IV. Pianeti differenti
"Dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso."
-Robin Williams nel film L'attimo fuggente.
Quando voleva stare sola, Genevieve sapeva che il posto perfetto in cui rifugiarsi era la biblioteca.
Il suo porto sicuro, qualcuno lo avrebbe definito.
C'era un particolare antro della grossa sala, nascosto dietro uno scaffale, dove si apriva un'immensa finestra con il davanzale ricoperto di cuscini.
Ed era lì che lei andava a perdersi nel suo mondo per ore e ore.
Solamente dopo molti anni di amicizia con Peter gli aveva mostrato quel suo angolo segreto che a volte condividevano.
Esso veniva mostrato solamente alle persone di cui Genevieve si fidava.
E il numero stava per passare da uno, a due.
Nonostante lo conoscesse da solamente una settimana, Killian era diventato importante per lei.
Non sapeva ancora il perchè, ma durante quei pochi giorni avevano passato tanto tempo insieme, conoscendosi sempre di più.
Re Malcolm infatti aveva detto che il ragazzo sarebbe potuto rimanere a palazzo per tutto il tempo che desiderava.
"Quando ti affezionerai" aveva scherzato Genevieve, quando la sera lui gliel'aveva raccontato "potrai scappare via con un cavallo che io stessa ti consiglierò"
"Ma non avevi detto che sarebbe stato poco pratico?" aveva replicato Killian.
"Arriverai fino al porto, dove poi salirai su una nave"
In realtà, si era pentita non appena aveva pronunciato quelle parole.
Lei non voleva affatto che Killian se ne andasse.
Adorava il suo senso dell'umorismo e il modo in cui riusciva sempre a farla ridere, anche per delle sciocchezze.
Aveva scoperto che gli piaceva disegnare, ma quando gli aveva chiesto di vedere una sua opera lui aveva scosso la testa.
"Mi dispiace, principessa" aveva detto in tono ironico "ma non c'è ancora un disegno farina del mio sacco degno di essere visto dai vostri occhi"
Genevieve aveva riso, sperando di non essere arrossita.
Era riuscita però a farsi rivelare che tipi di disegni Killian prediligesse: schizzi fatti a matita, senza colori, specialmente di volti.
In segreto, sperò che gliene facesse uno.
"E per quanto riguarda il mondo dell'immaginazione?" aveva poi chiesto.
Killian aveva inarcato un sopracciglio.
"La lettura!" aveva esclamato lei, come se fosse stato ovvio "Non dirmi che non ti piace leggere, perchè altrimenti temo che la nostra amicizia finirà qui"
"A mia discolpa negli orfanotrofi non c'erano molti libri da leggere"
Il volto di Genevieve si era addolcito.
"Ma ti piacerebbe leggere qualcosa?"
"Se mi consiglierai un buon libro, non potrò dirti di no"
Sospirò, voltandosi a guardare il mare che si allargava di fronte a lei.
Un altro privilegio di quell'antro nascosto era la splendida vista al di là della vetrata.
Il sole era da poco sorto e lei, nonostante fosse una gran dormigliona, si era ritrovata sveglia proprio nell'ora più buia che precede l'alba.
Così, avvolgendosi semplicemente addosso una vestaglia sopra la camicia da notte, si era rifugiata nel suo piccolo angolo di paradiso, ad osservare il mondo che si svegliava intorno a lei.
In quella settimana, aveva sentito Peter distante come mai era successo in tutti gli anni precedenti.
Quando voleva fare una passeggiata con Killian, Genevieve tentava sempre di coinvolgere anche l'amico, dicendo che in tre si sarebbero divertiti di più.
Ma Peter si scusava tutte le volte, con la sua immancabile gentilezza, dicendo che aveva un impegno al quale non poteva proprio rinunciare.
"Credo che Peter ce l'abbia con me" aveva detto Killian, dopo la terza volta in cui l'altro se ne era andato lasciandoli da soli.
Genevieve si era voltato a guardarlo.
"Certo che no" gli aveva detto "è solo... timido. Non gli piacciono i cambiamenti, tutto qua. Ma sono sicura che fra poco diventerete buoni amici"
Killian l'aveva osservata a lungo, con gli occhi socchiusi.
"Suppongo che vi sposerete, quando diventerai maggiorenne" aveva detto infine.
Il pensiero del signor Moore era tornato alla mente della ragazza, che aveva evitato di pensarci per tanto tempo.
Ma evitò di dirglielo, perchè poi la rabbia le sarebbe tornata e non voleva perdere il buonumore per nulla al mondo.
"Con Peter? Oh no, lui è il mio migliore amico. Sarebbe strano"
Genevieve non era sicura di aver sentito bene, ma le parve di aver capito che Killian le avesse detto "Non per lui".
Però poi non aveva avuto il tempo di chiedere spegazioni, perchè il ragazzo si era messo a parlare di tutt'altro.
Proprio per quello, Genevieve aveva pensato di chiedere a Peter di andare con lei in paese, come ai vecchi tempi.
Era una specie di loro tradizione, da lì a qualche anno prima.
Genevieve voleva conoscere il popolo su cui avrebbe regnato, ma suo padre non voleva che andasse in città perchè diceva fosse troppo pericoloso per la principessa senza una scorta di guardie.
Così, lei aveva deciso di andarci da sola senza dire niente a nessuno, ma Peter l'aveva scoperta.
Aveva minacciato di andare a spifferare tutto al re, se lei non avesse acconsentito a portarlo con sè.
Avevano deciso che sarebbe stato più sicuro se Genevieve si fosse vestita da ragazzo, per evitare sguardi indiscreti o che qualcuno potesse riconoscerla.
"Con me sarai al sicuro" aveva infine scherzato Peter, gonfiando il petto in un atteggiamento che non gli si addiceva "ti proteggerò da tutti i pericoli"
"Mio eroe" aveva ribattuto lei e poi entrambi avevano riso.
Stava pensando a dove avrebbe potuto trovarlo per chiedergli di accompagnarla quel pomeriggio, loro due soli, quando sentì la porta della biblioteca che sbatteva.
"Sicura che qui non ci sia nessuno?" domandò una voce.
Papà?, pensò Genevieve.
Era raro che il padre andasse in biblioteca, specialmente non di mattina: di solito stava sempre nel suo studio.
"Sicura, maestà" replicò la voce di Anne "gli unici che usano la biblioteca sono Genevieve e Peter. Lui è uscito poco fa per andare a fare uan passeggiata a cavallo e lei... be', la conoscete, non si sveglierà prima di molte ore"
Genevieve era una persona curiosa, non c'era dubbio.
E quali parole fanno drizzare le orecchie di un curioso più di un "Sicuri che siamo soli?".
Facendo attenzione a non fare rumore – soprattutto ringraziando mentalmente le sue pantofole che le permettevano di camminare con passi felpati – si alzò e si avvicinò agli scaffali dei libri.
Con delicatezza, spostò di poco Paradiso Perduto, ed ottenne la visuale che desiderava.
Suo padre aveva delle ombre sotto agli occhi, come se non avesse dormito molto e Anne aveva indosso il suo grembiule, segno che anche quella mattina era andata ad aiutare la cuoca in cucina, nonostante non ce ne fosse bisogno.
"Nessuno deve ascoltarci, lo sai" continuò Malcolm "nessuno deve sapere"
Anne sbuffò dal naso.
Dopo tutti quegli anni a palazzo, Anne Dawson era un'amica di famiglia, ciò significava che aveva alcuni privilegi, come il privilegio di sbuffare.
"Sapete come la penso al riguardo" ribattè infatti "dovreste dirglielo"
Malcolm scosse la testa.
"È un peso troppo grande" disse, con aria stanca "per poco non ha schiacciato me, come potrà non farlo con lei?"
"Genevieve è forte"
Genevieve si sporse istintivamente più avanti, con il fiato sospeso.
"È solo una bambina, Anne!" quasi grido il re.
Poi chiuse gli occhi per un istante, come per riprendere il controllo di sè.
"Io devo proteggerla" disse, in tono sommesso "l'ho promesso a Leila, prima che..."
Anne fece un passo verso l'uomo, con aria addolcita.
"Lo so, maestà" disse con gentilezza "c'ero anch'io. E non infrangerete la promessa. Ma Genevieve merita di sapere la verità"
"È troppo presto"
"Sapete cosa accadrà quando compirà diciotto anni, il prossimo anno. Una volta compiuti, lei..."
"Pensi che non lo sappia?" la interruppe "Ogni giorno il pensiero mi torna alla mente ed è sempre peggio"
Malcolm scosse la testa e poi raddrizzò la schiena.
"Un tempo il giorno dei suoi diciotto anni mi sembrava così lontano" disse, a bassa voce "ora invece mi sembra già domani"
Sembrò sul punto di voler dire qualcos altro, ma poi ci ripensò.
"È un nuovo giorno" disse infine, lisciandosi la giacca grigia "e c'è un ballo d organizzare"
Anne annuì e cercò di fare il suo dolce sorriso.
Entrambi uscirono dalla biblioteca, lasciando Genevieve a chiedersi che cosa mai sarebbe successo una volta diventata maggiorenne.
***
"Oh ciao" fece Peter, sopreso "non pensavo che ti avrei trovato qui"
Genevieve stava ancora pensando alla conversazione che aveva origliato quando l'amico la interruppe.
Non riusciva proprio a capire di che cosa stessero parlando Anne e suo padre.
Che cosa lei non sapeva?
La balia sembrava davvero convinta che Genevieve avesse il diritto di saperlo, come se si trattasse di qualcosa di estremamente importante, ma il re non volesse.
Logico, come tutti i padri, si ritrovò a pensare lei, pensano di proteggere la figlia ma in realtà farebbero meglio a dirle tutta la verità.
In un sacco di libri che aveva letto andava a finire così: per colpa dei genitori troppo protettivi, il protagonista scopriva da solo ciò che avrebbe sempre dovuto sapere e finiva in pericolo.
Ma poteva davvero biasimare Malcolm per quello?
Solo perchè voleva il bene di sua figlia?
La voce di suo padre, quando aveva detto che voleva solo proteggerla, era stata così intensa che Genevieve aveva sentito una fitta al cuore.
Non avevano ancora fatto pace da quando lui le aveva detto dell'arrivo del signor Moore.
Arrivo che tra l'altro sarebbe avvenuto da lì a due giorni.
Forse era di quello che parlavano, aveva allora pensato, dell'arrivo del suo promesso sposo.
Ma non aveva senso.
Ora, Genevieve guardò Peter, che se ne stava all'ingresso di quell'angolo segreto della biblioteca che solo loro due conoscevano.
"Io pensavo fossi andato a cavallo" replicò lei, con un leggero sorriso.
"Due ore fa" rispose lui, sedendosi accanto a lei "Mi hai visto?"
"Sì" mentì.
Non voleva dirgli quello che aveva visto, le sue preoccupazioni e gli interrogativi, perchè Peter non lo meritava.
Sarebbe sembrato che lei andasse a cercarlo solamente quando voleva che qualcuno l'aiutasse e le dicesse che sarebbe andato tutto bene.
Peter non lo meritava, Genevieve gli voleva davvero bene.
"Ho una proposta da farti" disse quindi, con un allegria che non possedeva, non in quel momento "se accetterai"
Peter inarcò un sopracciglio chiaro.
"Mi dispiace di aver passato tanto tempo con Killian, questa settimana" disse, a bassa voce.
L'amico distolse lo sguardo.
"Non è colpa tua" le disse "mi hai invitato molte volte ad unirmi a voi"
"Eppure mi sento in colpa"
Genevieve gli prese la mano e la strinse, costringendolo a guardarla negli occhi.
"Voglio fare qualcosa, solo noi due, come ai vecchi tempi" disse "andiamo in città"
Gli occhi castani di Peter brillarono.
"Quando?" domandò.
"Ora"
Devo smetterla di pensare a quella maledetta conversazione, pensò, ma non lo disse.
Peter la guardò da capo a piedi.
"Verrai così? In camicia da notte e vestaglia?"
Genevieve si alzò facendo memoria di tutte le sue lezioni di portamento avute nel corso degli anni.
"Temo che così si vedrebbe un po' troppo che sono una ragazza" disse "ma se vuoi prestarmi la tua veste da notte per me non ci sono problemi, sai"
Peter rise e lei ne fu felice.
Forse le cose sarebbero tornate davvero come prima.
Il viso gentile e divertente di Killian le tornò in mente, come un fulmine al ciel sereno.
Forse le cose non sarebbero tornate davvero come prima, ma Peter questo non doveva saperlo.
Genevieve l'avrebbe tenuto per sè, anche perchè non sapeva bene cosa pensare di ciò che la legava al misterioso orfano.
"Va' a cambiarti che sarà meglio" le disse infine, lanciandole un cuscino "io ti aspetterò davanti alla scuderia"
"Attento che nessuno ti veda uscire da qui"
Peter annuì, con l'omba di un sorriso sul viso.
"Anche tu"
Genevieve si lasciò l'amico alle spalle e uscì dal loro nascondiglio.
Ovviamente la biblioteca era deserta, perciò potè uscire senza problemi e dirigersi nella sua camera.
Non incontrò nessuno durante il tragitto e ne fu contenta, anche perchè avrebbe dovuto spiegare perchè stesse girando in veste da notte.
Nascondeva sotto il materasso i vestiti da ragazzo – una camicia larga, giacca scura e pantaloni – perchè sapeva che nessuno li avrebbe trovati lì: quando le domestiche rifacevano il letto, non guardavano mai sotto il materasso.
Una volta vestita, si guardò allo specchio: era sempre strano indossare vestiti che mostravano così tanto del suo corpo.
Non era abituata al fatto che chiunque potesse vedere le curve dei suoi fianchi o quanto le sue gambe fossero slanciate.
Però era facile girare per il paese come un ragazzo: nessuno ti degnava di una seconda occhiata.
E con Peter al proprio fianco si sentiva al sicuro.
Raccolse i capelli castani in modo che il cappello li nascondesse completamente e poi uscì, facendo attenzione a non incontrare nessuno.
Prese un passaggio segreto e si ritrovò subito fuori dal castello.
Vedeva Peter in lontananza che l'aspettava fuori dalla scuderia, mentre sembrava parlare con Hector.
Quando lo raggiunse, lui le sorrise.
"Sembri un ragazzo" disse.
Genevieve fece un sorrisetto.
"Lo so"
Avrebbero usato un solo cavallo, perchè in caso di fuga sarebbero stati più veloci.
Peter conosceva qualcuno a cui lo avrebbero affidato, una volta giunti in città, così da poter proseguire a piedi.
Lui salì in groppa ad Hector e le tese una mano.
Genevieve la prese e si accomodò dietro di lui, avvolendogli le braccia intorno alla vita per non cadere.
Lo sentì irrigidirsi e si chiese perchè.
Ricordava che da piccoli, quando lui sapeva già cavalcare ma lei ancora no e voleva per forza fare un giro a cavallo, si metteva in quella stessa posizione, Genevieve stretta a Peter come ad un'ancora.
Era sempre sembrata una cosa naturale, ma allora perchè ora Peter si era irrigidito?
"Tutto bene?" domandò.
Vide Peter muovere la testa in cenno di assenso.
Con un colpo alle staffe, fece partire Hector al galoppo lungo la spiaggia.
Quando entrarono nel piccolo bosco che separava il castello dalla città, Genevieve si sporse in avanti.
"Grazie, Peter" disse al suo orecchio "sei un buon amico. Il migliore"
Lui non rispose, ma forse era perchè il vento che fischiava gli aveva impedito di udire le parole della ragazza.
Erano vicini, ma lei lo sentiva ancora distante come durante quella settimana.
C'erano certe contraddizioni nella vita, si ritrovò a pensare, come a volte le persone che conosciamo meglio di noi stessi ci sembrano irraggiungibili.
Peter le sembrava su un altro pianeta, distante anni luce da lei.
Ma Genevieve non aveva idea di come raggiungerlo.
Riusciva a sentire che c'era qualcosa che lui non le diceva, come un dolore che ostinava a tenersi dentro.
Ma perchè non voleva sfogarsi con lei?
Lei era lì per lui.
Parlami, avrebbe voluto dirgli, posso aiutarti. Se c'è un fardello che grava sulle tue spalle, dammi un po' di quel peso cosicché potremo aiutarci a vicenda nel sostenerlo. Sono sempre stata qui al tuo fianco. Perchè non ti apri con me?
Ma non gli disse niente di tutto ciò.
Peter era riservato riguardo i suoi sentimenti.
Una volta trovato il coraggio oppure una volta arrivato il momento giusto, non dubitava che le avrebbe raccontato cosa lo preoccupava.
Una piccola vocina si insinuò nel cervello di Genevieve, come una serpe velenosa.
E se non ti dirà mai niente?, le sussurrò, Se sarete per sempre su due pianeti diversi? Se piano piano vi state irrimediabilmente allontanando l'uno dall'altra senza poter fare nulla per impedirlo?
Genevieve rifiutava di crederlo.
Anche quando fosse stata sposata – che fosse con il signor Moore o qualcun altro – lei avrebbe sempre guardato Peter come un punto di riferimento, come la sua personale stella polare.
Si augurava che anche lui avrebbe sempre fatto così per lei.
Non si era nemmeno accorta che Peter avesse fatto fermare il cavallo, fino a che non disse il suo nome ad alta voce.
Genevieve si riscosse e scese dal cavallo, osservando l'amico che dava le redini ad un ragazzo che avrebbe dovuto avere la loro età.
"Cosa gli hai detto perchè non facesse domande e tenesse Hector?" domandò, quando Peter l'affiancò.
Lui fece un sorriso misterioso.
"Non posso dirtelo" disse "sono cose che le orecchie di una principessa non potrebbero udire mai"
"Ma ora sono solo James" fece Genevieve, perchè quello era il nome con cui avevano concordato anni prima che si sarebbe chiamata.
In realtà, Genevieve non avrebbe dovuto mai parlare in città, perchè altrimenti avrebbero sentito che la voce era quella di una ragazza ma si erano divertiti a creare una fittizia storia per James.
Era un lontano cugino di Peter, James Smith, quasi la pecora nera della famiglia che a volte veniva in visita al castello dove il cugino alloggiava e a volte egli lo portava in città per vedere ciò che le isole Shetland offrivano.
"Forse per gli altri" disse Peter, con uno tono stranamemte serio e il timbro della voce profondo "ma per me resterai sempre Genevieve"
Genevieve stava per replicare, quando sentì un rumore.
Dalla via laterale, sbucarono nel centro della città.
Non era mai stata in paese a quell'ora e si chiese come avesse potuto in tutti quegli anni perdersi un panorama simile.
Era l'ora di punta e il mercato cittadino dava il meglio di sè: c'erano bancarelle ovunque, da quelle che vendevano pesce fresco a pane appena sfornato.
Nell'aria si sentiva odore di spezie e di altri profumi che Genevieve non aveva mai sentito prima.
"Tuo padre mi aveva chiesto di passare dal calzolaio per un ordine" si ricordò Peter, voltandosi a guardarla "faccio in fretta. Tu non muoverti di qui e rimani nell'ombra, capito?"
Genevieve annuì, quasi senza sentirlo, affascinata com'era.
C'erano due fornai che parlavano su come facessero per far ottenere al pane quel colore dorato che piaceva tanto ai bambini, una donna che stava cercando disperatamente di tirare via il suo da una bancarella di dolci dicendogli che dovevano tornare a casa.
"Ma sembrano così buoni!" stava protestando il bambino, che aveva i grandi occhioni puntati su alcune torte di mele.
"Lo so, tesoro" disse la madre, cercando di fargli un sorriso "ma oggi proprio non posso comprarti nulla. Forza, papà sta per tornare dai campi e ci aspetta a casa"
Genevieve capì: la donna mentiva.
Non avrebbe mai avuto i soldi per comprare nessun dolce a suo figlio.
Fece di nuovo vagare lo sguardo lungo tutta la piazza e si rese conto che il suo cervello, nel bearsi di quella visione quasi idilliaca, aveva perso di vista un dettaglio davvero importante.
Tutti gli uomini e le donne che si vedevano in quella piazza erano vestiti con poco più che stracci ed erano visibilmente a pezzi.
Non c'era così tanto pane come aveva pensato all'inizio e l'odore delle spezie nell'aria si mischiava a quello del sudiciume.
I due fornai stavano parlando di come far sembrare il pane dorato, quando in realtà era fatto di terra misto a farina perchè ce n'era troppo poca.
"Mio fratello ha perso il poco che gli rimaneva al gioco" sentì dire a qualcuno.
Era un ragazzo poco più grande di lei, con i capelli castani che gli arrivavano appena sotto il mento.
"Non avrebbe dovuto giocare d'azzardo, Henry" rispose una signora con cui stava parlando "È colpa sua se tu e lui ora non avete più nulla"
"Ha detto che ormai la sua vita non valeva più niente, da quando ha perso la casa per i debiti. Nessuno ha potuto fargli intendere ragione. Ha forse torto? La casa reale è sfarzosa come lo stesso Buckingam Palace e noi viviamo nella miseria"
"Spera solo che tuo fratello non arriverà a pensare di essere un problema per il mondo e a suicidarsi"
Per un istante il ragazzo incrociò lo sguardo di Genevieve e lei non riuscì a sostenerlo, sebbene sapesse che lui non aveva idea di chi lei fosse.
"Infatti non è lui il problema" ribattè Henry "il problema sono gli Adler"
Genevieve si voltò di scatto di lato, chinando gli occhi.
"Hai un'espressione strana" fece Peter, che doveva essere appena tornato "va tutto bene?"
"Andiamo via" disse lei a bassa voce "ti prego"
L'odio che aveva percepito nella voce del giovane le era arrivato dritto al cuore come una freccia.
Fino a pochi mesi prima, quando era scesa in città, l'atmosfera non era per nulla così.
Cos'era successo in quel tempo?
Peter la guardò interrogativo.
"Qualcuno ti ha detto qualcosa?" si guardò intorno, preoccupato "Ci hanno scoperto?"
Genevieve scosse la testa.
Aveva una gran voglia di piangere.
"Voglio andare via" disse, mantenendo la voce ferma "per favore. Portami via di qui"
***
Le sembrava di sentire risuonare nella sua mente, quasi come un mantra indesiderato ma costante, le parole di quel ragazzo di nome Henry.
Il problema sono gli Adler, aveva detto.
Da quanto tempo andavano avanti tutti quei problemi?
E poi di che debiti parlava?
Suo padre non le parlava mai del modo in cui governava il regno, perchè era una donna.
Diceva non fossero affari suoi, perchè una volta diventata regina avrebbe avuto un marito che si sarebbe occupato della burocrazia.
Ma Genevieve voleva sapere, ora più che mai.
Quando si vestì di nuovo con gli abiti da giorno, le mani le tremavano così tanto – non sapeva se per la rabbia o per la tristezza – che quasi non riuscì ad allacciare i lacci del corsetto, cosa già di per sè difficile senza una domestica.
Alla fine decise che avrebbe fatto qualcosa, perché lei era migliore di così.
Avrebbe aiutato il suo popolo.
Magari avrebbe potuto portare un po' di farina per i fornai: sapeva che nelle cucine reali ne avevano in abbondanza.
Avrebbe racontato tutto a Peter e insieme avrebbero dato una mano.
Durante tutto il tragitto era rimasta in silenzio, con le immagini del mercato che le passavano nella mente come dei flash.
Peter non le aveva chiesto più niente, perchè la conosceva abbastanza da sapere che in quel momento Genevieve aveva bisogno di stare da sola.
Qualcuno bussò alla porta della sua stanza.
Sperò fosse Killian.
Era tutto il giorno che non lo vedeva e aveva bisogno di qualcuno che la distraesse, facendola ridere.
Sorprendentemente, fu suo padre a varcare l'uscio della camera da letto.
Genevieve spalancò gli occhi alla sua vista e raddrizzò automaticamente la schiena, anche se avrebbe tanto voluto lasciarsi ricadere sul suo morbido letto.
Io devo proteggerla, aveva detto quella mattina.
Aveva sempre penstao che Malcolm le volesse bene, ovviamente, ma era raro che lo esprimesse in sua presenza.
Ma l'intensità con cui aveva pronunciato quelle tre parole continuava a tornarle in mente dandole una stretta al cuore.
"Sei occupata?" domandò lui.
"No" rispose lei.
"È tanto che non parliamo"
Genevieve scoprì che non era più arrabbiata.
Fino a quella mattina gli avrebbe risposto in modo sarcastico, dicendo che non riusciva proprio a capire di chi fosse la colpa.
Ma ora non più.
Se loro due – il re delle isole Shetland e l'erede al trono della famiglia Adler – avessero continuato a tenersi il muso a vicenda, evitando di parlare, come avrebbero potuto giovare al popolo?
Come avrebbero potuto essere una buona casa reale?
"Mi dispiace" esordì quindi.
Re Malcolm fece un verso sorpreso, con un sorriso che gli increspava le labbra.
Genevieve sapeva cosa stava pensando.
Orgogliosa com'era, per lei era davvero difficile chiedere scusa.
"Non avrei dovuto reagire così, quando mi hai detto del mio futuro" continuò, portandosi le mani in grembo e torcendosele "sono stata arrabbiata fin troppo"
"Accetto le tue scuse"
Ora stava sorridendo per davvero e le posò una carezza sulla guancia.
Non ricordava quando fosse stata l'ultima volta che l'aveva toccata.
"È la cosa migliore per te, Genevieve" aggiunse poi "Spencer Moore è un gentiluomo. Ti troverai bene dopodomani, quando lo incontrerai ufficialmente"
Genevieve fece un respiro profondo.
C'era ancora la teoria di Peter: magari questo Spencer Moore – finalmente aveva scoperto il suo nome – non era poi così bravo come pensava suo padre e alla fine non avrebbe dovuto sposarlo.
In fin dei conti, niente era ancora deciso definitivamente.
Le passò nella mente di domandare di cosa avessero parlato lui ed Anne quella mattina.
Ma avrebbe dovuto ammettere di averli spiati e rivelare il suo posto segreto, in più avrebbero finito per litigare di nuovo.
"Quando dovrò vedere il signor Moore?" chiese quindi.
"Di primo mattino" rispose re Malcolm "ma non pensarci per ora. Domani è il tuo grande giorno"
Con grande sorpresa di Genevieve, lui si sporse in avanti e le posò un delicato bacio sulla fronte.
Si chiese se ci sentisse così ad avere un padre che non ha paura di mostrare i suoi sentimenti.
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