Parte 3.
Continuammo a vederci ancora nelle settimane successive, ma non successe più nulla.
Quel bacio mi aveva scombussolato e non facevo altro che pensarci tutto il tempo. Alcune notti dopo i nostri soliti incontri tornavo a casa e sognavo nuovamente quel momento, e una volta sveglio avevo l'incredibile desiderio di assaporare di nuovo quelle sottili labbra. Quel ragazzo mi aveva provocato una serie di emozioni indescrivibili che non ero neanche in grado di decifrare, ma ero certo di una cosa: giorno dopo giorno ero sempre più cotto di lui.
Dopo quella volta era ormai diventata un'abitudine che mi invitasse a salire, ormai trascorrevamo lì a casa sua i nostri incontri.
Non avevo più osato baciarlo, anche se avrei voluto tantissimo farlo. Non ero sicuro di cosa avesse provato lui in quel momento, e non sapevo cosa ne pensasse. Certo, in quel momento mi aveva assecondato e mi era sembrato felice tanto quanto me, ma poteva essere una conseguenza del momento, e onestamente non volevo rovinare ogni cosa.
«Come mai vivi da solo?» gli chiesi una sera, mentre ero seduto al suo pianoforte provando a scrivere qualcosa.
Da quando ero andato via dall'America ogni posto mi aveva dato un pizzico d'ispirazione. Avevo buttato giù qualche parola, qualche volta avevo anche concluso delle canzoni, in ogni luogo che avevo visitato. Ma nulla che mi soddisfacesse. Non ero mai pienamente soddisfatto di ciò che scrivevo, e quindi finivo ogni volta a voltare la pagina del mio amato quaderno di cuoio su cui mi piaceva scrivere i miei pensieri, le mie canzoni, e tutto ciò che mi passava per la testa. Poi non tornavo più a rileggerle.
In quel periodo però lavoravo sulla stessa canzone già da un po' di tempo. Non sapevo esattamente quale fosse in senso che volessi dargli, ma avevo trovato una musa ispiratrice non indifferente e speciale fino in fondo alle ossa. L'ispirazione non l'avevo cercata, era solo arrivata nel momento in cui avevo incontrato i suoi occhi e non avrei voluto lasciarla per nulla al mondo.
«Quando mia madre se n'è andata mio padre ha deciso di tornare in Francia e ha portato con sè le mie sorelle più piccole. Lottie e Fizzy avevano deciso di restare con me qui, erano abbastanza grandi per decidere da sè quindi non c'erano stati grandi problemi. Ma presto se ne sono andate anche loro, dicendo che questo posto gli ricordava troppo la mamma e non riuscivano ad andare avanti. E così sono rimasto io, con la mia casa colma di ricordi, il mio terrazzino, e questa canzone che mia madre cantava sempre nei suoi ultimi mesi di vita.»
Un'altra cosa che amavo dell'evoluzione del nostro rapporto era che ormai aveva preso una piega tale che nessuno dei due si faceva più problemi a dire nulla. Ci raccontavamo anche i minimi particolari, ed ero molto fiero di ciò.
Adesso avevo capito perché la Francia era così importante con lui: avrebbe non solo voluto visitarla ma avrebbe voluto rivedere la sua famiglia. Capivo quanto poteva essere difficile per lui sapere la sua famiglia lontana e non poterla raggiungere per i costi eccessivi dei viaggi.
«E perché tu non sei andato con loro?»
«Mia madre amava questo posto, andarmene e venderlo significherebbe lasciare andare una parte di lei che non sono pronto a dimenticare.»
Capivo anche questo. Gli faceva male ricordarla, ma il dolore che provava gliela faceva sentire vicina in qualche modo. Dimenticare ciò che aveva trascorso con lei e abbandonare i suoi ricordi significava perderla definitivamente. Non osai neanche chiedere da quanto tempo non li vedesse.
Prima che potessi dire qualcosa riprese a parlare: «Il mare è un incanto stasera».
«Perché non usciamo? Facciamo una passeggiata sul lungomare!» proposi entusiasta.
Da quando ci conoscevamo Louis non era mai uscito da quella casa. Ero sempre io a salire da lui, e per quanto amassi vivere quella quotidianità, la sera non mi bastava più. Volevo passare giornate intere con lui, fare qualcosa di divertente, fare passeggiate immense e prendere un gelato insieme. Mi sarebbe piaciuto portarlo fuori da Sorrento, vedere il Vesuvio con lui, andare in spiaggia, fare il bagno. Avrei voluto fare tante di quelle cose con lui, ma era impossibile restando chiusi lì, e non riuscivo a capire perché non ne uscissimo.
Lo vidi titubante, non sapeva cosa rispondere, perciò ripresi la parola: «Come mai non esci mai? Sono sempre io a salire da te, Louis, tu non sei mai sceso giù da me. Potremmo fare tante cose divertenti, sai?!»
«Be', vieni qui solo di sera, e non mi piace uscire di sera...» cominciò.
«Di giorno esci?»
«Non ne ho motivo».
Mi alzai e andai a sedermi accanto a lui sul divano. Gli circondai le spalle con un braccio e lo lasciai appoggiare sul mio petto, abbracciandolo.
«Non ti piace uscire di sera, eh?» lo schernii.
«No, c'è troppa gente per le strade, preferisco godermi le stelle da qui.» rispose onestamente.
«Da quanto non esci da qui, Louis? Da quanto non passeggi per le strade di Sorrento? Da quanto non metti piede su una spiaggia?» chiesi tristemente.
«Non lo so, non lo ricordo...»
A quelle parole sentii il mio cuore stringersi.
Presi una decisione in quel preciso momento: avrei fatto sì che Louis riprendesse la sua vita tra le mani e vivesse tutto ciò che si era perso in tutto quel tempo.
«Ti piacerebbe che venissi più spesso?»
Annuì subito con forza. «Non solo di sera, voglio vederti anche quando c'è il sole».
«Te lo prometto, Lou, verrò più spesso.»
Lo feci davvero, dal giorno seguente passai a casa di Louis molto più tempo. Ci andai la mattina seguente molto presto, portandogli la colazione e un'altra peonia stavolta rosa.
Ad aprirmi la porta fu, come tutte le mattine che seguirono, un Louis sopraffatto dal sonno, probabilmente appena sveglio, con i capelli arruffati, gli occhioni lucidi e ancora in pigiama.
Una mattina mi presentai senza il solito cappuccino e senza la brioche alla crema di albicocca, la sua preferita.
«Ehi Romeo, dov'è finita la mia colazione?» mi rimproverò.
«Usciamo e andiamo a farla insieme» risposi sorridente.
Mi guardò con i suoi occhioni blu spalancati, ma in un nano-secondo la sua espressione passò da stupita a titubante e poi finalmente a entusiasta. Non avevo mai visto una persona prepararsi così velocemente.
Indossò una felpa gialla, uno skinny jeans - contro ogni mia aspettativa, che ero abituato a vederlo sempre in tuta - e un paio di Vans. Poi si lavò i denti e si sistemò velocemente i capelli, rendendosi ancor più adorabile se possibile.
In men che non si dica eravamo all'aria aperta, e Louis sembrava davvero un bambino. Sebbene fosse inverno c'era un sole che avrebbe spaccato una pietra e il chiarore gli baciava la pelle rendendolo incredibilmente bello.
Andammo nel bar dove ero solito comprare la sua colazione, e la prendemmo sedendoci ai tavolini fuori che davano su una piccola chiesa da cui uscivano proprio in quel momento due anziane donne.
Dopo la colazione pensava che avessimo finito e che saremmo tornati a casa. Quello che non sapeva è che avevamo appena iniziato, e non avevo nessuna intenzione di riportarlo lì. Volevo portarlo ovunque avesse voluto, l'avrei portato persino a casa mia a San Francisco se solo me l'avesse chiesto.
E così, senza sprecare neanche un secondo di quella giornata che significava così tanto per entrambi, facemmo di tutto.
Andammo a fare shopping in un centro commerciale lì vicino. Sapeva che non l'avrei mai lasciato pagare, mi aveva fatto un regalo enorme quando mi aveva seguito fuori al portone del suo palazzo fidandosi di me. Dunque ero io che volevo fare un regalo a lui adesso, e volevo fargli trascorrere una delle giornate migliori della sua vita. Lo vidi incerto, impaurito dal prendere qualcosa di troppo costoso. Gli dissi di non preoccuparsene, e così si lasciò un po' andare. Eppure dimostrò la sua umiltà e la sua grande semplicità - forse le due cose che principalmente mi avevano stregato di lui - quando si presentò davanti a me con sole due t-shirt di pochi euro l'una, giurandomi che erano davvero le uniche che gli piacessero.
Poi andammo in giro, e stavolta fu lui a condurmi. Era casa sua, perciò chi meglio di lui poteva farmi da guida? Mi afferrò la mano e così stretta alla sua mi portò tra i mercatini del paese, poi tra le case popolari, dalla signora Rosa che da piccolo era stata la sua insegnante, e a farci fare un ritratto da un artista di strada. Infine concludemmo con la spiaggia, dove rincorrendoci sulla sabbia per poco non mi buttò nell'acqua gelida.
Nel paese lo conoscevano tutti, e in effetti in paesi del genere, così piccoli e caratteristici, era inevitabile che tutti conoscessero tutti. Durante tutta la giornata si erano fermate decine di persone a salutarci palesemente sorprese di vedere Louis finalmente tornato tra le strade. Gli volevano tutti un gran bene, era così palese.
Mi sembrò di non aver mai sentito Louis ridere così tanto e fui infinitamente grato per quella risata così angelica, e altrettanto soddisfatto per esserne stato la causa.
«Grazie Harry, davvero. Avevo dimenticato quanto fosse bello il mondo al di fuori del mio terrazzo» mi disse mentre lo riaccompagnavo a casa sua.
«Meriti il meglio, Lou, lo sai. Sono felice che tu mi abbia dato fiducia» risposi sinceramente.
«Non so cosa avrei fatto se non ti avessi incontrato.»
Sorrisi abbassando lo sguardo imbarazzato, finché non giungemmo sotto al suo palazzo.
«Stavolta non salirò, ma ci rivediamo domani. Affitteremo un'auto e ti porto a Napoli.» lo dissi sorridendo, ma in realtà avevo davvero intenzione di farlo.
«Certo, e poi magari anche in Francia, che dici?» rise sonoramente.
Già, magari anche in Francia, Lou...
«Hai già fatto abbastanza Hazz, ti sono grato di tutto. Ma dovresti smettere di essere così gentile con me, perché quando tornerai a San Francisco io tornerò alla mia vita sul mio balcone, e non ci sarà nessun altro come te.» continuò.
«Ehi Giulietta, ti ho promesso Napoli e Napoli sarà.» scherzai, ma poi assunsi un tono più serio. «E dopodomani sarà Agropoli, e poi Roma, e poi Firenze e tanto altro. Sto bene qua, non tornerò a San Francisco per ora, voglio restare con te.»
Il suo viso si illuminò, e non potetti fare a meno di portare lo sguardo sulle sue labbra. Era tanto che le sognavo, mi mancava quel sapore, avrei dato di tutto per riassaggiare.
E proprio mentre pensavo a questo, fu lui a fare un passo verso di me, mettendomi una mano dietro al collo e posando la sua bocca sulla mia, facendomi realizzare in un attimo che non avrei voluto nient'altro al mondo se non lui.
Ovviamente mantenni la promessa. Il giorno dopo lo portai a Napoli a vedere il lungomare, il Vesuvio, e il vecchio Castel dell'Ovo.
Ci scambiammo numerosi baci, adesso nessuno dei due aveva più timore come la prima volta. Eravamo entrambi convinti fermamente dell'altro e lo facevamo con tale naturalezza. Era come se ci fossimo cercati per tutta la vita, ma avessimo sempre saputo di essere destinati. E ora l'imbarazzo non c'era, non c'era più, c'eravamo solo io e lui.
Passarono molti mesi, ormai io e Louis eravamo diventati una coppia a tutti gli effetti e io avevo lasciato l'hotel per trasferirmi da lui.
Era successo senza averlo programmato.
"Cosa siamo noi, Hazza? Insomma, io non ho mai incontrato nessuno come te. Mi riempi di attenzioni, e ci diamo tanti baci... Ma non sono certo di-" mi aveva detto una volta, qualche giorno dopo la nostra gita a Napoli.
E io risi come al solito per il suo straparlare senza un filo logico, poi lo bloccai lasciandogli un leggero bacio a stampo e risposi "Se non ti fosse ancora chiaro, voglio stare con te, stupido".
Lavoravo a tempo perso da un orologiaio lì. Ormai la mia vita aveva preso piede lì e non avevo nessuna intenzione di tornare in California. La mia famiglia mi mancava molto ma loro avevano capito che con Louis facevo sul serio e che ci stavo davvero bene.
Fu una sera a casa sua - nostra ormai - seduto ancora una volta al suo piano, che suonai forse la nota giusta. Dopo quella ne seguirono molte altre e nel giro di tre ore, mentre Louis preparava la cena, mi ritrovai tra le mani una melodia e un testo. Raccontava un po' di noi, di quella notte sul golfo e della sua canzone. Ne conteneva persino la strofa principale. Fu proprio quella, la prima che sentii uscire dalla bocca di Louis, a diventare il ritornello.
Li misi insieme e senza rendermene conto ne uscì una vera e propria canzone. La prima di cui fossi davvero fiero.
La feci ascoltare a Louis e lui ne fu pazzo. Vidi persino una lacrima scendere sul suo viso.
Decisi di chiamarla "Caruso". Era il nome dell'autore della canzone che aveva cantato tutte le sere da quando ci eravamo conosciuti mesi prima, e non avrei potuto trovare titolo migliore.
Louis se ne innamorò, e da quel momento iniziò a cantarmi quella, piuttosto che l'originale.
E proprio quel giorno, quando sentii Louis risuonare quella mia canzone mentre girovagava per casa che mi resi conto di sentirmi davvero, definitivamente, incondizionatamente completo. Avevo raggiunto tutto ciò a cui avevo sempre puntato nella vita, e avevo trovato qualcosa che neanche cercavo: l'amore.
In quello stesso luogo ne scrissi molte altre durante il corso degli anni, e tutte parlavano in qualche modo di lui, della dolce creatura che mi aveva stravolto, fatto perdere la testa e con la sua voce mi aveva permesso di trovare la mia strada.
A quel punto sentivo che mancava solo una cosa. C'era solamente quell'ultima cosa da fare prima di poter davvero affermare di aver ottenuto tutto.
Non lo feci attendere.
Il mattino seguente mi svegliai alla buon ora e uscii presto, lasciando un biglietto a Louis in cui lo avvertivo di essere a lavoro siccome Don Nicola, il proprietario della bottega, aveva bisogno d'aiuto.
Non mi feci vivo per tutto il giorno, fino alla sera tarda. Era ormai passata anche l'ora di cena, ma ero certo che Louis non si era ancora addormentato perché gli piaceva aspettarmi sveglio per poi poterci addormentare accoccolati l'uno all'altro.
Suonai al campanello e sentì diversi rumori provenire dall'interno. Immaginai subito quel maldestro di Louis che si era appisolato sul divano e al suono della porta si era svegliato di scatto, e mi scappò una risatina.
«Eccoti finalmente!! Ti sembra questa l'ora di ritornare a casa, Har...» urlò arrabbiato aprendo la porta d'ingresso, ma le parole gli morirono in gola quando davanti a sè non si trovò il suo ragazzo, ma bensì un enorme mazzo di peonie variopinte che coprivano la faccia della persona che le stava tenendo in mano.
«Ciao piccolo» lo salutai, abbassando il bouquet per mostrare il viso.
«Se questo è un tentativo di farti perdonare, be' non funzionerà!» mise il broncio, ma avevo imparato a conoscerlo come le mie tasche e sapevo gli era piaciuto terribilmente quel gesto.
«Posso entrare o vuoi che resti qui fuori?»
«Non lo so, ci devo pensare!» scherzò.
Entrambi ridemmo e poi mi lasciò ovviamente entrare.
Mi diede un leggero bacio sulle labbra prima di afferrare il mazzo di fiori e portarlo al solito posto al centro del tavolo.
Louis era intento ad ammirarle finché tossii fintamente per attirare la sua attenzione.
Allora il più grande si girò verso di me e mi ritrovò con una busta di carta tra le mani.
«E questa cos'è?» chiese.
«È per te, ma prima che tu la apra ho qualcosa da dirti...» iniziai.
Mi schiarii la voce e cominciai a parlare. Feci un lungo discorso tentando di spiegare a parole i sentimenti che provavo, ma non lo riporterò qui. Non basterebbe un libro intero per parlare dell'amore incondizionato che sentivo verso di lui e che ero consapevole non avrei mai sentito con nessun altro. Perché lui era solo Louis, con mille difetti e mille insicurezze. Ma aveva una marcia in più rispetto a qualunque altra persona avessi mai incontrato sul mio cammino fino a quel momento. Era diverso, ed indispensabilmente speciale, e a me bastava così.
Pianse a lungo, poi lo convinsi ad aprire la busta.
Non saprei descrivere la sua espressione quando si ritrovò avanti a se due biglietti aerei per la Francia.
Non saprei descrivere neanche cosa abbia provato in quel momento. È stato tutto magico e vederlo così felice per merito mio mi riempiva il cuore di gioia. Il suo sogno stava per essere realizzato e io non sarei potuto essere più felice per lui.
So descrivere solo cosa successe dopo: mi saltò letteralmente addosso, scoppiando a piangere di nuovo. Mi abbracciò stretto e mi baciò la faccia e il collo in ogni punto. Disse "grazie" almeno un'infinità di volte.
«Torneremo qua non appena vorrai, e andremo a trovarli tutte le volte che ne sentirai il bisogno.»
Lo avrei fatto davvero. Avrei fatto di tutto per vederlo felice. Sapevo che non si sarebbe mai allontanato da Sorrento per troppo tempo, ma ogni volta che ne avremmo avuto la possibilità lo avrei accompagnato dalla sua famiglia senza indugiare.
Subito dopo il viaggio in Francia avevo in mente di fare un salto anche a San Francisco. Volevo che conoscesse la mia famiglia e il mio posto. Ero certo che lo avrebbero amato forse tanto quanto lo amavo io, che gli sarebbe piaciuto molto e che a lui sarebbero piaciuti loro. E per me era importante persino che scoprisse il posto da cui ero partito, perché infondo era stato quel posto a condurmi da lui e a rendermi l'uomo che ero con lui, completo e felice come non mai.
In seguito mi stampò un bacio sulle labbra e lentamente mi spinse verso la camera da letto.
Facemmo l'amore, intensamente e profondamente. In modo dolce e passionale. Passammo l'intera notte stretti tra carezze, baci e ansimi diventando quasi un'unica cosa. Persino quando le luci dell'alba cominciarono a penetrare dalla finestra e ad illuminare i nostri corpi, noi eravamo ancora lì svegli, svestiti di tutto, stretti l'uno all'altro e non ne avevamo ancora abbastanza.
Potrei giurare di non essermi mai sentito così vivo. Ero finalmente felice, al cento per cento, avevo fatto tutto e non avevo bisogno di nient'altro. Avevo tutto ciò di cui avevo bisogno esattamente lì in quella stanza.
Forse non era tutto completo. Mancava ancora qualcosa: un matrimonio, dei bambini che scorrazzassero per casa... e senza alcun'ombra di dubbio gli avrei dato tutto ciò che desiderava non appena entrambi fossimo stati pronti.
Era presto ancora, ma ero sicuro che tutto questo non lo avrei voluto con nessun altro se non con lui.
Era quello giusto, lo sentivo. Ne ero convinto con tutte le fibre del mio corpo. E passo dopo passo, giorno dopo giorno, avremmo costruito tutto, ci saremmo realizzati completamente, insieme.
«Ti amo» dicemmo nello stesso momento un attimo prima di raggiungere l'apice contemporaneamente.
Me ne ero innamorato, era stato inevitabile. Era stato praticamente impossibile far sì che non succedesse. E in quel momento, stesi su quel letto con il mio Lou stretto tra le braccia, la brezza del mare che spifferava dalla finestra, il cuore a mille, e davanti agli occhi solo il nostro futuro insieme ero certo che anche lui provasse lo stesso. E ora come allora il mio cuore gli appartiene come tutto il resto di me stesso. Appartiene a lui, al mare luccicante di quella notte ventosa, e a quel cielo stellato che senza lui e la sua voce sarebbe stato solo uno dei tanti.
Perché è qui con lui, che sono davvero a casa.
Fine.
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