I. Frattura
Questa storia appartiene a me, @CupidaGranger e a Wattpad. È protetta da copyright, quindi la copia parziale e/o totale è un reato punibile per legge nel mio Paese.
A coloro che sono ancora capaci di sognare.
"Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte"
-Edgar Allan Poe.
Luglio, 1889.
Il sogno era sempre lo stesso da un tempo che ormai Genevieve non ricordava più.
Il cielo era sereno, con qualche nuvola bianca che lo contornava come se fosse un quadro.
Genevieve camminava, i piedi nudi sulla soffice sabbia bianca che creavano dei piccoli solchi dove forse qualche tartaruga avrebbe trovato rifugio.
Vedeva davanti a sè la figura di un ragazzo, con una larga camicia bianca che gli aderiva al corpo magro.
In realtà lei supponeva si trattasse di un ragazzo, perché lo vedeva sempre e solo di spalle, dove i capelli neri si arricciavano alla base del collo: ogni volta che si avvicinava e gli metteva una mano sulla spalla oppure provava a chiamarlo per farlo voltare, il sogno svaniva.
La curiosità la divorava ogni volta che si svegliava, ritrovandosi nel suo letto a baldacchino.
Si voltava a guardare fuori dalla finestra, dove il sole sorgeva con la sua incredibile magnificenza oltre il mare azzurro, e sospirava.
Ogni volta che faceva quel sogno, le sembrava di non avere vincoli, come se all'improvviso potesse spiccare il volo come un gabbiano.
Non che non le piacesse la sua vita: dopotutto era la figlia del re, ma ciò ovviamente implicava tantissime condizioni.
Dame di compagnia, governanti, guardie armate anche solo per andare a fare una passeggiata in spiaggia oppure l'etichetta, i noiosissimi ricevimenti a cui era costretta a partecipare e tutte le altre obbligazioni che doveva rispettare.
A volte le sarebbe piaciuto essere una ragazza normale, sconosciuta.
Non che in realtà il regno di suo padre nell'isole Shetland fosse così conosciuto, ma ogni volta Genevieve amava ricordare come gli antichi Romani avessero chiamato quel misterioso posto Thule.
"Sapevo che ti avrei trovata qui" disse qualcuno.
Genevieve aprì all'improvviso gli occhi, lasciando cadere il libro che aveva in mano.
Non si era nemmeno accorta di essersi addormentata.
"Cosa?" borbottò, ancora un po' intontita.
Il ragazzo che aveva davanti inarcò un sopracciglio chiaro, mentre il cavallo nero a cui teneva le redini sbuffava dal naso.
"Perfino Hector si sta lamentando del tuo ritardo" le fece notare, con un luccichio negli occhi castani.
Genevieve schioccò la lingua.
"Hector mi adora, Peter" replicò "perché sono l'unica che gli dà più fieno di quanto dovrebbe riceverne un cavallo normale"
Peter scosse la testa, con un sorriso.
"Te ne sei scordata, vero?" domandò.
In effetti ora che ci rifletteva bene, la principessa ricordava che avrebbe dovuto fare qualcosa ma non ricordava proprio cosa.
"Un indizio?" gli chiese, con un dolce sorriso.
"Dio, Gen, non smetterai mai di avere la testa fra le nuvole vero?"
"Oh andiamo. È sempre stato così, no? Tra noi due tu sei quello razionale e io quella che infrange le regole. Altrimenti non c'è gusto"
Peter la squadrò dalla testa — dove probabilmente l'elaborata acconciatura ai capelli castani che la balia le aveva fatto quella mattina doveva essersi disfatta quando si era messa a leggere all'ombra di una quercia e, in seguito, addormentata — ai piedi.
"Cos'ho che non va?" volle sapere.
"Sei ancora in abito da pomeriggio" sottolineò Peter, dando delle pacche sul muso di Hector.
Genevieve abbassò lo sguardo e constatò che effettivamente il suo lungo e ampio abito rosso era quello del pomeriggio.
Probabilmente erano da poco passate le cinque, ma era ancora in orario.
Poi alzò di scatto gli occhi e li sgranò.
"Oddio" esclamò "dovevamo andare a cavallo!"
"Precisamente" fece Peter "visto che di solito non giro per i giardini reali con un cavallo"
"Potrebbe diventare una bella tradizione"
Genevieve alzò le gonne.
"Mi cambio in un baleno" promise "aspettami alle scuderie"
"Il tuo cavallo è già pronto"
"Sei il migliore!"
Ma non era sicura che lui avesse sentito le sue parole, perché le aveva pronunciate correndo verso il castello — cosa che ovviamente non si addiceva ad una principessa.
Peter era la sua salvezza, non c'erano dubbi.
Da quando i suoi genitori erano morti in un incendio nella loro casa in Scozia, Peter era stato accolto dal re a palazzo per onorare l'amicizia che lo legava a suo padre.
Erano cresciuti insieme, Genevieve e Peter.
Correvano sulla spiaggia scappando dalle governanti, mentre la balia di lei li guardava divertiti gridando di stare solo attenti a non farsi male urtando qualche infido sasso; di notte, quando gli incubi dell'incendio andavano a tormentarlo, Peter si rifugiava nella camera di Genevieve dove lei gli raccontava storie per tranquillizzarlo.
Qualche volta erano sgattaiolati via nel pieno della notte, durante il mese di agosto, per cercare di vedere le stelle cadenti.
Ovviamente l'idea era stata di Genevieve, perché Peter era molto più calmo e prudente di lei.
Eppure adorava quando riusciva a convincerlo ad unirsi a lei nel compimento delle sue pazze idee.
Quasi senza fiato, soprattutto per colpa del corsetto, Genevieve raggiunse la sua camera e spalancò la grossa porta di legno.
Fin da piccola, aveva insistito per imparare a mettersi la tenuta per equitazione da sola.
Era sempre così impaziente di montare a cavallo che non sopportava quando le domestiche ci mettevano tanto ad infilargliela.
Così aveva insistito perché le insegnassero come fare ed ora era capace di mettersela in pochissimo tempo.
Guardandosi allo specchio, vide che i capelli le erano ricaduti su una spalla intrecciati ancora nella treccia.
Non aveva tempo per legarseli meglio, così li lasciò così.
Come ogni volta che si guardava allo specchio, si soffermò sui suoi occhi.
Erano d'oro.
Un colore insolito, che non aveva mai visto sul volto di nessun altro — nemmeno nei ritratti degli stranieri che c'erano sui libri in biblioteca.
Da piccola li aveva detestati perché le davano l'aria di un... be' di un demone.
C'era un ritratto in un vecchio libro che aveva scovato anni prima, dove la figura che era ritratta aveva i suoi stessi occhi dorati.
Ricordava di averlo chiuso orripilata e di essere scappata via, perché aveva letto il nome sotto il ritratto: Lucifero.
Ora invece, all'età di quasi diciassette anni, li trovava solo particolari, ma non li associava più al diavolo.
Peter le diceva sempre che erano come due soli e che doveva andarne fiera.
Al pensiero dell'amico ricordò perché si fosse cambiata e quindi corse di nuovo giù per le infinite rampe di scale del castello.
Uscì dal portone d'ingresso e andò a sbattere contro qualcuno.
Genevieve cadde a terra con un tonfo e sentì la persona davanti a lei imprecare a bassa voce.
Si posò una mano sulla fronte dolorante e riconobbe lo stalliere reale.
Lavorava a palazzo da poco tempo, infatti era in fase di tirocinio, se così si potesse dire.
Lo stalliere che aveva insegnato a Peter e a Genevieve a cavalcare era molto anziano e sarebbe andato presto in pensione, precisamente non appena avesse insegnato tutto ciò che sapeva a Daniel che era suo nipote.
"Daniel!" esclamò lei.
"Oddio" fece lui, arrossendo di colpo "scusatemi tanto, principessa"
Genevieve si alzò, spazzolandosi la tenuta.
"Non è successo niente" disse e gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi.
Daniel esitò per un istante, guardandola perplesso.
Lei gli sorrise.
"Scoprirai ben presto che non sono una principessa come le altre" disse "a partire dal fatto che conosco le buone maniere e se qualcuno è a terra lo aiuto ad alzarsi"
Daniel le fece un timido sorriso e accettò la mano che lei gli porgeva.
Notò che aveva degli splendidi occhi verdi, coperti da una zazzera di capelli castani.
"Vi stavo cercando, in effetti" disse poi "il signor Smith vi sta aspettando"
"Peter ha fin troppa pazienza con me" ammise Genevieve.
"Comunque il vostro cavallo è già pronto per la passeggiata, principessa"
"Grazie, Daniel"
Genevieve vide in lontananza la scuderia e subito fuori Peter che stava accarezzando la groppa di Hector.
Il sole rendeva i suoi capelli più biondi del solito, quasi come se fossero color miele.
Ricordava che da piccoli all'amico era venuta la passione di tirarle i capelli e così lei ricambiava prontamente nella stessa maniera, rendendoglieli arruffati come se un fulmine lo avesse colpito.
"Ed ecco arrivare, con alle sue spalle il sole morente," declamò Peter, ironicamente "la principessa che grazia noi poveri esseri inferiori degnandoci della sua presenza"
"Per fare una poesia dovresti mettere i versi in rima" gli fece notare Genevieve.
Peter le fece la linguaccia.
"Santo cielo, Daniel" esclamò invece suo nonno, uscendo dalle scuderie "ti sei rotolato per terra per andare a cercare la principessa?"
Daniel si guardò i vestiti e vide che erano sporchi di terra e polvere.
"Ci siamo scontrati nell'uscire dal castello" spiegò Genevieve, togliendogli un po' di polvere dalla spalla "e siamo caduti"
John si prese il volto tra le mani.
"Sono desolato, principessa"
"Oh non c'è problema, signor Williams" lei sorrise "è stato divertente"
"Magari hai battuto la testa e ora smetterai di scordarti le cose" suggerì Peter.
Genevieve si voltò a guardarlo, fingendosi offesa.
"Quando ti batterò nella gara che faremo fra poco smetterai di fare il gradasso" ribattè.
Peter montò su Hector.
"Vuoi venire a piedi?"
Lei rise ed entrò nella scuderia, dove carezzò il muso bianco di Artemis, la sua giumenta.
"Pronta a vincere, campionessa?" sussurrò.
Montò in groppa ed uscì.
"Fino alla spiaggia?" propose.
Peter annuì.
"Allora al mio vi-"
Ma Genevieve era già partita al galoppo, mentre le proteste di lui si perdevano nel vento.
Le piaceva cavalcare perchè le sembrava di essere libera.
Come se le catene che la legavano ai suoi doveri e alle sue responsabilità diventassero improvvisamente più leggere e lei riuscisse a scappare, galoppando più veloce del vento.
Era un po' come il motivo per cui amava leggere.
Diventava parte di altre storie e viveva ciò che vivevano i personaggi: rideva con loro, piangeva con loro e amava con loro.
Genevieve, poi, sognava di vedere il mondo.
Solo che non era mai uscita dalle isole Shetland e così solo attraverso i libri era stata a Londra, a Parigi, in Medio-Oriente e negli Stati Uniti.
Lei incitò Artemis a correre più veloce e chiuse gli occhi.
Il vento le carezzava il volto liscio e si ritrovò a sorridere senza un vero motivo.
Era metà luglio e le giornate erano ancora lunghe, cosa che metteva Genevieve sempre di buon'umore.
Alla fine del mese, ci sarebbe stato il suo compleanno e sapeva per esperienza che suo padre avrebbe organizzato un grande ballo con tutte le peronalità importanti dell'isola.
Apprezzava il gesto, come ogni anno, ma lei era più un topo da biblioteca che una gran ballerina.
"Hai barato!" esclamò Peter, raggiungendola trafelato.
Genevieve rise, facendo girare Artemis.
"Ho vinto" lo corresse "perchè so cogliere le mie occasioni"
"Oh per favore"
"Non imparerai mai che non devi fidarti di me?"
Peter scosse la testa, scostandosi un ciuffo biondo dalla fronte.
Poi il suo volto si aprì in un sorriso.
"È bello, vero?" disse, con voce lontana.
Il sole scintillava sopra il mare cristallino davanti a loro.
Il rumore delle onde che s'infrangeva sul bagnasciuga era rilassante alle orecchie di Genevieve, che annuì all'affermazione dell'amico.
"Potremmo trovare una conchiglia" propose "e vedere se davvero si sente il rumore del mare"
"Come quando eravamo piccoli" Peter le sorrise.
"A volte è bello ritornare a quei tempi"
"È il momento in cui diventi filosofica?"
Genevieve alzò gli occhi dorati al cielo e gli diede una gomitata, rimanendo in equilibrio sulla sua sella grazie ad anni di pratica.
"Dico solo che quando si è piccoli si è felici e basta" continuò "non c'è molto a cui pensare se non al prossimo gioco da fare. Quando si cresce invece sono più le preoccupazioni che le gioie"
"Gen, se lo dici perchè fra poco compirai diciassette anni ti posso assicurare che non è vero, visto che io in autunno ne farò diciotto. Mi sento uguale all'anno scorso"
"Oh no, se solo provassi a definirmi una donna probabilmente Anne mi tirerebbe uno schiaffo"
Immaginò la sua anziana balia che la guardava con un cipiglio accigliato, scuotendo la testa.
"Ma se sei ancora una bambina!" avrebbe detto "Ricordo ancora quando ti svegliavi nel cuore della notte piangendo per i dentini..."
"Allora perchè?" questa volta il tono di Peter era serio.
"Non lo so" ammise Genevieve "forse... vedo l'infinità del mare, che sembra non avere una fine, e mi chiedo quando diventerò regina e tutto questo sarà sotto il mio potere se sarò in grado di gestire tutto quanto. La prospettiva di ritrovarmi al posto di mio padre mi spaventa"
"Saresti un'ottima regina"
Lei si voltò e fece per sorridergli, ma si rese conto che gli occhi verdi di Peter erano fermi nei suoi.
L'intensità con cui la guardava la colse completamente di sorpresa, perchè non l'aveva mai visto guardarla così.
Si schiarì la gola e distolse lo sguardo.
"E non saresti sola" riprese lui dopo un istante "io sarei al tuo fianco"
"Insieme a mio marito, lo so. So che posso contare sempre su di te"
Peter non rispose.
"Andiamo verso il nostro fortino?" propose Genevieve, dopo quache istante.
In realtà non c'era più, perchè una violneta tempesta lo aveva distrutto anni prima provocando le lacrime di Genevieve che aveva dichiarato che quel luogo sarebbe stato intoccabile da nessuno all'infuori di lei e Peter.
Lo aveva costruito da piccoli con alcune palme cadute e alcuni sassi; ci passavano ore intere là dentro leggendo i loro romanzi preferiti.
Il fiume che scorreva loro accanto sfociando poi nel mare pochi metri più in là era sempre presente a far loro compagnia con il suo scorrere.
"Buon'idea" fece Peter.
Entrambi tirarono le redini e i due cavalli camminarono sulla sabbia che cedeva sotto gli zoccoli.
"Oh guarda, le domestiche stanno facendo il bucato" osservò lui, mentre vedevano il fiume poco lontano.
"Meglio non passare di lì allora" commentò Genevieve "i cavalli potrebbero dare fastidio e loro avrebbero solo del lavoro in più da fare. In più se mi vedono non mi lasceranno più andare"
Peter si voltò a guardarla interrogativo, al che lei sospirò.
"Per il ballo del mio compleanno vogliono farmi provare un'incredibile quantità di abiti da sera. A me sembreranno tutti uguali, lo so già, ma loro mi diranno che invece il blu zaffiro è diverso dal blu cobalto"
"E stai cercando di rimandare l'inevitabile il più possibile"
"Mi hai letto nel pensiero"
Genevieve alzò gi occhi per controllare la situazione e fece fare ad Artemis un passo indietro.
"Oh no" esclamò "Heather ci ha visti"
Infatti una delle dometische aveva fatto volare gli occhi dalla loro parte di spiaggia e si era messa a gridare il nome della principessa per attirare la sua attenzione.
"Che facciamo?" domandò Peter.
"Oddio, ci sta venendo incontro" notò Genevieve "Scappiamo!"
Facendo quasi prendere un colpo ai due cavalli, tirarono le redini ed entrambi li incitarono a galoppare dalla direzione da cui erano venuti.
I due amici scoppiarono a ridere, quando furono abbastanza lontani da poter fermarsi.
"Heather andrà a spifferare la nostra fuga ad Anne e lei ti farà una grande ramanzina" commentò Peter.
"Sopporterò la strigliata a testa alta, te lo prometto" fece Genevieve in tono solenne.
Poi si voltò verso l'amico come se avesse appena ricordato qualcosa.
"A proposito di Heather" disse "credo proprio sia innamorata cotta di te"
Lui arrossì.
"Non è affatto vero" balbettò "dovresti smetterla di leggere i romanzi di Jane Austen. Ti fanno vedere cose che non ci sono"
"Sarebbe così tanto male se una ragazza fosse innamorata di te?"
"Certo che no. Però lei non è la ragazza che io vorrei lo fosse"
Gli occhi di Genevieve brillarono divertiti.
"Oddio, Peter. Ti sei innamorato?"
"Era una frase ipotetica"
"Come no e io sono la figlia della regina Vittoria"
"Devo dire che ti ha avuta davvero tardi"
Lei gli diede uno spintone sulla spalla, ridendo.
"Sono seria" disse "sei il mio migliore amico. Se non parli di queste cose con me, con chi ne parlerai?"
"Davvero, Gen, non c'è niente di cui parlare" fece Peter.
I suoi occhi castani però erano indecifrabili.
Genevieve sentì una stretta allo stomaco, perchè erano rare le volte in cui gli occhi dell'amico erano illeggibili per lei.
Non è vero, pensò, non è mai successo.
"E tu, invece?" chiese Peter, con leggerezza "Prima o poi ti verrà affibbiato un matrimonio combinato con qualche duca o barone molto più vecchio di te"
"Magari mi capiterà un affascinante lord scozzese dai capelli rossi" ribaltò lei la situazione.
"Io sono scozzese"
"Ma non hai i capelli rossi nè sei un lord"
"Quindi mi trovi affascinante?"
Genevieve esitò un istante, mordicchiandosi il labbro.
Lui era Peter, un amico da una vita.
Non aveva mai pensato a lui in quel modo.
"Non ci ho mai pensato, in realtà" ammise alla fine, tornando a guardarlo negli occhi.
Cercò di leggervi al loro interno, ma di nuovo non ci riuscì.
"Mi piacerebbe sposarmi per amore, però" continuò lei "i matrimoni combinati non funzionano mai, al di fuori della politica"
"Sei una principessa" commentò Peter, con voce incredibilmente profonda "di solito voi non avete molta scelta"
Genevieve si raddrizzò sulla schiena, alzando le redini di Artemis.
"È arrivato il momento che le cose cambino" dichiarò, in tono deciso.
***
"Ho incontrato Heather mentre salivo qua" commentò Anne.
Genevieve guardò la balia riflessa nello specchio della sua camera e la trovò intenta ad acconciarle i capelli castani sulla nuca.
Come sempre aveva il tocco delicato ma deciso che, a suo dire, aveva ereditato da sua nonna, e sapeva creare anche le acconciature più complicate.
Fin da quando era piccola, Genevieve aveva trovato in lei una confidente e, anche se non l'avrebbe mai ammesso davanti a suo padre, una madre.
Leila, sua madre biologica, era morta quando la principessa era molto piccola, tanto che non aveva alcun ricordo di lei a parte un sorriso gentile.
Sapeva dal ritratto che suo padre teneva nella sala da pranzo che aveva i suoi stessi capelli castani, che accesi dalla luce del sole avevano alcuni riflessi rossi, e dei magnifici occhi azzurri.
E se c'era una cosa che Genevieve odiava, era il fatto che non le mancasse.
Non era legata a lei in alcun modo, purtroppo, e non aveva avuto il tempo di creare nessun ricordo.
Fin da piccola aveva cercato di sentire la mancanza di Leila, ma era sempre stato tutto inutile: non provava niente.
"Non mi chiedi nulla?" continuò Anne, come se niente fosse.
"Dovrei?" replicò Genevieve, anche se sapeva benissimo come sarebbe finita tutta la faccenda.
La balia si scostò da lei e le si mise di fronte, con le braccia conserte.
I capelli grigi erano raccolti alla perfezione in una rigida crocchia, in modo che nemmeno una ciocca sfuggisse e i suoi dolci occhi nocciola avevano un bagliore che non prometteva nulla di buono.
"Bambina, sai che le domestiche stanno solo facendo il loro lavoro" disse "e tu dovresti essere un po' più ben disposta, anche perchè mi sembra davvero infantile scappare come hai fatto tirandoti dietro il povero Peter. E poi il compleanno è il tuo"
Genevieve sbuffò.
"Si tratta solo di un vestito" fece "e ci saranno altri compleanni"
Era esitazione quella che leggeva negli occhi di Anne?
"Ma diciassette anni si compiono una volta sola" continuò la donna "tuo padre tiene molto a questa festa"
La principessa si lasciò andare ad un lungo sospiro, sapendo che bene che, nonostante lei fosse testarda, Anne lo era molto di più.
In più sarebbe riuscita benissimo a farla sentire in colpa e alla fine Genevieve avrebbe ceduto, perciò tanto valeva affrettare le cose.
"E va bene" disse "dirò ad Heather che mi scuso per essere scappata via così e che domani sarò disponibile per le lunghe ore di tortura che mi attendono"
La balia inarcò un sopracciglio.
"Le magnifiche ore che mi sembreranno troppo brevi in cui proverò moltissimi abiti splendidi" si corresse con un sorriso.
Anne le diede un buffetto sulla guancia, soddisfatta.
"E ora vieni che ti aiuto a mettere l'abito da sera" disse.
Genevieve nascose un sorriso e obbedì.
"Bambina" fece dopo un po' Anne "devi promettermi una cosa"
"Cosa?"
"A cena tuo padre ti parlerà di qualcosa e..." esitò "conoscendoti so che non ti piacerà. Ma devi promettermi che lo lascerai parlare prima di esplodere, d'accordo? Lui vuole solo il tuo bene, lo sai"
"Mi stai facendo preoccupare" Genevieve si voltò e la guardò negli occhi "di cosa deve parlarmi?"
Anne non le rispose, ma le mise una mano sulla guancia, carezzandogliela.
La principessa fece per dire altro, ma qualcuno bussò alla porta della camera.
"Principessa" la domestica le fece una riverenza "vostro padre manda a chiamarvi. La cena è pronta"
"Vai, tesoro" disse Anne "e ricorda quello che ti ho detto"
Genevieve la guardò un'ultima volta e poi seguì la domestica fino alla sala da pranzo.
Quando entrò, Peter era già seduto e le lanciò un fugace sorriso, ma evitò di guardarla negli occhi.
Re Malcolm le sorrise, ma si vedeva che anche lui era nervoso.
Cos'hanno tutti?, pensò lei.
Diede un bacio sulla guancia a suo padre e poi si sedette accanto a lui, davanti all'amico.
In quel preciso istante, le cameriere entrarono e servirono la cena su piatti d'argento.
Genevieve lanciò uno sguardo al re, che però non sembrava volerle dire proprio nulla: stava tagliando il suo filetto di pesce con voracità.
Lei scrollò leggermente le spalle e lo imitò, anche se la curiosità la stava divorando.
Anne le aveva detto di lasciarlo finire, per capire a pieno, ma se Malcolm non inziava nemmeno, lei cosa avrebbe dovuto fare?
La cena trascorse come ogni sera: il re domandò a Peter e Genevieve cosa avessero fatto e se avessero proseguito quache lettura piacevole in biblioteca.
Quando ormai la principessa si era convinta che suo padre non le avrebbe chiesto un bel niente, re Malcolm la chiamò.
"Tesoro" disse "ti devo parlare"
Genevieve posò la forchetta e il coltello nel piatto e alzò lo sguardo, incontrando gli occhi chiari dell'uomo.
"Qualcosa di bello?" chiese.
Notò che Peter si voltava a guardarli, curioso, e lei suppose che quindi fosse un mistero anche per l'amico l'argomento di cui avrebbe parlato il padre.
Re Malcolm fece un respiro profondo.
"Settimana prossima compirai diciassette anni e questo significa che l'anno prossimo sarai maggiorenne" disse, come se stesse prendendo tempo "vale a dire in età da matrimonio"
Geneveve lanciò uno sguardo a Peter.
Proprio quel pomeriggio avevano parlato di matrimoni combinati, scherzando, ma di sicuro suo padre non avrebbe mai...
"Te lo dirò senza troppi giri di parole" sbottò alla fine "il giorno dopo il tuo compleanno verrà qui il tuo promesso sposo"
"Il mio... che cosa?"
"Sei abbastanza grande da capire" continuò il re "il signor Moore è un uomo d'affari davvero rispettabile e molto galante, sono sicuro che ti troverai benissimo con lui"
"Avresti potuto dirmelo" Genevieve faticava a rimanere calma "anche se l'anno prossimo sarò in età da matrimonio, non significa che debba sposarmi immediatamente con qualcuno che nemmeno conosco!"
"Proprio per questo lo conoscerai un anno prima. Avrai un anno di tempo per innamorarti di lui e-"
Lei scattò in piedi, facendo quasi ribaltare la sedia dietro di sè e mandando a farsi benedire tutte le buone maniere.
"Innamorarmi di lui?" gridò "È una cosa che si può programmare, secondo te, papà? E se non mi innamoro, cosa succede? Potrò non sposarlo? Non penso proprio"
"Sono sicura che ti piacerà fin da subito"
"Io invece ero sicura tenessi a me abbastanza da permettermi di sposarmi per amore quando sarei stata pronta"
"Genevieve, sei una principessa e in quanto tale hai dei doveri che sei tenuta a rispettare"
Genevieve strinse i pugni nascosti dalle balze del vestito.
Sentiva le lacrime pungere, ma non avrebbe dato questa soddisfazione a suo padre.
Guardò Peter, in cerca di aiuto, ma lo trovò che aveva le labbra serrate.
"Mi dispiace, tesoro" fece re Malcolm, con la voce addolcita "ormai la decisione è presa. Sono sicuro che dopo averci dormito su, domani mattina capirai che questa è la tua opportunità migliore. Dopotutto, per salire al trono hai bisogno di un marito, lo sai, è la legge dell'isola"
Genevieve lo osservò con freddezza.
Il suo cuore sembrava essere stato trafitto da lame invisibili, che avevano tutte il nome di delusione.
Valutò se dirgli che secondo lei la legge era stupida, ma non sarebbe servito a nulla.
Di rado suo padre cambiava idea.
E poi temeva di risultare una bambina capricciosa, cosa che non sopportava.
Perciò alzò le gonne e raddrizzò la schiena, uscendo dalla sala da pranzo con aria altera.
Sentì suo padre augurarle la buonanotte, ma non rispose.
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