" replicò Genevieve "ma invece è viva e ha bisogno di me. Devo salvarla"
"Gen, è una missione suicida"
Peter si passò una mano tra i capelli biondi, scompigliandoli.
Probabilmente lui aveva ragione su tutto, ma Genevieve sentiva il bisogno di partire.
Come poteva essere altrimenti?
Per tutta la vita si era rimproverata con se stessa, imponendosi di sentire un legame con la madre che non aveva mai conosciuto, un legame che non riusciva a provare.
E ora aveva l'occasione per riscattarsi e salvare Leila.
Sapeva di star facendo il gioco di Lucifero, che probabilmente lei faceva parte di un piano più grande e complicato orchestrato dal diavolo in persona per uno scopo più perfido, ma quale altra scelta aveva?
Se ad una persona viene detto che un membro della propria famiglia è costretto a bruciare nelle fiamme dell'inferno da diciotto anni ed essa è la sua unica speranza, come può stare ferma e non agire?
Dio ama ciò che crea, aveva detto il prete quella mattina, mentre Lucifero lo distrugge.
"Non sai in che pericoli potrai incappare" continuò Peter, alzando la voce "e non sai nemmeno dove si trovi fisicamente l'inferno!"
"È fortunata" disse una voce dolce "perchè io lo so"
I due si voltarono di scatto verso la porta dello studio, dove Anne li guardava con le mani appoggiate sui fianchi.
A Genevieve sembrò diversa, anche se non avrebbe saputo dire perchè.
Aveva un portamento più regale, come se avesse molti meno anni di quelli che dimostrava.
"O almeno" continuò lei "so come trovarlo"
"Che cosa?" esclamò lei.
"Anne, almeno tu, per favore, aiutami a convincerla a non andare" ribattè Peter.
Anne entrò nello studio e si avvicinò alla scrivania.
"Dammi il tuo ciondolo, bambina" disse.
Genevieve si portò una mano al collo, con un gesto protettivo.
"Aspetta" disse, studiando il suo viso gentile "come fai a sapere dove si trova l'inferno?"
Anne sorrise, un sorriso che non era comune tra i mortali.
Poi fece qualcosa che sembrò avesse voluto fare da un sacco di tempo, perchè il sollievo e la felicità che ora aveva dipinti in viso non avevano paragoni.
Dietro di lei si spalancarono delle ali bianchissime.
Erano così bianche che parevano trasparenti, come se fossero fatte di un bianco madreperlaceo ed erano lucenti.
Erano probabilmente la cosa più bella che Genevieve avesse mai visto.
"Ti piacciono?" chiese Anne, sorridendo alla vista dell'espressione della ragazza.
"Sei un angelo" disse Peter, a bocca aperta "santo cielo. Non sono nemmeno sorpreso a questo punto"
"Non dirlo a me" mormorò Genevieve, che non riusciva a staccare gli occhi dalle ali della sua balia.
Suo padre era il diavolo e la sua balia era un angelo.
Perchè no?
"Ora vuoi darmi il tuo ciondolo, bambina?"
Lei annuì e glielo porse.
Anne prese la chiave e la posò sulla cartina, poi socchiuse gli occhi e passò la sua mano sopra di essa, senza sfiorarla.
I due ragazzi trattennero il fiato quando la chiave cominciò a ruotare su se stessa e si spostò lungo la costa della Gran Bretagna, come se una mano invisibile la stesse guidando.
Alla fine si fermò sul confine della Scozia, con la punta rivolta verso una città che spiccava tra le altre.
"Londra" disse Genevieve "l'inferno si trova nella capitale dell'Inghilterra"
"Non sai nemmeno in che parte di londra" ribattè Peter.
"Una volta a Londra" continuò infatti Anne "dovrai trovare alcuni oggetti che ti indicheranno in quale parte della città ci sono le Porte dell'Inferno"
Genevieve annuì.
"Aspetta" Peter le mise una mano davanti, come a proteggerla, e si rivolse ad Anne "avresti potuto usare qualsiasi oggetto per sapere dove si trova l'inferno, ma hai usato il suo ciondolo. Perché?"
Anne fece un sorriso di scuse.
"Temo che Genevieve dovrà scoprire da sola l'importanza del suo ciondolo"
"D'accordo" disse lei "va bene così. Partirò per Londra domani stesso"
"No!" ribattè Peter.
"In questo caso mi trovo d'accordo con Peter" intervenne la balia "ma solo per quanto riguarda la data. Devi partire il giorno del matrimonio"
"Ma non è sicuro" replicò lei "Spencer mi cercherà dappertutto"
"Spencer coglierà al volo l'occasione" la corresse Anne "e si proclamerà re ad interim. È una cosa che odio, ma è l'unico modo. Fingerà di mandare qualcuno a cercarti, ma almeno non lo avrai tra i piedi. La tua missione è andare all'inferno"
"Continuo ad odiare qiesta idea" borbottò Peter.
La balia gli diede una carezza.
"Lo so, bambino mio" disse, con dolcezza "ma è scritto nel destino di Genevieve che lei compia questo viaggio"
"Tu sei un angelo, perchè non puoi andare con lei?"
Gli occhi castani di Peter erano imploranti.
"Vorrei" rispose Anne "ma non posso interferire"
"D'accordo" lui annuì tra sè "allora andrò io con lei"
Genevieve si voltò di scatto.
"Non se ne parla nemmeno" ribattè "è troppo pericoloso. Un conto è mettere la mia vita in pericolo, ma la tua..."
Peter scoppiò a ridere.
"Ci siamo invertiti i ruoli ora?"
Poi chiuse gli occhi e quando li riaprì era tornato serio.
"Dove vai tu, vado anche io" disse, con solennità "non ti lascerò mai andare da sola. Immaginami come il tuo Virgilio"
Genevieve sospirò, sentendo che nonostante tutto le labbra si stavano incurvando in un sorriso.
"Dante sviene alla fine di ogni canto" disse "spero di non fare anche io la sua stessa fine"
"E io spero di non vedervi in Paradiso prima di molti anni, capito?" aggiunse Anne.
"Non dici che non è parte del mio destino andare con Genevieve?"
La donna guardò Peter, studiandolo a lungo.
Ad un certo punto sembrò che il suo sguardo si adombrasse, come se una ombra le fosse passata sul viso.
"A volte alcune persone hanno la capacità e la forza di intromettersi nel proprio destino" rispose alla fine "ma alla fine esso si compie inesorabilmente, in un modo o nell'altro"
Per un istante calò il silenzio.
"Perfetto allora" disse Peter alla fine, rivolgendosi all'amica "è fatta. Partiremo fra qualche giorno"
Genevieve scosse la testa.
"Non mi piace questa idea" ammise "ma... sono felice tu venga con me"
Lui le sorrise.
Poi il suo volto si adombrò.
"Devo dirti una cosa" disse, a bassa voce.
Lanciò uno sguardo ad Anne che capì al volo, intuitiva com'era.
"Vi lascio" annunciò e sparì oltre la soglia.
"Che c'è?" chiese Genevieve.
Peter chinò la testa, rimuginando.
"Devi promettermi una cosa" disse, in tono solenne.
Lei si preoccupò.
Sentì il cuore chiudersi in una morsa stretta, come fatta d'acciaio, e sentì l'urgenza nella propria voce quando chiamò il suo nome.
"Ci saranno dei pericoli in questo viaggio" fece lui, incatenando i loro sguardi "e voglio che tu mi prometta, se mi succederà qualcosa..."
Genevieve si sentì girare la testa.
"Peter" lo interruppe "ti prego, c'è appena stato il funerale di mio padre"
"Ma devo dirtelo" ribattè Peter, con gli occhi castani seri "se mi succederà qualcosa, voglio che tu mi prometta che brucerai il mio corpo. Mi sembrerà di essere vicino ai miei genitori, capisci?"
Lei scosse la testa, allontanandosi.
"Non voglio nemmeno pensare all'eventualità che tu..." le morì la voce.
Quante altre persone doveva perdere?
"Non dico che accadrà, ma voglio che tu me lo prometta"
Peter le prese la mano e la strinse, guardandola intensamente.
"Ti prego" mormorò.
Genevieve rimase colpita da quello sguardo, così diverso da quello del ragazzo di un anno prima.
Ora era un uomo.
"Va bene" bisbigliò con un filo di voce "te lo prometto"

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