II. Quiete dopo la tempesta
"Se respirar ti lice
D'alcun dolor: beata
Se te d'ogni dolor morte risana."
-Giacomo Leopardi.
Genevieve aprì la finestra della sua camera da letto e uscì sull'ampio balcone.
L'aria fresca le carezzò il viso, ma lei continuava a non riuscire a respirare.
A grandi passi raggiunse la balaustra in marmo e si affacciò, stringendo le mani intorno ad essa.
Nemmeno la vista del mare che si estendeva davanti a lei riusciva a calmarla.
Fece un respiro, ma il peso che sentiva sul cuore continuava ad essere presente come un ospite indesiderato.
Si mise le mani tra i capelli e strappò via le forcine, gettandole a terra.
I ricci castani le si riversarono sulle spalle, ma non l'aiutarono a sentirsi più leggera.
Avrebbe dovuto asppettarselo: ovviamente il peso fisico non poteva far diminuire quello emotivo.
Represse un grido e chiuse gli occhi con forza, per impedirsi di piangere.
Doveva essere forte, altrimenti avrebbe dimostrato che le ridicole leggi su una donna che poteva salire al trono solamente con un uomo al fianco fossero vere.
Lei non era debole, pensò.
Forse ripeterlo più a volte a se stessa l'avrebbe reso vero.
Alzò lo sguardo dove i primi puntini luminosi stavano comparendo nella volta celeste.
Aveva sempre voluto guardare il cielo e riconoscere il nome delle stelle o le costellazioni, ma re Malcolm aveva sempre pensato che non fossero cose importanti.
Qualcuno che ha bevuto troppo, un giorno si è messo a guardare il cielo e a dare un nome e una storia dietro ad ogni stella, diceva sempre quando lei tentava di convincerlo ad assumere un astrologo.
"Se c'è davvero qualcuno, lassù" disse "sarei felice di avere una mano"
Ma ovviamente nessuno le diede risposta.
Genevieve non voleva sposarsi.
O almeno, non così presto.
Per tutta la vita le persone avevano sempre preso le decisioni per lei, come se non avesse la capacità di farlo da sola.
E con loro suo padre.
Diceva fosse per il suo bene, eppure sembrava proprio non capire l'evidenza dei fatti.
I matrimoni combinati non andavano mai a buon fine.
Scosse la testa, con forza, come per scacciare le ultime ore.
"Come stai?"
Genevieve non aveva bisogno di voltarsi, perchè sapeva che la persona che aveva parlato fosse Peter.
Lui c'era sempre per lei.
"Voglio stare da sola" disse abbastanza ad alta voce perchè sentisse.
Strinse più forte le mani intorno alla balaustra di marmo, fino a farsi sbiancare le nocche.
"Non è vero" disse Peter.
Lei vide con la coda dell'occhio che l'aveva affiancata e anche lui guardava l'infinità del mare che si estendeva davanti a loro.
La torre con la camera di Genevieve era quella più alta e lei aveva sempre adorato questa cosa.
Le sembrava di avere il controllo su tutto ciò che la circordava, anche se sapeva benissimo non fosse così.
Alla fine sospirò.
"Non voglio stare da sola" ammise e la voce le si spezzò.
Peter le lanciò un'occhiata triste e poi sembrò prendere una decisione improvvisa.
La luce della luna faceva un bellissimo gioco di ombre e spigoli sul viso di lui.
Un po' esitante, le porse la mano con il palmo rivolto all'in su.
Genevieve chinò lo sguardo sulle lunghe dita da pianista che aveva e pensò a quanto quella mano le fosse familiare.
Quante volte dopo che era caduta da cavallo l'aveva aiutata ad alzarsi?
Staccò la sua dalla balaustra e intrecciò le dita con quelle di lui.
Lo sentì trattenere il respiro.
"Va meglio?" le chiese in un sussurro.
"Un pochino" rispose lei nello stesso tono di voce "grazie"
"È stato terribile, prima a cena" commentò Peter dopo un po'.
Genevieve fu tentata di scoppiare in una risata amara, ma si trattenne.
"Non dirlo a me" rispose.
"Te l'aspettavi?"
Lei scosse la testa.
"Anne mi aveva detto che mio padre avrebbe voluto parlarmi e che avrei dovuto lasciarlo finire perchè lo faceva per il mio bene" spiegò "stupidaggini. Non capisco perchè pensi già di lasciare il trono"
"Forse vuole solo portarsi avanti con i tempi"
"A mio discapito però"
Rimasero in silenzio per un po', semplicemente dandosi sostegno a vicenda.
Il corpo di Peter era caldo e familiare.
Una rassiurazione, pensò lei, una costante della sua vita che non avrebbe cambiato per niente al mondo.
Un sacco di gente andava e veniva a palazzo, ma Peter c'era sempre.
"Forse non è così brutto come sembra" disse lui alla fine.
Genevieve fece un verso risentito.
"Faresti prima a dirmi che è un sogno" ribattè "almeno saprei che prima o poi mi sveglierò"
"Parlo sul serio, riflettici: forse questo signor Moore verrà solo per conoscerti e alla fine non ti sposerà"
Lei si raddrizzò e gli lasciò andare la mano, guardandolo negli occhi.
"Sì, ma mio padre lo ha definito il mio promesso sposo" gli fece notare "come se fosse già tutto deciso. Il fatto che venga a conoscermi prima del matrimonio è solo una formalità"
"Oppure no" gli occhi castani di Peter erano determinati "tuo padre può sempre cambiare idea. Lui dice che è un uomo rispettabile, ma se si sbagliasse? Non ti getterebbe tra le braccia di un delinquente"
"Quindi stai proponendo di fingere che il signor Moore sia una cattiva persona?"
L'amico esitò un istante, come se stesso prendendo in considerazione l'idea.
"No" ammise alla fine "dico solo che la speranza è l'ultima a morire. Se siamo fortunati, tutta questa storia non sarà che un brutto ricordo"
Sì, pensò Genevieve, ma quando mai io sono stata fortunata?
"Spero tu abbia ragione, Peter"
Lei lo guardò per qualche istante, poi si avvicinò e lo abbracciò.
Come avrebbe fatto senza di lui?
Peter trattenne il fiato all'inizio, poi si sciolse e la strinse.
"Perchè?" domandò a bassa voce.
Sembrava non volesse lasciarla andare.
"Perchè sei il mio migliore amico" rispose Genevieve "e ci sei sempre per me"
Lui non rispose, ma sciolse l'abbraccio.
Probabilmente era solo la stanchezza che le giocava brutti scherzi, ma a Genevieve parve che non volesse guardarla negli occhi.
"Vai a dormire?" gli chiese, quando lui si avvicinò alla porta finestra.
"Tu no?"
Lei scrollò le spalle e si portò le braccia la busto, come se si stesse abbracciando da sola.
"Sono ancora un po' scossa" ammise "forse leggere mi aiuterà a pensare ad altro"
"Forse Jane Austen non è l'autrice più indicata in questo momento"
Genevieve ricambiò il sorriso dell'amico e questo le fece pensare che probabilmente si fosse solamente immaginata i suoi sguardi sfuggenti.
"Allora tenterò con Dickens" rispose.
"Non Canto di Natale spero, visto che siamo in estate"
"Non è mai troppo presto per quel romanzo, Scrooge"
Peter scosse la testa, con un sorriso.
"Riposati" disse alla fine "buonanotte"
"Buonanotte, Peter"
Lui se ne andò e lei si voltò di nuovo verso il mare.
Immaginò cosa sarebbe successo se fosse arrivata una nave pirata e l'avesse rapita, come succedeva nei romanzi gotici che piacevano a Peter.
In quei romanzi la principessa si sarebbe innamorata del pirata, ma il loro sarebbe stato un amore travagliato che alla fine sarebbe culminato con la morte di uno dei due.
"Quello è Shakespeare" l'avrebbe corretta Peter.
"Shakespeare è una grande fonte di ispirazione sempre attuale" avrebbe ribattuto Genevieve.
Ora scosse la testa.
Mi andrebbe bene tutto tranne quel maledetto signor Moore, pensò, scoprirò mai il suo nome poi?
Rientrò nella camera da letto e si chiuse la finestra alle spalle.
Si mise la camicia da notte e si infilò sotto le coperte, prendendo il libro che aveva posto sul comodino a lato del letto.
Non aveva mentito, effettivamente la sua lettura corrente era Charles Dickens, ma non Canto di Natale.
Stava infatti leggendo – per la cosa? Decima volta? Ormai aveva perso il conto – Racconto di due città e sperava che il signor Moore non fosse come mounsier Defarge, perchè altrimenti avrebbe davvero finto fosse un malvivente.
In realtà, Peter non ci aveva proprio visto così sbagliato, perchè il romanzo preferito di Genevieve era senza ombra di dubbio Orgoglio e Pregiudizio.
Suo padre le aveva detto una volta che era anche quello preferito di sua madre e la cosa l'aveva fatta sentire vicina a lei per qualche momento.
Come sempre quando si ritrovava a pensare a Leila, si portò una mano al collo dove aveva il ciondolo che un tempo era appartenuto alla donna.
Era a forma di chiave, una di quelle con l'impugnatura ricca di ghirigori, ed era abbastanza grande per essere una chiave normale.
Ovviamente, da piccola, Genevieve aveva girato in lungo e in largo l'intero castello alla ricerca di porte segrete, per trovare la serratura che quella chiave avrebbe aperto.
Ma non aveva mai avuto fortuna.
Secondo Peter la porta si trovava nello studio di re Malcolm, al quale nessuno aveva il permesso di accedere, mentre secondo Anne non apriva proprio un bel niente — anche se alla principessa era sempre parso che mentisse.
Dal canto suo, Genevieve aveva la sensazione che un giorno avrebbe scoperto a cosa servisse.
Lesse qualche pagina del libro, ma la sua mente continuava a sgusciare altrove sempre sul litigio avuto con suo padre.
Dopo mezz'ora, si disse che doveva a Charles Darnay più rispetto per le accuse del suo processo e quindi chiuse il libro, deponendolo sul comodino.
Soffiò sulla candela che aveva accanto e si ritrovò immersa nel buio, con solo la luce della luna che entrava dalla finestra aperta a rischiarare l'ambiente.
Quando si addormentò, fece il solito sogno.
Si ritrovò sulla spiaggia al tramonto e come sempre davanti a lei c'era un ragazzo di spalle.
"Chi sei?" gli chiese.
Lui non si voltò.
Il mare era dorato davanti a loro, creando lo sfondo perfetto per un quadro.
Genevieve fece per raggiungerlo, ma non risucì a muovere nemmeno un passo.
Alzò le gonne e chinò lo sguardo.
Si rese conto che i suoi piedi erano incatenati, ma le catene finivano all'interno della sabbia impedendole di vedere quanto fossero lunghe.
"Ti prego" disse "mostrami il tuo volto"
I capelli neri arricciati erano mossi dal vento estivo e il ragazzo assunse la posa del famoso quadro di Friedrich, Viandante sul mare di nebbia.
"Perchè non ti fai mai vedere?" continuò.
All'improvviso le venne un'idea.
Si chinò in fretta e cominciò a scavare con le mani intorno alla catene.
Quando finalmente trovò la serratura, prese il suo ciondolo e infilò la chiave nella toppa.
Entrò senza il minimo problema.
La rigirò e con un click la serratura scattò.
Genevieve corse verso il ragazzo e gli mise una mano sulla spalla, per farlo voltare.
Riuscì solo a vedere di sfuggita il colore degli occhi – azzurri come il mare al mattino presto – prima di ritrovarsi di nuovo nella sua camera.
Come sempre, si era svegliata nel momento peggiore.
Con un sospiro, si rituffò all'indietro sui cuscini e si mise a fissare il soffitto.
Non capiva proprio perchè continuasse a fare quel sogno.
La cosa davvero strana era che il ragazzo fosse sempre lo stesso, nei minimi particolari.
Solo che Genevieve non aveva idea di chi fosse nè se esistesse davvero.
Ma era impossibile.
Dopotutto si trattava di un sogno.
Quando decise di chiudere nuovamente gli occhi, la porta della sua camera venne spalancata.
"Buongiorno principessa!" esclamò la voce squillante di Heather.
Oh no, pensò lei.
Fu tentata di mettersi un cuscino in faccia o di tirarlo direttamente alla domestica, ma alla fine si costrinse ad aprire gli occhi.
Notò ciò che non aveva notato prima, ovvero che effettivamente fuori dalla finestra il sole era già sorto da un po'.
"Buongiorno" borbottò alla fine, cercando di usare un tono gentile.
"Anne mi ha detto che oggi proverete gli abiti per il ballo del vostro compleanno" continuò la domestica, aiutando Genevieve ad alzarsi dal letto.
La principessa la scostò educatamente, alzandosi da sola.
"Anne ha detto questo?" fece.
Heather annuì.
Era vero che aveva promesso di accontentare le domestiche e assecondare le loro richieste, ma non aveva mai specificato il giorno.
Con un sospiro pensò che Anne l'aveva messa con le mani nel sacco.
"Certamente" rispose quindi "dopo pranzo però, perchè dopo colazione avevo intenzione di fare una passeggiata"
La domestica le sorrise e l'aiutò a vestirsi.
Cercò di convincerla che non c'era bisogno di accompargnarla fino in sala da pranzo ma Heather non demorse.
"È il mio dovere" continuava a ripetere.
Dopo l'ultima rampa di scale, incontrarono Peter.
"Buongiorno" le salutò lui, cortese.
"Buongiorno, signor Smith" rispose immediatamente Heather, arrossendo, con una tonalità di voce più alta di almeno due ottave "Avete bisogno di qualcosa? Io sono sempre disponibile. Ad esempio qualcuno che assaggi per voi il caffè per evitare sia troppo caldo e voi vi scottiate la lingua, oppure che vi sprimacci per bene i cuscini o vi aiuti a spazzolare il vostro cavallo"
"Io..." iniziò Peter, in evidente difficoltà.
"Non esitate a chiedere, signore!"
"Se avremo bisogno di qualcosa ti faremo sapere, Heather" intervenne Genevieve "grazie mille. Ora puoi andare"
Lei fece un profondo inchino e se ne andò di corsa.
"Poi non venire a dirmi che non ha una cotta per te" disse.
Peter la ignorò.
"Come stai?" chiese invece.
Genevieve sospirò.
"Ho sperato che ciò che è accaduto ieri fosse stato solo un brutto sogno ma come sai non è così" rispose "ma in sostanza sto bene"
"Sono contento"
Peter le sorrise e poi le aprì la porta della sala da pranzo.
Il re non era ancora sceso.
I due si sedettero uno di fronte all'altro e dopo qualche minuto re Malcolm arrivò, sedendosi a capotavola.
"Buongiorno, figlioli" disse.
"Buongiorno" rispose Peter, ma Genevieve si limitò a fare un cenno del capo.
"Dormito bene?" chiese ancora l'uomo, rivolgendosi alla figlia.
Lei continuò a girare il cucchiaino nella sua tazza di te, tenendo lo sguardo dorato puntato su di esso.
"È buona educazione rispondere alle domande, Genevieve" la rimproverò suo padre.
Si era ripromessa di essere superiore, ma non appena udì quelle parole, tutti i suoi propositi andarono in fumo.
"Benissimo" rispose con sarcasmo "ho sognato di percorrere la navata al tuo fianco, papà, verso uno sposo che aveva un cappuccio in testa perchè io non so chi sia l'uomo che sposerò"
"Gen..." fece a bassa voce Peter, con una nota di avvertimento.
"Sai, credevo fosse buona eduzione anche dire alla propria figlia che un perfetto sconosciuto verrà da lei per sposarla" continuò lei.
Gli occhi azzurri di re Malcolm si scurirono.
"So che sei arrabbiata ma questo non ti dà affatto il diritto di parlarmi in questo modo, Genevieve" disse in tono autoritario "sono molto deluso da te. Pensavo fossi un po' più matura"
"Be' mi dispiace di non essere abbastanza matura. Credi che al signor Moore piacerò lo stesso?"
"Ora è veramente troppo!"
Re Malcolm si alzò di scatto, sbattendo una mano sul tavolo.
"Lo è davvero" disse Genevieve.
Sostenne lo sguardo del padre e lo sentì come un completo estraneo.
Perchè non capiva come si sentisse lei?
E se fosse stato lui quello costretto a sposare una donna che non amava?
"Con permesso, non ho più fame" concluse.
Si alzò dal suo posto e uscì di nuovo dalla sala da pranzo, come aveva fatto la sera precedente.
Con la coda dell'occhio, mentre se ne andava, vide Peter lanciarle un'occhiata di supplica.
Torna indetro, sembrava dire, sistema le cose.
Ma Genevieve era fin troppo orgogliosa.
Pensò che una passeggiata le avrebbe fatto bene: forse avrebbe potuto aiutarla a schiarire la mente e i pensieri.
La parte anteriore del castello si apriva sui giardini reali: sentieri acciottolati che si intrufolavano tra i roseti e la fontana centrale.
Dalla parte posteriore invece si accedeva direttamente alla spiaggia tramite un un sentiero che aveva la forma della navata di una chiesa ma composto da una serie di archi a sesto acuto dove sul ferro spuntavano delle rose.
Genevieve scelse di prendere quel sentiero e come sempre il profumo di rose nell'aria l'aiutò a calmarsi.
Riflettè che avrebbe potuto prendere un libro e mettersi a leggere, ma ormai non aveva intenzione di tornare al castello prima di qualche ora.
C'era il rischio di incontrare suo padre e litigare ancora, cosa che non voleva nemmeno un po'.
Arrivata sulla spiaggia, un po' di sabbia le entrò nelle scarpe ma lei continuò a camminare.
Notò che in lontananza c'erano alcuni tronchi proprio sulla battigia e alcuni gabbiani vi si erano posati sopra.
Aggrottò la fronte e si chiese se per caso suo padre non avesse dato ordine di abbattere qualche palma.
Forse per raccogliere legna per l'inverno?
Eppure era fin troppo presto per pensare al freddo.
Avvicinandosi, si rese conto che non si trattava affatto di tronchi bensì della chiglia di una barca di legno.
Con un terribile pensiero, aumentò il passo.
I gabbiani si levarono in volo non appena lei li raggiunse.
Con il cuore che le batteva a mille nel petto, aggirò i resti della barca ormai distrutta e soffoccò un grido.
Quando Genevieve lo vide, si sentì un po' come Nausicaa che sulla spiaggia trova Ulisse dopo essere scampato ad una tempesta.
Perchè era quello che doveva essere successo al ragazzo che aveva di fronte.
I capelli scuri erano ancora un po' umidi e sporchi di sabbia, mentre la camicia bianca era a brandelli.
Gli fu subito accanto e gli alzò delicatamente il viso.
"Ditemi che siete vivo" mormorò.
Lo scosse, cercando di fargli riprendere i sensi, ma lui rimaneva ostinatamente incosciente.
Con il panico che aumentava, posò l'orecchio sul petto in ascolto.
Ti prego, pensò, vivi.
Dopo secondi che le parvero un'eternità, Genevieve si rese conto che il cuore batteva ancora, anche se debolmente.
Fece per alzarsi e tornare a scuoterlo, quando gli occhi le caddero sul fianco del ragazzo.
Emise un grido.
"Siete ferito!" esclamò.
Doveva fare qualcosa e anche subito.
La camicia bianca era sporca di sangue che usciva da un lungo taglio.
Si alzò svelta le gonne e strappò un lembo della sottoveste, premendoglielo poi sulla ferita.
Disperata si guardò attorno, alla ricerca di altri sopravvissuti.
La barca doveva essere finita sugli scogli lì accanto e si era rotta, scaraventando via il ragazzo che si era ferito proprio con essi.
Forse quella notte c'era stata una tempesta.
Ma cosa ci faceva un ragazzo solo su una piccola barca da pescatore?
"Restate con me" disse ad un certo punto "dovete svegliarvi, capito? Andrà tutto bene"
Tolse una mano mentre con l'altra continuava a premere sulla ferita e gliela mise sulla guancia.
Si rese conto che era sporca di sangue e per un istante tutto divenne più reale che mai.
"Svegliatevi, santo cielo!" gridò.
All'improvviso le palpebre del ragazzo fremettero e lui aprì gli occhi.
In quel momento, Genevieve si rese conto che lei sapeva benissimo chi fosse.
Era il ragazzo del suo sogno.
I suoi occhi azzurri si fissarono sul viso di lei per un istante di nuovo lucidi, poi tornarono vitrei.
"No!" gridò "Non lasciatemi! Dovete resistere, per favore"
Il ragazzo mugugnò qualcosa di incomprensibile.
"Lottate per la vostra vita" continuò Genveieve, con determinazione "So che siete abbastanza forte. Andiamo!"
"Che sta succedendo?"
Lei si voltò di scatto e quando vide Peter scoppiò a piangere senza nemmeno rendersene conto.
"Chiama aiuto, svelto!" gridò.
L'amico non fece domande e corse via.
"Stanno arrivando i soccorsi" si rivolse al ragazzo "presto starete di nuovo bene, ve lo prometto. Manca poco"
Lui aprì gli occhi di nuovo e all'improvviso le strinse la mano che lei aveva ancora sul suo viso.
"Qual è il vostro nome?" bisbigliò lei, con gli sguardi incatenati.
"Killian" rispose lui in un sussurro "perchè piangete?"
Poi perse i sensi e le crollò addosso.
Genevieve sentì delle voci concitate dietro di lei, mentre Peter abbaiava ordini.
Un piao di uomini le comparvero di fronte e sollevarono Killian, cominciando a correre il più veloce possibile verso il castello.
Lei, senza una reale spiegazione, si sentì vuota.
Si alzò subito e fece per correre dietro di loro, ma qualcuno la bloccò.
"Sei ferita?" chiese Peter.
"Cosa? No!" esclamò Genevieve "Devo stare con lui. Lasciami andare!"
Ma lui la tenne stretta.
Lei cominciò a dimenarsi per sottrarsi alla sua presa, ma inutilmente.
Cercò di scrollarselo di dosso, ma sembrava aver perso tutta la sua forza.
"Ma che diavolo stai facendo?" sbottò alla fine, dandogli uno spintone e tirandosi indietro "Perchè non vuoi che vada da lui?"
"Perchè saresti solo d'intralcio" spiegò Peter, con voce gentile "il medico sarà qui fra poco e avrà bisogno di tranquillità per aiutare quel ragazzo"
"Ma Kilian conosce il mio viso. Si spaventerà se non mi troverà lì!"
"Potrebbe averti scambiata per un'allucinazione"
"Peter!"
Peter fece un respiro profondo.
"Mi dispiace, d'accordo?" disse "Sei sconvolta e hai tutte le ragioni del mondo per esserlo. Ma ora devi calmarti. Tutto finirà per il meglio"
Genevieve chiuse gli occhi e strinse le mani a pugno, per impedirsi di tremare.
"Hai ragione" ammise a bassa vcoe "scusa. Ho solo paura. Stanno succedendo fin troppe cose in questi giorni"
Lui le prese la mano sporca di sangue e gliela strinse.
"Andrà tutto bene" ripetè "ora torniamo al castello. Devi bere qualcosa di caldo"
Lei annuì piano e si lasciò condurre di nuovo a casa.
Le lacrime avevano smesso di scendere ma Genevieve si scacciò gli ultimi rimasugli sulle guance, quasi senza accorgersene.
Odiava piangere.
Rabbrividì e si rese conto che tutta la gonna dell'abito era bagnata.
"Hai freddo?" chiese Peter, guardandola preoccupato.
"Sto bene" rispose.
Varcò il portone di ingresso e si precipitò ai piani superiori, inseguita dall'amico.
"Fermati!" continuava a dirle dietro, ma lei non demordeva.
Capì di essere arrivata alla camera giusta, quando vide due guardie reali poste davanti alla porta.
"Fatemi passare" disse piazzandosi davanti a loro.
"Mi dispiace, principessa" disse uno di loro "ma abbiamo ricevuto l'ordine di non far passare nessuno"
"E io vi ordino di annullare il precedente ordine, maledizione!"
"Gen, per favore"
Peter la raggiunse e le prese il braccio, facendola voltare.
"Devi lasciare fare al medico ciò che deve" disse "le guardie stanno solo facendo il loro lavoro, come è giusto. Andiamo via"
"Ma..."
"Sai che è la cosa migliore"
Lei sospirò.
"Quando il dottore avrà finito, ditegli di venire subito da me, per favore" ordinò alle guardie, che annuirono con un inchino.
"Vieni" Peter le porse il braccio e l'accompagnò in salotto, dove la fece sedere sul divano a due posti "vuoi raccontarmi cos'è successo?"
"Stavo facendo una passeggiata e ho trovato Killian accanto alla barca rotta" spiegò, stancamente "ho visto il sangue e ho premuto sulla ferita per fermare l'emorragia"
"C'era tanto sangue?"
"Io... non lo so. L'acqua del mare può averne portato via un po'"
Peter annuì e le si sedette accanto, posandole una mano sulla sua.
"Sei stata coraggiosa e hai avuto i riflessi pronti" le disse.
Genevieve scrollò le spalle.
"Se non fossi arrivato tu non so cosa sarebbe successo"
"Ero venuto a cercarti, dopo che sei scappata dalla sala da pranzo. So che ti piace andare sulla spiaggia per schiarirti le idee"
"Non per trovare persone ferite"
Lei gli posò la testa sulla spalla, chiudendo gli occhi.
Ancora non riusciva a capire come fosse possibile che per tante notti avesse sognato Killian, una persona reale che però non aveva mai incontrato prima di oggi.
Non aveva senso.
Eppure era vero.
Dopo un po' di tempo che parve un'eternità a Genevieve, la porta del salotto si aprì ed entrò il medico.
"Dottor Jones" lei scattò in piedi e gli si avvicinò "come sta?"
L'uomo le fece una riverenza.
"Si riprenderà" rispose "il taglio non è profondo come mi era parso in un primo momento"
"Grazie al cielo"
"È sveglio, principessa, e chiede della ragazza che lo ha salvato"
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