VIII. Illusione
"Flectere si nequeo superos,
Acheronta movebo"
-Virgilio.
Quando Genevieve si sedette a tavola, le sembrava di non essere lì con la mente.
In realtà lo sapeva perfettamente, non poteva dirsi bugie.
Continuava a rivivere le ultime ore, cercando di spiegarsi come fosse possibile succedesse quello che era effettivamente successo.
Eppure non si trovava in un sogno.
Era sveglia e si era salvata dalla cattive intenzioni di quell'uomo ubriaco solo perchè, in qualche modo, era riuscita a creare un muro con la sola forza di volontà.
Ma non era possibile.
Aveva studiato, mesi prima, ciò che era successo durante l'inquisizione spagnola, quanti roghi avevano bruciato povere donne solo perchè il popolo aveva creduto fossero streghe.
Ma lei era questo? Una strega?
Ma non credeva in quelle cose.
Ricordava che quando era piccola a volte venivano dei giullari a corte che sapevano fare dei trucchi di magia, ma erano solo questo: trucchi.
Non di certo magia vera.
Eppure... come avrebbe potuto spiegarsi il muro?
Genevieve aveva messo le mani davanti a sè e si era immaginata un muro che la separasse dall'uomo... ed ecco che effettivamente un muro si era creato.
Ma era stata un'illusione, perchè non si era materializzato per davvero.
E se fosse successo anche quando Killian se n'era andato via, quella mattina, e lei aveva desiderato essere invisibile perchè lui non vedesse le sue lacrime?
Scosse la testa, dicendosi che non doveva trovare scuse.
Killian probabilmente era arrabbiato con lei e aveva tutte le ragioni del mondo.
Avrebbe tanto voluto parlarne con qualcuno, ma con chi?
Chi mai le avrebbe creduto?
Il primo nome che le venne in mente fu quello di Peter, ma ovviamente non poteva, non dopo quello che si erano detti ore prima.
Quando la porta della sala da pranzo si aprì ed entrò suo padre, seguito da Spencer e Peter, Genevieve si alzò e si sentì assalire dalle vertigini.
La stanza intorno a lei cominciò a girare, così dovette stringere con forza le mani sulla tovaglia bianca ricamata per impedirsi di barcollare.
"Buonasera principessa" esordì Spencer, con un sorriso affascinante che fece salire ancora di più la nausea a Genevieve per quanto fosse falso.
Dopo che anche suo padre l'aveva salutata e Peter aveva borbottato qualcosa a bassa voce, si sedette rigidamente.
"Stai bene, Genevieve?" domandò re Malcolm.
Lei si limitò ad annuire.
Con la coda dell'occhio si rese conto che Peter le aveva lanciato uno sguardo strano, come se non fosse convinto della sua risposta.
Spencer invece sembrò non aver seguito lo scambio di battute, perchè stava osservando le sue posate d'argento con aria critica.
Le porte di servizio si aprirono ed Heather e Shelley entrarono, servendo i quattro.
Heather sorrise smagliante a Peter, che però stava ancora osservando Genevieve con uno strano cipiglio, come se volesse leggere la sua anima e capire cosa ci fosse che non andava.
Genevieve, dal canto suo, fissò il suo piatto di pesce senza avere fame.
Sentiva lo stomaco stretto come un nodo di corda e dubitava sarebbe riuscita a mangiare qualcosa.
Per evitare domande, però, cominciò a piluccare il pesce e bere un po' di vino.
Era acido nella sua bocca e le bruciò la gola quando deglutì.
Doveva rilassarsi in qualche modo e smetterla di essere così in tensione.
Pareva una corda di violino che avesse bisogno di essere allentata.
"Per il matrimonio a che mese pensavate, maestà?" domandò Spencer.
Re Malcolm scrollò le spalle, con aria modesta.
"Dopo che Genevieve avrà compiuto la maggiore età" rispose "per il resto, siete voi i protagonisti di quel giorno. Voi e nessun altro"
"Settembre? I miei gentiori si sono sposati a settembre, quando fa ancora caldo ma non così tanto"
"Oh be'... agosto? Quando ci sono ancora le alghe luminescenti"
Genevieve evitò di guardare suo padre, perchè le sarebbero venute le lacrime agli occhi altrimenti.
Ad agosto non ci sarebbero state ancora solo le alghe luminescenti.
Ci sarebbe stato ancora lui.
Spencer si voltò a guardarla, chiedendo il suo parere più come un gesto di cortesia e per salvare le apparenze del perfetto gentiluomo che perchè ci tenesse davvero.
"Agosto è perfetto" disse lei con un filo di voce.
"Benissimo" riprese lui "ora, per quanto riguarda gli invitati..."
Genevieve si sentì assalire dalla tristezza.
Era come se il suo cervello si impedisse di processare il fatto che suo padre non ci sarebbe stato più e che mancava davvero poco a quel momento.
Un anno solo.
Un anno in cui... che cosa? Fare tutte quelle cose che non avevano mai fatto insieme?
Ma sarebbe stato vero lo stesso?
Sarebbe sembrata una recita ridicola, che forse avrebbe fatto stare male entrambi.
Avrebbe voluto essere arrabbiata con Malcolm per averla rinchiusa in camera sua e averle impedito di salutare Killian, perchè la rabbia era meglio della tristezza.
Ma non ci riusciva.
Ogni volta che lo guardava pensava al momento in cui la sedia a capotavola che occupava sarebbe stata vuota, al trono su cui avrebbe dovuto sedere lei.
Perchè ci rendiamo conto di quanto poco conosciamo le persone che amiamo solo quando stiamo per perderle?
Improvvisamente realizzò che non sapeva nemmeno quale fosse il libro preferito di Malcolm oppure come si fosse innamorato di sua madre.
Quando si guardava allo specchio cercava di scorgere tratti di lui in lei, ma non ne trovava mai nessuno.
Aveva paura di quando suo padre sarebbe morto.
Sapeva che la famiglia non è formata solo dalle persone che hanno il tuo stesso sangue, come dimostravano un sacco di romanzi che aveva letto.
Sapeva che nonostante tutto avrebbe avuto Peter e Anne.
Ma Malcolm era l'ultimo legame biologico che aveva in vita.
Quando lui se ne fosse andato, Genevieve sarebbe rimasta da sola per davvero.
Con un marito che non amava e un popolo che probabilmente avrebbe odiato ancora di più la casa reale.
Ad un certo punto, Peter tossicchiò ma Spencer e Malcolm erano troppo impegnati a discutere se invitare o meno un barone irlandese per accorgersene.
Genevieve si voltò a guardarlo e l'amico le mimò con le labbra: "Stai bene?".
Annuì leggermente e si sentì un minimo sollevata.
Le sembrava di vedere la speranza risollevarsi e dirle che avrebbero fatto pace.
"Genevieve?" la voce di suo padre la riportò alla realtà.
Genevieve si voltò a guardarlo.
"Il signor Moore ti ha fatto una domanda" le fece notare.
"Scusate, cosa dicevate?"
Spencer le rivolse un sorriso affabile e alla ragazza venne voglia di prenderlo a schiaffi per farglielo sparire.
Non sopportava il modo in cui il suo promesso sposo cambiasse comportamento quando era da sola con lui, come il giorno e la notte.
In presenza di altri diventava improvvisamente affabile e gentile, un perfetto gentiluomo, ma quando erano da soli... si rivelava la sua vera natura.
Voleva salire al trono e l'unico modo che aveva era sposare lei.
Ma gli sarebbe andata bene qualsiasi altra principessa, probabilmente chiunque con un titolo, perchè sua moglie non sarebbe stata altro che un oggetto.
Come un soprammobile da esibire sopra un perfetto centrino ricamato in pizzo, come una reliquia preziosa dal grande valore a cui nessuno dava una seconda occhiata perchè troppo occupati a sentirne parlare dall'archeologo che l'aveva scoperta.
Era perfido e meschino.
"Non importa, principessa" disse "sarete stanca dopo la lunga giornata. Vi chiedevo se vi sarebbe piaciuto lo stufato irlandese come una delle portate principali: vorrei onorare la mia terra nel giorno più bello della mia vita"
Le tese la mano lungo il tavolo e attese che lei posasse al suo interno la sua.
Genevieve lo fece, reprimendo un brivido.
Cercò di sorridere, ma le uscì una smorfia.
Fece per ritirarla, ma Spencer la tenne stretta.
I suoi occhi scuri brillarono con cattiveria.
"Così in fretta?" bisbigliò.
Genevieve guardò di scatto suo padre, che però stava ascoltando ciò che un servitore gli stava dicendo all'orecchio e stava guardando dall'altro lato della sala da pranzo.
"Basta" sbottò Peter, ma sempre a bassa voce "lasciatela andare"
Spencer si voltò di scatto verso di lui.
"Non impicciarti" sibilò "si tratta di una questione tra me e lei"
"Si tratterà di una questione tra voi e lei quando sarete sposati, cosa che ora non siete"
"Smettela" Genevieve si liberò della stretta di Spencer e prese in mano il calice di vino, giusto per fare qualcosa e non far insospettire Malcolm.
Quando ormai il bicchiere era ad un soffio dalle sue labbra, si fermò e decise di fare una cosa.
Si concentrò e immaginò che il vino diventasse acqua.
Dopo un istante, bevve tutto di un sorso ciò che rimaneva.
Le venne da ridere.
Sapeva di acqua!
Ora la frenesia di quella nuova scoperta le si stava riversando nelle vene e si versò ancora un po' di vino nel calice.
Ma questa volta, quando se lo portò di nuovo alle labbra, le vertigini l'assalirono con una forza così intensa che la stanza si mise a girare.
Genevieve lasciò cadere il calice che si rovesciò sulla tovaglia, mentre lei scattava indietro facendo strisciare la sedia che produsse un rumore roco sul pavimento.
"Genevieve!" esclamò Malcolm, con gli occhi sgranati.
Genevieve scattò in piedi ma fu un grosso errore, perchè la stanza prese a ruotare ancora più velocemente.
Si aggrappò con forza allo schienale della sedia dietro di lei, per sostenersi.
"Cosa succede?" chiese il padre.
"Io..." boccheggiò lei.
Come avrebbe potuto spiegare tutto?
"Non sto bene" borbottò alla fine "scusate"
Senza attendere una risposta, corse via.
Spalancò l'enorme portone di ingresso e si precipitò fuori, cadendo in ginocchio sul vialetto che dava ai giardini reali.
La gonna le si allargò come una campana intorno al corpo magro, prendendosi la testa tra le mani.
Si piegò su stessa, pregando che nessuno dei servitori passasse di lì in quel momento perchè le avrebbe chiesto se avesse avuto bisogno di qualcosa.
Genevieve voleva stare da sola.
Sentiva ancora un senso di nausea, un po' alleviato dall'aria fresca che le scompigliava i capelli.
Cosa le stava succedendo?
Ogni volta che faceva quella strana magia, le vertigini l'assalivano come un effetto collaterale.
Avrebbe voluto gridare di frustrazione, ma avrebbe di sicuro attirato l'attenzione di qualcuno.
"Gen"
Un mano calda le si posò sulla spalla e la fece voltare di lato.
Aprì gli occhi e si vide riflessa in quelli castani di Peter.
"Peter" sussurrò.
Lui la guardò per un lungo istante, come se stesse cercando di leggerle dentro.
Poi l'attirò a sè.
"Mi dispiace per quello che ti ho detto oggi pomeriggio" bisbigliò al suo orecchio.
"È anche colpa mia" fece lei, a bassa voce "sono esplosa"
"Io sono esploso"
"Sì be' io però-"
Peter la strinse più forte, facendola tacere.
"È acqua passata" decise "non importa più"
Genevieve annuì.
Si rese conto che la felicità di aver ritrovato il suo migliore amico aveva spazzato via il senso di nausea e vertigini che le aveva attanagliato lo stomaco.
Peter aveva iniziato ad accarezzarle la schiena, con gesti tranquillizzanti.
Chissà cosa avrebbe pensato qualcuno che gli avesse visti.
Due ragazzi in ginocchio che si abbracciavano come se si stessero sostenendo a vicenda.
"Gen" la voce di Peter era urgente quando l'allontanò quasi a fatica da sè e la guardò negli occhi.
Aveva le guance arrossate.
"Spencer non è l'uomo giusto" disse.
Le venne voglia di scoppiare a ridere.
Cosa poteva farci?
Spencer la teneva in pugno e lei non aveva via di scampo.
"Sposa me" disse Peter.
"Cosa?"
Genevieve alzò gli occhi e lo guardò, sicura di non aver capito bene.
"Sposiamoci e scappiamo" continuò lui, guardandola negli occhi "non meriti di sposare qualcuno che non ami e non ti ama"
E che non ti ama?, pensò lei, Ma non può insinuare che lui mi ami. Non è possibile.
"Non posso darti questo peso, Peter" disse dunque "non posso condannarti a essere legato per sempre a me solo per salvarmi. Non potresti mai trovare l'amore e sarebbe a causa mia"
Peter abbassò gli occhi, quasi a fatica, con una strana aria.
"Sono sicuro che con il tempo tu..." mormorò, ma non finì la frase.
Genevieve si immaginò per un istante di dirgli di sì.
Loro due che scappavano in Scozia e si sposavano come migliori amici, ricostruivano la casa degli Smith che era stata bruciata decenni prima, cambiavano identità e vivevano felici.
Poi le comparve il viso di Killian e il suo cuore ebbe una stretta.
Potrei rivelare al re ciò che gli avete tenuto nascosto e sareste esiliata.
Non era dell'esilio che aveva paura, ma del fatto che Spencer non avrebbe certo esitato a vendicarsi su Killian.
Dopotutto era suo cugino quello che era stato ucciso, le autorità non avrebbero potuto impedirglielo.
"No" rispose.
"Perchè?"
Gli occhi castani di Peter erano disperati.
"Perchè ormai il mio matrimonio con Spencer è deciso"
"Ma se scappassimo..."
"Peter" lo interruppe Genevieve, con voce rotta "mio padre sta morendo. Vuoi che io non sia al suo fianco quando arriverà il momento?"
Lui divenne pallido e chinò gli occhi.
"Hai ragione" mormorò, stringendo i pugni "mi dispiace. Era un'idea stupida"
Lei gli mise una mano sulla spalla e lo costrinse a guardarla.
"Era la cosa più carina che chiunque abbia mai fatto per me" gli disse, sorridendo tristemente "ma ormai non c'è più niente da fare. E poi non avrei mai potuto chiederti di sacrificarti in questo modo"
"Non mi sarei sacrificato"
Lui alzò una mano e la posò sulla sua guancia.
"Io ti..." esitò "ti voglio bene"
"Ma voler bene e amare sono due cose diverse"
Le venne in mente il sorriso divertito di Killian e i suoi occhi azzurri brillanti.
Genevieve sentì le guance in fiamme e quindi si affrettò a distogliere lo sguardo.
"Cosa ti è successo prima?" chiese Peter dopo un po'.
"È complicato"
Lei fece un respiro profondo.
"Ti sto per raccontare una cosa" disse, esitando "ma promettimi che mi crederai. Solo... lasciami finire"
Lui la scrutò, poi annuì.
"Te lo prometto"
Lo prese per mano e lo condusse a sedere sul bordo della fontana.
L'acqua produceva un lieve rumore dietro di loro e sembrava calmare i pensieri frenetici di Genevieve.
"Prima di cena sono andata da sola in città" spiegò.
Lui sgranò gli occhi.
"Sei pazza?!" esclamò "Come ti è saltato in mente?"
Lei gli puntò un dito contro.
"Hai promesso" gli fece notare.
Peter fece per replicare, ma alla fine chiuse la bocca.
"D'accordo, va' avanti" disse solo.
"Quando stavo tornando verso Artemis mi sono scontrata con un uomo che usciva da una taverna" continuò e la voce le tremò "era ubriaco e ha visto che ero una ragazza. Così..."
Peter le prese di scatto la mano, preoccupato.
"Dimmi di no" la pregò "dimmi che non ti ha fatto nulla"
Genevieve scosse la testa.
"Non ne ha avuto il tempo" disse a bassa voce "io... non so come, Peter, davvero. Ho questa cosa che... se penso con intensità a qualcosa, poi... Dio, non mi sto spiegando"
Fece un respiro profondo.
"Ho immaginato di creare un muro che mi separasse da lui e, quando è corso verso di me, ci ha sbattuto contro per davvero, come se lì ci fosse stato da sempre un muro"
Lui inclinò la testa di lato.
"Ma non può essere che quell'uomo sia semplicemente caduto?" suggerì.
"Lui stesso si è chiesto come avesse fatto a non vedere quel muro"
"Hai detto che era ubriaco. So che c'è una percentuale molto bassa, ma non può essere che lui si sia immaginato tutto?"
"Che lui abbia immaginato un muro? Lo stesso che ho immaginato io?"
Genevieve scosse la testa.
"A cena ho fatto un'altra prova" raccontò "ho immaginato che al posto del vino ci fosse dell'acqua e quando ho bevuto... ho bevuto acqua"
Peter sembrava ancora scettico.
"Ma com'è possibile?" pensò ad alta voce.
"Non ne ho idea, te l'ho detto" disse lei "non mi era mai capitato prima. Non ha senso"
"Ci deve essere una spiegazione logica"
Genevieve lo squadrò.
"Non mi credi" decise.
Lui scosse la testa.
"Non è questo" iniziò "è che..."
"No, hai ragione. Hai bisogno di una prova"
Si alzò e si guardò intorno.
Alla fine puntò gli occhi sull'acqua che veniva versata dall'angelo della statua.
Le era sempre piaciuta: le ali dell'angelo erano rifinite con estrema maestria, come se davvero lo scultore ne avesse incontrato uno, i riccioli erano delicati e gli occhi sembravano veri.
"Cercherò di far asciugare l'acqua della fontana" lo informò.
Chiuse gli occhi e si concentrò, immaginando di sentire solo il silenzio e non più lo scorrere dell'acqua, immaginando la pietra che diventava asciutta come se non fosse mai stata bagnata.
Riaprì gli occhi e vide Peter che si chinava con la mano tesa.
Toccò il fondo della fontana e sgranò gli occhi.
"È asciutta" disse.
Genevieve immaginò che la fontana tornasse alla normalità e il frusciò dell'acqua fece saltare Peter in piedi.
La sua mano era percorsa da piccole goccioline di acqua.
"È incredibile, Gen" mormorò, stupito "come fai?"
"Lo immagino e basta"
Si sedette di nuovo sul bordo della fontana con un sospiro, reprimendo la nausea e le vertigini.
"Quindi ora non solo ho degli occhi fuori dal comune" elencò "ma faccio cose fuori dal comune, avendo poi attacchi di nausea e vertigini"
"E se le cose fossero collegate?"
Lei inarcò un sopracciglio, guardandolo interrogativo.
"Sembri un angelo" si lasciò sfuggire lui.
Genevieve scoppiò a ridere.
"Temo che gli angeli non esistano e nel caso lo fossi io stessa dovrei saperlo già" replicò "ma non dire ad Anne che l'ho detto, altrimenti mi tirerebbe la sua Bibbia buona in testa"
"È solo che non ho una spiegazione logica, Gen"
"Non penso ce ne sia una, in realtà"
Rimasero in silenzio per un po', ognuno perso nei propri pensieri.
Le loro spalle si sfiroravano e la gonna del vestito di lei copriva parte dei pantaloni di lui.
"Gen?" fece Peter.
Genevieve si voltò a guardarlo.
"Sì?"
"Perchè sei andata in città da sola?" domandò "Voglio dire, ci eravamo stati poco tempo fa"
Lei sospirò.
"Quando sei andato dal calzolaio e mi hai lasciata in piazza, ho sentito un ragazzo parlare con una donna di come suo fratello avesse perso la casa a causa dei debiti, perchè le tasse erano troppo alte. Diceva che loro vivevano nella miseria mentre noi nel lusso più sfrenato. In più tutte le persone al mercato sembravano... sciupate e i loro vestiti erano laceri, come se fosse in moto qualche crisi. Tu lo sapevi?"
"Tuo padre non parla di queste cose, nemmeno con me" rispose lui, con la fronte aggrottata "sono un po' di giorni che lo vedo preoccupato, ma davo per scontato fosse per la festa del tuo compleanno. Ma forse è anche per questo. Da quando vivo qui non ci sono mai stati problemi economici e nemmeno negli annali in biblioteca. È strano"
"Quel ragazzo in città... ha detto che il problema siamo noi Adler"
"Non è vero"
"Come puoi dirlo?"
Genevieve si voltò a guardarlo in faccia.
"Siamo noi quelli che governano" disse "noi dobbiamo fare in modo che le cose vadano per il verso giusto e se non succede la colpa è solo nostra. Mi chiedo perchè mio padre mi nasconda così tante cose. È il mio popolo, tanto quanto è il suo! Eppure continua a non dirmi nulla, perchè se io non fossi andata in città con te non l'avrei mai scoperto. Voglio dare una mano"
"È questo che sei andata a fare?"
Lei annuì.
"Ho rubato un sacco di farina in cucina e l'ho lasciato sul retro di un fornaio"
Peter si lasciò sfuggire un sorriso.
"Sei incorreggibile" disse "sarai una grande regina"
Sì, al fianco di quel cafone, pensò ma si guardò bene dal non dirlo ad alta voce.
Altrimenti Peter non si sarebbe convinto che Genevieve davvero non aveva altra scelta che sposare Spencer.
"Lo spero" rispose alla fine, in tono sommesso.
"Non pensi che in questi giorni stiano succedendo un sacco di cose strane tutte insieme? La storia che devi sposarti immediatamente, tuo padre che è malato, ciò che sta succedendo in città e questo tuo strano potere"
"Se ti stai riferendo al fatto che la mia vita sia diventata così complicata, sì, lo penso anche io"
Peter la guardò e poi le scostò un riccio castano, con un'espressione preoccupata.
"Sei stanca, si vede" disse a bassa voce "dovresti andare a riposare"
La sua mano si era fermata sulla guancia di lei e Genevieve la strinse.
"Hai ragione" annuì "buonanotte"
Si alzò e si diresse quasi come un automa verso la sua camera.
Sentiva la stanchezza di quella lunga giornata fin dentro le ossa e i pianti sembravano averla svuotata.
Erano successe davvero troppe cose, così tante che quella mattina sembrava essere avvenuta un secolo prima.
Si mise la camicia da notte e sprofondò nel suo letto, sentendo le morbide coperte avvolgerla.
Non appena chiuse gli occhi, cadde in un sonno profondo.
E sognò.
Il ragazzo era girato di spalle, con una mano sulla spada al fianco e il piede destro in avanti sulla roccia.
Sembrava il sogno che Genevieve faceva sempre, ma questa volta lei sapeva l'identità del ragazzo.
Killian guardava il mare con aria assorta, anche se in realtà lei non poteva saperlo con certezza perchè era girato di spalle.
"Killian?" chiamò.
"Un angelo?" la sbeffeggiò lui, girandosi.
Il viso era il suo ma non lo era.
Il sorriso che si era dipinto sulle sue labbra era diverso, più... cattivo.
Sembrava che l'idea che Genevieve fosse un angelo, come aveva suggerito Peter, lo divertisse un mondo.
"Il tuo amico è più che lontano dalla verità" continuò.
"Tu non sei Killian" decise lei.
Lui inarcò un sopracciglio.
"E chi dovrei essere, principessa?"
Qui ne fu sicura: il modo in cui aveva pronunciato il suo soprannome non era affatto il modo in cui il vero Killian lo avrebbe fatto.
"Non lo so" rispose lei "il frutto del mio subconscio che mi sta giocando brutti scherzi"
Killian rise.
"Ti manco?" le domandò.
Genevieve arrossì, ma non distolse lo sguardo dai suoi occhi azzurri.
Lo guardava e vedeva Killian, anche se una parte del suo cervello le continuava a dire di non fidarsi.
Ma era un sogno, cosa poteva succedere?
"Tu cosa pensi?" rispose.
"Lo prendo come un sì"
All'improvviso, dalle spalle di Killian si aprirono due immense ali.
Erano quasi completamente nere, con le punte rifinite di un oro così intenso che faceva male agli occhi guardarle.
Ma proprio verso la fine delle ali, tra esse spuntavano delle piume bianche come durante un temporale quando il cielo è cosparso di nubi grigie, ecco che spunta un ritaglio di cielo azzurro.
Ma Genevieve sapeva, senza sapere come, che presto quelle piume sarebbero diventate nere come tutto il resto, rendendo l'oro più scuro.
Erano magnifiche, non c'era dubbio, ma erano anche spaventose.
E soprattutto non appartenevano a Killian.
"Queste sono le ali di un angelo" disse "o potremmo dire che lo erano"
Tese la mano verso di lei, che trattenne il respiro.
"Vieni con me" disse.
Genevieve sapeva che il ragazzo del suo sogno non era Killian, se lo sentiva in ogni cellula del corpo, in ogni nervo che fremeva.
Lei avrebbe riconosciuto Killian ovunque, ne era certa.
Eppure, c'era qualcosa nel tono di voce di lui che la invitava ad obbedire.
Ad avvicinarsi e prendergli la mano, per andare dovunque lui avesse voluto.
Si sentiva attratta dalla voce di Killian, come da una calamita.
Era sul punto di prendergli la mano, quando il suo ciondolo a forma di chiave prese a bruciare sulla gola di lei, nascosto dalla camicia da notte bianca.
Si portò una mano al collo, ma la chiave gliela bruciò.
"Ti stai per svegliare" fece Killian, ad un tratto "svelta, prendi la mia mano. Vieni con me"
Genevieve riuscì solamente a guadarlo per l'ultima volta, con le ali che mandavano bagliori, perchè all'improvviso si ritrovò di nuovo nel suo letto con il cuore che le batteva a mille e la sensazione che il suo ciondolo bruciasse ancora come se fosse uscito dall'Inferno stesso.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro