VI. Il prezzo dell'amore
"Amore è uno spirito familiare, Amore è un diavolo. Non c'è altro angelo maligno che amore"
-William Shakespeare.
La luna era ormai alta nel cielo color cobalto e illuminava con i suoi raggi madreperlacei il sentiero che Genevieve e Killian avevano imboccato.
In realtà c'erano lanterne disseminate per tutti giardini reali, così come nel tratto con le rose avvolte sugli archi a sesto acuto.
Era un desiderio della regina Leila, perchè tanto tempo prima, alla sua prima volta al castello, avrebbe voluto vedere i giardini ma ormai era calata la sera e quindi Malcolm, da poco diventato sovrano, aveva deciso di mettere delle lanterne per non privarle quella vista.
Leila era rimasta così affascinata dall'atmosfera che si era creata che, dopo essersi sposati, gli aveva detto che se fosse morta prima lei, lui avrebbe dovuto ricreare quella stessa atmosfera la notte del suo funerale.
Ora, però, Malcolm la ricreava ogni sera, in ricordo dell'amata perduta.
Era strano, pensò Genevieve, era come se fossero tornati indietro nel tempo.
Immaginava i suoi genitori da giovani che passeggiavano proprio come stavano facendo lei e Killian, incatenando gli sguardi per un periodo di tempo così lungo che pareva passare un'eternità e poi distogliendoli, arrossendo.
Con quella strana sensazione nello stomaco, come una stretta dolorosa che si allentava solo quando eri insieme all'altra persona, una stretta che però non sapevi identificare.
"Eccoci" disse alla fine e spostò il cancelletto.
Killian l'affiancò e si guardò intorno.
"Devi guardare più in là" Genevieve colse lo sguardo interrogativo dell'altro e con la mano indicò il punto che voleva.
Lo sentì trattenere il fiato.
"Santo cielo" mormorò.
Genevieve sorrise.
Il mare, in un preciso punto sotto l'antro dove Peter aveva trovato la falce di luna, era disseminato di tantissimi puntini di un luminoso azzurro.
"Andiamo"
Lei si diresse sicura più vicina all'acqua, seguita da Killian.
"Durante l'ultima settimana di luglio, a partire dal giorno del mio compleanno, le alghe in questo punto del mare diventano luminose e gli danno questo tipo di colore" spiegò "nessuno è ancora riuscito a spiegarsi come mai. Ma è uno spettacolo degno di essere visto"
"Lo è davvero"
"E non hai ancora visto la parte migliore"
Genevieve sollevò il vestito e si tolse le scarpe, sentendo la soffice sabbia intrufolarsi tra le dita dei piedi.
Sempre con il vestito alzato per evitare di bagnarlo, la principessa entrò nell'acqua.
Era fredda, nonostante fosse la fine di luglio, ma era piacevole sentire le alghe che le solleticavano i piedi.
"Guarda" disse e sollevò un piede, rimanendo abilmente in equilibrio con l'altro.
Esso era diventato luminescente proprio come le alghe.
Killian rise e la raggiunse.
"Ho sempre amato il mare" le disse poi "il modo in cui a volte sia gentile e calmo, bagnando dolcemente le coste del mondo. Ma a volte diventa spietato, ha un'incredibile forza distruttiva che può erodere la roccia e buttare giù interi paesi. È indomito, come se nessuno potesse controllarlo"
Genevieve si voltò a guardarlo.
Killian aveva lo sguardo puntato davanti a sè, dove ormai il mare non poteva più essere distinto dal cielo notturno.
Le sue labbra erano atteggiate ad un leggero sorriso.
"Ti ci rispecchi?" gli domandò.
Ora lui sorrise per davvero.
"Secondo te?"
"Nella parte gentile"
Genevieve si chiese se avrebbe mai visto l'altra parte di Killian.
"Ti senti mai come se ti mancasse una parte di te?" chiese lui dopo un po' "Come se per tutta la vita fossi stato incompleto? Come se fossi una barca senza vela?"
Lei serrò le labbra, serrando i pugni sui lembi del vestito.
Non poteva star parlando di una ragazza, vero?
Di una fidanzata o qualcuno a cui era legato magari dai tempi dell'orfanotrofio?
Eppure, tutto era possibile: in fin dei conti sapeva davvero poco di Killian.
"Come un vuoto?" si arrischiò a dire.
Ma Killian scosse la testa.
"Più come la tua altra metà" disse, poi cercò di spiegarsi meglio "in orfanotrofio c'erano due gemelle. Una di loro aveva preso un brutta influenza e alla fine non è sopravvissuta. La gemella rimasta raccontava di sentire come se le mancasse una parte di sè, la parte che era appartenuta alla sorella. Credo sia come quando perdi un braccio e a volte ti sembra ancora di averlo"
"È così che ti senti?"
Lui annuì.
"Non ti sei mai sentita così?"
I suoi occhi azzurri erano intensi e scuri con il favore della notte.
"No" ammise lei "non penso. Magari si tratta di qualcosa del tuo passato, di qualcuno che da piccolo si è occupato di te e poi hai perso. Forse il tuo cervello cerca di farti ricordare quella persona"
Killian abbassò la testa e i capelli neri gli coprirono una parte del volto.
"Non ti ho detto la verità" disse a bassa voce.
Il corpo di Genevieve cominciò a formicolare.
"Su che cosa?"
Aveva paura che la realtà che si era creata tra loro due, quella bolla di sapone che li aveva inglobati in quella settimana, si sarebbe inesorabilmente spezzata una volta che Killian avesse aperto bocca.
"Su come sono arrivato qui, il giorno che mi hai trovato"
Alzò finalmente la testa e la guardò.
Il suo viso era contratto per il dolore, come se all'improvviso la ferita che si era fatto durante la tempesta si fosse riaperta.
"In orfanotrofio avevo fatto amicizia con un ragazzo della mia età" raccontò "si chiamava Lewis. Decidemmo che una volta diventati maggiorenni avremmo lasciato l'orfanotrofio e avremmo trovato lavoro, dividendo le spese di un appartamemnto. Edimburgo, era la nostra metà, perchè lì c'erano più possibilità. Lewis voleva diventare uno scrittore"
Un sorriso triste si aprì sul suo viso.
"Ricordo che divertiva sempre noi orfani inventandosi delle storie che avevano come protagonisti la cuoca dell'orfanotrofio oppure il postino"
Tornò a guardare il mare, come se non riuscisse a reggere lo sguardo di Genevieve.
Dal canto suo, lei era affascinata e contenta si stesse aprendo con lei.
"Come stavo dicendo, una volta usciti dall'orfanotrofio avevamo bisogno di soldi per i biglietti del treno. Così ci siamo messi per le strade di Aberdeen, io offrendomi di disegnare chiunque avrebbe pagato e Lewis scrivendo poesie. Dormivamo nei vicoli perchè non potevamo permetterci nemmeno una locanda. Una mattina abbiamo trovato una ragazza con dei lividi in viso, che piangeva disperata. Lewis mi aveva detto di lasciare perdere, perchè avevo la tendenza a volere aiutare tutti. "In questo mondo non puoi salvare tutti" mi diceva sempre. Ma io non ho resistito e sono andato da lei, chiedendole cosa ci fosse che non andava. Mi ha spiegato come fosse stata venduta dalla sua famiglia ad un ricco commerciante di donne. Ho cercato di rendermi utile, ma non avevo denaro da dare al padrone per comprare la sua libertà. L'ho aiutata a fuggire, insieme a Lewis, ma qualcuno deve averci fatto una soffiata, perché uno degli scagnozzi del commerciante ci ha trovato"
Killian strinse i pugni.
Le sembrava di essere nell'atmosfera che sentiva quando leggeva un libro che sapeva sarebbe andato a finire male.
Avrebbe voluto abbracciarlo, ma non riusciva a muoversi.
"È scoppiata una rissa, ma lei è riuscita a scappare mentre io e Lewis distraevamo lo scagnozzo. Non pensavamo fosse armato, ma all'improvviso ha estratto un coltello e ha... ha colpito Lewis"
Genevieve aprì di scatto le mani, per portarsele alla bocca.
Il vestito ricadde nell'acqua salata, ma lei non ci fece nemmeno caso.
Temeva che la storia non fosse finita qui.
"È successo tutto così in fretta..." la sua voce era calma "mi sono ritrovato con in mano lo stesso coltello e poi lo scagnozzo a terra, in una pozza di sangue. Sapevo di essere stato io, ma non mi sentivo in colpa. Quell'uomo, che poi si è rivelato essere il figlio del commerciante, aveva ferito il mio amico. Non pensavo di aver appena vendicato Lewis, invece era stato così. Quando mi sono voltato, Lewis era morto con le mani che erano capaci di scrivere cose così belle premute sulla ferita"
Si passò una mano tra i capelli, come se avesse la necessità di fare qualcosa.
"Penserai che io sia un mostro" mormorò, con lo sguardo basso "uccido un uomo e non provo nemmeno un po' di sensi di colpa"
"No, io... no" Genevieve fece un respiro profondo, imponendosi di calmarsi.
Doveva aiutarlo in qualche modo.
"Non riesci nemmeno a parlarmi"
"Non è vero" lei si avvicinò e gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarla negli occhi "non sei affatto un mostro, capito? Killian, ognuno affronta le conseguenze delle proprie azioni in modo diverso e poi aveva fatto del male al tuo amico. Se qualcuno uccidesse Peter, io... reagirei proprio come te"
"Ma non cambia ciò che ho fatto" ribattè lui "ho lasciato i loro corpi là, in quel vicolo sudicio. Sono scappato! Avrei dovuto... avrei potuto..."
Killian fece un passo indietro, creando una piccola onda che bagnò ancora di più il vestito di Genevieve.
La ferì come si era allontanato dalla lei, ma non poteva certo biasimarlo: ciò che aveva passato non era facile.
Doveva trovare il suo modo di tornare al Killian che era prima.
"Sapevo che per me era finita" disse infine lui, le parole un fiume in piena mentre riprendeva il terribile racconto "ero un uomo morto. Non sapevo cosa fare. Lewis mi aveva detto che ad Edimburgo c'erano alcuni suoi lontani parenti e credo di aver pensato in un momento di follia che avrei potuto chiedere la loro protezione. Ci puoi credere? Come se nella loro mente fosse mai baluginata anche solo l'idea di aiutare un assassino che nemmeno conoscevano. Ero completamente impazzito. Ho preso i soldi che avevamo guadagnato e sono andato al porto. Il resto della storia... be' lo sai già"
Killian rimase in silenzio a lungo.
L'unico rumore tra loro erano i respiri di entrambi, pesanti, e il rumore del mare.
"Sei la prima persona a cui lo rivelo" disse Killian "e so che non posso chiederti di mantenere il segreto, ma sei l'unica persona di cui mi fidi. In pratica sei tutto ciò che mi è rimasto, Genevieve"
Uscì dall'acqua e lei lo seguì.
Si ritrovarono in ginocchio, l'uno davanti all'altra, con gli occhi alla stessa altezza.
Killian le prese la mano e la strinse, come se avesse bisogno di un contatto per sentirsi umano.
Per sentirsi ancora degno.
"Questa è la mano di un assassino" disse "ma la tua è quella di colei che l'ha salvato"
"Killian" disse Genevieve, con urgenza "ti sei solo difeso. Sono sicura che le autorità capiranno se..."
"Ti prego, ascoltami" la interruppe lui "ho ancora un minimo di onore e uso quello che mi rimane per farti una promessa. Mi hai salvato la vita, principessa, e ti sarò per sempre debitore. Potrai chiedermi tutto ciò che vuoi, quando ne avrai bisogno. Io ci sarò"
"Non posso"
Lei tolse la mano, portandosela in grembo.
"Non ti chiederò mai nulla" aggiunse "non mi devi niente"
Killian riuscì a sorridere.
"Ti devo tutto"
Genevieve non ricordò mai cosa successe dopo.
C'erano solo ricordi confusi che le tornavano alla mente come dei flash, di tanto in tanto, anche quando in seguito avrebbe provato a ripensarci.
Forse lo aveva abbracciato per consolarlo oppure gli aveva stretto la mano.
Forse gli aveva detto che qualche angelo l'aveva mandato sull'isola perchè meritava una seconda opportunità e che non era un mostro per non essersi sentito in colpa dopo aver ucciso quell'uomo crudele.
Forse non si erano detti proprio niente, rimanendo in silenzio a darsi sostegno con la sola presenza.
L'unica cosa che ricordò fu quando la mattina dopo si svegliò, con il sole già alto all'orizzonte come se fosse l'ora di pranzo, sentendo la sabbia che le solleticava il viso e il braccio di Killian intorno alla sua vita, dove il vestito dorato era sporco anch'esso di sabbia, e si rese conto che si erano addormentati abbracciati.
Ricordò di aver capito in quel momento di essersi innamorata per la prima volta.
***
Non le era mai piaciuto particolarmente correre, nemmeno da piccola.
Quando infatti Peter voleva giocare a rincorrersi, Genevieve protestava sempre – riuscendo ad averla vinta e finendo per giocare a scacchi – ma le rare volte in cui era l'amico a spuntarla, lo inseguiva mai troppo convinta.
Il suo problema era il fiato, pensava sempre, e il fatto che avesse una corporatura minuta – da bambina, perchè ora era alta quasi quanto Peter.
Nonostante tutto, ora stava correndo a perdifiato per ritornare al castello, cercando di non pensare a come fosse conciata, specialmente il vestito di sua madre.
Quando si era svegliata sulla spiaggia, era rimasta un istante inebetita, ripensando a come si fosse ritrovata a dormire all'aperto.
Poi c'era stato il momento in cui aveva avuto il coraggio di dare un nome a ciò che provava per Killian e nel farlo, aveva alzato gli occhi verso il cielo, e aveva notato quanto il sole fosse alto.
Troppo alto.
"Oddio" aveva esclamato, scattando in piedi.
Con quel movimento aveva svegliato Killian, che si era messo a sedere ancora addormentato.
"Ciao" aveva mormorato.
"Oddio" aveva ripetuto lei, passandosi le mani tra i capelli.
Si era resa conto che l'acconciatura era ormai completamente disfatta, quindi i capelli le si erano sciolti in morbidi ricci sulle spalle.
"Mio padre mi ucciderà" aveva detto "oddio, come ho potuto dimenticarmene?"
"Cosa è successo?"
Genevieve si era improvvisamente ricordata di non essere lì da sola e aveva guardato Killian di scatto.
"È una lunga storia" aveva risposto "tu entra dalle cucine e vai nella tua camera, io devo scappare"
Senza attendere una sua risposta, si era messa a correre verso il castello.
Spencer Moore era arrivato quella mattina, probabilmente da molte ore, e lei non era stata lì ad accoglierlo.
Come poteva essere stata così irresponsabile?
Spalancò il portone di ingresso e si precipitò nel salotto.
"Sono contento di vedere che sei ancora viva" disse suo padre.
Genevieve si sentì gelare.
Quando re Malcolm usava quel tono freddo, quasi incolore, era perchè era davvero arrabbiato.
"Papà, mi dispiace tantissimo" disse lei precipitosamente "il signor Moore è..."
"Il signor Moore è con Peter, che si è gentilmente offerto di fargli fare un giro dei giardini e della scuderia, mentre tu non c'eri" spiegò.
Si alzò e i suoi occhi inchiodarono quelli della figlia.
"Dov'eri?" sputò, come una sentenza in tribunale "Sei sparita dal ballo"
"Volevo far vedere a Killian le alghe sulla spiaggia e ci siamo addormentati. Ho perso la cognizione del tempo, papà, non so come scusar-"
"Genevieve"
Lei si interruppe a metà frase.
Seguì lo sguardo del padre e vide che stava guardando la parte inferiore dell'abito dorato.
Era completamente bagnato e sporco di sabbia.
"L'abito di tua madre" mormorò lui, quasi senza parole "come hai potuto fare una cosa del genere?"
Alzò lo sguardo di scatto, gli occhi che mandavano lampi azzurri.
"Era un ricordo di Leila!" gridò "Una delle poche cose che mi sono rimaste! Come hai potuto trattare così una cosa così tanto importante? Cosa ti sta succedendo, Genevieve?"
Le lacrime pungevano gli occhi di Genevieve.
"Io non volevo... non pensavo..." balbettò, in preda alla cofusione.
"Non avrei mai dovuto consentire che Killian rimanesse qui a palazzo. Non è più il benvenuto. Dovrà andarsene oggi stesso"
"Papà!" gridò lei.
Re Malcolm si mosse verso le guardie ai lati della porta, ma Genevieve lo fermò.
"Come puoi dargli la colpa?" esclamò "È stata tutta colpa mia! Il vestito, l'appuntamento con il signor Moore, tutto!"
Malcolm le prese il braccio e la bloccò.
"Non sappiamo un bel niente di quel ragazzo! Ho commesso un terribile errore e ora ho intenzione di rimediare!"
"Ti prego, lui non può..."
Si morse la lingua in tempo.
Come poteva dirgli perchè Killian doveva rimanere al sicuro a palazzo?
E come poteva convincerlo?
Killian era un estraneo.
"Non può che cosa?" sibilò lui.
Genevieve si costrinse a guardare il padre negli occhi e con uno strattone si liberò della presa.
"Perchè fai così?" sbottò, arrabbiata con se stessa più che con lui "Non ti ha fatto nulla! E poi perchè insisti con questa storia di Spencer Moore? Io non voglio sposarmi con lui nè con nessun altro!"
"Ti ho già detto che questo è il tuo dovere"
"Ma non capisco perchè ci sia questa fretta che io salga al trono! È una cosa ridicola, papà. Perchè vuoi affrettare così tanto le cose?"
"Perchè sto morendo!"
Calò un terribile silenzio, tra i due.
Genevieve gelò sul posto per la seconda volta, lasciando cadere le mani lungo il corpo.
"Che cosa?" sussurrò, mentre una lacrima sfuggiva al suo controllo.
"Sono malato" disse re Malcolm, con calma "secondo il dottor Jones non mi rimane molto da vivere. Un anno, se sono fortunato"
"Papà"
Non riuscì a trattenersi e scoppiò a piangere.
"Non è vero" disse, tra i singhiozzi "non può esserlo. Stai bene, tu..."
Le morirono le parole in bocca.
"Vi ho sentiti, tu ed Anne, in biblioteca" aggiunse, quando riuscì a parlare di nuovo.
Non le importava nemmeno che così avrebbe rivelato il suo nascondiglio segreto.
Suo padre sarebbe morto.
Malcolm si immobilizzò e diventò pallido.
"Quando?" sussurrò.
"Quando Anne diceva che avresti dovuto dirmelo ma tu non volevi, per proteggermi. Era di questo che parlavate, non è così?"
Lui esitò per un istante.
"Sì" ammise e sembrava aver ripreso un po' di colore "era di questo"
"Perchè non me l'hai detto prima?"
"Perchè non volevo farti soffrire più del dovuto"
"E quando me l'avresti detto? Al tuo capezzale?"
Suo padre le si avvicinò e le mise una mano sula spalla, come se volesse consolarla.
"Ora lo sai" disse "ed è per questo che mi dovrai fare il paicere di andare a cercare il signor Moore ed essere gentile con lui"
"Lo farò"
Le sembrava di sentire la sua voce come se appartenesse a qualcun altro.
"Ma Killian deve andarsene oggi stesso, non è una buona influenza per te" aggiunse lui, allontanandosi.
Genevieve si voltò di scatto.
"Per favore" implorò.
"Ormai la decisione è presa"
"Fammi almeno parlare con lui un'ultima volta"
Malcolm riflettè un secondo, guardandola.
"No" disse, poi alzò la voce "guardie! Scortate la principessa nella sua camera e non fate entrare nè uscire nessuno"
"Papà!"
Genevieve cercò di lottare quando le guardie le si avvicinarono, ma la tennero stretta.
"Papà!"
Re Malcolm non si voltò nemmeno.
***
Genevieve si guardò allo specchio della sua camera e pensò per un istante di andare all'incontro con Spencer Moore così, con i capelli arruffati e il vestito smesso.
Poi scacciò il pensiero perché non le faceva affatto onore: sarebbe solamente risultata una bambina capricciosa.
Dopo che suo padre l'aveva fatta rinchiudere nella sua camera con l'ordine di cambiarsi e rendersi presentabile per vedere il suo promesso sposo, aveva battuto incessantemente sulla porta, ordinando alle guardie di aprirle.
Ma non c'era stato verso, ovviamente.
Così aveva rinunciato e ora si trovava ancora a ricambiare il proprio sguardo assente nello specchio.
All'improvviso la porta si aprì e vi entrò Anne.
Prima ancora che Genevieve potesse muoversi, si era subito richiusa.
"Anne" sussurrò lei.
La balia assunse un'espressione triste e allargò le braccia, così la principessa vi si tuffò dentro.
"Lo so, bambina mia" disse, carezzandole la schiena "mi dispiace tanto"
"Come hai fatto a convincerli ad entrare?"
Anne si staccò da lei e le carezzò la guancia, facendola poi girare di nuovo verso lo specchio e prendendo a pettinarle i capelli.
"Ho detto che il re mi aveva incaricata di aiutarti a vestirti" disse "ed è la verità"
"Papà è malato"
Anne si fermò un istante e la guardò attraverso lo specchio.
"È un uomo forte" rispose.
"Ma morirà"
"Tutti dobbiamo morire, prima o poi, bambina. È solo che alcune stelle si spengono prima di altre"
Genevieve non trovò niente da replicare.
Come poteva perdere anche suo padre?
Sarebbe stata un'orfana, proprio come Killian.
"Ho sentito che ordinava alle guardie di andare a cercare Killian" aggiunse Anne, tirandole su i capelli "non gli permetterà di restare, vero?"
"Non mi ha concesso nemmeno di salutarlo un'ultima volta"
La ragazza scosse la testa.
"Perché si comporta così?" domandò, con rabbia "È ingiusto"
"Cerca qualcuno a cui dare la colpa, bambina"
"Ma è colpa mia!"
"Tu sei sua figlia e la principessa"
"Non dovrebbe scusarmi"
Genevieve si alzò in piedi di scatto e spalancò la finestra che dava sul balcone.
Uscì e l'aria le colpì il viso, quasi come uno schiaffo.
Le pareva che il vento si stesse esibendo in una risata beffarda, come a dire "Avresti potuto pensare prima alle conseguenze! È tutta colpa tua!".
Quando appoggiò le mani alla balaustra calda per il sole estivo, trattenne il respiro.
Killian era proprio davanti a lei, molti metri di sotto, sulla spiaggia.
"Killian" mormorò.
Le salirono di nuovo le lacrime agli occhi.
Due guardie gli stavano alla calcagna, insieme ad un terzo uomo.
Vi prego, pensò, fermatevi.
Cosa avrebbe pensato Killian?
Cosa gli aveva detto re Malcolm prima di cacciarlo?
Sentì il cuore spezzarsi, come se la gabbia toracica non fungesse più da protezione e una freccia l'avesse colpita dritta alla fonte della sua vita.
Si ritrovò a piangere senza controllo.
I singhiozzi fendevano l'aria circostante, stringendole lo stomaco in una morsa che pareva un guanto di ferro.
Voleva che Killian si voltasse e vedesse che lei era lì, che lo stava guardando cercando con la sola forza di volontà di farlo restare.
Ma allo stesso tempo non voleva che la vedesse piangere.
Si era sempre considerata una ragazza dal carettere forte, come un muro incrollabile che nessuno poteva aspezzare.
Eppure era già la seconda volta che si metteva a piangere nel giro di un'ora.
Era questo che si provava ad avere il cuore spezzato?
Desiderò essere invisibile.
Si focalizzò sul proprio corpo che all'improvviso scompariva nel nulla, come se tutti gli atomi e le cellule che lo componevano fossero all'improvviso svanite.
Nessuno poteva vederla, ma lei poteva vedere tutti.
Killian era ormai arrivato al piccolo molo sulla spiaggia.
Non era il porto ufficiale, che si trovava dall'altro lato dell'isola ed era grandissimo, per ospitare anche le navi più grandi.
Quello era il molo privato della famiglia reale, dove c'era ormeggiata una barca che quella mattina non c'era.
Improvvisamente realizzò che il terzo uomo doveva essere il proprietario del mezzo e che suo padre doveva averlo chiamato dopo che lei era stata relegata nella sua camera.
Dove avrebbe portato Killian?
L'uomo era già sulla barca e la stava rilasciando dagli ormeggi, dicendo intanto qualcosa.
Killian si voltò e guardò dritto verso di lei.
Genevieve trattenne il respiro, completamente immobile.
Avrebbe voluto urlare, dirgli che in qualche modo sarebbe corsa da lui e... che cosa? Sarebbero fuggiti insieme come Lydia Bennet e George Wickham?
Ma suo padre stava per morire e poi c'era Peter.
Si portò una mano al petto, nel punto vicino al cuore, incapace di fare altro.
Killian osservò per un istante il punto in cui c'era lei e non battè ciglio.
Mentre si voltava per salire su quella barca che lo avrebbe portato lontano da lei, Genevieve pensò di averlo visto fare un sospiro.
Sbattè un paio di volte le palpebre, scacciando i rimasugli delle lacrime.
Sembrava che Killian non l'avesse vista.
Perchè reagire così altrimenti?
Avrebbe potuto almeno farle un cenno, per farle capire che l'aveva vista.
A dirla tutta, Genevieve avrebbe accolto con gioia anche uno sguardo irato.
Tutto era meglio dell'indifferenza.
Era così convinta che anche lui avesse sentito un legame tra di loro, come una connessione prima ancora di conoscersi.
Ma forse si era solo immaginata tutto.
Forse lei, per Killian, non era proprio un bel niente.
Sei tutto ciò che mi è rimasto, le aveva detto.
Ma a parlare poteva essere stato benissimo solo il dolore o l'atmosfera di quel momento di confidenza.
Anne la raggiunse e seguì il suo sguardo, mentre la barca si allontanava velocemente, sospinta dalla corrente.
"Lo ami, bambina mia?" domandò lei, con voce triste.
Genevieve non rispose, ma il suo silenzio valeva più di mille parole.
La balia le scacciò le lacrime con il palmo della mano e l'attirò a sè, abbracciandola.
Nemmeno lei sarebbe riusciuta a ricucire il suo cuore spezzato.
"Purtroppo l'amore ha sempre un prezzo" sussurrò Anne al suo orecchio.
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